Archivio per Agosto 2011

E’ utile abolire le province? Risponde Roberto Occhiuto

postato il 21 Agosto 2011
Lettera in redazione:
Premettendo che sono un dipendente a tempo indeterminato di un’azienda speciale della Provincia di Milano, vorrei porre alcuni quesiti.
Spesso si parla di abolizione delle Province. Spesso si ritiene che siano la causa del debito pubblico. Nella totalità degli interventi si tralascia di specificare delle conseguenze:
1) cosa accadrà ai 60000 dipendenti che forniscono ai cittadini servizi essenziali?
2) dato che i soldi stanziati dallo Stato sono diretti a coprire i costi del personale, verranno licenziati?
3) quale il vantaggio altrimenti per i conti dello Stato.
Credo che l’abolizione delle province  sia uno specchietto per le allodole. Sarebbe impopolare dire che la maggior parte degli sperperi siano riconducibili alla sanità ed alla previdenza. Io percepisco 1200 € e sono conscio degli abusi nella P.A., ma sono anche convinto che una maggiore attenzione vada data a termini ed argomenti che potrebbero suscitare plauso ed altresì preoccupazione in chi da sempre fa il suo dovere.
La demagogia non dev’essere fatta sulla pelle dei lavoratori.
Grazie.
Luca

Caro Luca,
ho letto il suo commento e penso che abbia ragione di lamentarsi della demagogia con la quale si sta discutendo in questi giorni della Manovra. Le assicuro che infastidisce anche noi, perché, benché all’opposizione, avvertiamo la responsabilità di essere parte del gruppo dirigente del Paese e sappiamo bene che in questo momento la politica dovrebbe dimostrare ben altra tempra.
Proprio perché siamo allergici alla demagogia abbiamo detto che l’abolizione parziale delle province non serve a nulla, é solo uno spot ed è ridicola.
Altra cosa, invece, sarebbe stata abolire tutte le Province, così come ogni partito aveva scritto sul proprio programma elettorale prima di lasciare solo noi a sostenerlo in Parlamento. Le assicuro che, per quanto mi riguarda, non ne faccio tanto una questione di risparmio per la finanza pubblica: le Province oggi costano circa 12 MLD l’anno e –  siccome é evidente che i dipendenti giustamente non potranno essere licenziati e che molti altri costi dovranno comunque essere sostenuti da Comuni e Regioni che ne erediterebbero le funzioni – il risparmio non sarebbe poi così significativo (sicuramente varrebbe meno della maggiorazione dell’IVA di qualche decimale).
Sono convinto, invece, che abrogare le Province sia utile a riorganizzare i livelli di governo del territorio, che in Italia sono davvero troppi e che rendono la presenza e l’intermediazione dello Stato troppo invasive e costose per cittadini e imprese, soprattutto sotto il profilo dell’appesantimento burocratico.
Sono certo, come Lei, che non basti abrogare le Province. Per esempio, ha ragione a evidenziare gli sprechi nella Sanità, per combattere i quali stiamo chiedendo da tempo che non sia la politica a nominare i manager; in sostanza, noi vorremmo meno intermediazione politica anche nella gestione della Sanità.
Da qualche parte, però, bisognerà pure iniziare per far fare allo Stato una grossa cura dimagrante, che riguardi i costi della politica (a cominciare da quello dei dirigenti come me), ma anche l’ordinato funzionamento del governo locale, che dovrebbe esistere per erogare servizi, mentre oggi troppo spesso serve, invece, ad alimentare il ceto politico.
Sono convinto, infine, che ai cittadini interessi soltanto che continuino ad essere assicurati i servizi, anche grazie a dipendenti come Lei. Che, poi, non ci sia il Presidente o il Consiglio provinciale, qualche sagra o qualche manifestazione da sponsorizzare credo sia meno importante.

Roberto Occhiuto (deputato UDC, Vice Presidente della Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione)

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Siate sempre pronti a testimoniare la Speranza nell’immensa certezza di una Presenza

postato il 21 Agosto 2011

Mentre sto scrivendo circa due milioni di giovani sono radunati nella piazza dello scalo Cuatro Vientos di Madrid nella grande veglia di preghiera in attesa dell’aurora e della celebrazione eucaristica di domenica mattina con Benedetto XVI che chiuderà la XXVI° Giornata Mondiale della Gioventù. Cosa stanno cercando questi giovani e chi o che cosa li ha richiamati fin qua?

La prima Giornata Mondiale della Gioventù risale alla domenica delle Palme del 1986 sulle radici del Giubileo Internazionale della Gioventù svoltosi in occasione dell’Anno Sacro della Redenzione per ricordare il 1950° anniversario della Risurrezione del Signore.  Trecentomila giovani provenienti da più parti del mondo giunsero in Piazza San Pietro, ospitati da circa seimila famiglie romane. Nell’occasione papa Giovanni Paolo II consegnò una croce di legno ai giovani per simboleggiare l’amore del Signore Gesù per l’umanità .  “Siate siete pronti a testimoniare  la Speranza “ fu il messaggio del pontefice ai giovani. Come doveva essere difficile parlare allora ai giovani di Speranza!  Anni bui in cui si aggirava minaccioso lo spettro della Guerra Fredda e i moti liberali e sindacali dell’Europa Orientale erano schiacciati dal pugno di Mosca, anni in cui l’Italia era stretta nella morsa dell’odio del terrorismo nero e rosso e lo stesso Giovanni Paolo II solo tre anni prima veniva gravemente ferito nell’attentato terroristico di Ali Agcà. Eppure in quegli anni di paura, intolleranza e incapacità di sollevare il proprio sguardo verso il futuro, si dimenava nei cuori un inesprimibile desiderio di libertà che ben presto sarebbe scoppiato disegnando un nuovo mondo.

Ancora oggi è difficile parlare di Speranza, anzi, è molto più difficile. Non sono più le ideologie a gettare l’uomo in catene ma al contrario è il Nulla ad accecare la nostra vista e i nostri cuori.  C’è una constatazione semplice e allo stesso tempo drammatica: nella mentalità diffusa ai nostri giorni, nelle fatiche del vivere quotidiano sembra non sia più possibile nessuna certezza. Viviamo tante crisi che mettono in discussione conoscenze acquisite da tempo e non solo nel campo della politica e dell’economia. Lo percepiamo nel mondo del lavoro, lavoro in cui i giovani pur essendo ancora non entrati lo percepiscono come un fenomeno lontano, astratto, guscio di candida conchiglia vuota, rancida carne di mollusco, interinale, subordinato, usa e getta, navigato, soddisfatto e mai rimborsato. Lo percepiamo nella società dell’amore di plastica dove l’amore è una chimica chimera che attiva solo ormoni e dopammina incapace di incamminarsi in un progetto auntentico e duraturo in una società liquida dove tutto scorre, dove tutto è consumo. Quello che è in gioco oggi è qualcosa di più radicale, è la grande ombra del nichilismo, l’ospite inquietante che turba i nostri tempi e frantuma i nostri sogni con le nostre certezze e i nostri desideri. E’ il Nulla e l’angoscia del Nulla, del vuoto che guarda dentro di te.

Questi due milioni di giovani non sono a Madrid per  una vacanza o una kermesse, sono qui in cerca di qualcosa o qualcuno che dia un senso genuino alla loro esistenza. Cercano qualcosa che li renda protagonisti della loro vita, che li porti a una presenza nella società fatta di una comunione visibile e propositiva, e cercano in primo luogo  di essere felici ponendosi in modo perentorio , clamoroso e anticonformista quella domanda di un senso ultimo e di una felicità da percepire all’interno dell’essere umano, vogliono la Bellezza, vogliono la Verità, vogliono la Giustizia che la lunga mano dell’ospite inquietante ha ucciso!

