01 luglio, Roma
postato il 1 Luglio 2010Ore 15.30 – Campidoglio
Partecipa alla riunione convocata dal Sindaco di Roma per discutere la manovra finanziaria del Governo
Partecipa alla riunione convocata dal Sindaco di Roma per discutere la manovra finanziaria del Governo
La Tirrenia, la storica compagnia di navigazione, sta viaggiando verso la fine della sua odissea.
In questi giorni, infatti, si chiuderà all’italiana una vicenda iniziata dall’UE e che sarebbe piaciuta immensamente a Tommasi di Lampedusa autore della frase “perchè tutto resti come è, tutto deve cambiare”.
Ma cosa accade in questi giorni?
La Tirrenia è una società formata da Tirrenia di Navigazione S.p.A. e da Sicilia Regionale Marittima S.p.A. ed è gestita dallo Stato che anno per anno ripiana i debiti.
A questo punto interviene l’UE che impone la privatizzazione della compagnia: vuole togliere la mano pubblica, e dopo un anno di concorsi pubblici, gare, interviste e altro ancora, il risultato quale è?
Di nuovo la mano pubblica, e quindi nulla nei fatti cambia.
Infatti la Tirrenia viaggia in acque finanziarie molto brutte, tanto da meritarsi l’appellativo di “Alitalia dei mari”, e da ben 25 anni la UE tenta di imporne la privatizzazione. Il nostro governo decide finalmente di procedere alla privatizzazione, ma alla sua maniera: salvare il salvabile con qualche trucchetto scaricando i costi sui cittadini.
Infatti, fin dall’inizio viene dichiarato che, chi si piglia la Tirrenia, con tutti i viaggi annessi e connessi, si “sposa” con una dote di 1,24 miliardi di euro, o, per dirla anche meglio, 1240 milioni di euro.
Perchè questa dote? Perchè i biglietti della Tirrenia sono venduti a prezzi calmierati, per la continuità territoriale che prevede il collegamento aereo o navale a tariffe agevolate per i residenti di isole o territori disagiati o poco collegati, ma non si preoccupa del modo o del tempo che si impiega per coprire la tratta interessata: giusto per dire, da Civitavecchia a Cagliari si impiegano 17 ore.
La continuità territoriale però costa cara: nel 2008, tanto per dire, gli italiani hanno sborsato di tasca propria 22 euro per ognuno dei 10,5 milioni di biglietti staccati dal gruppo.
Ma non basta e allora, oltre ai famosi 1240 milioni di euro di dote, lo Stato italiano, mette sul piatto altri benefit che servono a far durare la spesa, per il contribuente italiano, almeno fino al 2022 visto che il bando di privatizzazione, se così si può ancora chiamare, garantisce al compratore 72,6 milioni di aiuti pubblici l’anno per otto anni per Tirrenia e 55,6 (per 12 anni) per Siremar, la linea di navigazione regionale siciliana all’asta con la casa madre. Se sommiamo questi aiuti alla dote, arriviamo a quasi a 3 miliardi il conto pagato dagli italiani per tenera a galla le navi di Stato.
Intendiamoci, in alcuni casi le sovvenzioni sono necessarie: l’Italia è il paese europeo con il maggior numero di abitanti su isole (7,5 milioni) e alle isole minori (Pelagie, Gorgona, Eolie e Tremiti) va garantito un servizio di trasporto pubblico adeguato anche fuori stagione.
Però il problema è come vengono spesi questi soldi: su tre euro incassati da Tirrenia, uno arriva dalle casse dello Stato, e, a conti fatti, diventano oltre un miliardo tra il 2005 e il 2009. Ufficialmente si chiamano sovvenzioni di equilibrio, e coprono le perdite per i collegamenti anti-economici, ma in realtà sono la scusa per giustificare le inefficenze del gruppo. E non lo dico mica io, ma la stessa Tirrenia, quando nel piano industriale 2009-2014 afferma che il costo medio della forza lavoro è superiore del 24,6% rispetto a quello dei privati, per diventare superiore del 48% quando si va a considerare le linee locali (Toremar, Caremar, Saremar).
Il problema non è il numero dei dipendenti (calati dal 1989 al 2008 di 2587 unità, ovvero il 62,5% del totale), ma, la loro gestione, infatti fino a poco tempo fa ogni nave del gruppo aveva due equipaggi completi e ogni giorno di lavoro dava diritto a un giorno di riposo (oggi si è passati a 60 giorni a bordo e 30 a casa). E malgrado la riduzione del personale navigante un marinaio della Caremar costa ancora il 66% in più di quelli imbarcati sulle navi dei concorrenti privati.
L’altra faccia della medaglia è la flotta della Tirrenia. La società dichiara una flotta che conta 44 mezzi per un valore a bilancio di 855 milioni con ipoteche bancarie per 245.
