Archivio per Dicembre 2010

Il testo della mozione di sfiducia depositata dall’area di responsabilità

postato il 3 Dicembre 2010

“La Camera dei Deputati, preso atto che la delicata situazione internazionale, la crisi economica e monetaria che aggredisce l’Europa e lo stato di malessere sociale di ampie fasce della popolazione italiana, richiedono la piena operatività di un governo solido e sicuro; alla luce dell’attuale inadeguatezza dell’esecutivo a garantire, oltre alle misure di contenimento del deficit, il risanamento strutturale della finanza pubblica e il sostegno della ripresa economica e dell’occupazione; auspicando l’avvio di una nuova fase politica della legislatura ispirata al senso di responsabilità nazionale e istituzionale, che punti a modifiche della legge elettorale per restituire ai cittadini la scelta degli eletti, con un governo capace di prendere le misure adeguate per evitare il declino del Paese e garantire il suo futuro civile e economico; esprime, ai sensi dell’art. 94 della Costituzione, la sfiducia nei confronti del governo”.

Mozione di sfiducia al Governo firmata dai 85 Deputati di Udc, Fli, Api, Mpa, Liberaldemocratici, Guzzanti e La Malfa.

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06 dicembre, Roma

postato il 3 Dicembre 2010

Ore 16.00 –  Università Cattolica del Sacro Cuore – Facoltà di Medicina

Partecipa al seminario di studio e del volume: ‘Il trattato italiano di psichiatria culturale e delle migrazioni’

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Internet sia un diritto Costituzionale (il libero WiFi resta un miraggio)

postato il 3 Dicembre 2010

In occasione dell’ultimo voto di fiducia al Senato Berlusconi, illustrando i suoi cinque punti programmatici, ha annunciato, ancora una volta, l’inizio dei lavori per il ponte sullo Stretto e il completamento della Salerno-Reggio Calabria. Questo annuncio, per ovvie ragioni, è stato accolto dalle risate ironiche dei senatori che hanno incarnato il sentimento profondo degli italiani davanti alle promesse di questo governo. Del resto l’elenco delle promesse non mantenute, dalla rivoluzione liberale al problema rifiuti a Napoli, è così lungo che ragionevolmente nessuno si azzarda a scommettere su un inaspettato slancio riformatore e innovatore di questo governo.

Eppure un piccolo barlume di speranza era stato dato lo scorso 5 novembre dal ministro Roberto Maroni che in una affollata conferenza stampa annunciò orgoglioso il WiFi libero dal primo gennaio 2011. Il Governo prospettava una celere rimozione delle complicate procedure previste dalle norme antiterrorismo introdotte dall’ex ministro Pisanu per monitorare e identificare gli accessi al Web, norme che a dire il vero si sono rivelate poco efficaci e che costituirono un vero ostacolo alla diffusione di internet senza fili in Italia. Una riforma piccola ma di immensa portata per gli effetti, che aveva fatto esultare gran parte della blogosfera italiana, anche se qualche (illuminato) commentatore aveva classificato la cosa come una non notizia o peggio una presa in giro.

Ad oggi bisogna registrare un nulla di fatto: il Governo non ha sin qui disposto nessun provvedimento per abrogare o sostituire  le norme del decreto Pisanu, e considerate le cattive acque in cui naviga l’esecutivo possiamo a ragione prevedere che dal primo gennaio non cambierà assolutamente nulla in Italia in tema di WiFi libero.

E’ sempre triste quando uomini politici e in particolare uomini di governo fanno delle promesse che poi non mantengono, e la delusione è ancora più grande se la promessa non mantenuta riguarda una materia che vede l’Italia clamorosamente in ritardo rispetto al resto del mondo. L’indolenza del Governo diventa ancor più evidente davanti al vasto consenso che raccoglie la proposta di Wired Italia e del prof. Stefano Rodotà di far diventare internet un diritto costituzionale integrando l’articolo 21.

Malgrado questo ampio consenso nel Paese sembra però prevalere nel governo e nella maggioranza una sorta di paura della libertà della rete ( e per il Popolo della libertà è il colmo…), ampiamente riscontrabile nelle reazioni alla vicenda Wikileaks e nelle dichiarazioni internetfobiche dell’on. Jannone e di Emilio Fede. E’ una paura giustificata quella del governo? Assolutamente no, un governo non  può avere paura della verità, della libertà e della democrazia e dunque non può avere paura della rete perché non può non comprenderla, come ha giustamente sottolineato l’on. Roberto Rao (Udc), come indispensabile strumento per una democrazia partecipata. E la democrazia in Italia non è facoltativa. Per fortuna.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Rassegna stampa, 3 dicembre

postato il 3 Dicembre 2010
Beh, se qualcuno aveva ancora qualche dubbio circa l’esistenza o meno del Terzo Polo sarà accontentato. Udc, Fli, Api e le altre forze centriste del Parlamento hanno infatti presentato una mozione congiunta a firma di 85 deputati. Gli obiettivi sono chiari: chiudere formalmente una fase politica in declino già da troppo tempo e ridare fiato, speranza a un Paese che ha una vera voglia di cambiare; secondo il Fatto Quotidiano il premier Berlusconi trema, mentre secondo il Sole si tratta ancora di una forte pressione sul Governo, nella speranza – come spiega il Messaggero – di giungere a un esecutivo di garanzia istituzionale, magari guidato da Letta. Che, a quanto si evince dai documenti Wikileaks (leggete il Corriere), è sempre stato seriamente preoccupato dai festini di Berlusconi, fonte di logoramento eccessivo. Solo segnali?

Il terzo polo: sfiducia al premier (Alessandro Trocino, Corriere della Sera)

Dal terzo polo sfiducia al premier: “Deve aprirsi una fase nuova” (Antonio Fraschilla, La Repubblica)

Dal “terzo polo” sfiducia al governo (Carlo Bertini, La Stampa)

«Silvio lasci per ottenere il bis». Fli e Udc tentano il premier, ma puntano su Letta (Alberto Gentili, Il Messaggero)

Ora nuovo centro e Pd-Idv hanno i voti per il sorpasso (Mariolina Sesto, Il Sole24Ore)

«La salute di Berlusconi rovinata dai party» (Davide Frattini, Corriere della Sera)

Un Secolo da Pdl (Espresso)

Sfiducia comune al governo. Così nasce il Terzo Polo (QN)

“Non chiudere gli occhi, fuggono da morte certa” (Avvenire)

Le 317 firme? Per ora sono una forma di pressione sul premier (Sole24Ore)

L’avviso del garante al governo: “Niente quotidiani agli editori Tv” (La Repubblica)

Il patto a tre: “Silvio ha chiuso, no al bis” (La Stampa)

Fini e Casini hanno le firme. C’è anche Pisanu (Unità)

Consiglio a Tremonti (Il Foglio)

B. trema, il Terzo Polo esiste ed è pronto a votare al sfiducia (Il Fatto)

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L’Edilizia, una via per “costruire” lo sviluppo in Italia

postato il 3 Dicembre 2010

Oltre alle proteste degli studenti per la riforma Gelmini, in questi giorni vi è stata un’altra protesta: quella promossa per la prima volta dall’ANCE (Associazione nazionale Costruttori Edili) per presentare un pacchetto di dieci punti per rilanciare il settore edile in Italia.

Questa protesta presenta una caratteristica “nuova” per l’Italia: ha visto sfilare assieme sia gli imprenditori del settore che i lavoratori, segno che entrambi gli “schieramenti” produttivi vogliono superare una sterile contrapposizione per cercare di risolvere i veri problemi che strozzano questo settore economico che registra numeri preoccupanti: 250.000 posti di lavoro persi, +300% di ricorso agli ammortizzatori sociali, oltre il 20% di riduzione delle produzioni di materiali da costruzione, -70 miliardi di valore complessivo delle produzioni, ritardati pagamenti della PA fino a 24 mesi.

