postato il 11 Maggio 2025 | in "Rassegna stampa"

«Leone XIV l’uomo giusto per una vera pace multilaterale»

Un Papa statunitense che è stato missionario in Perù, ha studiato a Roma, è stato prefetto dei vescovi, si è formato su Sant’Agostino, saprà parlare a tutti e ascoltare tutti. Da Usa e Israele segnali di disponibilità.  Francesco è stato oggetto di ignobili speculazioni, ma con Prevost Trump dovrà necessariamente parlare, senza rifugiarsi in comodi stereotipi.

L’intervista di Angelo Picariello pubblicata su Avvenire

«A volte scherziamo sullo Spirito Santo. Ma qui davvero ha fatto un capolavoro, spiazzando anche il comprensibile campanilismo di chi, come me, sperava nel ritorno di un Papa italiano. Capolavoro che ora iniziamo a capire». Pier Ferdinando Casini all’Habemus Papam era in piazza, fra la gente.  «È una sorta di tradizione personale. C’ero andato con Ratzinger e Bergoglio. Non c’è due senza tre…», dice.  «Sul piano internazionale – riflette il senatore eletto come indipendente nelle liste del Pd, in passato una lunga militanza nella Dc e poi alla guida dell’Udc, nella scorsa legislatura presidente della Commissione Esteri della Camera – papa Leone XIV appare come l’uom o giusto per il rilancio di un “multilateralismo” della pace. Mentre sul piano interno la scelta del nome richiama a quelli della mia generazione la scuola di partito alla “Camilluccia” dove ci facevano studiare la Rerum Novarum».

Che cosa ha visto in piazza?

Ho toccato con mano la grande vitalità della Chiesa.  È l’ultima autorità morale che resiste nel tempo, a cui tutti guardano per ritrovare fiducia. Ultimamente anche maltrattata, perché non dice quel che il potere vorrebbe – è il suo compito, anche Gesù diceva cose scomode – ma sa farsi ascoltare. Parlare, come ha fatto papa Leone X IV di «pace disarmata e disarmante» è scomodo, ma ha colpito tutti.

Dalla “delusione” iniziale alla simpatia, è stato un attimo.

Delusione per così dire, perché pochi10 conoscevano, m a dopo un Papa polacco, un Papa tedesco e uno sud americano, si vede che era la volta di un Papa statunitense che include tanto altro: la missione in Perù, gli studi a Roma, il suo incarico di prefetto dei vescovi, la sua     formazione in Sant’Agostino. Un Papa che saprà parlare e soprattutto ascoltare tutti, penso anche all’Africa, all’Asia. In piazza mi ha colpito l’entusiasmo di alcune suorine vietnamite. Una terra segnata dal regime comunista in cui la fede rifiorisce, come in tante parti del mondo. Io sono bolognese, si può immaginare a chi tenessi di più, in piazza ho visto anche lo straordinario affetto dei cattolici italiani per il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo della mia diocesi. Ma quel “la pace sia con voi” abbraccia tutti, ci ricorda che la pace non ce la diamo d a soli, “vi lascio la pace, vi do la mia pace” diciamo a messa: la pace è innanzitutto un atteggiamento, una dimensione del cuore.

Ma il quarto Papa non italiano ha scelto, a sorpresa, il nome di un Papa italianissimo. Leone XIII è stato il riferimento delle nostre scuole di partito, della Democrazia Cristiana, degli anni Settanta. È il simbolo di un a Chiesa che accetta il mercato, ma chiede di correggerne le distorsioni. Questo Papa che conosce le periferie di Chicago e le periferie del mondo, con questo nome evoca la nostra storia di impegno politico, e anche l’articolo della Costituzione (Repubblica «fondata sul lavoro», che attinge a Leone XIII, attraverso il Codice di Camaldoli) anche se non sempre siamo stati all’altezza del compito. Ed evoca le disparità mai così forti come oggi nel mondo, fra ricchi e poveri, con un ceto medio che scivola lentamente verso l’indigenza.

Nel passaggio da Francesco a Leone XIV c’è chi ha colto un parallelismo con Giovanni XXlII-Paolo VI.

Lo vedo anch’io. Bergoglio ha gettato il cuore oltre l’ostacolo, innovatore coraggioso come papa Giovanni, si è fatto carico anche di scandali e cadute che hanno attraversato la Chiesa. Ora papa Prevost può essere quello che mette ordine nell’innovazione, come fece Montini. Richiamando con quel “tenersi per mano” da vescovo di Roma, l’unità della Chiesa di Cristo.

Ma più di tutto ha invocato la pace, per la quale si è tanto speso, da inviato del Papa, il presidente della Cei. Per la quale si spende anche l’arcivescovo di Gerusalemme.

Per la quale si spende la Chiesa tutta. Zuppi ha lavorato benissimo incontrando tutte le parti e ha anche ottenuto risultati parziali, come lo scambio di prigionieri. Poi si è dovuto fermare sull’onda degli eventi, non ultimo la salute del Papa che andava peggiorando.