Cosa c’è di strano in questa flotta? Che è fatta di navi ad alta tecnologia (dicono) ma con un’età media di 10 anni, unità veloci (dicono) già vecchie di 12, traghetti (e sono 28) che navigano da 25 anni, con tutti gli acciacchi anagrafici del caso. Non sono un esperto di alta tecnologia, ma se una nave ha una età di 25 o di 10 anni, proprio nuovissima non è. Ma la vera perla della flotta sono 6 navi costate 300 milioni di euro, ma mandate in disarmo (va da sé a spese dei contribuenti) poco dopo il varo. Possibile? Siamo in Italia, quindi si è possibile.Ecco la storia: inizio anni ’90, Tirrenia ordina ai Cantieri Rodriquez gli agili Guizzo e Scatto, due missili capaci di portare 120 auto e 450 passeggeri volando sulle onde a 40 nodi (quasi 70 all’ora). Peccato che una volta pagati e in acqua, queste spider del trasporto marittimo evidenziassero un problema forse non tanto marginale: non erano in grado di viaggiare con il mare mosso, addirittura queste due navi furono oggetto di una informativa rivolta al ministro dei trasporti dai parlamentari Becchetti e Bonaiuti. Il ministro all’epoca rispose che erano state riscontrate anomalie di funzionamento dei cuscinetti di rotolamento degli ingranaggi dei riduttori di giri dei motori principali.
Come sia, come non sia, resta il fatto che due navi strapagate, avevano difetti di fabrica: rottamate. Cinque anni dopo (tra il 1998 e il 2003) Tirrenia ordina a Fincantieri Aries, Scorpio, Taurus e Capricorn, navi costose (110 miliardi di lire l’una o 55 milioni di di euro) ma stabili, capienti e capaci grazie alle turbine derivate dai caccia militari di ridurre da 12 a 5 ore il tempo di traversata tra Genova e Golfo Aranci. Splendide. Ma con un un problema: consumavano 290 kg. di gasolio al minuto contro i 41 degli altri traghetti del gruppo, rendendo assolutamente antieconomico il loro utilizzo. Morale: le quattro ammiraglie sono state prepensionate come carrette dei mari qualsiasi e oggi sono ormeggiate a Genova, Arbatax e Napoli in condizioni precarie, con quattro marinai di servizio che provvedono ogni tanto ad accendere i motori tanto per oliare gli ingranaggi e gaudagnarsi il loro stipendio. La pioggia di aiuti di stato consente ogni anno a Tirrenia e alle sue compagnie regionali di chiudere i conti in utile, ma la verità però è che il bilancio, fa acqua da tutte le parti. I debiti consolidati a fine 2008, dopo le spese un po’ folli degli anni ’90, erano a quota 920 milioni di cui 311 a breve termine con le banche. Gli ultimi accordi sindacali hanno ridotto al livello dei concorrenti privati gli stipendi (scesi del 23%) per le tratte Genova-Porto Torres e Civitavecchia-Olbia, le due rotte più ricche e redditizie dove Tirrenia è stata svincolate d’estate dai vincoli tariffari. Il costo per il personale sulle linee regionali è calato però solo del 7%. E in vista della privatizzazione, segnala la Corte dei Conti, le consulenze sono cresciute del 63%.
E arriviamo ai giorni nostri. L’UE impone la vendita e si fanno avanti in 15, ma, appena vedono i conti, si defilano tutti, anche a causa dei dubbi della UE sui nuovi aiuti di Stato (quelli fino al 2022) e resta solo un unico acquirente, la Regione Sicilia e, se Bruxelles darà l’ok a questa privatizzazione, la società passerà da mani pubbliche (statali) a mani pubbliche (regionali) che hanno fatto sapere che vi saranno 211 esuberi.
E i sindacati sono già sul piede di guerra. Come è che si diceva? Tutto cambia, perchè nulla cambi.
No a censure, ma un sistema di Allarme europeo è quello che serve per tutelare i minori
Sono al fianco dell’On. Motti in questa importante battaglia contro la pedopornografia e a sostegno della creazione di un sistema di Allarme rapido europeo per contrastare pedofili e molestatori sessuali online. Dobbiamo evitare che chi abusa di internet, commettendo reati gravi a sfondo sessuale che coinvolgono i minori, possa utilizzare il principio di libertà di circolazione negli Stati membri per darsi alla fuga e sottrarsi alle proprie responsabilità. In questo campo i dati italiani sono allarmanti e ci dicono che l’11% dei ragazzi che frequenta le chat ha avuto almeno un contatto con un pedofilo; che solo il 23% dei minorenni che naviga in internet lo fa accompagnato; che il 47% dei ragazzi fra 10 e i 14 anni che navigano in rete ha postato foto a sfondo sessuali di se stessi od amici; che solo il 12% delle famiglie usano gli strumenti di controllo internet ed i filtri. Per questo un sistema di Allarme europeo è quello che serve. E’ ora di tutelare i nostri minori in modo adeguato.
