Archivio per Ottobre 2010

Alpini morti in Afghanistan, il nostro abbraccio alle famiglie

postato il 12 Ottobre 2010

Dall’Afghanistan non si puo’ scappare, non usiamo ipocrisie. Oggi onoriamo i nostri eroi, facciamo sentire forte il nostro abbraccio alle famiglie dei quattro alpini morti in missione.
Poi, al più tardi nella prossima settimana, riflettiamo con serietà in Parlamento: chiediamo un dibattito ampio e sereno, ed invitiamo tutti a chiamare le cose con il proprio nome.

Pier Ferdinando

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Missione in Afghanistan, troppe polemiche e poche riflessioni?

postato il 12 Ottobre 2010

Avevano dai 23 ai 32 anni i 4 alpini morti in Afghanistan: Sebastiano Ville, Marco Pedone, Francesco Vannozzi, Gianmarco Manca. Quattro esistenze spezzate: progetti, speranze per il futuro, sogni e obiettivi saltati in aria all’improvviso come i loro corpi su quell’ordigno che il blindato Lince non è riuscito a rendere inoffensivo. [Continua a leggere]

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Lo spettacolo televisivo del dolore

postato il 11 Ottobre 2010

Merenza davanti alla tv, di Family hotels Finale LigurePer chi nell’ultimo mese non avesse seguito la tragica storia di Sarah (difficile, vista la quantità di parole spese in tv e nei giornali) ricordo qual è stato l’altrettanto tragico epilogo: mercoledì 6 ottobre durante la puntata serale di “Chi l’ha visto?”, la madre di Sarah scopre in diretta che è stato ritrovato il corpo della ragazza e che lo zio è in qualche modo coinvolto, visto che le ricerche si sono focalizzate in un unico punto solo dopo il lungo interrogatorio di Michele, cognato della madre Concetta. Non solo: Sabrina, cugina di Sarah e figlia di Michele, scopre in diretta che suo padre (suo padre!) è l’artefice del fatto orribile che ha sconvolto l’intera famiglia. Inoltre, la verità è stata svelata contemporaneamente a 3.680.000 italiani, che, avidi di sapere, hanno seguito fino all’ultimo minuto la puntata.

Inevitabilmente, è scoppiata la polemica: come avrebbe dovuto agire Federica Sciarelli, conduttrice del programma? Perché nessuno ha impedito che una notizia così sconvolgente venisse data da un’estranea e di fronte a milioni di spettatori, violando l’intimità e il raccoglimento della famiglia attorno al dolore provocato da questa scoperta?

Prima di azzardare una risposta, ritengo necessaria una riflessione. Spesso mi capita di chiedermi, come mai “Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”? Perché ci colpiscono di più le cattive notizie piuttosto che quelle positive? Come mai la nostra empatia sembra attivarsi di più se assistiamo a situazioni di sofferenza invece che di felicità? Perfino la scienza sembra non offrirci via di scampo annoverando, fra le emozioni classificate primarie (tristezza, collera, paura, disgusto, sorpresa e gioia), più emozioni negative che positive.

Istintivamente siamo portati ad indagare, ad informarci, come per valutare quale sia il grado di sofferenza dei diretti interessati. “Dobbiamo” sentire il pianto straziante di Sabrina e vedere il volto impietrito della madre. Oppure, quando veniamo a sapere delle morte di una persona, subito chiediamo se questa aveva famigliari, figli, se era sposata… come se volessimo sapere qual è il vuoto che si porta dietro, quanta sofferenza provoca la sua scomparsa: ci concentriamo sul dolore. Ma perché, mi chiedo, sentiamo questo bisogno di conoscere tutti i particolari, di immergerci nella sofferenza del dramma che ci viene presentato? È per semplice “partecipazione empatica”? per curiosità? O c’è dell’altro?

E quando riusciamo a percepire la gravità di ciò che è successo, o pensiamo di esserci riusciti, ci sentiamo responsabili di gridare quanto il mondo sia ingiusto e quanto disgusti tutto il male che esisite. Ci sentiamo in dovere di indigniarci e, cinicamente, di perdere le speranze in questa umanità capace di compiere atti orribili. Noi invece abbiamo la possibilità di sentirci migliori, noi non faremmo mai niente del genere, anzi… e ci ritroviamo a riproporre la pena di morte come giusto prezzo da pagare, come se uccidendo un’altra vita riuscissimo a mettere fine al ciclo di morti e di omicidi. E troviamo anche un “macabro” conforto nel constatare che non siamo soli nella sofferenza di tutti i giorni, del tipo: c’è chi sta peggio!

