Archivio per Luglio 2011

Su Lodo Mondadori un balletto indecente

postato il 5 Luglio 2011

La norma sul Lodo Mondadori comparsa nella Manovra non ha padri né madri, eppure dovrebbe esserci chi si assume la responsabilità di averla inserita. Invece, abbiamo assistito a un balletto indecente e indecoroso, segno del presappochismo, della confusione e dell’arroganza che ci sono nel governo e nella maggioranza.

Pier Ferdinando

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06 luglio, Roma

postato il 5 Luglio 2011

Ore 10.00 – Palazzo Marini – Sala delle Colonne (via del Pozzetto 158 )

Partecipa a Roma al convegno promosso da Feder Fida ( Federazione Italiana Diritti degli Animali): “Violenza/Animali – Abusi/Umani”

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Alfano, l’onestà dei fatti e quella dei proclami

postato il 5 Luglio 2011

“Voglio un partito degli onesti”, questa la frase simbolo che il neo-acclamato segretario politico del PDL Angelino Alfano ha consegnato alla stampa. Una dichiarazione di intenti forte e meritevole di attenzione. È auspicabile che non rimanga uno slogan ma sia il monito quotidiano dell’attività del giovane (solo se confrontato con gli altri) Alfano, una volontà chiara che lo accompagni nell’opera di rinnovamento e cambiamento del partito di maggioranza relativa. Importante sottolineare due aspetti: con questa frase a effetto si è squarciato, diciamo così, il velo di ipocrisia che avvolgeva il PDL. È una presa di coscienza quasi inaspettata: nessuno avrebbe detto tali parole se non avesse prima constatato che all’interno del movimento di Berlusconi l’onestà non alberga propriamente nell’empireo dei principi fondanti. Questo per via di un presupposto concettuale, mentale dei berlusconiani: la politica è fare, è attività, dinamismo, poche remore e freni morali, l’onestà rallenta, si può perdonare se la si contravviene.

Il secondo aspetto è il piglio decisionista del nuovo segretario: vuole mostrarsi come l’uomo che si è guadagnato il titolo, non ricopre quell’incarico solo in virtù di una investitura del Cavaliere, ha le carte in regola per sferzare e rimettere in carreggiata il partito.

Ora lo aspetta la prova dei fatti. Ma questi, come spesso avviene, sono (o sono stati) inclementi, o quantomeno presentano una tempestività sorprendente.

In platea, mentre il ministro pronunciava le fatidiche parole, sedeva tra gli altri mille e più delegati, Alfonso Papa, deputato PDL su cui pende una richiesta d’arresto della magistratura di Napoli nell’ambito dell’inchiesta P4. Alfano è stato coraggioso ed in qualche maniera ha giocato al rialzo, quel passaggio proprio mentre infuria la bufera delle intercettazioni e dei legami illeciti politica-affari che investe il partito (oltre a Papa è nei guai anche il deputato Marco Milanese, strettissimo collaboratore del superministro Tremonti) ha di che far discutere: Alfonso Papa sarà messo sotto la lente del Segretario che per un rinnovato PDL vuole innanzitutto onestà? Come giustificherebbe l’imbarazzante presenza di un uomo che la magistratura ritiene creatore e membro di una associazione segreta pericolosa per le istituzioni? Il dovere dell’onestà si realizza nell’essere indipendenti da ogni pressione esterna, indebita e nel denunciare i tentativi di questo tipo. Insomma, Alfano ha avuto coraggio in quanto ora dovrà dimostrare che nelle parole che ha pronunciato crede davvero. E l’occasione è lì da venire: la giunta per le autorizzazioni deve pronunciarsi sulla richiesta di arresto. Come si comporterà il PDL a trazione Alfano? A dar retta alle intenzioni, profferte a favor di taccuini e telecamere, dovrebbe dare segnali di giustizia, punendo il deputato che trescava con Bisignani. Ma la sicurezza non c’è. E questo non per essere giustizialisti, ma per iniziare bene.

L’altro fronte della nuova battaglia sull’onestà è, se possibile, più scottante e “mediatico” perché riporta in superficie un nodo mai sopito, terreno di scontro aspro, il conflitto di interessi. La pietra dello scandalo è costituita da una piccola norma inserita nella manovra presentata dal governo al Capo dello Stato che modifica due articoli del codice di procedura civile, ponendo in capo al giudice dell’appello, in luogo della semplice facoltà, l’obbligo di sospendere l’esecutività della condanna di risarcimenti superiori ai 10 milioni di euro in primo grado e 20 milioni di euro in Cassazione. Una semplice riscrittura utile a mettere in salvo le casse della Mediaset del presidente del Consiglio, chiamata a risarcire la Cir di De Benedetti della supercifra di 750milioni di euro. I commenti si sono sprecati, la norma ha già assunto un appellativo familiare alle italiche orecchie, “ad personam”, tramutato efficacemente in “ad aziendam”. Questa operazione è tanto più odiosa se si pensa che il decreto contiene disposizioni per tutt’altra materia: la manovra predispone misure per il pareggio di bilancio entro il 2014, misure dure con ricadute dirette e pesanti sui cittadini. E allora, ci chiediamo, per quale motivo bisogna inserire una norma che tutela le grandi imprese se non per favorire nell’immediato un’azienda ben definita, sulla quale pende una condanna ad un risarcimento così ingente?

Alfano deve dimostrare di non essere la faccia pulita di un partito che nel chiuso delle stanze dà da pensare di occuparsi di tutt’altro che all’onestà, alla giustizia e alla legalità. Alfano deve dimostrare che il viatico da lui posto come fondamentale da quel palco sia la sostanza, la reale volontà collegialmente riconosciuta di riformare e migliorare. Il banco di prova è la contrastante disposizione del decreto licenziato dal Consiglio dei Ministri: sappia far seguire i fatti alle sue parole.

Ne va anche del suo interesse, del suo futuro politico, della sua dignità di uomo di partito: la sua iniziativa, se reale e non fittizia, può dimostrare che il PDL non è fatto di plastica, che non è sotto la bacchetta del premier, che sa cambiare pelle quando è necessario, che sa accorgersi del richiamo della buona politica. E la buona politica impone che la salva-Mediaset, come è stata rapidamente ribattezzata, ritorni da dove è arrivata e venga derubricata a “norma dal sen fuggita”. Tutto ciò che è ad personam è ontologicamente contrario all’onestà. Basta questo per dire basta a Berlusconi e per dire sì ad un PDL che stia alle regole del gioco.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

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«Ora Berlusconi è finito, ho rispetto per il segretario ma chiuda con il bipolarismo»

postato il 3 Luglio 2011

Pubblichiamo da “La Repubblica” l’intervista a Pier Ferdinando Casini

di Goffredo de Marchis

«Berlusconi un tempo agitava il popolo contro il palazzo, ora sta asserragliato nel palazzo preoccupato dal popolo. L’elezione di Alfano alla segreteria del Pdl non va sottovalutata ed è un segno, più eloquente di altri, che la parabola di Silvio si sta esaurendo». Pier Ferdinando Casini osserva da fuori ciò che succede nel centrodestra. Ma lo fa con occhi esperti perché quella è stata casa sua per molti anni. «Aspetto il neosegretario alla prova dei fatti», dice il leader centrista. «E’ un ragazzo intelligente che ha un compito difficile».

Alfano punta a costruire la costituente popolare anche con voi. Senza chiedervi i voti per puntellare il governo. È la strada giusta per un dialogo con l’Udc?
«Non mi meravigliano le parole di Alfano. Il Terzo Polo è strattonato a destra come a sinistra. L’autosufficienza proclamata all’atto fondativo di Partito democratico e Popolo delle libertà infatti è rimasta sulla carta. Tutti sanno che la nostra forza è semplicemente decisiva. Nella politica italiana sta avvenendo qualcosa di molto importante. E l’elezione di Alfano, per alcuni versi, ne è la certificazione. Chi vuole vedere il bicchiere mezzo vuoto può pensare sia solo la protesi di Berlusconi, o può sindacare sul modo singolare in cui è stato eletto». [Continua a leggere]

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L’insostenibile leggerezza di Nichi

postato il 2 Luglio 2011

“Nichi, ma che stai a di’?” era l’esilarante rubrica quotidiana sul nonsense poetico di Nichi Vendola che appariva sul blog di Claudio Cerasa e sulle pagine de “Il Foglio”, oggi è la domanda che i più attenti osservatori pongono al Presidente della regione Puglia quando, abbandonati i temi aulici della poesia e della fantasia, si cimenta con l’attualità politica e i problemi scottanti del Paese.

Gli ultimi mesi sono stati particolarmente interessanti da questo punto di vista, forse per il maggior impegno profuso dal leader di Sinistra ecologia e libertà nella scalata alla leadership del centrosinistra che lo portano spesso a distinguo e ad arditi sorpassi in curva. Ma i sorpassi in curva, si sa, sono pericolosi e si rischia di andare rovinosamente a sbattere  come è accaduto al povero Vendola che all’indomani della storica vittoria di Pisapia alle elezioni amministrative milanesi ha voluto mettere il cappello sull’impresa dell’avvocato riformista, sul quale aveva puntato fin dall’inizio, con un comizio fiume sulla Milano espugnata, sulla pornografia del potere e sulla necessità di abbracciare i rom e tutti i credenti di altre religioni. Giuliano Pisapia che aveva vinto con una campagna dai toni moderati e fatta di proposte concrete liquidò il furor vendoliano con una ramanzina da maestro Perboni: «A Nichi Vendola voglio bene. Ma quando va in una città che non conosce dovrebbe ascoltare più che parlare».

La consultazione referendaria su nucleare, acqua e legittimo impedimento è stata l’altra tigre da cavalcare e considerato che Antonio Di Pietro si poteva attestare la paternità della consultazione e dunque della vittoria, Vendola si è gettato anima e corpo nella campagna referendaria e si è particolarmente esposto per i referendum sull’acqua additando la sua Puglia come modello di gestione pubblica. Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi dice un detto popolare, Nichi Vendola però sembra essersi dimenticato non solo il coperchio, ma anche la pentola e soprattutto dell’acqua della pentola, perché nonostante la schiacciante vittoria del Sì al secondo quesito dei referendum, in Puglia le tariffe dell’acqua non scenderanno di un centesimo, nemmeno di quel 7% di remunerazione del capitale investito che è stato abrogato.

Davanti alla palese contraddizione tra quanto sostenuto durante la campagna per il Sì e le scelte di governo regionale l’immaginifico Nichi non ha trovato metafore adatte e si è lasciato andare ad un pragmatico «è indispensabile fare i conti con la realtà per non precipitare nei burroni della demagogia». Anche in questa occasione qualcuno più attento, che aveva ascoltato il Vendola referendario, ha azzardato un “Nichi, ma che stai a di’?” chiedendo perché non avesse detto prima queste cose ai pugliesi. Il governatore pugliese con piglio berlusconiano ha risposto con un lapidario «nessuno me le ha chieste». Se le acrobazie vendoliane strappano ai più qualche amaro sorriso, dalle parti del centrosinistra fanno arrabbiare parecchio tanto che un autorevole blogger sentenzia: «anche stavolta nel centrosinistra c’è chi pensa di vincere le elezioni raccontando balle demagogiche ai suoi elettori, promettendo cose che non potrà e non vorrà mantenere e che provocheranno il ritorno dei movimenti dei delusi, dei siete-come-Berlusconi, delle manifestazioni contro il Governo organizzate dai partiti di Governo, eccetera eccetera».

L’insostenibile leggerezza di Nichi non si è fermata al referendum ma si è fatta risentire nei giorni scorsi, complice la sovraesposizione dei suoi concorrenti per la leadership dell’opposizione, quando in occasione degli scontri per la realizzazione della Tav Vendola è salito sulle barricate evocando il governo dei carri armati e dipingendo l’Italia come il Cile di Pinochet. Vano il tentativo di Casini o di Chiamparino di spiegare a Vendola che se vuole governare questo Paese non può fomentare le proteste ma deve prendere posizione, fare delle scelte chiare e soprattutto dare delle soluzioni. Il viaggio nella leggerezza di Vendola al momento finisce qua, ma è probabile che la fabbrica di Nichi produrrà altro materiale magari per una nuova rubrica di Cerasa o per un nuovo sketch di Checco Zalone, di certo non produrrà un programma di governo e un progetto di crescita del Paese, e di questo ne deve tenere particolarmente conto il Partito Democratico che se vuole costruire veramente l’alternativa riformista a Berlusconi non può perdere tempo dietro a chi propone solo mille distinguo e balle demagogiche.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Rai, l’ultimo spenga la luce e chiuda la porta.

postato il 1 Luglio 2011

Non c’è neanche più gusto a commentare i clamorosi autogol della Rai che, giorno dopo giorno, perde pezzi come un vecchio rottame. Dopo i polemici addii del duo Fazio-Saviano e di Michele Santoro a Viale Mazzini arrivano le dimissioni di Lucia Annunziata che dopo sette anni ha visto cancellato, senza preavviso, dai palinsesti il suo “In ½ ora”.  In Rai si stanno attrezzando anche per eliminare “Report” di Milena Gabanelli con un espediente notevole: sospendere la copertura legale al programma. Come se non bastasse anche Simona Ventura, di cui in tanti non sentiranno la mancanza, ha preferito mollare Rai Due per la ben più generosa Sky.

Mentre è in corso questo esodo biblico dalla Tv di Stato i suoi dirigenti si cimentano in scuse fantasiose come l’errore di stampa del direttore di Rai Tre Paolo Ruffini o incredibili piagnistei come quello del direttore di Rai due Marco Liofredi. In un paese normale una dirigenza come questa che inanella insuccessi uno dopo l’altro verrebbe mandata a casa nello spazio di qualche giorno, ma purtroppo siamo in Italia e questa situazione, con evidente soddisfazione di qualcuno, probabilmente si protrarrà a lungo magari fino a quando non se ne andranno anche i pietrificati abbonati Rai in prima fila. Cortesemente, l’ultimo spenga la luce e chiuda la porta.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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