Nessuno vuole reprimere internet: la rete è la grande frontiera della libertà ma non può certo diventare terreno fertile per chi ha scopi nefasti e intenti pedo-pornografici.
Pier Ferdinando
L’UNIRE (Unione Nazionale Incremento Razze Equine) è uno di quegli enti inutili e costosi di cui mi piacerebbe tanto poter fare a meno. A cosa potrà mai servire un organismo (istituito con regio decreto n. 642, il 24 maggio 1932) che si occupi di “gestire le corse e le gare, fissando calendario di manifestazioni ippiche, organizzando la programmazione tecnica ed economica delle stesse e diffondere la dichiarazione dei partenti delle corse, con tutte le relative informazioni per effettuare regolari scommesse”, di “concedere e revocare i colori di scuderia ai proprietari” o di “favorire l’uso del cavallo come strumento per la riabilitazione psico-fisica dell’uomo”? Poteva essere utile quando fu pensato settantotto (78!) anni fa: ma oggi, 2010, quando tutti giocano al Win For Life e le corse ippiche hanno perso il loro appeal (-94% di spettatori in dieci anni), che senso ha continuare a sovvenzionarlo con fondi pubblici e con le nostre tasse? Senza contare il fatto che, come ha ricordato il ministro Galan, sulle spalle dello Stata grava poi il mantenimento di ben 43 ippodromi (quando su un totale di 33 milioni di Italiani che scommettono su qualcosa, la quota dell’ippica si sia ridotta a circa l’1% del totale) e che per due anni il mondo dell’ippica ha usufruito di un contributo di centocinquanta milioni di euro, senza riuscire a risollevarsi.
Proviamo a far due conti: fino al 1996 nel nostro Paese il settore ippico era regolato dalla Legge Orsi Mangelli del 1942 che riservava all’Unire “la facoltà di esercitare totalizzatori e scommesse al libro per le corse dei cavalli” e proponeva un “piano industriale” che realizzava di fatto nel nostro Paese un regime di monopolio: fino al 1996, infatti, in Italia le uniche scommesse legali erano solo quelle ippiche e le altre attività di gioco o scommesse erano vietate e severamente punite dalla Legge. Questo sistema monopolistico faceva sì che questo tipo di giocate rappresentassero gli introiti principali per il Totocalcio, il C.O.N.I e lo sport nazionale; nel 1998, però, il C.O.N.I. ottenne un finanziamento annuo di circa € 470.000 annui in valuta attuale e in questo modo poté slegare la propria sopravvivenza dal mondo delle scommesse. Al contrario dell’UNIRE, che invece si trovò ad affrontare una nuova e fortissima concorrenza, fatta di super-enalotto, slot-machines e gratta e vinci vari, finendo quindi assolutamente marginalizzato. Come se non bastasse, sono arrivati poi la legge 169/96 e il D.L. 449/98, che hanno lasciato l’Unire Ente Pubblico; in questo modo è risultato inadatto a competere sul mercato dei giochi: come potrebbe un Ente Pubblico nel nostro Paese svolgere una funzione di “competitor” sul libero mercato, fatto di concorrenti agguerriti? È incapace di produrre, ma continua ad assorbire una quantità sproporzionata di fondi. Si tratta di uno spreco di denaro pubblico davvero intollerabile, da eliminare nel più breve tempo possibile. Ecco perché mi fa piacere che il nostro deputato Enzo Carra, insieme al senatore D’Alia, abbia proposto un emendamento teso alla soppressione dell’UNIRE. Dice Carra: “le difficoltà dell’ippica non si superano aggirando l’ostacolo con l’assistenzialismo, ma saltandolo sulla spinta di una prospettiva più moderna che il governo dovrebbe esercitare per valorizzare di più il comparto”. L’unica soluzione che ci si offre davanti quindi è abolire l’inutile UNIRE e favorire una maggiore concorrenza nel mondo delle corse ippiche, lasciando agli ippodromi concessionari di AAMS e del Ministero delle Finanze la gestione dell’indotto ippico e delle scommesse, nel contesto di un mercato davvero libero, dove i montepremi, i numeri delle giornate di corsa e le puntate siano davvero determinate solo dalla libera concorrenza. Questo è davvero l’unico modo per stimolare nuovi investimenti sia nell’impiantistica che in progetti di marketing, per impedire che il mondo dell’ippica sia ridotto a un esilio dorato per qualche politico trombato.
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