postato il 1 Marzo 2010

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno
La vicenda di Nicola Di Girolamo non è facilmente definibile. Trovo riduttivo definirla assurda, ed è oltre lo squallido.
Ma chi è costui? Un personaggio che sembrerebbe, dalle intercettazioni, il rappresentante in Parlamento della Ndrangheta, un personaggio legato a filo doppio ad oscure vicende di truffe e di riciclaggio di denaro sporco.
E’ senatore perché è stato eletto nel collegio estero circoscrizione Europa e questo presupporrebbe che lui fosse residente all’estero.
Ma lo era? Secondo voi, un avvocato che fonda il suo studio a Roma (studio professionale “Di Girolamo-Straffi & Associati”) risiede all’estero? La logica vorrebbe che io fondo il mio studio da avvocato dove risiedo. Se risiedo a Bruxelles, come sostiene Di Girolamo, non ha senso aprire lo studio a Roma. Va bene essere pendolari, ma fare il pendolare a distanza di alcune migliaia di chilometri mi sembra eccessivo.
Ma lui non è solo avvocato. Lui si definisce imprenditore. E tutte le sue attività sono localizzate a Roma o nei dintorni: è Presidente del Consiglio Direttivo Fondazione Porfiri Onlus; Vice Presidente della Associazione Promozione Tecnologie e Sviluppo Roma; Vice Presidente del Consiglio Direttivo Europartners; Sindaco effettivo Gruppo Net S.p.A.; Sindaco effettivo Assisi Project S.p.A.; vicepresidente della Fondazione “Italiani nel Mondo”; in Europa, le sue attività sono praticamente nulle.
Anzi, si suppone che lui neanche fosse residente all’estero visto che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha chiesto gli arresti domiciliari motivandoli una lista infinita di accuse: aver attentato ai diritti politici dei cittadini, falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla sua identità, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici determinata dall’altrui inganno, concorso in falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, concorso in falsità in atti destinati alle operazioni elettorali, false dichiarazioni sulle sue generalità.
Bell’elenco, ma il senatore Di Girolamo è graziato dal Senato che nel settembre 2008 nega l’autorizzazione a procedere nei confronti del senatore. Ma l’indagine continua, e a questo punto ecco la seconda grazia: l’esimio senatore Sergio De Gregorio afferma in data 29/12/2008 che Di Girolamo è vicepresidente della Fondazione “Italiani nel Mondo” e che era residente all’estero. A questo punto ecco la terza grazia: il 29 gennaio 2009 l’Assemblea del Senato respinge la proposta di rinvio della discussione sulla decadenza dal seggio e preferisce capovolgere la proposta della Giunta, ordinando di riesaminare il caso e di riportarlo in Assemblea solo dopo una eventuale sentenza penale definitiva, che in Italia significa aspettare almeno 10 anni .
E intanto il caro Di Girolamo mantiene la sua carica, con i privilegi e il ricco stipendio da parlamentare, assieme al senatore De Gregorio altro personaggio su cui ci sarebbe da dire qualcosa: ovvero la sua capacità di fare spuntare dal nulla e in maniera molto opportuna soldi e valutazioni economiche di comodo (fonte: “La Casta” di Stella – Rizzo, edizioni Mondolibri, pag. 17-19): basti dire che riesce con 10.000 euro a fondare due società che poi in pochi giorni, senza aggiungere un soldo, spuntano con un capitale sociale complessivo di 5 milioni di euro, e vende le quote delle società, incassando i soldi suddetti, con un guadagno sproporzionato.
Ma torniamo al caso Di Girolamo. Un caso che financo Schifani, presidente del Senato, considera talmente laido da preparare l’espulsione del suo compagno di coalizione, perchè ricordiamo che Schifani e Di Girolamo militano nello stesso gruppo, il PDL.
Un caso in cui un senatore è ridotto a squallido lacchè di un boss della Ndrangheta che si adira e lo minaccia, come si evince dalle conclusioni dei magistrati e dalle intercettazioni: infatti il 23 febbraio 2010 viene richiesto l’arresto di Nicola Di Girolamo nell’ambito di una inchiesta sul riciclaggio di capitali della Ndrangheta con accuse di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di capitali illeciti, nonché la violazione della legge elettorale con l’aggravante mafiosa.
Ma la storia non è mica circoscritta solo a Di Girolamo, anzi è una storia che, cambiando gli attori, era già nota: il 12 aprile 2008 i giornali scrissero in merito al rischio brogli per il voto all’estero, in seguito ad una intercettazione di una telefonata tra Dell’Utri da una parte e Aldo Miccichè, imprenditore italiano in Venezuela, e i Piromalli, famigerato clan della Ndrangheta calabrese.
E questo ci impone una riflessione. La legge che permette il voto degli italiani all’estero deve essere mantenuta o no?
Partiamo da qualche dato numerico: potenzialmente riguarda 4 milioni di italiani all’estero che votano per l’elezione di 18 parlamentari. Giustamente si può obiettare che chi sta all’estero può avere una percezione distorta o parziale della realtà italiana e quindi non sarebbe logico che votasse. Calderoli sostiene che il sistema di voto per i residenti all’estero “è ridicolo” ed è assurdo che ci siano parlamentari eletti all’estero, dice che all’estero bisogna votare solo per i parlamentari italiani, ovvero che solo chi “vive, lavora e paga le tasse a casa nostra” deve potere essere eletto, evidentemente la Lega punta, furbescamente e sciacallando un tristissimo fatto di cronaca, a fare si che il voto di chi sta all’estero si coaguli attorno ai soliti nomi noti (Berlusconi, Bossi, Di Pietro).
E’ chiaro che forse assegnare ai collegi esteri 18 posti è eccessivo, ma è anche chiaro che a fallire non è lo spirito della legge, ma semmai come è stato organizzato il voto, ovvero la tecnicalità, per cui si può modificare la legge, mantenendo il diritto degli italiani all’estero di votare, ma migliorando il sistema in modo che non si possano più manipolare o contraffarre i voti. Forse la soluzione è molto più vicina di quanto pensiamo, basterebbe introdurre, come in Svizzera, il voto elettronico che ha avuto ottimi risultati a costi contenuti (circa 200.000 euro9 e con un elevato grado di sicurezza.
Il sistema si basa su un codice PIN personale e il voto viene immediatamente inviato a server sicuri gestiti dal ministero degli interni. Con questo sistema si potrebbe evitare il sistema della spedizione delle schede, sistema laborioso, farraginoso e che si presta a molteplici manipolazioni.