20 febbraio, Vicenza
postato il 18 Febbraio 2010Ore 15.00 – Caffè “Garibaldi” – Contrà Camillo Benso Conte Di Cavour 7
Conferenza stampa
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Grazie a un serio lavoro parlamentare, prima in commissione, poi in aula, stiamo rimettendo sul giusto binario questo provvedimento sulla Protezione civile, che presenta diversi punti critici.
Quando l’opposizione non si limita a sbraitare, ma ha delle buone ragioni, prima o poi le vengono riconosciute. Ci aspettiamo perciò che dall’esame degli emendamenti si possano correggere altri aspetti negativi di questa legge.
Pier Ferdinando
‘Riceviamo e pubblichiamo’ di Gaspare Compagno
Dopo le note vicende legate agli annunci della Glaxo mi sono posto un quesito: ma quanto PIL, lavoro, soldi sono legati al settore farmaceutico e biomedicale in Italia?
La risposta è: tanto, tanto, tanto.
Una cosa assolutamente incredibile, di cui ignoravo l’ampiezza.
Se pensate che sto esagerando, ecco alcuni dati del 2008: in Italia abbiamo 250 aziende produttrici di prodotti farmaceutici finiti, a cui sommiamo 100 aziende che producono materie prime (sostanze farmaceutiche che necessitano di ulteriore lavorazione).
Molte di queste sono aziende piccole o medie, poi ci sono i colossi: la Glaxo; la Novartis che ha tre centri, quello direzionale e logistico a Caronno Pertusella (Lombardia), quello di ricerca sui vaccini a Siena e quello produttivo in Campania; Schering-Plough in Lombardia e così via.
Ognuna di queste aziende impiega direttamente, alcune migliaia di dipendenti: la Sanofi-Aventis ha 3400 dipendenti; Wyeth Laderle ne conta oltre 2000 e così via.
Si tratta non solo di dipendenti nel settore produzione e commercializzazione, ma molti di loro sono ricercatori: ad esempio il centro a Siena è il polo mondiale della Novartis nella ricerca sui vaccini.
Ma queste aziende sono solo alcune, il 31,1% delle aziende farmaceutiche in Italia, sono a capitale italiano: la Sigma-Tau, Angelini, Menarini, Chiesi-Bracco, giusto per citare le più grosse; ad esempio la Menarini conta 12500 dipendenti, di cui 700 nella ricerca (e un fatturato nel 2007 di 2,5 miliardi di euro). E finora parliamo solo dei dipendenti diretti: se consideriamo anche l’indotto il numero sale enormemente.
Su un totale di 340 aziende coinvolte a vario titolo nel settore farmaceutico, 277 sono PMI, mentre le altre sono grandi aziende. Le PMI hanno complessivamente 20.120 dipendenti, e investono sempre più nella ricerca, unica strada per contrastare lo strapotere delle grosse multinazionali.
A livello geografico i principali raggruppamenti coinvolgono mezza Italia: Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna e Lazio. Addirittura la Lombardia conta 100 aziende e 32 centri di ricerca.
A proposito di ricerca: nel 2007 il 90% della ricerca farmaceutica italiana è stata finanziata da privati con un investimento di circa 1 miliardo di euro, quindi a livello pubblico quello che si investe sono briciole (circa 200 milioni di euro), in un settore dove Cina, Singapore, Usa investono sempre di più.
Nel frattempo anche la Pfizer decide di chiudere il suo stabilimento a Nerviano (Lombardia), seguita dalla Merck Shampe & Dome che chiudono il loro centro a Pomezia.
Ma cosa pensa di fare il governo?
E qui veniamo alle note dolenti: nonostante le belle parole del Governo, si registra la totale assenza di una strategia nazionale per incoraggiare il settore e la ricerca farmaceutica , anzi negli ultimi anni si assiste ad una erosione dei margini di profittabilità per il privato, con il risultato che, prevedibilmente, un settore molto promettente per il futuro vedrà lo spostamento di investimenti produttivi verso altre nazioni, in particolare Cina, USA, India. L’unica novità viene dal ministro Tremonti che ha promesso di introdurre una riforma fiscale premiante nei confronti della Ricerca , troppo poco, mi sembra, rispetto alle richieste avanzate dal presidente di farmindustria, Dompè.
E’ troppo poco se consideriamo che da tre anni si attende invano che il governo recepisca la direttiva europea in campo farmaceutico, rischiando, a causa del mancato recepimento, un richiamo e una sanzione da parte della UE. Ed è l’unico paese europeo a non avere ancora recepito la direttiva comunitaria: quale è la conseguenza? Che non vi è una esatta rispondenza tra legislazione italiana e certificazioni italiane e legislazione e certificazioni europee, con la conseguenza che, dovendo scegliere, le aziende preferiscono investire in Europa, che non Italia.
Ma il problema è ben più ampio e riguarda non solo il settore farmaceutico, ma anche altre strutture in altri settori: la Alcoa entro tre anni chiuderà le sue strutture, l’Italtel di Carini chiude, la Keller a Palermo chiude, la Wyeth a Catania chiude, l’ALcatel chiude a Battipaglia, il centro di ricerca di Cinisello Balsamo della Nokia chiuderà molto presto, come anche il centro di Parma della Nestlè.
E l’anno scorso hanno chiuso la Motorola a Torino e la Yamaha a Monza.
Non è un fenomeno isolato, e non riguarda solo un settore, ma è un fenomeno che investe tutte le regioni italiane. Un fenomeno che non trova risposta dal governo, che pure professa ottimismo.
Eppure il governo ha una colpa gravissima: reagisce, ma dopo; prima non fa nulla, e si muove solo quando è troppo tardi.
E la chiusura di impianti non è dovuta solo al costo del lavoro, una scusa che non regge più in settori dove è sempre maggiore la presenza di macchinari, più che di lavoratori poco qualificati. Lo stesso settore tessile ormai è influenzato poco dal costo della mano d’opera.
Allora quale è il motivo? Manca una azione di governo che sia concreta. Non servono le trasferte faraoniche in terra straniera.
Quel che serve sono accordi semplici con i paesi per avere aree di libero scambio e canali agevolati nel commercio, e per attirare gli investimenti, si potrebbero usare i beni demaniali non usati, magari dandoli in usufrutto gratuito alle aziende che decidono di investire, in tal modo le aziende abbatterebbero i costi senza pesare sulle casse dello stato e andando incontro anche alle esigenze delle PMI che spesso hanno problemi per potere avere strutture a prezzi non eccessivi; un’altra diea per le PMI potrebbe essere, prestiti a tasso agevolato da parte delle banche, garantiti da beni dello stato. Sono solo tre idee, ma, nell’assenza di idee di questo governo, sono molte.
La Corte dei Conti denuncia il dilagare della corruzione in Italia? “Temo che la gente sia sempre più disgustata dalla politica. Chi è contro il giustizialismo, come noi dell’Udc, deve prendere atto che la questione morale esiste, è un macigno, pesa sulla buona politica. Gli amministratori infedeli vanno messi al bando, perché se no la politica muore”.
Bertolaso? “Fino a prova contraria è un servitore dello Stato proprio perché bisogna essere garantisti, ma questo non c’entra niente rispetto all’esplodere della questione morale, che esiste e che purtroppo si manifesta anche nel sottobosco della Protezione civile”.
Grande Centro? “Destra, sinistra, centro: la gente è indifferente alle terminologie del passato. Ci vuole un grande partito che sul piano dei valori difenda l’identità cristiana del nostro paese e abbia un progetto di modernizzazione per l’Italia, che in questo centrodestra non si vede”.
