postato il 2 Agosto 2011
La giornata di oggi, per chi non è avvezzo alle contrattazioni borsistiche, può essere sembrata schizofrenica. Prima i listini europei aprono in forte rialzo, poi iniziano a calare, fino a crollare del tutto mentre Wall Street, partita anch’essa in positivo, arrivava a perdere l’1%. Eppure con l’accordo sul debito USA, teoricamente le Borse dovevano salire. In realtà le cose non sono così lineari, ma, come sa chi opera quotidianamente con i mercati finanziari, bisogna tenere conto sempre di moltissimi fattori, che si aggiornano costantemente. Ci sarà chi griderà contro chi assume posizioni ribassiste (scommettono sul ribasso dei mercati), ma questa spiegazione non basta: il volume quotidiano di denaro mosso sui mercati è tale che non vi è qualcuno che possa condizionarlo, ma bisogna cercare di modificare le attese degli operatori.
L’accordo USA, nella realtà dei fatti, deve ancora passare il vaglio (e la votazione) del Senato e della Camera americani, quindi non è scontato che passi indenne questi due scogli. Inoltre, l’accordo USA non mette al riparo dal rischio di declassamento del debito USA: se non vi saranno consistenti segnali di ripresa dell’economia, le agenzie di rating potrebbero declassare ugualmente il rating USA. Moody’s e Standard & Poor hanno detto che non rilasceranno immediatamente dei commenti in merito alla bozza di accordo. Peraltro, secondo dichiarazioni precedenti, il rating sovrano AAA degli Stati Uniti potrebbe essere ancora a rischio. E d’altro canto nessun operatore ha mai creduto seriamente al default USA, qualificando la diatriba dei gironi scorsi, come un fatto meramente politico. Basta guardare l’andamento dei rendimenti sui titoli del debito pubblico Usa. Quando c’è odore d’insolvenza, gli interessi sui titoli di stato crescono perché il paese diventa più rischioso. Nel caso degli Usa il costo del finanziamento del debito pubblico è addirittura sceso. Oggi il Treasury a 10 anni rende il 2,82%, sui minimi del 2011, ad inizio anno si viaggiava al 3,22%.
S&P aveva dichiarato di voler un taglio del deficit di almeno 4.000 miliardi di dollari. Se S&P dovesse ritenere che l’accordo non è sufficiente a far cambiare rotta al deficit statunitense, potrebbe ancora decidere di tagliare il rating sovrano AAA. In caso di downgrade l’agenzia aveva dichiarato che il rating probabilmente sarebbe rimasto nel range AA, il che significa un downgrade di 2 o 3 notch.
Ma ciò non basta a spiegare una giornata che, per un esterno, appare folle. Dobbiamo anche considerare altri fattori: intanto l’atteggiamento che si ha in borsa. Gli operatori, quando investono in borsa, investono sulle prospettive e sulle attese future, non sui dati acquisiti del passato (i quali sono usati solo per estrapolare previsioni sul futuro andamento dell’economia). E alla luce di quanto detto, ecco che si chiarisce la giornata di oggi: gli operatori, in fase d’incertezza, preferiscono vendere e tenersi liquidi, magari incamerando delle perdite, pur di evitare, magari, delle perdite maggiori in futuro.
Quando ha iniziato a crollare il mercato americano? Quando sono usciti alcuni dati sull’economia statunitense: dato sulla spesa edilizia di giugno ha mostrato una crescita dello 0,2% quando gli economisti si attendevano un +0,1%, contro un calo dello 0,6% a maggio. Mentre l’indice Ism sul settore manifatturiero di luglio negli Stati Uniti, atteso a 54,9 da 55,3 del mese precedente, si è attestato a 50,9. Per la cronaca, se l’indice ISM scende sotto il livello di 50 punti, allora si è in recessione, quindi gli USA sono ad un passo da essa.
Venerdì scorso il dato sul Pil a stelle e strisce ha fatto segnare un valore poco sopra l’1%, un livello insufficiente a ridurre un tasso di disoccupazione superiore al 9%: non a caso si torna a parlare di ”Double Dip”, cioè di una seconda recessione. Ovviamente, se l’America sta male, l’Europa sta peggio, e il motivo è sia dovuto alla scarsa crescita dell’economia europea, sia alle differenze tra Federal Reserve e BCE. La prima è pronta a stampare miliardi di dollari per finanziare il Tesoro e salvare il paese della bancarotta (anche se questo significa fare aumentare di molto l’inflazione) che, in termini tecnici, si chiama la monetizzazione del debito pubblico. Al contrario, nell’Eurozona, la Bce non può stampare moneta.
Per quanto riguarda l’economia europea rileviamo come si stanno muovendo le tre maggiori economie dell’UE: Italia, Francia, Germania. L’attività del settore manifatturiero italiano a luglio è tornata a salire, anche se in modo frazionale, e l’indice è salito a 50,1 da 49,9 di giugno, quindi sopra la soglia 50, che separa l’espansione dalla contrazione.
La Germania invece segna un rallentamento: l’indice Pmi manifatturiero tedesco è sceso a luglio a 52,0 – il livello più basso da ottobre 2009 – dal 54,6 di giugno, poco sotto le attese che convergevano su 52,1, ma pur sempre sopra la soglia 50 che separa la crescita dalla contrazione.
Il rallentamento dai livelli di crescita degli ultimi mesi è stato consistente: da dicembre ad aprile, infatti, l’indice si era mantenuto sopra quota 60.
Anche la Francia fa segnare un consistente rallentamento per la prima volta in due anni, l’indice Pmi di luglio si attesta a 50,5, leggermente sopra la lettura preliminare di 50,1 ma sotto il dato di 52,5 di giugno. La discesa porta l’indice al livello più basso da luglio 2009, lasciandolo appena sopra la soglia dei 50 punti che separa l’espansione dalla contrazione.
A suggerire un probabile proseguimento della debolezza dell’attività nei prossimi mesi, le industrie francesi hanno visto i nuovi ordini scendere per la prima volta da giugno 2009, anche se gli ordini dei clienti esteri hanno segnato un lieve aumento rispetto a giugno.
Come si vede oggi si sono susseguite tutta una serie di notizie che hanno gettato molta incertezza sui mercati finanziari e che spiega ilo movimento dei mercati di oggi. Certo l’Italia paga anche la lentezza con cui il governo risponde ai cali dei giorni scorsi, considerando che solo giovedì ci sarà un incontro tra il governo e le parti sociali e questo mostra che il governo vive in un altro mondo, un mondo dove le priorità non sono le risposte all’economia, ma le risposte ai guai giudiziari.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati