Rassegna stampa, 15 giugno
postato il 15 Giugno 2010Cialente: la ricostruzione è ferma (Messaggero)
Intercettazioni, Fini frena. Berlusconi: «Basta ricatti» (Messaggero)
Intercettazioni, Fini frena ma il Pdl vuole chiudere (Avvenire)
Cialente: la ricostruzione è ferma (Messaggero)
Intercettazioni, Fini frena. Berlusconi: «Basta ricatti» (Messaggero)
Intercettazioni, Fini frena ma il Pdl vuole chiudere (Avvenire)
1984 di George Orwell è un libro che andrebbe letto e riletto, più di una volta nella propria vita. Quando fu scritto, il mondo usciva dalla seconda guerra mondiale e la paura dell’avanzata di nuove dittature social-comuniste o nazi-fasciste era fortissimo. Da allora sono trascorsi 62 anni, eppure oggi ho ripreso in mano quel libro e vi ho ritrovato un atmosfera che mi ha ricordato molto quella di questi giorni. Ricordate, per esempio, la «neolingua», parole manipolate per soddisfare le «necessità ideologiche» del regime, per «rendere impossibili altre forme di pensiero»? Ecco, fate un piccolo sforzo. Siete sicuri che non vi ricordi nulla? Se proprio non vi dovesse venire nulla in mente, provate a leggere il testo del Disegno di Legge “Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali”, meglio conosciuto come legge-bavaglio. Ve lo consiglio, ci troverete molti spunti di riflessione.
Nel mio precedente post, scrivevo del “senso di vuoto” che mi aveva preso guardando la prima pagina bianca di Repubblica: quale altro impatto potrebbe avere un DDL tale su un ragazzo di sedici anni, che fa politica per passione e che vorrebbe lottare ogni giorno perché l’Italia in cui vivrà da grande sia migliore di quella di oggi? Quale altra reazione si potrebbe avere di fronte alla consapevolezza che questa è un’altra di quelle leggi che poi costringono i più a dire “la politica fa schifo”? Come potrò io, poi, guardare i miei amici che si sono avvicinati per la prima volta al mondo della politica, e convincerli che si può ancora farla, pur restando puliti? Come potrò, se io stesso stento a fidarmi? Piero Calamandrei diceva che “dove non c’è libertà, non può esserci legalità”. Come dargli torto? Senza le intercettazioni (e senza, soprattutto, la loro pubblicazione) non saremmo venuti a conoscenza, ad esempio, del caso del senatore Nicola Di Girolamo, “o schiavo” di Gennaro Mokbel, ed è inutile ricordare che il ministro Scajola si è dimesso solo a seguito dell’onda di indignazione popolare seguita allo scoppio dello scandalo Cricca. Secondo molti poi questa legge tutelerà il diritto alla privacy di tutti noi. Ma cos’è la privacy? Giuridicamente vuol dire rispetto della propria vita privata. E politicamente? Facciamo due semplici esempi. Se io, Giuseppe Portonera, studente, dico a mia madre che per cena voglio un panino al salame e non al prosciutto o se confesso di essermi innamorato, voglio che questo resti privato. Tra me, semplice cittadino, e il mio interlocutore, stop. Ma se per caso (per assurdo) io non fossi più io, ma un onorevole deputato della Repubblica e dovessi essere intercettato mentre discorro amichevolmente con un noto boss locale o mentre stipulo alleanze e contratti assai torbidi con importanti pezzi del mondo affaristico, quella discussione non può più restare privata. Perché io non sono deputato al Parlamento per rappresentare me stesso e i miei intrallazzi, ma perché rappresento gli interessi della mia gente. Non appena instauro questo rapporto intersoggettivo tra me e i miei elettori, allora non posso avere più segreti: deve essere un mio irrinunciabile compito garantire la massima trasparenza del mio modo di agire. A quel punto, di cosa dovrei aver timore?
È poi opinione comune che una parte del mondo giudiziario si diverta a scatenarsi contro l’attuale governo: è il famigerato partito “delle toghe rosse”. Ammettiamo che sia vero, le parole del presidente Casini servono a schiarire un po’ la situazione: “se è vero che una parte della magistratura è militante, è anche vero che non si può licenziare un testo che penalizza l’intero corpo della magistratura e abbassa il tasso di legalità” ha detto ad Alessandra Longo, nell’intervista su Repubblica di oggi (mi sbaglierò, ma qui sento odore di rivalsa lontano un miglio…). Dice un’altra cosa interessante, Casini: “io voglio cercare di incidere fino all’ultimo minuto sul processo legislativo. Il ruolo dell’opposizione non è occupare l’aula o uscire dall’aula. Così si fa un favore grandissimo alla maggioranza. Alla fine si rischia che questi mettano la fiducia e la legge resti così”. Saggio da parte sua: la spettacolarizzazione del dissenso, con l’occupazione o l’abbandono dell’aula, è da tragedia greca. Molto meglio, invece, rivalorizzare il ruolo che la Camera e le opposizioni parlamentari hanno sempre avuto: correggere storture e abusi da parte di chi governa. Montecitorio non è mica un ufficio timbri! È indispensabile far convergere le opposizioni intorno a un unico fronte, pur segnato ammettendo differenze e distinguo, per correggere almeno i tre grandi abomini di questa legge: l’assurda faccenda dei 75 giorni di intercettazioni rinnovabili, evidente violazione del concetto di libertà; le multe agli editori, che comporteranno inevitabilmente uno squilibrio tra i poteri della proprietà e il principio dell’autonomia dei giornalisti; l’esclusione dalle deroghe di reati gravissimi quali il riciclaggio e l’estorsione.