Questi due milioni di giovani non vogliono un sentimento, vogliono un fatto è quel fatto è una presenza, è Gesù Cristo centro del cosmo e della storia che rende unica e autentica la realtà, quella linea di confine in cui la storia e il mistero dell’uomo si incontrano. Cercano un Dio che non è un principio assoluto assiso nel’alto dei cieli ma fonte di amore, amore puro e disinteressato, amore indissolubile, fiamma d’amore che li renda protagonisti nella loro vita e riguardi tutti gli aspetti del loro essere. Un testo cristiano del II° secolo, la lettera a Diogneto, così descrive i cristiani:

“ I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. 2. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale . La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale”

I cristiani dunque si comportano come tutti, ciò che cambia è lo spirito che li anima nel fare le cose, uno spirito di Speranza perché hanno un’immensa certezza, l’incontro di un fatto, di una presenza che non li abbandona mai, nemmeno  nelle nelle oscure e fitte nebbie del Nichilismo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

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Se Bossi non parla più al profondo nord

postato il 20 Agosto 2011

Le vivaci contestazioni subite dai ministri Bossi, Calderoli e Tremonti in occasione della loro recente permanenza tra le montagne del Cadore hanno probabilmente sorpreso solo gli osservatori meno attenti; era infatti noto a molti come da qualche tempo covasse un chiaro malcontento anche tra gli elettori ed i simpatizzanti leghisti più convinti.

Quello che pare invece essere più sorprendente è l’annullamento del previsto incontro pubblico e la conseguente “ritirata strategica” operata da Bossi in piena notte stravolgendo i piani di ospiti ed interlocutori amici e contrari. E’ infatti una delle prime volte, se non la prima, che il grande istrione rinuncia al confronto con la folla, abbandonando la piazza e dando così un’immagine del tutto opposta a quell’iconografia che di solito lo accompagnava.

Certo l’episodio va inquadrato nel preciso momento storico, all’indomani del varo di una manovra economica aggiuntiva che va ad incidere duramente sulle finanza degli enti locali e dei comuni cittadini; sarebbe però sbagliato ed oltremodo riduttivo pensare che si tratti di un evento isolato e fine a se stesso.

La luna di miele tra Bossi ed il suo elettorato pare infatti essersi guastata già da qualche mese e gli effetti negativi possono essere rintracciati già nei dati delle Elezioni Europee del 2009. Prendendo l’esempio dei dati elettorali della Regione del Veneto, si scopre facilmente come nelle elezioni politiche del 2008 per la Camera la lega Nord abbia raccolto 830.000 voti pari al 27,1 % dei voti validi; dopo un solo anno alle Europee del 2009 la lista della Lega Nord era salita al 28,4 % dei voti espressi ma scendendo in termini assoluti alla cifra di 767.000 consensi.

Alle Regionali del 2010 pur avendo un candidato popolarissimo quale Luca Zaia la lista non ha saputo fare meglio che raccogliere 788.000 voti e cioè 50.000 voti circa meno del 2008 e solo la scarsa affluenza alle urne ha permesso di mascherare il vistoso calo di consensi; basti ricordare che in Veneto nelle elezioni politiche del 1996 la Lega Nord aveva sfiorato la cifra di un milione di voti.

Pare quindi che l’elettore leghista si stia stancando dell’eterno copione recitato dal partito di Bossi, quello della “Lega di lotta e di governo” o “dottor Jekyll e mister Hyde” come altrimenti chiamato. Le evidenti contraddizioni tra quanto promesso nei comizi sul territorio e quanto prodotto nelle aule parlamentari hanno finito per intaccare anche la carismatica figura del leader.

E nemmeno casuale deve essere considerato il luogo dove è avvenuto il “gran rifiuto”, uno di quei piccoli Comuni di montagna cui questa ultima manovra finanziaria assesta probabilmente un colpo mortale. Quei piccoli Comuni di montagna dove il sindaco spesso non riceve alcun compenso, dove quasi tutti si conoscono per nome ed il sindaco è il primo da chiamare, anche in piena notte, quando succede qualcosa. Quei piccoli Comuni di montagna dove si fa politica per essere utili alla comunità e non per arricchirsi visto che, molto spesso, le spese di tasca propria sono molto superiori delle entrate.