Ora si aprono spiragli nuovi?

Non vorrei cadere in eccessi di illusioni, ma qualche segnale c’è: nei messaggi arrivati anche da Trump e Israele m i pare di cogliere la disponibilità all’ascolto del nuovo Pontefice da parte di tutti. Papa Francesco è stato oggetto di ignobili speculazioni, ma Trump ora con Prevost dovrà necessariamente parlare, senza rifugiarsi in comodi stereotipi.

Da cardinale già con Vance ha mostrato di non fare sconti…

Un Papa non fa mai sconti ai potenti di turno, come non li faceva Cristo a Erode, o a Pilato. Pilato che siam o un po’ tutti noi.

Alla missione di Zuppi è mancato il supporto di un’iniziativa diplomatica europea. Se Trump dialoga con la Chiesa cattolica apre spazi nuovi anche per la Ue, finora tagliata fuori? 

La Ue deve fare la sua parte. Quest’estate ricorrono i 50 anni degli accordi di Helsinki che videro protagonisti la Chiesa con il cardinale Silvestrini e l’Italia presidente di turno (con Aldo Moro) della Comunità europea che mise seduti allo stesso tavolo Usa e Russia. La strada da riprendere è quella: un nuovo multilateralismo della pace che questo Papa, uomo dei “ponti” fra diverse culture in un ‘epoca segnata da tanti “muri” può contribuire a promuovere. Lo stesso vale per il conflitto mediorientale. Il Papa in Perù ha visto rispecchiate le sofferenze di tanti popoli nel mondo che non lascerà soli, in Africa, in Asia come in Palestina.  Con lui lo Spirito Santo credo abbia voluto indicarci proprio questo.

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postato il 9 Maggio 2025 da redazione | in "Rassegna stampa"

«Anch’io ero in piazza, commosso tra i giovani. La Chiesa ha mostrato la sua forza spiazzante»

L’emozione più grande all’Ave Maria. In San Pietro tutti pensavano a Parolin, io tifavo per Zuppi, vescovo della mia Bologna

L’intervista di Alessandra Arachi pubblicata sul Corriere della Sera

Pier Ferdinando Casini, lei era in  piazza  San Pietro quando  hanno  eletto  Papa Leone XIV

«Sì, ho assistito all’Habemus Papam e ho sentito tutto il suo discorso».

Si aspettava la fumata bianca così presto?

«Me l’aspettavo, ma in serata. Lo avevo detto a Bologna a mia madre, che compiva novantasei anni. Le ho detto: vedrai che avrai un bel regalo di compleanno».

Contenta la mamma?

«Si è già innamorata del Papa».

Un Papa eletto in quattro scrutini appena quando serviva un quorum così alto.  E poi un nome che non era tra i primi a essere citati nelle previsioni tra i papabili.

«La forza spiazzante della Chiesa. Ci ha dimostrato che tutte le nostre alchimie non servono a niente».

Si è pensato a lungo che sarebbe stato eletto un Papa italiano.

«Ci abbiamo creduto in tanti».

Giravano tre nomi, le risulta?

«Certo, tutta Bologna tifava per il vescovo della nostra città».

Matteo Zuppi. E poi erano in pista Pietro Parolin e Pierbattista Pizzaballa.

«Tutti e tre cardinali di altissimo valore».

Parolin è stato Segretario di Stato.

«E ha servito la Chiesa nelle parti più difficili del mondo, come il Venezuela».

Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme.

«È il cardinale che dopo il 7 ottobre si è offerto in cambio della liberazione degli ostaggi di Hamas. Che dire di più? In piazza San Pietro, comunque, pensavano tutti sarebbe stato italiano».

Che sensazione ha provato in quella piazza?

«Mi sono commosso, era piena di giovani, ragazzi. Famiglie e bambini. Ma la commozione più forte l’ho provata per un altro motivo».

Quale?

«Quando Papa Prevost ha recitato l’Ave Maria».

Era la prima volta che dalla Loggia delle benedizioni un Papa recitava l’Ave Maria?

«Degli ultimi Papi sicuramente.  Un simbolo importante di devozione popolare. La Madonna è l’avvocata d’ufficio per noi peccatori davanti al Signore».

Il nuovo Papa è stato missionario per vent’anni in Perù. 

«È stato significativo che dalla loggia si sia rivolto ai fedeli peruviani, abbia parlato spagnolo. Una carezza a papa Francesco».

È il primo Papa americano, anche questo ha spiazzato.

«Ci eravamo convinti che la Chiesa non era ancora matura per questa scelta».

Trump sarà contento di questa elezione?

«Non credo che a Mar-a- Lago oggi facciano una festa. Ma è doveroso che Trump gli abbia già fatto complimenti».