Per evitare di finire come Winston Smith, il protagonista di 1984, che scriveva sulle pagine del proprio diario: “I understand HOW, I don’t understand WHY”, capisco come, ma non capisco perché.
L’Aquila muore, non facciamo morire L’aquila. Ricordiamo sempre agli italiani che questa città deve esistere. Metodi, forme, risorse, capitoli di spesa fanno parte di un discorso da affrontare in un secondo tempo ma oggi c’è bisogno di risvegliare l’attenzione in un momento in cui tutti pensiamo di essere in pace con la nostra coscienza perché abbiamo fatto il nostro dovere. Ma qui tutta la città è transennata, è una città morta.
E’ stato fatto un lavoro importante ma ora gli amministratori locali rischiano di non farcela se non hanno la solidarietà di tutto il popolo italiano, maggioranza e opposizione, dal Presidente del Consiglio all’ultimo parlamentare. Il sindaco Cialente mi ha fatto vedere una città addormentata, una città che ha una ferita aperta: serve la solidarietà da parte di tutti, proprio come nei primi momenti.
Pier Ferdinando
“Così com’è la legge sulle intercettazioni non supera il vaglio della Consulta”.
Pubblichiamo da ‘La Repubblica’ l’intervista a Pier Ferdinando Casini di Alessandra Longo.
«Così com’è uscita dal Senato, la legge sulle intercettazioni va cambiata di tutto punto. Ci vuole un compromesso da trovare insieme. Se io fossi il presidente della Camera, terrei conto che la maggioranza vuole un iter rapido ma userei anche il buonsenso. E il buonsenso dice che viene prima la discussione sulla manovra». Pier Ferdinando Casini conferma la sua strategia nei confronti del centrodestra: niente piazze, niente aule occupate, «niente guerre tra guelfi e ghibellini». Dice il leader dell’Udc: «Io sono per l’opposizione costruttiva».
Onorevole Casini, adesso tocca alla Camera. Che cosa succederà alle intercettazioni ?
«Certo la legge non può passare così. La Camera non è l’ufficio timbri. Il bicameralismo, oltre le storture, ha questo di buono: i prodotti legislativi si possono migliorare».
Non sembra che il centrodestra abbia tutta questa voglia di rimetterci le mani.
«Ripeto: allo stato non è una legge votabile, non supererebbe il vaglio della Consulta. Il rischio è di fare un braccio di ferro inutile. Ci sono tre cose in questo provvedimento che proprio non vanno: sono rimasti fuori dalle deroghe reati fondamentali come il riciclaggio e l’estorsione; c’è poi questa faccenda dei 75 giorni di intercettazioni rinnovabili che non sta in piedi ed è evidente una gravissima violazione del concetto di libertà di stampa. Le multe agli editori comporteranno inevitabilmente uno squilibrio tra i poteri della proprietà e il principio dell’autonomia dei giornalisti». [Continua a leggere]
Proponiamo un prelievo del 2% dalle Fondazioni bancarie per fini sociali
Questa è una manovra pesante e inevitabile ma i tagli vanno fatti con rigore vero. Non si può partire dall’abolizione di tutte le province e poi passare a dieci, poi a cinque, e infine sanatorie per tutti.
Credo si sia partiti bene e si stia finendo peggio.
Noi, sulla manovra, abbiamo le idee chiarissime: andava fatta con maggiore rigore e soprattutto con una prospettiva riformista sia sul tema previdenziale che sulle liberalizzazioni, ma anche sulle grandi questioni fiscali che sono ineludibili.
In Parlamento faremo degli emendamenti seri che possano pungere: dall’abolizione delle province, che va recuperata, al tema delle rendite finanziarie, che vanno tagliate per gli speculatori. Stiamo anche pensando di formalizzare in Finanziaria la proposta di un prelievo del 2% dalle Fondazioni bancarie, finalizzato a un qualche scopo sociale.
