18 gennaio, Milano
postato il 18 Gennaio 2011Ore 17.00 – c/o Sede UDC (Via Silvio Pellico 1, IV piano)
Incontro con i giornalisti
Incontro con i giornalisti
L’intervista al Tg3
Se la maggioranza vuole confessare il proprio fallimento rispetto ai problemi del Paese e vuole andare a elezioni anticipate noi siamo pronti. Se invece spera che un partito per evitare le elezioni sia pronto a qualsiasi cosa, noi non rispondiamo a questo indirizzo. Noi non offriamo niente al governo: offriamo un patto agli italiani, ed è una cosa ben diversa. Vogliamo un piano contro la disoccupazione giovanile, che dia detrazioni fiscali a chi assume i giovani, vogliamo la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa. Perché non si parla queste cose? Non possiamo continuare ad accettare che l’agenda dei problemi degli italiani venga dopo quella di alcuni.
Cesa: «L’effetto Ruby? Così si blocca il Paese» (Alessandro Farruggia, QN)
Tremonti e governo tecnico, incubi del premier (Carmelo Lopapa, La Repubblica)
Carte «blindate». Castagnetti decide i tempi (Corriere della Sera)
Uomini e no. Quel disprezzo verso chi ha votato sì (Corriere)
Silvio alla battaglia finale. E spunta l’ipotesi dimissioni (La Stampa)
“Responsabili” in difesa: “La nostra adesione dipende dalle carte” (La Stampa)
L’ultima fiction del Cavaliere (La Repubblica)
L’ossessiva ripetizione del lessico berlusconiano (La Repubblica)
La giunta spacca il Pdl romano (Il Tempo)
La crescita è ferma, le vendite ripartono (La Stampa)
Dopo la rivoluzione Fiat serve un fisco più favorevole (Il Giornale)
Diritti e lavoro, tra miti e verità (Corriere)
Wojtyla per tutti è già santo (Franca Giansoldati, Il Messaggero)
“Dal sì il rilancio di Mirafiori” (Marina Cassi, La Stampa)
La politica unanime: esito sofferto. «La corda non va tirata troppo» (Corriere della Sera)
”Mi pagano per parlare o tacere, così sono diventata ricca” (Piero Colaprico, La Repubblica)
Casini: Silvio vada dai pm, non possono esserci ombre (Claudio Rizzo, Il Messaggero)
Berlusconi: fango su di me. Ma forse non andrà dai pm (Carlo Bertini, La Stampa)
Enrico Letta: «No a Vendola, si sgonfierà. Con Casini già alle Comunali» (Aldo Cazzullo, Corriere della Sera)
«Sinai, ci sono altri trentadue profughi in mano ai predoni» (Ilaria Sesana, Avvenire)
Prodi – Attenzione, non c’è solo la Tunisia (Romano Prodi, Il Messaggero)
Pubblichiamo da ‘Il Messaggero’ l’intervista di Franca Giansoldati a Pier Ferdinando Casini sui retroscena della storica visita del Papa in Parlamento del 14 novembre 2002
Presidente Pier Ferdinando Casini, sarà contento della beatificazione: lei è un devoto di Giovanni Paolo II.
«Sì, lo porto nel cuore. Mi ha segnato»
Lo conosceva bene?
«Come parlamentare ho avuto occasione di incontrarlo varie volte. La prima fu a Bologna durante il Congresso Eucaristico, poi in altre circostanze, a margine di cerimonie ma la vera conoscenza la feci quando Io andai a trovare come Presidente della Camera per invitarlo a Montecitorio. Sapevo che nella legislatura precedente i Presidenti Violante e Mancino gli avevano formulato un analogo invito anche se le elezioni imminenti e la conseguente campagna elettorale costrinsero a congelare la visita. Sicché, d’accordo col Presidente Pera, mi recai in Vaticano conscio della missione non facile. Una visita,del Papa in Parlamento era un atto assai impegnativo e poi le condizioni di salute erano già precarie. Sicché varcai il Portone di Bronzo e restai sbalordito.» [Continua a leggere]
Il Presidente del Consiglio dice una cosa giusta quando afferma che si presenterà dai magistrati. Ombre di questo tipo sul capo del governo non possono esserci.
Pier Ferdinando
Il risultato del referendum di Mirafiori segnala grande saggezza da parte degli operai della Fiat. Ma emerge anche un messaggio rivolto all’azienda e a Marchionne: non tirate troppo la corda, perché stiamo facendo sacrifici pesanti.
Pier Ferdinando
In arabo la parola “Maghreb” significa tramonto e indicava i paesi più occidentali dei domini islamici, oggi questo nome si addice di più alla sorte dei regimi che governano gli stati africani mediterranei. Le cronache di questi giorni ci hanno raccontato il tramonto del presidente tunisino Ben Ali e come ogni tramonto, purtroppo, anche questo si è colorato di rosso, il rosso del sangue di tanti giovani tunisini.
In Italia e in Europa ciò che accade in Tunisia, e che rischia di contagiare l’Algeria e gli altri paesi limitrofi, sembra non destare interesse, forse perchè si è troppo concentrati su un’altra tristemente famosa figlia del Maghreb. Eppure l’Occidente ha delle responsabilità dall’altra parte del Mediterraneo e soprattutto l’Italia ha da imparare qualcosa da quanto sta accadendo in quelle società. L’Occidente è stato a lungo complice del fuggitivo e disprezzato Ben Ali e di tutti gli altri pseudo presidenti nordafricani, un po’ per convenienza (i ricchi affari delle imprese occidentali) e un po’ per quel calcolo politico che preferisce dittatori dal pugno di ferro capaci di sbarrare la strada ai partiti islamici anti-occidentali.
L’ipocrisia occidentale del parlare nei consessi internazionali e davanti ai media di diritti e libertà per poi sottobanco trattare affari con i tiranni locali chiudendo gli occhi su alternanza politica, diritti delle donne e delle minoranze religiose è ben presente nella coscienza del popolo tunisino e in quella degli altri paesi. Questo elemento non è da sottovalutare perché la rivolta tunisina è una moto provocato anche dal risentimento per l’imbroglio e la sopraffazione. In pochi analisti hanno infatti rilevato che una delle gocce che hanno fatto traboccare il vaso sono le rivelazioni della vituperata Wikileaks che hanno reso pubbliche la corruzione e l’insaziabile fame di potere e denaro della famiglia di Leila Trabelsi, una parrucchiera che il presidente Ben Ali ha sposato in seconde nozze nel 1992 e che pian piano ha scalato le vette del potere economico e politico. E’ importante sottolineare che la rivolta tunisina è stata una rivolta giovanile ed una rivolta 2.0. Non si è trattato di poveri straccioni che si sono sollevati contro l’oppressore, ma di giovani istruiti che utilizzano con dimestichezza internet e i suoi social network. Quando il 4 gennaio muore il giovane diplomato Mohamed Bouzid, che si era dato fuoco il 17 dicembre perché non aveva altra prospettiva che il suo chiosco di frutta, la notizia della sua morte comincia a circolare rapidamente su Facebook e Twitter ed è l’input per l’inizio della rivolta.
Da quel giorno la rivolta corre in rete che diventa non solo luogo di denuncia ma un vero e proprio strumento di resistenza ai colpi di coda, anche virtuali, del regime agonizzante. I giovani tunisini non sono esecrabili perchè tentano di riprendersi la loro libertà per far sì che il loro futuro non sia un chiosco di frutta o un barcone nelle acque del canale di Sicilia, per mettere fine all’ingiusto e crescente divario tra ricchi e poveri. L’Occidente e l’Italia possono ignorare questa rivolta? Possono rifiutarsi di apprendere qualcosa da quanto successo in Tunisia? Evidentemente no e ciò per due ordini di motivi. Americani ed europei non possono lavarsi le mani della crisi del Maghreb, non solo perché hanno grandi responsabilità (il sostegno alla scalata del potere e al mantenimento di questo da parte dei dittatori) ma perché l’instabilità politica di questi paesi avrà delle intuibili conseguenze politiche, economiche e sociali sull’Europa. Per capirlo è necessario vedere comparire ogni tipo di imbarcazione carica di immigrati sulle nostre coste o aspettare il tracollo di qualche impresa che ha investito da quelle parti? In secondo luogo è necessario imparare qualcosa dalla gioventù tunisina e chiedersi se in paesi come l’Italia si può continuare a imbrogliare, speculare e sopraffare le giovani generazioni. Fino a quando abuseremo della loro pazienza? C’è da augurarsi che in Italia gli stati di Facebook e i messaggi di Twitter continuino a raccontare una tranquilla quotidianità e un futuro migliore.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi
Le accuse dei pm, l’ira del premier (Ferrarella Luigi, Corriere della Sera)
La testimone che incastra il premier (Giuseppe D’Avanzo, La Repubblica)
Asse Casini-Fini: silenzio, evitiamo strappi (Giovanni Grasso, Avvenire)
Nasce la nuova giunta Alemanno: «E’ la squadra del cambiamento» (Davide Desario, Il Messaggero)
I responsabili ci sono, ma per ora guardano più ai pm che al Cav. (Il Foglio)
Bersani punge gli oppositori: «Una linea alternativa non c’è» (Monica Guerzoni, Corriere della Sera)
La suora guarita dal Parkinson «Sento Wojtyla al mio fianco» (Daniele Zappalà, Avvenire)
Ben Ali fugge. Il Paese in stato d’emergenza (Antonella Rampino, La Stampa)
E’ un momento di grande emozione per tutti coloro che hanno conosciuto ed amato Giovanni Paolo II.
La sua beatificazione era già avvenuta nel cuore e nell’animo di tanti fedeli che hanno, all’indomani della sua scomparsa, ritenuto Papa Wojtila già santo. Non posso non ricordare, in questa circostanza, lo straordinario evento che ho vissuto con i colleghi parlamentari ricevendo il Papa nel Parlamento italiano. Le sensazioni di quella ricorrenza ci accompagneranno sempre.
Pier Ferdinando