Anche il presidente israeliano Herzog gli ha fatto i complimenti.

«Leone XIV ha parlato di pace e lo ha fatto a 360 gradi. Questo è stato colto».

La scelta del nome Leone è una scelta che viene da molto lontano.

«Ed è una scelta particolarmente significativa, ricordiamo la Rerum Novarum. Per noi cattolici impegnati in politica rappresenta un punto di riferimento in un mondo in cui le disparità si moltiplicano e questo è intollerabile».

Cosa si aspetta da Leone XIV?

«Credo che potrà fare ordine nei processi di riforma per i quali Francesco ha avuto intuizione. Il rapporto tra Francesco e Leone XIV potrebbe assomigliare a quello che c’è stato tra Giovanni XXIII e Paolo VI».

Ovvero?

«Giovanni XXIII ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e ha convocato il Concilio Vaticano, ma poi è arrivato Paolo VI a mettere ordine a una Chiesa in cammino. Questo Papa ha una gran forza».

Da dove la deduce?

«In meno di due giorni è riuscito a mettere d’accordo tutti i cardinali. Ha creato un’unità che nella Chiesa vuol dire vitalità».

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postato il 29 Aprile 2025 da redazione | in "Interventi, Riforme"

«Occupiamoci di carceri e detenuti. È questa l’ultima lezione del Papa»

Dal degrado delle strutture ai suicidi. Il mio appello a Meloni: agire subito

«Sia il cardinale decano Giovanni Battista Re al funerale sia il segretario di Stato Pietro Parolin durante il Giubileo degli adolescenti hanno detto la stessa cosa: è bello ricordare Francesco, è giusto piangere la sua morte ma è soprattutto importante attuare la sua lezione». 

Una lezione pastorale di grande umanità, senatore Pierferdinando Casini. 

«Un pontificato tutto rivolto agli ultimi. Non possiamo dimenticare che gli ultimi giorni della sua vita Francesco ha voluto visitare il carcere di Regina Coeli, a Roma». 

Mancavano due giorni alla Pasqua 

«Già. E mancavano appena tre giorni alla sua morte. Da qui vorrei partire, dalle carceri. Vorrei fare un appello alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni: occupiamoci dei detenuti. Concretamente. E’ la lezione di Francesco. La situazione delle carceri italiane non è più sostenibile». 

Sono sovraffollate. 

«Incredibilmente sovraffollate. Degradate. C’è carenza di strutture . Nelle carceri parole come “rieducazione” diventano semplici slogan». 

Cosa intende dire? 

«La settimana scorsa sono stato a fare visita al carcere di Rebibbia. Ho visto strutture belle: pizzerie, falegnamerie, call center, anche luoghi dove commercializzano il caffè». 

Quindi le strutture ci sono? 

«Ma chi riesce ad utilizzarle sono pochissimi. L’assenza di riabilitazione è un’assenza di speranza. Basta vedere i suicidi che ci sono in carcere». 

Un suicidio ogni tre giorni, dicono le statistiche. 

«Statistiche implacabili. Di questi molti sono suicidi di persone che hanno quasi finito di scontare la pena. Che potrebbero essere liberi dopo due, tre anni». 

Ci sono anche detenuti in attesa di giudizio che si tolgono la vita dietro le sbarre . 

«E’ vero, anche se i detenuti che aspettano il giudizio sono molto diminuiti rispetto ad alcuni anni fa. Il dramma più evidente sono i detenuti di cui ho parlato prima. Ed è questa la fascia sui cui bisogna agire deve agire». 

Agire in che modo?

«Mettere in atto le misure alternative se non prevedere un ritorno alla vita libera». 

Pensa che sia questo un modo per alleviare le carceri? 

«E’ un intervento significativo visto che oggi la popolazione carceraria è fatta per la maggior parte di condannati definitivi e molti hanno residui di pena molto bassi». 

A cos’altro pensa? 

«Nel breve tempo si può pensare ad un’amnistia, a un indulto, un segnale concreto. Nel 2002 ero presidente della Camera quando venne Giovanni Paolo II. Che disse che una riduzione pur modesta della pena avrebbe incoraggiato pentimento e il ravvedimento. Dopo qualche mese facemmo un indultino». 

E a lungo periodo che si potrebbe fare? 

«Ripensare al ruolo del diritto penale che in una liberaldemocrazia del XXI secolo non può avere lo schema in cui l’unica forma di espiazione della pena è il carcere». 

Questo governo però sta continuando ad introdurre nuovi reati. 

«E questo aggrava a situazione. Lo sostiene anche il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli che non è uno di sinistra o dell’opposizione e che ha lanciato l’allarme sull’emergenza carceri. Ci sono tante persone di buona volontà che hanno a cuore questo problema, da tutte e due gli schieramenti. Ecco: a Giorgia Meloni chiedo di fare qualcosa subito, di concreto. Nel nome di Francesco».

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