Ma che ruolo hanno i media in tutto questo? Semplice. Questa “macchina dell’informazione” ha capito di poter giocare su quanto appena scritto, di poter far leva sui sentimenti degli “spettatori” amplificando le nostre paure, il nostro disgusto, la nostra partecipazione al dolore altrui, sfruttando tutto ciò per aumentare gli ascolti, le vendite (per fortuna questo rappresenta solo una parte del giornalismo). Ma, usando le parole di Aldo Grasso in occasione dei vent’anni da Vermicino (caso che ricorda quanto successo in tv la sera del 6 ottobre), “E’ opportuno immettere in un circuito incontrollabile immagini che invocano solo la pietà? Una cosa è soffrire, un’altra vivere con le immagini della sofferenza, che non rafforzano necessariamente la coscienza o la capacità di avere compassione. Possono anche corromperle”. Infatti, l’effetto che questo fenomeno produce, è l’abituare la persone al male. La compassione, l’empatia, la sensibilità vengono anestetizzate. Una persona abituata al dolore e alla sofferenza alza una barriera nel suo cuore: per un istinto di autoconservazione, un meccanismo di difesa, si rende passivo di fronte al dolore, fugge in ogni modo al contatto diretto con esso. Seguendo un tg veniamo bombardati da notizie di cronaca negative ad una così alta velocità che la nostra mente non ha il tempo meteriale di elaborare l’accaduto e di rendersi pienamente conto della sua gravità. Abituarsi al peggio, non è mai un bene, ci impedisce di stupirci di fronte ad eventi più grandi di noi, ci rende passivi e inerti di fronte alla realtà.

Dunque, forse la giornalista avrebbe dovuto interrompere subito il collegamento invece di limitarsi a chiedere alla madre se voleva farlo, una madre che per sapere le ultime novità riguardanti le sorti di sua figlia era costretta a dipendere dai giornali e dalla tv. Non si sarebbe dovuto insistere nel continuare a leggere notizie non confermate, non si sarebbe dovuto insistere nel puntare le telecamera su questa famiglia che si è vista costretta a frantumare l’ultimo briciolo di speranza davanti a milioni di persone, non si sarebbe dovuto insistere nel chiedere a Sabrina di mostrarsi alla telecamera per spiegare quanto sapeva e nel mandare in onda il suo pianto alla scoperta della verità.

Ma le colpe non sono da attribuire solo a Federica Sciarelli, perché è l’intero sistema che sotto questo aspetto non funziona: saper distinguere e separare ciò che è lavoro da ciò che è buonsenso, ciò che è scoop da ciò che è una tragica verità, ciò che è curiosità da ciò che è rispetto, ciò che è spettacolo da ciò che è realtà. “Bisogna smetterla di parlare della normalità del male, qui siamo di fronte al male della normalità” (Aldo Grasso).

“Riceviamo e pubblichiamo” di Chiara Cudini

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Afghanistan, il governo formuli la sua proposta in Parlamento

postato il 11 Ottobre 2010

Se il governo vuole armare gli aerei con le bombe in Afghanistan deve formulare una sua proposta in Parlamento, perché questo significherebbe cambiare le modalità di impiego in quel Paese.
Abbiamo sempre espresso al governo il nostro sostegno quando si è trattato di missioni di pace, per le quali ben sappiamo che talvolta è inevitabile il ricorso alla forza. Lo abbiamo fatto con Prodi, lo abbiamo fatto con Berlusconi. C’è un dovere di responsabilità nazionale, ma è il governo che deve decidere quale proposta fare in Parlamento. In democrazia la confusione è sbagliata ed autolesionista.
La situazione in Afghanistan è figlia di grandi contraddizioni, per responsabilità di Karzai ma anche dell’amministrazione Usa, che ha annunciato date di ritiro in modo improprio, generando confusione. Tutto cio’ non è a mio avviso estraneo alla escalation di violenza che si sta verificando. [Continua a leggere]

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Tagliare le province è inutile?

postato il 11 Ottobre 2010

Se lo dice Tremonti…

Dopo l’ennesimo tira e molla, dopo mesi e mesi di discussione in merito alla necessari età o meno delle province italiane, dopo proposte e proteste, Tremonti, dall’alto del suo ministero, dice la sua:Tagliare le province è inutile”.

Dunque, quella che sembrava dover essere una prerogativa di questo Governo, si è sciolta come neve al sole, con le parole del Ministro dell’Economia. Secondo Tremonti, infatti, con il taglio delle province non si ricaverebbero che poche centinaia di milioni di euro, al contrario di quanto ipotizzato fino ad ora. Tagliare le province significherebbe soltanto ridistribuire gli impiegati dell’ente tra comuni e Regione.

Ebbene, il ministro scuserà la mia ingenuità, ma mi sorge spontanea una domanda: se abolire le province è inutile(ipse dixit!), perché era uno dei primi punti del programma di Governo? Una risposta ce l’avrei: pura demagogia.

Allo stesso modo Tremonti, con semplicità e freddezza matematica, conti alla mano, ha spento gli entusiasmi di tutti coloro i quali erano convinti di poter aiutare i conti dello Stato tagliando il numero e i privilegi legati alle cosiddette auto blu. Anche questi tagli sono inutili.

Ecco, mi sorge un’altra domanda: molte imprese chiudono i battenti, le famiglie non arrivano neanche alla terza settimana, la disoccupazione dilaga, tagliare le province e le auto blu è inutile.. E di che abbiamo parlato fino ad ora? Di un assurdo federalismo, di cui non è lecito conoscere i costi e le conseguenze economiche,di una riforma scolastica e universitaria che è assurdo chiamare “riforma”, delle quote latte che hanno colpito soltanto gli onesti allevatori. Ecco qual è il bilancio di 3 anni di governo Berlusconi: il nulla.

Il programma di questo governo si è pian piano sgretolato, le promesse sono rimaste tali o, in altri casi, sono state addirittura smentite da chi quelle proposte le ha scritte. E la domanda è questa: può una maggioranza così, che si smentisce da sola giorno dopo giorno, incapace di rialzarsi da questa condizione di stallo, governare ancora?

Non credo sia possibile definire ancora credibile né il premier, né la sua maggioranza. C’è bisogno di cambiamento. Allora, si faccia un governo tecnico, e si pensi a fare ciò che non si fa da troppo tempo: governare.

L’Italia ha bisogno di coraggio, l’Italia ha bisogno di vere riforme.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

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Rassegna stampa, 11 ottobre

postato il 11 Ottobre 2010

Bombe sugli aerei, La Russa deve decidere il Parlamento (Messaggero)

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Ricordiamoci della nostra missione in Afghanistan tutti i giorni dell’anno

postato il 10 Ottobre 2010

afghanistan-in pattuglia di ivmontisAlle Famiglie delle Vittime, al 7o Reggimento Alpini va il nostro cordoglio.

Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai,
su ogni balza delle Alpi ove la provvidenza
ci ha posto a baluardo fedele delle nostre
contrade, noi, purificati dal dovere
pericolosamente compiuto,
eleviamo l’animo a Te, o Signore, che proteggi
le nostre mamme, le nostre spose,
i nostri figli e fratelli lontani, e
ci aiuti ad essere degni delle glorie
dei nostri avi.
Dio onnipotente, che governi tutti gli elementi,
salva noi, armati come siamo di fede e di amore.
Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della
tormenta, dall’impeto della valanga,
fa che il nostro piede posi sicuro
sulle creste vertiginose, su le diritte pareti,
oltre i crepacci insidiosi,
rendi forti le nostre armi contro chiunque
minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera,
la nostra millenaria civiltà cristiana.
E Tu, Madre di Dio, candida più della neve,
Tu che hai conosciuto e raccolto
ogni sofferenza e ogni sacrificio
di tutti gli Alpini caduti,
tu che conosci e raccogli ogni anelito
e ogni speranza
di tutti gli Alpini vivi ed in armi.
Tu benedici e sorridi ai nostri Battaglioni
e ai nostri Gruppi.
Così sia.”

Oggi è un giorno di lutto.

Nell’adempimento del proprio dovere il nostro contingente ha perso quattro alpini. Le vittime sono i primi caporalmaggiori Francesco Vannozzi, Gianmarco Manca, Sebastiano Ville ed il caporalmaggiore Marco Pedone. Un quinto alpino è rimasto ferito: si tratta del caporalmaggiore scelto Luca Cornacchia; per fortuna non è in pericolo di vita. E’ l’ennesima tragedia che si consuma in Afghanistan ai danni dei nostri militari, la più grave per numero di vittime dal Settembre 2009, quando rimasero sul campo sei italiani.

L’agguato è avvenuto in una delle zone più turbolente del paese, nel distretto del Gulistan. I militari stavano scortando un convoglio composto da circa settanta camion quando, alle 9.45 locali (7.45 ora di Roma), il convoglio è stato attaccato con armi leggere da un gruppo di guerriglieri talebani. Nel deviare dalla strada in cui era in corso l’imboscata per cercare di disingaggiare il nemico, il mezzo su cui viaggiavano i militari è stato investito da una terribile esplosione, che ha letteralmente disintegrato il blindato. L’attacco è stato quindi respinto ed i talebani costretti alla fuga.

Non è chiaro che tipo di ordigno sia stato utilizzato per l’attacco. Si penserebbe ad uno “Ied” (improvised explosive device – un ordigno improvvisato nascosto ai bordi della strada). L’ipotesi non è scontata, poiché i blindati Lince erano stati modificati e pesantemente corazzati dopo gli attacchi subiti negli anni passati che ne avevano messo in luce la vulnerabilità ad attacchi provenienti da sotto di essi. In tal caso si sarebbe trattato di un ordigno a pressione od con innesco mediante cavo, in quanto i nostri mezzi sono dotati di disturbatori radio, che conteneva almeno cento kilogrammi di esplosivo.

Si fa strada un’altra ipotesi, ben peggiore. Si potrebbe infatti pensare anche ad un altro tipo di esplosivo, a carica cava, con una maggiore capacità di penetrazione laterale. Questo tipo di bombe, conosciute con l’acronimo “Efp” (explosively formed projectile) non sarebbero di fabbricazione talebana. E’ richiesto infatti un grado di tecnologia di cui i guerriglieri non dispongono; è possibile quindi che questi ordigni siano prodotti in Iran.

Divampano le polemiche in Patria per l’accaduto. Si torna a gran voce a chiedere il disimpegno immediato dei nostri militari, in particolar modo da parte di esponenti dell’Italia dei Valori e di Sinistra Ecologia e Libertà. Il Ministro della Difesa La Russa chiederà al Parlamento la possibilità di inviare più elicotteri per alleggerire la presenza di convogli terrestri e di munire i nostri aerei AMX di bombe.

Il governo si affretta a ricordare i termini dell’impegno, che scadranno nel 2011, per cercare di placare una opinione pubblica sempre più insofferente.

La partita nello scacchiere si è terribilmente complicata dal 2001 ad oggi. In Afghanistan non disponiamo di alcuna opzione politica o strategica convincente. I talebani, dopo la rocambolesca ritirata, si sono nel corso degli anni riorganizzati nelle montagne al confine tra Pakistan ed Afghanistan. Lì hanno trovato terreno fertile tra i Pasthun: essi vivono secondo codici tribali particolarmente rigidi, su cui la dottrina islamica radicale ha fatto rapidamente presa; sono inoltre la tribù più numerosa in Afghanistan.

Il Pakistan, che con Musharraf si era schierato a fianco della missione NATO (convinto anche dai miliardi di dollari che piovevano sul suo paese sotto forma di aiuti militari), iniziò dapprima una blanda guerra contro queste tribù di confine, intensificata a tratti quando le pressioni statunitensi si facevano più insistenti. Il generale Musharraf infatti stava combattendo una guerra interna contro i propri servizi segreti, gli stessi che hanno addestrato i talebani, e che in Pakistan sono estremamente influenti. La sua deposizione ha aperto una voragine politica, senza un leader in grado di mantenere salde le redini del comando militare in un paese che assomiglia ad una polveriera pronta ad esplodere. Infine, per tornare a Kabul, l’attuale governo si dimostra debole, con scarso controllo del territorio e lontano dalla legittimazione popolare che potrebbe garantirne la stabilità.

Il termine della missione, coerentemente con quanto sostiene anche il presidente Obama, dovrebbe avvenire gradualmente a partire dal 2011. La grave situazione che si sta delineando in quel tormentato angolo del globo, esige che ci si affidi per i tempi tecnici richiesti dal disimpegno ai nostri generali.

In questo caso, i proclami politici di un ritiro immediato risultano dannosi: non possiamo permetterci di abbandonare Kabul in una disordinata rotta che ricorda quella americana di Saigon. Creare in così poco tempo le condizioni per una stabilità credo sia molto difficile, in particolar modo con le scarse opzioni politiche che la NATO ha dinnanzi.

Nel frattempo, dopo ormai quasi dieci anni di combattimenti (ed è inutile nasconderci che di questo si tratta), c’è da prendere coscienza di una situazione che de facto richiede l’utilizzo di mezzi adeguati a far fronte alle necessità dei nostri soldati che operano sul campo, nella speranza magari ingenua, ma certamente sincera, che tragedie come questa, non si ripetano.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Federico Poggianti

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Non si parli di ritiro, ma è urgente una messa a punto complessiva

postato il 10 Ottobre 2010

«II governo in Aula spieghi come intende procedere»

Pubblichiamo l’intervista a Pier Ferdinando Casini su Avvenire’ di Giovanni Grasso

L’ Italia «sta pagando un pesante e dolorosissimo tributo di sangue per una causa giusta. Non è in discussione il nostro impegno in Afghanistan, ma occorre una seria riflessione sulle modalità». Il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini si dice «addolorato» per la morte dei quattro alpini, ma anche «preoccupato» per la piega che sta prendendo l’intervento militare in quel tormentato Paese. E, in questa intervista, spiega: «Siamo in Afghanistan per una causa giusta: l’impegno a fianco degli alleati contro il terrorismo e per l’ Afghanistan libero non è e non può essere messo in discussione. Ma occorre riflettere sulle modalità e sull’efficacia di questo impegno, alla luce di quanto sta accadendo».

Qual è dunque il suo parere riguardo alla permanenza dei nostri militari a Kabul?
È urgente rimettere la questione afghana al centro dell’agenda politica nazionale. Non possiamo ricordarci del tema solo quando accadono tragiche vicende ai nostri ragazzi. [Continua a leggere]

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Nobel per la Pace a Liu Xiaobo, il web a difesa dei diritti umani

postato il 8 Ottobre 2010

CHINA-DISSIDENTA dieci anni di distanza dalla consegna del premio Nobel per la Pace a Kim Dae-Jung, ex presidente della Corea del Sud, l’ambito riconoscimento internazionale è stato assegnato, secondo “quasi tutte” le aspettative, ad un altro personaggio dagli occhi a mandorla.

Questa volta non si tratta né di un Presidente, né di un Re del Sol Levante, bensì di un semplice uomo cinese tra il miliardo e quattrocento milioni di connazionali. L’uomo in questione è un anti-eroe per eccellenza, diventato, quasi per caso, il simbolo della lotta per il riconoscimento dei diritti e delle libertà in Cina. Il suo nome è Liu Xiaobo, e sta scontando 11 anni di carcere per “incitamento a sovvertire il potere dello Stato”.

Il possente e numeroso esercito cinese è stato sconfitto da un cittadino magrolino e con gli occhiali “a fondo di bottiglia”, che ha avuto il coraggio di denunciare quello che il Governo “giallo” cerca da sempre di celare. Le sue parole hanno scavalcato la lunga muraglia cinese e hanno superato i confini asiatici, giungendo alle orecchie europee e di tutto il mondo. Alla sede ufficiale del Nobel di Oslo, è stata letta la motivazione della premiazione: “Per la sua lunga e non violenta battaglia per i diritti umani in Cina”.

Siamo tutti con Liu Xiaobo!!!

A tal proposito ricordiamo che l’articolo 35 della Costituzione cinese stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso. Peccato che queste disposizioni non siano, di fatto, mai state garantite alla popolazione.

Liu Xiaobo ha semplicemente manifestato legittimamente il suo dissenso per queste pratiche anti-democratiche e il popolo cinese lo ha sostenuto. E anche la rete, il web, ha diffuso il contenuto della famosa Carta 08, un documento favorevole alla democrazia nel Paese tra i più ricchi e influenti del mondo, ispirato alla Carta 77 dei dissidenti ceco-slovacchi.

Non è un caso che la notizia è stata data da Twitter, il nuovo uccellino virtuale che vaga indisturbato da un capo all’altro del mondo non conoscendo frontiere.

Come tutti sanno, il premio Nobel per la Pace conferisce grande prestigio, sebbene sia spesso fonte di controversie politiche, e infatti pare che il Governo cinese avesse “avvertito” le alte cariche delle istituzioni, dei comitati organizzatori e della monarchia norvegese, ad accantonare l’idea di premiare colui che, in patria, secondo chi dovrebbe “applicare” correttamente la legge, è considerato un dissidente politico. Fortunatamente il “consiglio” non è stato accolto.

Oggi assistiamo ad un passaggio di testimone importante, da Barack Obama a Liu Xiaobo, dall’uomo più potente del mondo ad un uomo prigioniero, ostaggio del suo stesso Paese, reo di aver chiesto di poter esercitare i diritti e le libertà fondamentali riconosciute a tutti i cittadini del mondo.

La Cina sta attuando una forte censura anche dei mezzi di comunicazione e di informazione interni, cercando di controllarli e di far trapelare solo determinate notizie.

Io allora dico: “Per fortuna che c’è Twitter e che, oltre ai giornali, ci sono coraggiosi blogger che diffondono anche le notizie più scomode, senza paura”, con la speranza che questa “Oscenità” (così è stata commentata la notizia del Nobel dal Governo di Pechino), possa essere d’esempio a tutti i componenti del Governo asiatico.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Daniele Urciuolo

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