Pier Ferdinando
«Noi uniamo, non dividiamo. Mi auguro solo che tutti tifino per l’Italia, un Paese che vive per il calcio» questo ha affermato Fabio Cannavaro, capitano della nostra nazionale in Sud Africa, alla conferenza stampa a Casa Azzurri.
Parole che dovrebbero essere ovvie, che nessuno probabilmente si sarebbe aspettato di sentire ma in Italia siamo abituati ad avere esponenti politici, che anche dopo aver giurato sulla Costituzione, sparano a zero sull’unità nazionale, sulla bandiera, sulla stessa Costituzione o sulle alte cariche dello Stato.
Cannavaro ha poi affermato a sorpresa che, dopo averne parlato con i compagni, è stato deciso che una parte degli eventuali premi dovuti per i risultati raggiunti nel mondiale saranno devoluti alla fondazione per i 150 anni dell’Unità d’Italia.
Affermazioni queste che anche se indirettamente sono una risposta alle affermazioni degli scorsi giorni del Ministro Calderoli, il quale aveva proposto una riduzione degli ingaggi dei giocatori di calcio.
In certe occasioni dovremmo abbandonare un po’ la politica, i partiti e pensare di più al nostro Stato come una squadra, in cui noi siamo gli atleti, ognuno deve fare la sua parte, ma bisogna far gruppo, invece di litigare. In questi giorni, la maggior parte di noi ha nel cuore la propria nazionale, si riesce a superare il distacco psicologico che c’è fra nord e sud, fra un paese e l’altro, ci sentiamo tutti italiani ed andiamo fieri di ciò.
Fa molto piacere sapere che l’intera nazionale di calcio italiana, il cui sport è spesso messo in discussione per eventi negativi, dal doping alla violenza negli stadi, abbia trovato un valore comune nel tricolore ed abbia deciso di sensibilizzare i propri tifosi facendo loro notare quanto sia importante per loro l’unità del nostro paese.
Lo sport è la palestra della vita si dice ed aver un buon esempio nello sport, soprattutto in Italia dove il calcio è di gran lunga lo sport più seguito, è una cosa importante soprattutto per i giovani, sempre molto attenti alle parole dei propri idoli.
È giusto però che debbano essere dei calciatori a far notare l’importanza dell’unità del nostro paese anche a chi, per primo, dovrebbe perseguire tale scopo?
Il credito è un elemento vitale sia per le famiglie, ma anche per le aziende piccole e grandi.
Proprio per questo il settore creditizio deve, più di tanti altri, essere responsabile e regolamentato.
Ovviamente la regolamentazione non deve essere “eccessiva” o si rischia di ingessare il settore provocando una mancanza di liquidità gravissima per l’economia; d’altro canto non si può neanche tollerare una regolamentazione nulla, altrimenti si moltiplica il rischio delle truffe.
Questa situazione porta ad impattare fortemente non solo sulle famiglie, ma anche sugli artigiani e le piccole imprese che costituiscono il 95% del tessuto produttivo italiano, proprio quel “popolo delle partite iva” che a parole sono fortemente difesi dal centrodestra, ma che poi, nei fatti, sono lasciati a loro stessi a causa di palesi vuoti normativi che il governo non sembra volere colmare.
Per potere sopravvivere, questo immenso popolo produttivo ha bisogno di potere fare affidamento sul mercato del credito e su un impianto legislativo che sia semplice, chiaro e funzionale.
A queste necessità bisogna aggiungere anche le famiglie che hanno bisogno di potere accedere al credito in maniera semplice, efficiente, a costi contenuti e con regole chiare.
Ignorare queste necessità sacrosante, significa condannare a morte certa gli artigiani, le piccole imprese e le famiglie che compongono il tessuto sociale e produttivo dell’Italia e dare spazio ai truffatori e agli usurai.
E se per il sud si parla di emergenza usura, anche il Nord non sta meglio, anzi molto più spesso si sentono di problemi legati alle famiglie e alle piccolissime imprese artigiane del Nord che sono vittime di truffe. Quale è una delle cause più comuni? La mancanza di regole per il settore della riscossione dei crediti.
Il rischio connaturato alle imprese e agli artigiani è l’insolvenza del debitore, in questo caso quali sono le strade che possono essere perseguite?
Se la situazione non si sblocca, parte l’azione legale e il pignoramento.
Ovviamente tutto ciò si scontra con i ritardi della giustizia italiana e con una logica di base: banche e finanziarie non scatenano guerre legali per crediti di poche migliaia di euro, preferendo agire velocemente e in via stragiudiziale, incaricando del recupero società esterne specializzate (609 in Italia di cui 152 iscritte a Unirec), che attuano una politica di stressare i tempi, in quanto più il debito è fresco, più alte sono le probabilità di recupero. E qui arriviamo ad una debolezza sistemica che mi lascia molto perplesso. Le aziende di recupero credito, operano in un ambito scarsamente regolamentato, o per meglio dire, in un ambito dove le regole pur essendoci sono confuse, si prestano a molteplici interpretazioni e spesso vengono disattese grazie ai ritardi della giustizia italiana di cui sopra. In pratica, lo scopo di queste aziende è quello di recuperare i crediti vantati dai clienti, molto spesso piccole aziende e artigiani.
Cosa succede quindi?
Semplice, che abbiamo aziende di recupero crediti che possono avere una ragione sociale “confusa”: possono associare all’attività di recupero crediti qualsiasi altra attività che ha una minima attinenza, anche se questa è molto labile. Molte aziende di recupero credito, infatti, si intestano pure una attività investigativa, di bonifica ambientale da spie e microspie, di indagini di marketing e così via.
Inoltre un altro punto debole della struttura del recupero crediti è data dalla mancanza di una uniformità di contratti: molto spesso le piccole società di recupero crediti pongono delle clausole vessatorie, non è infrequente infatti il caso in cui si riservano di pagare al cliente molto dopo che hanno recuperato il credito.
Questo chiaramente non aiuta chi si trova ad operare stabilmente con queste società e che si trovano a subire dei soprusi quando chiedono di rientrare in possesso dei propri crediti, anche per la lentezza della giustizia italiana. Siccome molte piccole aziende si rivolgono a queste società di recupero credito, diventa vitale per l’economia che si intervenga per regolamentare il settore.
Infatti, sempre più spesso accade che le aziende di recupero crediti, quando riescono a recuperare grosse cifre per conto di artigiani e di piccole imprese, tardino poi a girare le somme ai legittimi proprietari, mettendo in crisi gli artigiani e i piccolissimi imprenditori che devono fronteggiare con i loro risparmi o, peggio ancora, contraendo debiti in attesa di potere rientrare delle somme che spettano loro. Quale è il risultato? Che le aziende di recupero credito lucrano interessi e spesso tentano il colpaccio, trattenere più di quanto è loro dovuto, mentre quel famoso 95% di tessuto produttivo italiano, ovvero piccolissime aziende e artigiani, devono sottostare a dei diktat mafiosi, devono indebitarsi, e spesso devono chiudere la loro attività, generando ulteriore sfiducia e disoccupazione nelle famiglie. Ma quel che è peggio di tutta questa situazione è che non sembra che l’attuale governo voglia fare qualcosa, condannando di fatto al fallimento tutta la struttura sociale e produttiva italiana. Parliamo di milioni di artigiani, milioni di famiglie, milioni di persone oneste che con il loro lavoro sostengono l’economia italiana.
Quali possono essere le soluzioni? Intanto istituire dei fondi di garanzia e delle assicurazioni pagate dalle stesse società di recupero crediti e che tutelano i loro clienti; poi stabilire dei percorsi accelerati in sede di giudizio, anche tramite arbitrati, per attivare la restituzione delle somme da parte delle società di recupero credito, restituzione che deve potere avvenire anche coattivamente.
Infine, uniformare i contratti e stabilire quali sono le clausole ingiuste e i tempi minimi e massimi di pagamento una volta che la società di recupero è entrata in possesso delle somme da recuperare.
Dobbiamo fare pressione perché troppe piccole aziende, troppo famiglie, troppi artigiani stanno subendo soprusi a causa della inerzia del legislatore che non interviene in questo settore così importante.
Credo che il testo licenziato ieri dal Senato con voto di fiducia sia un pessimo inizio e che la legge vada cambiata di tutto punto. Il nostro è un Paese che ha già mille problemi, è lacerato e diviso, e questo provvedimento lo divide ancora di più. Anche se l’intento di tutelare la privacy era buono produce un effetto concreto: rende difficile ai magistrati fare le indagini contro i delinquenti e i malfattori e non consente di informare i cittadini.
Pier Ferdinando
Intercettazioni, sì del Senato fra tensioni e polemiche (Messaggero)
di Adriano Frinchi
Settant’anni fa, il 10 giugno 1940, l’Italia iniziava la sua sciagurata avventura bellica al fianco della Germania nazista. In quel caldo lunedì di inizio estate gli sportivi leggevano dell’Ambrosiana Inter che si era aggiudicata il campionato dopo una partita di fuoco col Bologna e della vittoria al Giro d’Italia di uno sconosciuto esordiente di nome Fausto Coppi, ma molti di loro furono strappati alle notizie sportive dalla voce del padrone che convocava gli italiani per le 18 in una specialissima e fascistissima adunata. Mussolini, nella sua tetra divisa di caporale d’onore della milizia, dal balcone di Piazza Venezia volle avvertire l’Italia e il mondo che lanciava le sue “otto milioni di baionette” contro Francia e Gran Bretagna. [Continua a leggere]