Proprio quei piccoli Comuni di montagna che la manovra di questo governo intende azzerare, indicandoli come responsabili degli sprechi della Pubblica Amministrazione; quei piccoli Comuni di montagna che, messi tutti insieme, costano all’anno come una decina di parlamentari.

I tagli indiscriminati agli enti locali, che si sommano a quelli già effettuati negli ultimi due anni, stanno pregiudicando ogni possibilità di garantire anche i minimi livelli dei servizi locali e neanche il promesso federalismo fiscale potrà migliorare la situazione, visto che si limiterà ad attribuire la libertà di aumentare i tributi locali per sopperire ai minori trasferimenti.

Quello che i montanari sanno bene è che 30 chilometri in pianura si percorrono in 20 minuti mentre in montagna può volerci un’ora e per quei 30 chilometri in pianura bastano due litri di benzina mentre in montagna ce ne vuole il doppio; queste cose semplici i montanari non riescono a farle capire a chi li governa.

Ma i montanari, gente abituata a lavorare e tacere, a volte si stancano di ascoltare promesse che sanno perfettamente essere vane; per vivere in montagna sono indispensabili due qualità: la pazienza e la buona volontà ma qualche volta la prima si esaurisce!

Riceviamo e pubblichiamo Roberto Dal Pan

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La manovra massacra il ceto medio

postato il 19 Agosto 2011

Via il contributo  di solidarietà

Questa manovra esige più serietà da parte dei protagonisti della politica visto che non si capisce ancora cosa pensa il partito di maggioranza relativa. E’ un ‘vorrei ma non posso’ del governo contraddetto continuamente dai loro stessi parlamentari. Con la manovra viene massacrato il ceto medio, cioè coloro che fino all’ultimo pagano le tasse. Per noi la premessa e’ una sola: cancellare il contributo di solidarietà perché se il quoziente familiare può lenire la ferita, la ferita prima deve essere cancellata.
Sarebbe stata molto più giusta un’imposta patrimoniale sulle cose, piuttosto che colpire i soliti noti, piuttosto che colpire il ceto medio che tira la carretta e non evade neanche un euro ma viene penalizzato perché la politica non fa scelte serie.

Pier Ferdinando

 

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“Ci battiamo per l’anima della Nazione”. Ricordando Alcide De Gasperi.

postato il 19 Agosto 2011

Il 19 agosto del 1954 si spegneva Alcide De Gasperi.  A distanza di cinquantasette anni la sua lezione umana e politica è ancora valida ed attuale e desideriamo ricordarlo dalle nostre pagine dando nuovamente spazio alle sua parole che profeticamente tracciavano l’anatomia di un Partito della Nazione.

Ci battiamo per l’anima della Nazione

Anche oggi, amici, ci battiamo per l’anima della Nazione e per vincere questa battaglia abbiamo bisogno che in mezzo a questo popolo martoriato e quasi schiacciato dai problemi economici ma pur sempre assetato di idee e di ideali, si elevino al disopra delle cure quotidiane, gli uomini del pensiero, dell’arte, i cultori della poesia, gli araldi della scienza.

Ci fu un tempo in cui la democrazia delle arti e mestieri venne accompagnata da un’aristocrazia di artisti e di pensatori. Non si deve credere che il regime democratico si esaurisca nei piani quinquennali o dodecennali di produzione agricola e industriale, che le fonti energetiche indispensabili alla nostra rinascita debbano essere ricercate solo nelle acque defluenti dai nostri ghiacciai o fra i gas della terra; bisogna, amici, scavare più a fondo ancora, nella intimità degli spiriti, negli abissi misteriosi della moderna anima. agitata e s esso travolta, e cercarvi le sorgenti primitive della nostra si fonderle e conciliarle con le esigenze e con le aspirazioni del regime libero.

Certo la democrazia moderna avrà pochi cortigiani e scarsi mecenati; ma può offrire ai pensatori e agli artisti lo spettacolo della solidarietà consapevole, il respiro della libertà morale e sopratutto il senso della fraternità sociale.

Io penso che questo senso sia l’aspirazione più viva dell’anima popolare.

Il Machiavelli ci insegnò come governare; Frate Savonarola come governare e come morire. In questa dura campagna troppi predicarono odio, l’odio della demolizione o l’odio della vendetta. Ma il popolo

italiano ha bisogno di fraternità e di amore. Tutti ne abbiamo bisogno, i milioni di poveri che reclamano un’opera di redenzione sociale, appena cominciata; i milioni del ceto medio che mantengono a fatica, nelle accresciute esigenze, il decoro della vita; i milioni di giovani contesi e straziati da opposte fazioni. Più amore, più fraternità, più pace.

Con questo arcobaleno vorrei chiudere la mia fatica elettorale. Quando, migliorando il tenore di vita dei miseri, avremo fatto un passo definitivo verso la giustizia sociale; quando, nell’ordine e nella libertà, avremo sprigionato tutte le sane energie popolari, allora, o democrazia italiana, in questa atmosfera rinnovata dalla solidarietà cristiana, sorgerà anche il grande artista della tua epoca, interprete del sentimento che ti ispira e ti muove; il pennello farà allora risplendere ancora la luce del Suo volto nel Cenacolo ed il sorriso del Suo amore Divino*.

Alcide De Gasperi

*A.DE GASPERI, Nel Partito popolare italiano e nella Democrazia cristiana, Roma, Cinque Lune, 1990, Vol II, pp.493-502.

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Banda larga, un’altra promessa tradita

postato il 19 Agosto 2011

La bozza della manovra prevede di affossare definitivamente il progetto di sviluppo della banda larga in Italia rendendo impossibile colmare il gap che ci separa dagli altri paesi.

Il progetto relativo allo sviluppo della banda larga è “in piedi” da un paio di anni ed è stato elaborato dal ministro Romani, ma nel corso del  tempo questo progetto ha visto ritardi, risorse sottratte, e tagli ai finanziamenti anche già stanziati.

Il progetto nel suo complesso prevedeva un investimento di circa 1,4 miliardi di euro che avrebbe portato ad una crescita di 2 miliardi di euro nel PIL .

In pratica un investimento realizzato dallo Stato che avrebbe abbattuto le barriere tecnologiche e sarebbe stato un’arma in più per le nostre imprese, con il risultato che il ritorno economico sarebbe stato superiore a quanto si sarebbe speso.

Il finanziamento era così organizzato: 800 milioni provenienti dal CIPE, 250 milioni provenienti da Infratel Italia (società sorta nel 1999 su iniziativa del Ministero per lo Sviluppo Economico), 100 milioni dai fondi Fas e 250 milioni li avrebbero dovuto mettere i privati.

Ebbene, prima i fondi provenienti dal CIPE sono stati congelati fino alla fine della crisi, poi ne sono stati sbloccati 100.

Con 700 milioni già decurtati, la mancata partecipazione dei privati, restavano i soldi dei fondi FAS (quelli di Infratel sono già stati spesi), che però sono spariti in seguito ai tagli ai ministeri proposti nell’ultima  manovra.

Il progetto di sviluppo della banda larga senza fondi è, purtroppo,  destinato a restare lettera morta, e va ad aggiungersi alla collezione governativa delle tante buone intenzioni troppo spesso tradite.

Riceviamo e pubblichiamo Mario Pezzati

 

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Abolire tutte le province

postato il 18 Agosto 2011

Sui costi della politica c’è in giro troppa demagogia e poca serietà. Nella manovra il governo ha proposto di abolire le province sotto i 300mila abitanti, creando paradossi come quelli della Liguria dove l’unica provincia a restare in vita sarebbe quella di Genova.
Chiediamo alla maggioranza (e agli amici del PD, che hanno sempre votato contro la sopressione delle province) di fare un atto di serietà, abolendole tutte a partire dai primi rinnovi del prossimo aprile.
E’ così difficile essere seri?

Pier Ferdinando

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