Archivio per Marzo 2011

Terzo polo, tutti ruotano attorno a noi

postato il 5 Marzo 2011

Quando tre anni fa siamo arrivati in Parlamento la gente pensava che saremmo naufragati di lì a poco. Ora invece tutti ruotano attorno a noi. Chi si illudeva di essere autosufficiente ha sbagliato. E commette un errore chi pensa di governare contro Berlusconi, come chi affida le proprie speranze messianiche nel premier.

Pier Ferdinando

3 Commenti

Berlusconi? Prima se ne va meglio è

postato il 5 Marzo 2011

Berlusconi prima se ne va meglio è. Io sono certamente un uomo di centrodestra, ho collaborato con il presidente del Consiglio ma sono convinto che prima se ne va meglio è. Se essere leader del centrodestra significa essere designato da Berlusconi, io non ho una possibilità su un milione. Ma comunque non mi interessa.

Pier Ferdinando

Commenti disabilitati su Berlusconi? Prima se ne va meglio è

Tanta voglia di futuro, ma a scuola i pc sono rotti

postato il 5 Marzo 2011

L’On. Roberto Rao è intervenuto, qualche settimana fa, al convengo organizzato da AgendaDigitale, spiegando la posizione che il nostro partito ha assunto sul delicato tema della libertà della Rete. In questi lunghi mesi, grazie a una proficua collaborazione tra la base e diversi parlamentari, l’Udc ha voluto entrare a pieno titolo nel dibattito sulla modernizzazione del nostro Paese: obiettivo, questo, da raggiungere attraverso la promozione di un Internet libero, finalmente, di svilupparsi come meglio crede.

La sfida di AgendaDigitale – da noi già accettata e rilanciata – sta proprio in questo, nel dare a questa nostra benedetta Italia una “strategia digitale”, che possa farci uscire dal gap tecnologico e informatico (in cui ci hanno cacciato anni e anni di politiche miopi) e restituirci a degli standard europei e moderni. Rao ha esemplificato questa brutta situazione, in modo chiaro, raccontando agli intervenuti del convegno il rapporto che hanno i suoi due figli con il mondo digitale: il figlio più piccolo, di un anno e 8 mesi, è nato con l’iPad e – come racconta Rao – sa già come utilizzarlo, mentre la figlia più grande, di 7 anni, si ritrova a non fare informatica a scuola perché mancano i computer o è assente la maestra. Ci sono solo 6 anni di differenza tra i due, eppure è evidente come la seconda – che pure vive in un contesto sociale perfettamente integrato qual è quello scolastico – si trova in difetto rispetto al primo. In sostanza, finché si è in famiglia la tecnologia è qualcosa di fondamentale e accessibile, ma non appena si esce dai confini della propria dimora, ecco che ci ritroviamo immersi in un mondo vecchio che non riesce a cambiare.

E la politica? A parole – sottolinea Rao – si dice subito pronta: è nei fatti che è assente, incapace di interpretare i reali bisogni della società e dei suoi cittadini. Quale differenza c’è tra le aule che frequento oggi io e quelle che frequentava un mio bisnonno decenni e decenni fa? Praticamente nessuna: a parte i calamai, le lavagne, i banchi e le cattedre sono sempre lì. E attenzione, non è generalizzare o banalizzare! Il fatto che la Scuola abbia rifiutato l’integrazione tecnologica, l’ha resa più povera e debole. Sarà un caso poi, che il nostro Senato promulghi una legge illiberale e retrograda che proibirà di fare sui libri sconti superiori al 15 per cento? E sapete perché? Per paura di Amazon e dell’e-commerce dei libri! Ha ragione Francesco Costa, che su questo punto ha scritto: “da sempre i cambiamenti aprono nuovi mercati e altri ne chiudono, creano nuove professioni e altre le cancellano: non c’è stato modo di salvare i maniscalchi quando sono state inventate le automobili”. Abbiamo voglia di Futuro.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Commenti disabilitati su Tanta voglia di futuro, ma a scuola i pc sono rotti

Rassegna stampa, 5 marzo 2011

postato il 5 Marzo 2011
Il Nuovo Polo si prepara alla prima vera competizione elettorale, quella delle amministrative a Napoli, Milano, Bologna e Torino, scegliendo i vari candidati: nel capoluogo lombardo, la scelta è ricaduta su Manfredi Palmeri, futurista e presidente del consiglio comunale, che ha tutte le carte in regola per giocare, con orgoglio e dignità, una partita liberale e veramente riformista; mentre nelle altre città, si fanno i nomi di Alberto Musy per Torino e Stefano Aldovrandi per Bologna. Stallo a Napoli, dove il pasticcio combinato dal Pdl con le firme dei consiglieri dimissionari ha rimesso in gioco la Jervolino (una “tragedia di una città ridicola”, osserva duro il quotidiano online Linkiesta). Spazio poi, nella nostra rassegna, ad altri tipi di trasformismo, a più alti livelli: pare che il tanto agognato rimpasto di governo stia per arrivare e Mario Pepe, “eminenza grigia” dei Responsabili, snocciola al Riformista gli identikit dei possibili promossi: e tra Calearo, Misiti e Romano, si arriva pure a Sarkozy e a Attali. Pare che l’accordo sia un ministero (quello dell’agricoltura per il siciliano Romano, che però se la vede con altri due pretendenti, spiega il Giornale) più 5 sottosegretariati (perfino il Tempo titola “I Responsabili alzano il prezzo”). Infine, leggete: l’editoriale di Zagrebelsky su democrazia e oligarchie varie; la difesa del diritto allo studio e alla cultura, dal Secolo; l’analisi di Cappellini, sempre sul Riformista, sul Pd e il “fantasma della vittoria”.

In Italia è polemica sulla “No Fly Zone” (Carlo Bertini, La Stampa)

II Terzo polo sceglie Palmeri a Milano. A Torino l’ipotesi di candidare Musy (Corriere della Sera)

Il punto di Folli – Ora l’orizzonte della legislatura non può limitarsi al rimpasto (Stefano Folli, Sole24Ore)

Lunedì comincia il dibattito. Pregiudiziali votate giovedì (Pier Luigi Fornari, Avvenire)

Napoli, il Pdl resuscita la Iervolino (Luigi Roano, Il Mattino)

L’Udc attacca i trasformisti «Noi estranei» (Gerardo Ausiello, Il Mattino)

Rosetta torna a Palazzo, la tragedia di una città ridicola (Ciro Pellegrino, Linkiesta)

Pepe: “Da Calearo a Misiti, ecco come sarà il nuovo governo” (Tommaso Labate, Il Riformista)

“La riforma si può fare” (Matteo Bartocci, Il Manifesto)

La democrazia contro le oligarchie (Gustavo Zagrebelsky, La Repubblica)

Il Tg1 e la bufala Affittopoli. Ma Minzolini non vuole vedere le sedi Pdl in affitto (Mariagrazia Gerini, L’Unità)

Il rimpasto passa dall’Agricoltura: tre pretendenti per una poltrona (Laura Cesaretti, Il Giornale)

I Responsabili vogliono sei posti di governo. Galan, ipotesi Enel per liberare l’Agricoltura (Giovanna Casadio, La Repubblica)

I Responsabili alzano il prezzo (Fabrizio Dell’Orefice, Il Tempo)

I ragazzi in piazza. “Per difendere un libro vero” (Guglielmo Federici, Secolo d’Italia)

I democratici e il fantasma della vittoria (Stefano Cappellini, Il Riformista)

Commenti disabilitati su Rassegna stampa, 5 marzo 2011

No fly zone per fermare il criminale Gheddafi

postato il 4 Marzo 2011

Il criminale Gheddafi va fermato. L’unica soluzione per impedire almeno ai suoi aerei e ai suoi elicotteri di sparare su migliaia di persone inermi è imporre al più presto una no-fly zone per iniziativa della Comunità internazionale. L’intervento umanitario è encomiabile, ma oggi va fermata in ogni modo la strage di civili. Chiediamo al governo italiano di farsi interprete di questa necessità.

Pier Ferdinando

1 Commento

Parmalat, il silenzio assordante del governo

postato il 4 Marzo 2011

Se non fosse per il Decreto Milleproroghe, che contiene di tutto e di più, si può affermare che il Governo si è dimenticato dell’economia.

In questi giorni, c’è l’aumento dei carburanti, ma il governo non prende alcun provvedimento, tanto paga il cittadino. In questi giorni si discute dei futuri assetti di Parmalat, azienda “gioiello” del settore alimentare italiano, e il governo glissa, dopo avere preso un provvedimento che rischia solo di peggiorare la situazione.

Ma andiamo con ordine.

Dopo che Parmalat è stata “graziata” dalla legge Marzano, è rinata con una proprietà azionaria polverizzata. Nel frattempo è stato messo a capo di Parmalat Bondi, il quale ha adottato una strategia molto prudente, che inizialmente poteva pure andar bene, ora non più. Teniamo presente che Parmalat non ha debiti, produce utili e ha 1,4 miliardi di euro di liquidità che provengono dalle cause risarcitorie che ha vinto. Per statuto, può distribuire come dividendi ai soci solo il 50% degli utili annuali.

Indubbiamente la gestione Bondi produce utili, ma con l’enorme cassa detenuta, la società, secondo gli analisti e gli azionisti, potrebbe intraprendere una strategia di crescita con acquisizioni o distribuire un dividendo più alto.

Proprio per questo motivo, tre fondi di investimento esteri (Skagen, Zenit, e Mackenzie) hanno rastrellato il 15% della società e vogliono proporre una lista alternativa all’attuale Consiglio di Amministrazione, in pratica eliminando Bondi, affinchè l’enorme liquidità di cui sopra venga distribuita con un dividendo straordinario, o serva per fare delle acquisizioni.

Il governo, volendo difendere a tutti i costi Bondi, è intervenuto: prima sondando i fondi e cercando un accordo con loro per mantenere gli attuali vertici societari, poi, visto che non ha avuto risultati, inserendo nel decreto milleproroghe una norma che blocca le modifiche dello statuto di Parmalat fino alla scadenza del concordato (che avverrà nel 2020).

I fondi di investimento non hanno desistito e hanno continuato a formare una “lista” per sostituire l’attuale dirigenza di Parmalat.

A questo punto, il governo si è defilato e le banche hanno provato a cercare dei “cavalieri bianchi”, ovvero degli acquirenti che possano difendere Bondi e la italianità di Parmalat.

E arriviamo alle notizie di questi giorni: Luca Cordero di Montezemolo con il suo fondo Charme sarebbe interessato all’acquisizione, ma solo se entrano altri fondi di investimenti, anche perché, servirebbe almeno 1 milairdo di euro per il 30% della Parmalat (fatti salvi ulteriori obblighi di Opa e quindi altri esborsi di denaro), e il fondo Charme non li ha a causa di perdite pregresse. Le necessità del fondo Charme sarebbero risolte se nella cordata entrassero altri imprenditori e soprattutto Banca Intesa, che preme per fare fondere Parmalat e Granarolo (di cui la banca detiene il 15%), ma quest’ultimo punto, se da un lato favorirebbe Banca Intesa, dall’altro mancherebbe di senso a livello industriale: le due società non sono complementari, operano negli stessi mercati, e dovrebbero, anzi, cedere pezzi dei loro business in Italia a causa dell’antitrust. Quindi una operazione finanziariamente conveniente per i big (non per i piccoli azionisti), ma dalle scarse prospettive industriali. In ogni caso al momento, anche per i tempi risicati (le liste per sostituire il cda devono pervenire entro il 18 marzo), la cordata italiana sembra molto difficile da realizzare.

Nel frattempo è scesa in campo anche una grossissima società brasiliana per acquistare Parmalat, la Lacteos do Brasil, la quale metterebbe a capo della Parmalat, il manager gerardo Bragiotti, e sostiene che manterrebbe due sedi centrali: una in Brasile e una in Italia.

C’è da chiedersi: per quanto tempo manterrebbe queste due sedi centrali? E chi avrebbe realmente il controllo?

Su tutto questo il governo tace. Ma il rischio è che chi compra Parmalat poi assorba la liquidità per i suoi scopi e non certo per il benessere di tutti gli azionisti, ottenendo in tal modo di comprare Parmalat usando gli stessi soldi dell’azienda (tecnica nota come “leveraged buy out”).

Come ho detto, il governo sembra essersi defilato, ma questo silenzio non è accettabile se consideriamo che parliamo di una azienda che fattura oltre 4 miliardi di euro l’anno e garantisce molti posti di lavoro in Italia.

Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Aggiornamento del 7 marzo 2011:

Come previsto, a causa dei tempi risicati, la cordata italiana difficilmente vedrà la luce, infatti il fondo Charme di Luca Cordero di Montezemolo ha deciso di rinunciare, anzi ha affermato in una nota “di non avere allo studio, e di non essere in alcun modo coinvolto, in alcuna ipotesi relativa alla creazione di cordate per acquisire quote di tale società”.

A questo punto restano due contendenti a fronteggiarsi (senza considerare Bondi che ha fatto sapere di non volere schierare una sua lista, ma lasciare la decisione sul suo futuro agli azionisti): i fondi stranieri Zamechi, Mackanzie, Zenit (a cui sembra che si sia aggiunto il fondo Blackrock che detiene il 6% della società), e l’ipotesi prospettata da banca Leonardo di trovare una “combinazione” con la società brasiliana Lacteos do Brasil.

Si vocifera di manovre di Mediobanca e Banca Intesa, ma sembrano voci senza alcun fondamento e soprattutto, senza un piano industriale da proporre.

Fermo restando che le aziende devono essere libere di agire e che non spetta alla politica guidare le aziende, è anche vero che scopo della politica e del Governo è anche quello di disegnare il quadro normativo in cui le aziende si muovono, e soprattutto quello di vigilare nell’interesse di tutti: deigli azionisti (anche di minoranza), dei risparmiatori, dei consumatori e dei lavoratori.

A tal proposito, si continua a registrare la latitanza del Governo.

Aggiornamento dell’11 marzo 2011

Come ormai tutti sanno, Bondi, amministratore delegato di Parmalat, rischia di essere estromesso dalla società. La sua rispsota non è quella di presentare un piano industirale valido che convinca gli azionisti, ma semmai di cercare l’appoggio del governo che lo difenda, magari con qualche nuova interpretazione della legge Marzano.

Il punto per me non è l’italianità, che nel mondo gloablizzato odierno rischia di essere un concetto obsoleto, ma se una azienda ha un percorso di sviluppo. E questo dovrebbe anche essere l’interrogativo principale di un governo serio che abbia una politica economica degna.

Putroppo si registra l’ennesimo caso in cui il governo, se interverrà, lo farà solo tramite spot elettorali senza pensare realmente a cosa sia meglio per i lavoratori e gli azionisti di una azienda.

E su quest’utimo punto credo che sia doveroso affermare che non è vero che gli interessi degli azionsiti e dei lavoratori sono divergenti, ma anzi sono coincidenti, perchè una azienda che si sviluppa, porta lavoro per i lavoratori, e porta valore per gli azionisti.

4 Commenti

Casa, l’Anci fa i conti e lancia l’allarme

postato il 3 Marzo 2011
In mezzo ai festeggiamente per l’approvazione alla Camera dei Deputati del federalismo municipale si alza l’avvertimento dell’ANCI, che, facendo i conti, “scopre” che i provvedimenti del governo, se non saranno adeguatamente controbilanciati, potrebbero generare aumenti negli affitti per circa 1 milione di famiglie.
Claudio Fantoni, presidente della Consulta Casa dell’ANCI, afferma infatti: “Se la cedolare secca non verrà bilanciata da altre misure, è concreto il rischio aumento per l‘affitto di quasi 1 milione di famiglie, che secondo le stime disponibili, rischiano di essere trasferite dal canale concordato al mercato a canone libero”. Anzi la cedolare secca finirà con l’incidere in modo penalizzante o comunque non incentivante sul canale concordato degli affitti, finendo per compromettere la politica di calmieramento dei canoni promossa in questi anni dai Comuni e soprattutto snaturando lo scopo della sua istituzione che era quello di stimolare l’edilizia privata.
Sbaglia chi crede che questo avviso giunga inaspettato, perché da settimane il governo era stato messo sull’avviso e non solo da noi, ma anche da fonti autorevoli e “neutrali” come la CGIA di Mestre che tramite Bertolussi aveva messo in guardia da rischi simili, denunciando come le intenzioni del governo, fossero solo intenzioni, ma che alla fine nulla sarebbe cambiato per le famiglie in affitto e per i proprietari di case e che anzi a trarne i benefici sarebbero stati solo i redditi alti.
A questo punto non resta che unirsi a quanti chiedono al governo di dare vita ad un tavolo con le parti sociali coinvolte o ad un Osservatorio neutrale, per verificare le disposizioni e la loro reale efficacia, perché la riforma federalista ha senso solo se porta dei benefici a tutti i cittadini, o almeno ai cittadini più deboli perché economicamente svantaggiati.
Noi non possiamo e non dobbiamo avallare una riforma che nella migliore delle ipotesi lascia tutto invariato a livello globale, ma che poi presenta vantaggi per chi non ne ha bisogno, e svantaggi per chi è già tartassato.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati
Commenti disabilitati su Casa, l’Anci fa i conti e lancia l’allarme

Ospite di Uno Mattina

postato il 3 Marzo 2011

Allo spazio ‘Question time’

1 Commento

La rinascita del Cile e l’anti-risorgimento italiano

postato il 3 Marzo 2011

Il presidente cileno Sebastian Piñera in un’intervista al Corriere ha dichiarato di non sentirsi affatto paragonabile al nostro presidente del Consiglio, l’intramontabile Silvio Berlusconi. In molti avvicinano i due uomini in quanto entrambi sono di centrodestra, entrambi rappresentano il potere esecutivo di due Paesi, entrambi provengono dall’imprenditoria (e la somiglianza si fa più marcata se pensiamo che Piñera, come il nostrano Cavaliere, ha un passato da imprenditore nel calcio).

Piñera è presidente da poco meno di un anno, un novizio del mestiere rispetto al suo termine di paragone, ma ha tenuto a rimarcare le dovute differenze, che sono di natura sostanziale e non solo formale. Innanzitutto l’età. Noi italiani siamo assuefatti ad un mondo politico fatto di vecchi, di dinosauri, di fossili cresciuti e invecchiati nella politica, con scarsa propensione a farsi da parte. Ne conosciamo a memoria i nomi visto che da vent’anni campeggiano con le loro dichiarazioni sulle prime pagine dei giornali, a seconda della fortuna o della visibilità della proposta politica di cui si fanno di volta in volta portavoce. Piñera, già esponente politico di rilievo, è presidente dal 2010. Berlusconi dal 1994 ha già formato quattro governi. Il cileno ha poco più di sessant’anni, l’italiano va per i settantacinque. Piñera ha studiato ad Harvard e ha insegnato per quindici anni, quindi conosce bene il mondo accademico. Per Berlusconi le università e le scuole superiori sono solo feudi della sinistra, e non perde occasione per operare tagli al sistema-istruzione attraverso ministri poco inclini al dialogo con le forze che rappresentano la scuola e l’università. E, last but not least, il presidente cileno ha risolto un nodo che per Berlusconi e l’opinione pubblica italiana pesa come un macigno: il conflitto di interessi, formula ormai accettata nel comune parlare che indica quel grumo di interessi a cavallo tra politica e affari di un leader che rimane imprenditore pur essendo presidente del Consiglio. In Italia Berlusconi continua a possedere tre tv, alcuni giornali, case editrici, imprese finanziarie e società sportive. Un rapporto pericoloso mai affrontato con legge, malgrado le parole spese e le accese proteste delle forze d’opposizione, negli anni in cui il “conflitto di interessi” impazzava sui giornali e portava in piazza persone indignate. Berlusconi è  ancora lì coi suoi grassi dividendi mentre il suo “omologo” cileno, sebbene nessuno glielo abbia chiesto, ha smesso i panni dell’imprenditore per quelli di uomo dello Stato che deve guardare a interessi collettivi e non di parte. Una rarità a cui non siamo abituati. Ma tant’è.

Al confronto la figura di Berlusconi, e dell’Italia, se posso permettermelo, impallidiscono ancora di più, quando Piñera parla delle ultime tappe importanti compiute dal suo popolo, che ha saputo mettere da parte l’asprezza di un passato fatto di divisioni e lotte politiche in vista di un’unità politica e sociale, preludio a uno sviluppo economico convinto che, si spera, porterà il Paese ad affrancarsi dalla povertà. “Il Cile è una società riconciliata”, “siamo tornati alla democrazia in modo unitario, saggio e pacifico” e il leader ha progetti seri e robusti per la crescita.

Il confronto è doloroso. Certo a noi non manca la democrazia, il nostro percorso traumatico lo abbiamo già affrontato decenni or sono, ma è quel clima di divisione a preoccupare.

Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia potrebbe essere, perché  no, l’anno della riconciliazione e al contempo l’anno delle riforme, queste sconosciute, sempre evocate e mai realizzate. Il Paese le aspetta dal lontano 1994 quando il deus ex machina le promise solennemente, ribadendole in occasioni successive. La seconda repubblica non ha invertito la rotta, l’Italia è sempre ferma al palo. Se il 2011 ci porterà in una “terza dimensione” della politica, con la creazione convinta di un piano di riforme condivise sarà già un grande risultato. Ma le premesse non prospettano nulla di buono. Il federalismo che tutti desideriamo ha il bollino della Lega, che ne dispone come se fosse appannaggio personale senza considerare le posizioni delle altre forze politiche e dei veri rappresentanti delle autonomie. Il quadro è desolante ma per invertire la rotta basta poco: più responsabilità da parte di chi governa (perché ognuno ha i suoi ruoli, è bene sottolinearlo) e maggiore ascolto a quei protagonisti della scena pubblica che ci danno tanti suggerimenti, a cominciare dal presidente della Repubblica, figura preziosissima, passando per la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che non perde occasione per chiedere alla politica di far ripartire il Paese, fino ad arrivare alle associazioni, alle aggregazioni civili dell’Italia migliore.

Siamo alla vigilia del vertice italo-cileno, l’unica cosa che mi sento di dire è: prendiamo esempio dal Cile, e il consiglio che rivolgo al presidente del Consiglio (e all’Italia) è di prendere esempio da Sebastian Piñera.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

2 Commenti


Twitter


Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram