Archivio per Agosto 2011

La lotta alla mafia non si fa con le armi spuntate

postato il 5 Agosto 2011

Ci sono tanti modi per fare antimafia. Uno dei più ammirevoli è l’antimafia sociale, fatta dai cittadini, spesso senza protezione, poi c’è quella della magistratura e delle forze dell’ordine, e infine quella più “di palazzo”, l’antimafia legislativa, che spesso è la più efficace, perché è in grado di dare gli strumenti giuridici per questa lotta impari. È un’antimafia che si esprime con le leggi e che in ultima battuta è stabilita dalla politica, dalle maggioranze o dalle intese bipartisan, cosa ancora più suggestiva e auspicabile, in un Paese che dovrebbe unirsi superando le divisioni politiche per sconfiggere una piaga fino ad oggi  incurabile. Capita dunque che il Parlamento si esprima favorevolmente e con un certo grado di coesione per conferire al governo la delega per la stesura del nuovo codice antimafia, testo che riunisce la normativa vigente armonizzando i vari strumenti giuridici un po’ sparsi e scoordinati fra loro.

La proposta del governo, contenuta in un decreto legislativo, ha fatto molto discutere tanto che Libera, la rete che raggruppa le associazioni antimafia e principale attore sociale di lotta alla mafia, ha diffuso un appello per prorogare l’approvazione del codice. Un appello inascoltato: il governo ha fatto orecchie da mercante, recente l’epilogo della vicenda:codice antimafia approvato dal consiglio dei ministri con le congratulazioni reciproche tra passati e presenti guardasigilli, entrata in vigore fissata per il 7 settembre.

Punto di forza dell’antimafia è sempre stato il sequestro, la confisca e la restituzione alla legalità dei beni appartenenti a soggetti condannati per reati di mafia, procedimento reso possibile dalla lungimirante opera di Pio La Torre, che non a caso venne ucciso dalla mafia proprio per aver lanciato l’idea della confisca dei beni mafiosi, scaturita poi in una legge del 1996, obiettivo raggiunto grazie a una raccolta firme di Libera. Oggi questo strumento così utile, così efficace appare indebolito, spuntato, compresso nella sua portata dal codice di emanazione governativa. Nel testo si stabilisce infatti che tutto l’iter che porta all’assegnazione al pubblico dei beni confiscati deve terminare entro un anno e sei mesi dall’inizio della procedura. Scaduto questo termine, la ghigliottina: vanificato tutto il lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine, fatto di riscontri, perizie, indagini approfondite tra Italia e estero, una mole di operazioni che difficilmente si possono concludere in quei tempi ristretti. La paura delle tante associazioni antimafia e di tanti magistrati è che questa previsione si traduca in una sorta di prescrizione generalizzata di tutte le misure di prevenzione patrimoniale nei confronti delle mafie. Ma come? Se c’è un modo per colpire il sistema mafioso in maniera in qualche caso irreversibile è proprio la confisca dei beni e il loro riutilizzo a fini sociali, e lo si va a minare così? Le preoccupazioni sono fondate: l’universo mafioso è tutt’altro che sofferente, oggi i volumi di affari sono sempre più ingenti e il Nord si sta mostrando sempre più impermeabile a questo business parallelo. Un business che dà lavoro a tante persone, ecco perché così vitale e reattivo. Gli strumenti su cui possono contare le forze che reprimono il fenomeno devono espandersi, non comprimersi, specialmente in un momento così delicato quale è quello della crisi economica e di grossi investimenti nel Centro-Nord (infrastrutture e Expo2015 in primis).

L’appello che chi sensibilizza l’opinione pubblica alla lotta alla criminalità organizzata rivolge al governo è che ripensi il codice che ha prodotto. Impegno della politica deve essere quello di affermare l’idea che un Paese dove prosperano le mafie non è un Paese libero. Non si possono ammettere poteri opposti o paralleli che applicano le loro leggi, di Stato ce n’è soltanto uno e siamo noi, la moltitudine di cittadini onesti che chiede un Paese libero e non schiavo. I segnali positivi sono tanti ma non possono essere scoraggiati da una legislazione indifferente: molti commercianti del Sud si stanno ribellando al racket del pizzo, i molti beni confiscati ai mafiosi vengono recuperati e offerti alla collettività, l’ammirevole azione delle forze dell’ordine sta dando i suoi frutti. Liberarci dal tiranno è possibile ma solo con gli strumenti adatti, con le armi spuntate non si arriva a nulla.

Riceviamo e pubblichiamo Stefano Barbero

 

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Rassegna stampa, 5 agosto ’11

postato il 5 Agosto 2011
Ieri Silvio Berlusconi ha finalmente incontrato le parti sociali e – dopo il consueto show – si è detto disponibile a rilanciare l’attività di governo accogliendo gli input loro e delle opposizioni. Come ci informano i giornali, però, a stretto giro c’è stato un “controtavolo”, proprio quello delle opposizioni, che hanno riconfermato una strategia comune, ma hanno anche evidenziato alcune differenze: dopo infatti il grande successo del suo intervento alla Camera, Pier Ferdinando Casini ha ribadito lo stop alla stanca litania delle “dimissioni del governo”, perché assolutamente inutile (mentre Bersani è convinto che sia necessario un gesto da parte di B, leggete Casadio su Repubblica) e non perché – così come assicura Cramer sul Giornale, che guarda sempre un film diverso dal nostro – dalle nostre parti si abbia l’intenzione si seppellire il Terzo Polo e abbracciare nuovamente un centrodestra allo sfascio. Roberto Zuccolini sul Corriere e Andrea Carugati su l’Unità ci raccontano interessanti particolari dalle parti del Pdl: stretti infatti nel clima di tensione tra Berlusconi e il ministro Tremonti (ieri i due in conferenza stampa hanno fatto scintille), all’interno del principale partito di maggioranza crescono i sostenitori proprio della linea Casini: apertura alle opposizioni responsabili, sì alla Commissione per la Crescita, sul modello di quella Attali in Francia. Ugo Magri, però ci racconta di una certa freddezza del premier nei confronti delle nostre proposte, per via di un (fondato?) timore: l’idea che – come spiega molto più nel dettaglio Marcello Sorgi – le parti sociali non gli stiano tendendo un’imboscata tesa a scalzare lui e il suo governo. Ora, secondo voi, come è possibile governare serenamente e decisamente l’Italia, quando ci si sveglia la mattina e ci si sente accerchiati? Per questo, come sostiene Maffi su ItaliaOggi, Alfano cerca di riagganciare l’Udc (che però si smarca: e vorrei ben vedere).
Casini: «Ci vuole un armistizio. Noi ci siamo» (Francesco Ghidetti, QN)

Casini: inutile chiedere le dimissioni al governo (Giovanni Casadio, La Repubblica)

Casini tende la mano al Cav e seppelisce il Terzo Polo (Francesco Cramer, Il Giornale)

La mossa di Casini e il rilancio del piano per il passo indietro (Roberto Zuccolini, Corriere)

Berlusconi: “Investirei nelle mie aziende” (Andrea Garibaldi, Corriere)

Silvio e Giulio non si sopportano più. Il Pdl supplica Casini (Andrea Carugati, l’Unità)

Alfano ha agganciato l’Udc ma resta un alleato difficile (Cesare Maffi, ItaliaOggi)

Gelo del premier sull’offerta a Casini (Ugo Magri, La Stampa)

Per Silvio le parti sociali preparano solo una trappola (Marcello Sorgi, La Stampa)

Le parti sociali: subito le misure (Nicoletta Picchio, Sole24Ore)

Le opposizioni: no ai rinvii pronti a lavorare ad agosto (Ettore Colombo, Il Messaggero)

Il Cav dice cose giuste ma mancherebbe di credibilità (Diego Gabutti, ItaliaOggi)

Tremonti, che resta a fare? (Francesco Cundari, l’Unità)

Tirare le cuoie (Enrico Cisnetto, Il Foglio)

Solo ricette suicide per la crescita (Luciano Gallino, La Repubblica)

L’ostaggio (Loris Campetti, Il Manifesto)

Fallito e vincente (Umberto Ranieri, Il Foglio)

Dimissioni del governo. L’opposizione si divide (Monica Guerzoni, Corriere)

Dibattito in aula, vescovi delusi. L’Avvenire: “Bene soltanto l’Udc” (Il Messaggero)

Ah, le belle crisi di governo… (Bruno Manfellotto, L’Espresso)

Agire subito (Giancarlo Galli, Avvenire)

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Appunti per un progetto comune di ripresa

postato il 5 Agosto 2011

E’ giunto il momento di abbandonare la politica delle parole e dei discorsi per passare ai fatti concreti. Lo richiede la situazione economica mondiale e quella del nostro Paese. Proviamo a stilare una piccola agenda di cosa da fare urgentemente, possibilmente con la collaborazioni di quanti, al di là delle idee politiche e degli interessi di parte, hanno a cuore il futuro dell’Italia e degli italiani. Ecco, a mio modesto avviso, le cose principali da fare:

  1. raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2014: è fondamentale per garantire sicurezza di fronte ai mercati internazionali, per rilanciare l’Italia come polo di attrattiva di investimenti a livello internazionale, diminuiti drasticamente negli ultimi anni per la difficoltà della burocrazia e i problemi della pubblica amministrazione;
  2. una riforma fiscale basata non sulla rimodulazione delle aliquote, che finisce con l’abbassare le tasse ai ceti più elevati, ma che colpisca le rendite finanziarie elevate;
  3. una campagna di liberalizzazioni, a partire da quella tanto odiata sull’acqua, perché la logica del profitto e della concorrenza privilegia il cittadino, invece una statalizzazione selvaggia come quella in atto finisce con l’aiutare quel “pubblico” che ha permesso che la nostra rete idrica sia la più malandata d’Europa;
  4. una riforma della scuola, meritocratica, che privilegi le Università e gli studenti che meritano e non tutti indiscriminatamente, perché quantità non è sinonimo di qualità;
  5. un aiuto a quanti sono precari o disoccupati, in particolar modo giovani, perché un Paese che non può lavorare non può neanche produrre;
  6. taglio ai costi della politica: sebbene dal punto di vista economico non incidono in maniera significativa, sono fondamentali per ridare credibilità e sicurezza alla politica, perché se si chiedono sacrifici ai cittadini, i primi a sopportarli devono essere quanti governano;
  7. una riforma della giustizia, che non garantisca l’impunità alle stesse persone, ma che riduca i tempi dei processi senza degenerare nell’impunità;
  8. un maggior investimento nelle infrastrutture, che garantisca occupazione e migliori opportunità di investimento per i capitali esteri, a partire dai progetti europei come la TAV.

Riceviamo e pubblichiamo di Andrea Magnano

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Crisi, il Governo si svegli.

postato il 5 Agosto 2011

La riunione di oggi tra le opposizioni e le parti sociali ha un valore simbolico: l’opposizione c’è, le parti sociali ci sono, il governo speriamo ci sia e si svegli, si dia una mossa e non perda la pausa di agosto per assumere provvedimenti immediati. Noi abbiamo espresso proposte e disponibilità ma il governo non ha cercato il confronto. A noi sta a cuore il Paese, non è il momento di fare fazioni ma bisogna essere in primo luogo italiani.
L’incontro di oggi serve a dire al governo che l’opposizione e le parti sociali ci sono e a spingere perché si prendano subito provvedimenti.
C’è il timore che il Governo non sia in grado di reagire, oggi noi evitiamo di continuare nella litania delle dimissioni del governo, visto che c’è, nonostante a noi non piaccia, almeno governi: Se si limita a guardare fuori e a dire là fuori c’è la tempesta, non si fanno passi avanti. Noi votiamo contro la fiducia al Governo ma nessuno di noi appartiene alla schiera di chi dice che se il Paese va male è meglio per l’opposizione.

Pier Ferdinando

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Rassegna stampa, 4 agosto ’11

postato il 4 Agosto 2011
Ieri dibattito alla Camera sull’informativa urgente del Premier, Silvio Berlusconi. Così come avevamo pronosticato proprio nelle nostre varie rassegne, tutto si è risolto in una deludente passerella parlamentare: Berlusconi ha preferito non un approccio soft, ma proprio inesistente: si è limitato, infatti, a una replica stanca dei discorsi del 29 settembre e del 13 dicembre – tante promesse, poche realtà (tanto che, leggete Palmerini sul Sole, il “low profile” ha scontentato anche i parlamentari di maggioranza). Deludenti anche l’esordio del neo segretario Pdl, Angelino Alfano, e la replica del leader del Pd, Pierluigi Bersani: tutti i giornali, oggi, sono concordi nel ribadire che l’intervento migliore – una spanna sopra tutti – lo ha tenuto il nostro Pier Ferdinando Casini: “parla Pier Ferdinando, si spengono gli Ipad”, scrive Fabrizio Roncone sul Corriere della Sera; secondo Marco Tarquinio, poi, “Casini ha dimostrato cosa significa opposizione responsabile”. Pier, infatti, ha anche vanificato il gioco della maggioranza, ripetendo che solo “una fase di armistizio tra i principali partiti può salvare l’Italia”, “non improbabili governi tecnici, ma governi che nascano dalla volontà del Parlamento, dei partiti” e che “il problema oggi non è la liquidazione politica di Berlusconi”: pensare che “la fine politica di qualcuno significhi il successo” significa sottovalutare “le difficoltà che abbiamo davanti e il momento che stiamo vivendo”. E, in conclusione, ha anche lanciato dei punti fondamentali per il rilancio della nostra economia (proprio per questo è riuscito a raccogliere i maggiori consensi): anticipare la riforma fiscale, aumentare la tassazione delle rendite finanziarie, liberalizzare la rete energia, lanciare una Commissione per la Crescita (su Liberal, con un articolo di Errico Novi, ne trovate un’analisi attenta – mentre Savino Pezzotta chiede una svolta immediata). Sergio Rizzo scrive, sul Corriere, di “attese deluse”, mentre Franco Cangini su QN rileva alcuni “segnali di vita nella palude parlamentare” e loda – anche lui – il nostro discorso responsabile e “con i piedi piantati per terra”: imperdibile, poi, l’attacco sferrato dall’AD di Fiat, Sergio Marchionne, che ha chiesto – trovate tutto su La Stampa – un “cambio di leadership”, perché solo così si può veramente uscire dalla crisi (concordiamo perfettamente). Secondo Micaela Bongi, che trovate sul Manifesto, l’intervento che abbiamo sentito ieri è quello di uno “statista” ormai arrivato alla fine della propria parabola, mentre secondo di Tito Boeri, forse, sarebbe stato meglio che il Premier non avesse proprio parlato; infine, assai interessante, è il retroscena del Corriere, a firma di Maria Teresa Meli, sull’armistizio tra Giulio e Silvio: anche perché, secondo Claudia Fusani sull’Unità, mentre questi due si fanno la guerra, Angelino Alfano cerca di vincere la propria personalissima battaglia all’interno del Pdl (sarà vero?).

Casini: “Tavolo comune per favorire la crescita” (Errico Novi, Liberal)

Casini apre uno spiraglio e scarica Pd e Idv (Il Giornale)

Bersani: basta, si dimetta. Casini: serve un armistizio (Ettore Colombo, Il Messaggero)

Bersani va all’attacco: “Tutto sbagliato”. Casini offre un patto (Monica Guerzoni, Corriere)

Berlusconi: “Più forti della crisi”. E pensa di anticipare la manovra (Francesco Cramer, Il Giornale)

Berlusconi arruola Pier e pensa al piano B (Salvatore Dama, Libero)

Il premier parla agli elettori e snobba la proposta Casini (Ugo Magri, La Stampa)

Il Cav. difende la solidità dell’Italia e segue la via dialogante del Quirinale (Il Foglio)

Segnali di vita nella palude (Franco Cangini, QN)

Quella “fiaccola” che allunga la vita allo statista (Micaela Bongi, Il Manifesto)

Pdl, tra il premier e Tremonti. Alfano vince la sua partita (Claudia Fusani, l’Unità)

Parole in libertà (Tito Boeri, La Repubblica)

Paradosso senza sbocchi (Carlo Fusi, Il Messaggero)

Ora misure choc come fecero gli inglesi nel 2008 (Luca Fornovo, La Stampa)

Non ci siamo. Una svolta o si muore (Savino Pezzotta, Liberal)

Marchionne: “Per ridare credibilità all’Italia serve una leadership più forte” (Marco Alfieri, La Stampa)

Malumori anche nel Pdl e nella Lega per il basso profilo (Lina Palmerini, Sole24Ore)

L’urgenza della realtà, l’obbligo di cambiare passo (Stefano Folli, Sole24Ore)

Le attesa deluse (Sergio Rizzo, Corriere)

L’armistizio tra il Cavaliere e Tremonti (Maria Teresa Meli, Corriere)

La fatica e il coraggio (Marco Tarquinio, Avvenire)

I deputati Udc: “Così il Governo soffoca il pluralismo” (Avvenire)

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Tecnologia e società, il dialogo necessario per superare la crisi

postato il 4 Agosto 2011

L’andamento dell’economia a livello mondiale impone una attenta riflessione che non può più essere solo locale, ma globale. A mio avviso il progresso tecnologico ha portato al punto di rottura il sistema sociale su cui ci siamo sempre basati: il nostro sistema è centrato sull’assunto di “lavorare di più, per produrre di più e guadagnare di più”. Aumentando la produttività, aumenta la ricchezza, i consumatori aumentano e si assumono altri lavoratori. Questo trade off era particolarmente vero in una società preindustriale. Con l’avvento della industrializzazione negli ultimi secoli, si è assistito ad un prosieguo, a mio avviso fittizio, dell’assunto di cui sopra. Perché dico fittizio? Inizialmente l’industrializzazione ha portato un aumento nella produzione di merci con una progressione di poco superiore a quella del passato. Anche se di poco superiore, questa progressione aumentò enormemente la disponibilità delle merci e abbassò il loro prezzo. Al contempo il progresso tecnologico creò nuovi beni, servizi e soprattutto nuovi bisogni: l’industria dell’intrattenimento, ad esempio, è “recente”, ha circa 100 anni; come pure altri settori industriali (auto, frigoriferi, televisione, computer) e altri servizi (servizi finanziari, l’industria del marketing, della pubblicità, del turismo di massa, e così via). Chiaramente la tecnologia ci ha portato immensi benefici: la qualità della vita è enormemente migliorata, e questo è innegabile.Ma questo ci ha resi ciechi di fronte ai pericoli intrinseci, e ci “impedisce” di impostare una analisi seria della situazione attuale. La crisi mondiale ci impone di analizzare la situazione attuale, soprattutto perché, nonostante gli indici di produttività segnino un aumento costante, non altrettanto si può dire con la disoccupazione, vecchia e nuova: nell’ottobre del 2010, gli studi del FMI evidenziarono come non solo non si era ancora assorbita la disoccupazione creata con la crisi del 2008, ma che bisognava “creare” almeno 40 milioni di posti di lavoro annui (su questo punto si veda il rapporto dell’autunno scorso del FMI, su cui mi soffermerò un altro girono), per reggere le pressioni di chi si affacciava al mondo del lavoro nei paesi occidentali, in quelli arabi e senza contare le pressioni demografiche cinesi.Come si spiega l’aumento di produttività, con un indice di disoccupazione che non mostra sensibili miglioramenti? Spesso il problema si pone e viene discusso a livello nazionale, ed è una cosa logica se consideriamo che i politici devono rendere conto al loro elettorato: un politico italiano deve “tutelare” chi lo ha eletto, e quindi gli elettori italiani, la stessa cosa per i politici tedeschi (ricordiamo come la Merkel ritardò molto gli aiuti alla Grecia, proprio perché aveva prima bisogno del consenso popolare della Germania), francesi, statunitensi, cinesi e così via. Ma questo non risolve il problema, perché non lo individua correttamente. Il problema, come ho accennato prima, risiede nel fatto che ormai la tecnologia, permette una produzione sempre più automatizzata, con tassi di efficienza e produttività sempre più alti e sempre meno bisogno di manodopera umana. Per fare degli esempi: nell’industria dell’auto gli impianti sono quasi totalmente automatizzati e una fabbrica con 7000 operai può oggi produrre lo stesso quantitativo di macchine che prima producevano 20.000 operai. Altro esempio è nell’industria dei microchip: oggi si può produrre lo stesso quantitativo di microchip del 2000, impiegando solo un quarto della forza lavoro che serviva nel 2000: in pratica oggi con 25 operai si produce quanto 10 anni fa producevano 100 lavoratori. E questo processo è in atto da anni, solo che non ce ne rendevamo conto, perché con il progresso tecnologico si creavano nuovi settori produttivi (ad esempio il marketing) e nuovi bisogni (ad esempio fino a 20 anni fa, chi aveva bisogno di un cellulare?) su cui si spostava la forza lavoro in eccesso degli altri settori. Oggi purtroppo non si riesce più a creare nuovi servizi, o nuovi prodotti, si tende a migliorare ciò che c’è, e anzi si procede ad una automazione sempre maggiore. In Francia le aziende hanno bloccato le assunzioni, come anche in Italia, e la Germania tiene grazie alle esportazioni, ma anche nel paese della Merkel si notano i primi rallentamenti. Pensare che una nazione possa lavorare ed esportare a tempo indeterminato, è utopico: la tecnologia e il sapere sono facilmente esportabili e replicabili. Il Brasile, la Cina, l’India ne sono un esempio. E quando i lavoratori cinesi e indiani passeranno dall’agricoltura all’industria, cosa avverrà?

Un altro esempio sono gli uffici pubblici o privati: un tempo i documenti dovevano essere archiviati, e vi erano enormi archivi cartacei e persone che si occupavano del loro controllo e dell’archivio, ma oggi con i computer, questo stesso lavoro può essere svolto da una persona.

Le banche, ad esempio, stanno investendo molto sui servizi via internet e sui bancomat “evoluti” dove si può non solo prelevare, ma anche pagare utenze e depositare soldi.
Ma se queste operazioni si possono fare da casa o tramite bancomat, viene meno la funzione di chi lavora allo sportello e con il tempo molte filiali potrebbero chiudere.Giusto per citare una notizia di questi giorni la banca britannica Barclays  ha annunciato che potrebbe tagliare circa 3mila posti di lavoro nel 2011 nell’ambito del piano per ridurre i costi. Il numero uno del gruppo, Bob Diamond, ha detto nel corso di una conference call, che nel primo semestre c’e’ stata una riduzione di 1.400 posti. Il gruppo ha chiuso i primi sei mesi dell’esercizio con un utile netto in calo del 38% a 1,50 miliardi di euro a fronte di un risultato di 2,43 miliardi registrato nello stesso periodo dell’anno precedente. Ma allora quale è la soluzione? Rifiutare la tecnologia? Assolutamente no. Come ho detto la tecnologia ha migliorato la nostra qualità di vita.

Semmai la risposta può essere nel cambiare la nostra struttura sociale, e per fare ciò bisogna che questo problema si ponga a livello internazionale portando avanti nuove regole comuni a tutti.

Il progresso tecnologico, avrebbe dovuto portarci a lavorare meno: con un minore numero di ore di lavoro si può produrre lo stesso quantitativo di prodotti di qualche anno fa.

Oggi, ognuno di noi, tende a lavorare più degli altri, ma la tecnologia ci permetterebbe di lavorare di meno e lavorare tutti: meglio che lavori una persona 8-12 ore e un’altra sia disoccupata, o che tutte e due lavorino magari 4-6 ore a testa?

L’incidenza del “costo umano” con il progresso tecnologico si va riducendo, inoltre il maggiore costo di un maggiore numero di impiigati, verrebbe riassorbito perché se lavorano molte persone, queste stesse persone, avendo uno stipendio, potranno acquistare beni e servizi (mentre è lapalissiano che chi non lavora, non avendo una fonte di reddito, non può spendere).

Questa soluzione potrebbe anche non bastare o non essere gradita.

Allora si potrebbe anche ipotizzare una distinzione tra “beni necessari” e “beni non necessari”: per quelli necessari potrebbe provvedere lo Stato, per quelli non necessari si provvederebbe individualmente con il proprio lavoro. Ad esempio, si può pensare una abitazione standard per tutti, e poi se io lavoro e guadagno posso comprarmi una casa più bella. Il progresso tecnologico ha permesso l’abbattimento dei costi di molti beni di prima necessità.

E’ ovvio che sto solo abbozzando delle ipotetiche soluzioni, ma quel che mi preme è di porre il problema, perché solo ponendolo si può iniziare a trovare una soluzione.

Il vero problema non è la crisi contingente, ma che il nostro modello sociale di sviluppo sta mostrando la corda, ora che il progresso tecnologico ha permesso un aumento esponenziale della nostra produttività.

Se questo problema non verrà dibattuto nelle sedi apposite, dubito che avremo delle soluzioni strutturali ed efficaci ai problemi della disoccupazione mondiale

Riceviamo e pubblichiamo di Mario Pezzati

 

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Salviamo ‘sto Paese

postato il 4 Agosto 2011

“Deve esserci un accordo / se ci sta a cuore la salvezza del paese. / Salviamo ‘sto paese? Eh? / C’è bisogno di un’intesa / vogliamo tutti insieme metterci / a pensare seriamente alla ripresa? Eh? economica? Sì? / Bisogna lavorare sul concreto / bisogna rimboccarsi le maniche per incrementare la produzione e assicurare / uno stabile benessere sociale a tutti coloro / ai quali noi, per il momento / abbiamo chiesto sacrifici / vogliamo uscire a testa alta dalla crisi? Eh? / Salviamo ‘sto paese? Sì?” Queste parole di una canzone di Giorgio Gaber hanno più contenuto e senso di molti dei discorsi – ripetizione di un’ormai stanco canovaccio politico – che si sono ascoltati, durante l’informativa sulla crisi, nelle aule di palazzo Montecitorio e di palazzo Madama. A noi, in particolare, una proposta ha colpito positivamente, ovvero quella dell’On. Pier Ferdinando Casini di dar vita ad una commissione bipartisan per la crescita. È giunto il momento, infatti, che anche il nostro Paese, al pari delle altre democrazie occidentali, si ponga l’interrogativo sul ruolo e la missione che come comunità nazionale intende assumere in un orizzonte temporale almeno decennale. Probabilmente, così, si riuscirebbe anche ad arginare la perdita del senso di cittadinanza di una larga parte dell’economia e della società (si pensi alla fuga dei cervelli) – con evidente positivi benefici sull’economia nazionale – che, indipendentemente da chi sta al governo, proprio perché internazionalizzata non si sente più italiana, pur avendo il nostro stesso passaporto. La nostra modesta esperienza in significative piattaforme generazionali europee e nazionali – vuoi lo Youth Forum, lo YEPP o il Forum nazionale dei giovani – ci induce a ritenere che quanto proposto, ieri, dall’On. Casini possa avere effetti favorevoli, non solo economici, anche sociali, se naturalmente interpretata secondo dinamiche bipartisan e logiche non settoriali. Ben venga, allora, l’istituzione di una commissione nazionale per la crescita che possa, in qualche modo, inserirsi nel solco dell’esperienza della Commissione Attalì; seguendo l’esperienza di un paese, come la Francia, che aveva (e ha ancora) da affrontare e vincere sfide comuni all’Italia a partire dal problema di liberare energie e risorse per la crescita, e dalla questione dell’approvazione di riforme che promuovano i talenti, l’iniziativa individuale e collettiva, la capacità e la voglia di intraprendere, di sperimentare, di innovare, di competere, di rischiare. Non è un caso, forse, se la Commissione Attalì – così come notato dal prof. Mario Monti e dal Sen. Franco Bassanini, membri della commissione francese -, “ha suscitato in Italia, fin dal momento della sua costituzione, un’attenzione e un interesse straordinari e imprevisti. In nessun altro paese europeo, a parte la Francia, se ne è discusso e scritto quanto in Italia”. Insomma, per dirla sempre con le parole di Gaber, “bisogna far proposte in positivo / senza calcare la mano sulle possibili carenze (…) / Cerchiamo di essere realisti. Non lasciamoci trarre in inganno… dalla realtà!”

Francesco Nicotri e Riccardo Pozzi

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Ospite di ‘Uno Mattina’

postato il 4 Agosto 2011
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Caffè e quotidiano, aspettando Pier a ‘Uno Mattina’

postato il 4 Agosto 2011

“Parla Pier Ferdinando, si spengono gli Ipad”, così scrive Fabrizio Roncone sul Corriere della Sera, “Casini ha dimostrato cosa significa opposizione responsabile” è il giudizio di Marco Tarquinio. Sono testimonianze e pensieri che ci confermano come –lo avevamo già colto dai giudizi degli italiani su twitter– sia stato centrale ieri l’intervento di Casini in Aula, dopo la delusione dell’intervento del Presidente Berlusconi. A seguire riportiamo alcuni articoli di stamani da leggere nell’attesa di ascoltare Pier Ferdinando Casini alle 8,45 a ‘Uno Mattina’ (Rai1). Seguirà poi la consueta rassegna stampa che oggi si aggiunge ricchissima.

Rizzo – Le attese deluse (Sergio Rizzo, Corriere della Sera)

Tarquinio – La fatica e il coraggio (Marco Tarquinio, Avvenire)

Parla Pier Ferdinando, si spengono gli Ipad. Poi i deputati corrono a fare le valigie (Fabrizio Roncone, Corriere della Sera)

Il premier parla agli elettori e snobba la proposta Casini (Ugo Magri, La Stampa)

Folli – L’urgenza della realtà, l’obbligo di cambiare passo (Stefano Folli, Sole24Ore)

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#Casini über alles. Parola di Twitter.

postato il 3 Agosto 2011

Diciamolo chiaramente: Pier Ferdinando Casini è stato il migliore. Solido, sicuro e pacato,  ma anche deciso, netto ed incisivo.  Migliore di Pierluigi Bersani, che – come ha notato acutamente Andrea Sarubbi – si è fatto scappare il tempo di mano e non è riuscito a risultare convincente, facendosi trascinare in un “dialogo tra sordi”. Un argine contro gli sproloqui del capogruppo della Lega, Reguzzoni; una risposta efficace al debutto (assai deludente, in verità) del neo segretario Pdl, Alfano che è sembrato una brutta replica del discorso del Premier. Casini non è caduto nella trappola della stanca litania del “il governo se ne deve andare” e non perché non lo pensi più, ma perché ripeterlo fa solo il gioco di questa maggioranza: è riuscito, invece, ad esporre ordinatamente priorità del Paese e a dimostrare la loro fondatezza e validità (non per nulla, il povero B. si è agitato più volte durante l’intervento del nostro leader). È riuscito anche a vanificare il gioco della maggioranza, ripetendo che solo “una fase di armistizio tra i principali partiti può salvare l’Italia”, “non improbabili governi tecnici, ma governi che nascano dalla volontà del Parlamento, dei partiti” e che “il problema oggi non è la liquidazione politica di Berlusconi”: pensare che “la fine politica di qualcuno significhi il successo” significa sottovalutare “le difficoltà che abbiamo davanti e il momento che stiamo vivendo”. E, in conclusione, ha anche lanciato dei punti fondamentali per il rilancio della nostra economia (proposte serie, almeno queste l’On. Alfano le avrà sentite?): anticipare la riforma fiscale, aumentare la tassazione delle rendite finanziarie, liberalizzare la rete energia, lanciare una Commissione per la Crescita.

Ma che queste cose le diciamo noi, certo, è ovvio. E, allora, per dimostrarvi che non stiamo esagerando o montando un caso che non esiste, abbiamo fatto un giro su Twitter: fatelo anche voi, leggerete delle chicche assai interessanti. C’è chi è notevolmente stupito (EgonSadaiel nota che “#casini molto meglio di #Bersani: ci rendiamo conto?”, mentre martinacarletti è ancora più esplicita: “#Casini gli sta facendo il c***. Non me l’aspettavo”. C’è anche chi è fiducioso fin dall’inizio (marcoz984: “#Casini farà l’intervento migliore”) e chi alla fine si complimenta onestamente (calamityjane: “E comunque Casini best in class #berlusconicamera”; tigella: “Parla Casini, che mi sembra il favorito a diventare il prossimo Premier italiano, se le cose vanno avanti così”; mammonss: “#Casini parla di Borsa e spread. Bravo”). Riga ammette: “Fu così che Casini ha guadagnato punti in crebilità. Ringraziamo Bersani che oscura tutto il valore del programma del PD”; openworldblog poi si sbilancia addirittura: “mi preoccupo di aver ascoltato un @Pierferdinando Casini molto sensato (e di sinistra). Ecco, l’ho detto”;  idem anche per Gaboganasa: “quello di Casini sembra il discorso più sensato. E ciò mi spaventa”. Ci sono poi pure gli entusiasti come andrea_viliotti che urla: “W Casini! Quanto hai ragione!”; la_maddy: “Finalmente qualcuno (Casini!!!) Parla di ABOLIZIONE DELLE PROVINCE e fa proposte concrete!”; gius_catalano: “Casini una spanna sopra a tutti”.

Come vedete, il nostro giudizio sulla pregevole  qualità dell’intervento di Pier (che trovate qui) non è fazioso e non è nemmeno  unilaterale, anzi è largamente condiviso, specialmente sui social network. Complimenti Presidente, siamo orgogliosi di te.

“Riceviamo e pubblichiamo” Giuseppe Portonera

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