Ma cosa chiede l’ANCE? Sostanzialmente l’associazione rileva che le amministrazioni pubbliche hanno il paradosso di non poter spendere, pur in possesso delle necessarie risorse finanziarie, pena la certezza di incorrere nelle sanzioni previste dal superamento del tetto imposto dal Patto di stabilità.

In altre parole, ed è questo il paradosso, regioni ed enti locali incorrono «nella perdita delle risorse comunitarie a seguito del mancato raggiungimento degli obiettivi di spesa previsti da Bruxelles».

Il costo di questo paradosso è semplicemente enorme: le risorse che rischiano di saltare per questa trappola ammontano in tutto a 15 miliardi di fondi Fesr e 27 di fondi Fas di ambito regionale.

Per superare questo problema diventa necessario procedere ad una accurata revisione delle regole del Patto interno di stabilità volte a salvaguardare gli investimenti per la competitività e lo sviluppo. Concretamente questo si può ottenere tramite una «nettizzazione completa» degli investimenti promossi attraverso i fondi comunitari (attualmente sono esclusi dal calcolo del patto solo per il 50%) e attraverso le risorse dei Fas regionali. Il risultato sarebbe che le spese di cofinanziamento dei fondi comunitari non vengano considerate fra le uscite e siano quindi escluse dai tetti di spesa stabiliti dal Patto di stabilità per le Regioni.

Altri provvedimenti utili per rilanciare il settore sarebbero la semplificazione delle procedure amministrative e rafforzare i controlli, attivare strumenti di lotta alla legalità, estendere all’edilizia gli ammortizzatori sociali definiti per l’industria.

La protesta di oggi, oltre al sostegno dei sindacati e di Confindustria, ha visto anche il sostegno dell’UDC nelle vesti degli onorevoli Libè, Galletti, Compagnon e De Poli che hanno dichiarato: “L’Udc chiede da tempo di fornire soluzioni ai problemi di un comparto vitale per il sistema-Italia, specialmente in un momento di profonda crisi economica come quello che stiamo vivendo. Senza un vero rilancio del settore edile, la ripresa della nostra economia sara’ molto piu’ difficile.”

Inoltre, i parlamentari dell’UDC hanno portato avanti alcune proposte per aiutare il settore: “lo sblocco dei crediti che le aziende vantano nei confronti degli enti locali, somme che gli imprenditori hanno diritto a vedersi liquidate e che per molti di loro rappresenterebbero una vera e propria boccata d’ossigeno. Allo stesso modo, siamo convinti che rispetto alle grandi opere si debba dare la precedenza a quelle immediatamente cantierabili, un volano che farebbe ripartire il settore”.
Mentre l’on.le De Poli ha dichiarato che la crisi del settore edilizio sta mordendo con particolare violenza il Veneto.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Caterina Catanese

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Cosa ci insegna la vicenda WikiLeaks

postato il 2 Dicembre 2010

Le rivelazioni del sito Wikileaks a detta di alcuni sono al momento deludenti (personalmente non ne sono convinto), ma sicuramente hanno raggiunto almeno tre risultati: hanno fatto arrabbiare di brutto la signora Clinton, hanno fatto ridere Berlusconi, ma soprattutto hanno fatto piangere i giornalisti. Ed è questo ultimo punto che mi sembra assolutamente importante in questa intricata vicenda che vede protagonista il sito di Julian Assange: la rete internet e nello specifico Wikileaks ha messo in crisi, dopo l’intelligence americana, l’informazione mondiale che è stata spiazzata da un concorrente sconosciuto e assolutamente libero.

Il sito di Assange si è limitato a diffondere delle informative diplomatiche di cui è venuto in possesso, in fondo in maniera semplice, e ha consentito a livello mondiale la formazione di una coscienza critica rispetto a degli eventi e a dei personaggi che troppo spesso rimangono volutamente oscuri. La rabbia di diplomatici e politici che si vedono letteralmente “messi in mutande” è comprensibile, mentre mi sembra meno comprensibile la sufficienza del mondo dell’informazione e del giornalismo  rispetto a questa vicenda. L’Italia, e l’informazione italiana in particolare, si è chiaramente distinta in questa incomprensione del fenomeno Wikileaks e per giorni abbiamo assistito a servizi televisivi e a prime pagine di giornale a dir poco incredibili: sembravano tutte dettate dall’allarmato ministro Frattini che immagina Wikileaks alla stregua di Al Qaeda. Comprensibilmente molte redazioni sono rimaste disorientate dal fatto che nel mondo qualcuno è stato capace di trovare e dare una notizia senza apprenderla da un programma tv, da una  delle tante veline inviate dai potenti o, peggio, dallo stato Facebook del famoso di turno, e così istintivamente si sono difese da quel “cattivone” di Assange e dalla sua banda parlando di Wikileaks come sito pirata e nel libro paga di qualche organizzazione dedita alla destabilizzazione del mondo.

Non ci si poteva aspettare altra reazione da un sistema di questo tipo che, secondo Luca Sofri, è “una palude che si autoalimenta”, dove  “la mediocrità e l’anacronismo si nutrono di se stessi: si parla di Porta a porta, si va a Porta a porta, la gente guarda Porta a porta e quindi si riparla di Porta a porta”. Qualcuno forse, magari tra i soloni del giornalismo, storcerà il naso davanti a queste critiche eppure penso che un minimo dubbio sull’incapacità della nostra informazione e sulla sua compromissioni con poteri più o meno grandi verrebbe a tutti dopo la semplice osservazione di Massimo Mantellini: come mai nessun grande giornale italiano è stato scelto per ricevere e diffondere i dati di Wikileaks?

Il dubbio viene, eccome, specie se mentre i quotidiani The Guardian, The New York Times, Le Monde ed El Pais e il  settimanale Der Spiegel diffondono i cablogrammi di Wikileaks (con precisi accordi sulla sicurezza)  sui giornali italiani dobbiamo sorbirci patetiche prediche paternalistiche sulla democrazia planetaria in pericolo. Come se la verità fosse un pericolo. Forse la verità è veramente un pericolo, perché la verità, come dice il Vangelo, rende liberi e libertà e verità in coppia hanno sempre fatto paura ai signori di questo mondo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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3 dicembre, Roma

postato il 2 Dicembre 2010

Ore 20.30 – La 7

E’ ospite di “Otto e mezzo”

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Berlusconi sia responsabile, concorra ad aprire fase nuova

postato il 2 Dicembre 2010

Se Berlusconi ha un senso di responsabilità eviti le lungaggini, i logoramenti e i giochini di palazzo e prenda atto che non ha più la fiducia. Si dimetta e magari cerchi lui stesso di contribuire ad aprire una fase nuova nel Paese.

Pier Ferdinando

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Unità d’Italia, volevano far dimenticare anniversario

postato il 2 Dicembre 2010

Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia è una data importante ma c’è stato chi, nella maggioranza, ha cercato di mettere la sordina a questo appuntamento. Si è fatto proprio un bel lavoro per farlo passare in secondo piano.
Gli italiani non hanno ancora perso l’orgoglio di appartenere ad una patria comune, ma quando chi guida dà messaggi sbagliati questa capacità di riconoscersi nell’italianità viene messa a dura prova. Fenomeni come il razzismo, la xenofobia, il separatismo sono pulsioni che esistono in tutta Europa, ma una classe politica seria deve cercare di governarli.
La politica deteriore, invece, utilizza questi fenomeni per cercare di ottenere consensi. In questo modo il frazionismo diventa separatismo, e la diffidenza per chi viene da fuori diventa xenofobia.

Pier Ferdinando

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