Casini «Dopo le Regionali il nuovo partito di centro». Il Pd teme la diaspora cattolica, Bersani corre ai ripari (Il Messaggero)
Casini accoglie la Binetti «La candido in Umbria». Udc in Campania con il Pdl (Corriere della Sera)
Casini, rilancio al centro Dopo il voto, un partito con Udc, Api ed ex Pd (Repubblica)
La Binetti candidata in Umbria (Liberal)
Decreto, il governo verso la fiducia. Le opposizioni servono altre modifiche (Il Messaggero)
‘Riceviamo e pubblichiamo’ di Carlo Lazzeroni
Nell’edizione di mercoledì del Corriere Fiorentino è apparsa un’interessante lettera di , già giovane segretario provinciale del partito socialista fiorentino, che deluso dalla politica in Toscana afferma che non andrà a votare proprio perché ama la politica (il suo articolo: Non andrò a votare perchè amo la politica).
Prendo spunto da questa lettera per alcune considerazioni. Le cose che dice sono assolutamente condivisibili anche se io rimango dell’idea che rinunciare al diritto – dovere del voto sia sempre e comunque sbagliato.
Credo tra l’altro che ci siano le condizioni, anche in Toscana, per provare ad esercitare un voto utile, seppure all’apparenza minoritario.
E’ il voto che gli elettori possono esprimere scegliendo l’Unione di Centro, forza politica di cui faccio parte. Da sempre, seppure con posizioni numeriche limitate, si batte in Toscana all’interno e fuori dalle varie istituzioni, contro quello che Ciuffoletti definisce il “regime” toscano. Lo ha fatto e lo fa, con il rispetto istituzionale di una forza responsabile e moderata, ma con l’energia di chi è sempre stato e continua a stare all’opposizione non tanto perché quelli del Partito Democratico sono ancora comunisti, come qualcuno del PDL continua a urlare, ma perché nelle nostre amate terre si respira un’oppressiva commistione tra cultura, economia e politica. E in questo senso il futuro rischia di essere ancora peggiore vista la linea politica ancora più a sinistra portata avanti dal candidato Rossi che fa accordi con la sinistra radicale e la sinistra giustizialista dell’Italia dei Valori.
Così come l’Unione di Centro è l’unica che in questi anni si è battuta in maniera coerente contro i vari inciuci Pd-Pdl, che hanno portato alle modifiche elettorali per le regionali del 2005 e di quelle di pochi mesi fa. E’ l’unica che ha chiesto e si è battuta per il ripristino delle preferenze, così da dare ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Senza di queste, con le primarie che mostrano carenze evidenti, le segreterie dei partiti decidono tutto e la democrazia dei partiti è sempre più a rischio. L’impressione che il Pdl in Toscana non voglia creare le condizioni per l’alternanza appare sempre più evidente e non da oggi. Rafforzare l’Unione di Centro attraverso il voto di marzo potrebbe essere quindi un primo seme per creare uno schieramento più ampio e provare a superare questo bipolarismo malato, e nella nostra regione, profondamente bloccato.
Insomma credo che l’Unione di Centro possa rappresentare, con tutti i propri limiti, l’unica vera alternativa in queste elezioni. Da domani però, se vorrà veramente incidere in Italia e in Toscana, dovrà avere la forza di essere molto più aperta e dialogante con i cittadini che, come Ciuffoletti, non ne possono più di questa situazione e riuscire ad aprire il partito a tutti coloro che, all’interno del Partito Democratico e del Partito della Libertà, soffrono questa situazione. Dovrà insomma riuscire ad andare oltre l’unione di centro costruendo un nuovo partito che unisca su pochi e saldi principi le forze più dinamiche e responsabili del Paese e della Toscana. Se sarà capace di questo potrà veramente rappresentare quell’alternativa per molti cittadini delusi, altrimenti sarà un’altra occasione persa e il finto bipolarismo Pdl-Pd ne uscirà rafforzato.
Dopo le regionali lavoreremo alla creazione di un nuovo partito di Centro, con regole nuove, che abbia la consapevolezza del degrado morale e dei troppi comportamenti disinvolti che ci sono soprattutto in periferia.
L’adesione di Binetti e degli altri ex Pd all’Udc non segna la fine di un percorso ma un inizio. Raccoglieremo tutte le persone a disagio con questo bipolarismo. Le nostre strade si incroceranno ancora in un soggetto dove noi, l’Api, le formazioni della società civile avranno pari dignità.
Pier Ferdinando