Archivio per Settembre 2011

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postato il 21 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

La notizia più rilevante di questi giorni è stato il declassamento del rating dell’Italia da parte dell’agenzia internazionale Standard & Poor’s, ma cosa significa esattamente? Sostanzialmente, il rating è un giudizio che indica il grado di affidabilità dell’Italia verso i creditori: in pratica indica se l’Italia è un debitore solvibile (in grado cioè di ripagare i suoi debiti) oppure no.

Ebbene, con questo declassamento noi siamo indicati come un po’ meno affidabili rispetto a prima, e questo ha una conseguenza importante: lo Stato italiano, quando venderà i suoi BTP dovrà assicurare un interesse maggiore per renderli appetibili agli investitori, noi tutti pagheremo di più.

Ci rendiamo conto ovviamente che parliamo di qualcosa di grave, che andrà ad incidere sulle casse dello Stato e quindi sulle nostre tasche, per cui la domanda che ci dobbiamo porre è: perché? Perché siamo stati declassati? Perché siamo ritenuti meno affidabili rispetto a prima?

Le motivazioni di Standard & Poor’s sono ineccepibili: intanto le prospettive della crescita economica si sono indebolite; la seconda motivazione è legata alla tenuta del nostro governo: la coalizione di governo è «fragile» e non si ritiene che sarà in grado di prendere quelle misure necessarie per affrontare problemi che si faranno più profondi. La terza riguarda la dimensione del nostro debito che resta troppo elevata. Per Berlusconi la colpa è tutta della stampa che dà una percezione distorta della realtà italiana, ma solo ieri il Governo è stato battuto ben 5 volte nelle votazioni alla Camera.

Nonostante il taglio del rating, la borsa ha chiuso in territorio positivo, perché? Perché gli operatori avevano già subodorato il declassamento e anzi, probabilmente, si aspettavano un declassamento maggiore; ci rendiamo conto di cosa significa? Per i mercati la situazione dell’Italia è talmente grave che il declassamento odierno è stato “lieve”, e quindi se le cose non cambieranno a breve, potrebbero esservi altri declassamenti e questo influirà ancor più negativamente sulla situazione italiana.

Di contro, come contraltare alla situazione italiana spicca quella turca che è stata promossa dalla stessa Standard & poor’s: l’economia del Paese gode infatti di un buon momento di salute. I dati del Pil del secondo trimestre hanno mostrato una crescita dell’economia dell’8,8% anno su anno, in ribasso dall’11,6% nel primo trimestre ma al di sopra del dato del consensus pari al 6,3%. La produzione industriale di luglio ha segnato + 6,9% anno su anno contro il 4% atteso. Noi questi dati ce li possiamo solo sognare come testimoniano gli ultimi dati del FMI, mentre il nostro governo sogna un harem di belle fanciulle, ignorando la reale situazione dell’Italia.

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Cari amici del Pdl, vi auguro una crisi…

postato il 21 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Pur giudicando duramente certe storture ed anche certi personaggi, non ho mai considerato il Pdl una specie di associazione a delinquere. Contrariamente dunque a quanto pensa e propaganda  una certa sinistra forcaiola, contrariamente ai ben pensanti  di una certa elite culturale che la notte leggono Kant, penso che il Popolo delle Libertà annoveri tra le sue fila anche delle persone per bene che hanno creduto sinceramente di poter costruire un partito moderato e popolare.  A queste donne e a questi uomini, che spesso provengono dalla nobile esperienza politica della Democrazia Cristiana, sento di dover rivolgere un accorato appello alla responsabilità. In questa drammatica congiuntura politica ed economica il nostro Paese non si può permettere un premier “a tempo perso”, non si può permettere soprattutto che alcune delle sue migliori risorse continuino a prestar fede e sostenere chi ha sempre dimostrato di anteporre il suo interesse personale a quello del popolo italiano. A voi care amiche e cari amici del Popolo delle Libertà spetta di dire la verità a Berlusconi.  Non è più il momento dell’adulazione e degli osanna ma è giunta l’ora della franchezza e delle verità, di avere il coraggio di dire che nessuno è eterno e che è bene che si chiuda un capitolo della vita politica di questo Paese.

In gioco non c’è il vostro seggio parlamentare o un futuro incarico in un fantomatico governo tecnico o di unità nazionale, bensì i destini dell’Italia e anche la vostra dignità politica. Care amiche ed amici del Pdl, vi auguro una crisi, una crisi della vostra coscienza di uomini e donne liberi e di politici impegnati e rigorosi. Badate la mia non è una sorta di maledizione, perché in origine la  parola “crisi” non aveva l’attuale accezione negativa. “Crisi” deriva dal verbo greco “krino” che vuol dire separare, cernere, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare.  Se dunque riflettiamo sull’etimologia della parola crisi, possiamo cogliere una sfumatura positiva, in quanto un momento di crisi cioè di riflessione, di valutazione, di discernimento, può trasformarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, per una rinascita, per un rifiorire prossimo.Questo miglioramento che tutti auspichiamo si verificherà solamente se ci sarà verità nelle vostre scelte e nelle vostre azioni, se saprete essere uomini e donne di buona volontà.

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Il problema non sono le agenzie di rating ma la credibilità del governo

postato il 20 Settembre 2011

Pdl faccia dimettere premier o rischio Grecia

In questa caccia disperata al colpevole speriamo non siano incolpate le agenzie di rating perché il problema non sono loro.
Il problema siamo noi che non abbiamo saputo fare una manovra strutturale per la crescita. Il problema è la credibilità internazionale del governo.
Per questo rivolgo un appello alle donne e agli uomini di buona volontà della maggioranza, perché evitino di aprire una pagina nera per l’Italia. Dobbiamo evitare lo spettro della Grecia perché altrimenti tutta la politica ne sarà travolta. Non difendano l’indifendibile e aprano una fase nuova. Far finta di non sentire le sirene vuol dire portare l’Italia nel baratro: Berlusconi è parte del problema e potrebbe essere anche parte della soluzione.

Pier Ferdinando

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Arriva il “condono Scilipoti”

postato il 20 Settembre 2011


“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Scilipoti, mette a segno un colpo che, se gli procura visibilità, lo qualifica però da “responsabile” a “irresponsabile”. In un momento in cui si chiedono sacrifici agli italiani, in cui, almeno a parole, il governo vuole scoprire gli evasori, il parlamentare in questione propone e fa approvare dal governo un emendamento per valutare la possibilità di un condono fiscale ed edilizio.

Cosa prevede l’emendamento di Scilipoti? Mentre lo stesso ministro dell’economia si è mostrato dubbioso sull’ipotesi di nuovi condoni, il parlamentare in questione ha pensato bene di fare un nuovo regalo agli evasori e quindi «impegna il Governo a valutare se adottare il tanto vituperato condono fiscale».

In pratica propone una sanatoria tombale, che se mai diventasse legge, porterebbe a premiare gli evasori azzerando i contenziosi degli ultimi 5 anni tra Stato e cittadini.

Avevamo già parlato e avanzato una propsota per una riforma di Equitalia e andare incontro ai cittadini senza premiare gli evasori, la proposta non era per un condono tombale, ma per una rateizzazione e una moratoria per le famiglie in difficoltà verso Equitalia, da unire ad un pugno di ferro verso chi evade.

Per Scilipoti e il governo, invece, sembra che gli evasori debbano essere ulteriormente premiati perché si ritroverebbero a pagare tra il 5 e il 10% di quanto dovuto se si è in possesso di partita iva, mentre chi non ha partita iva verrebbe abbandonato a se stesso, ma non è tutto, perché  nell’ odg di Scilipoti, che ha ottenuto il parere favorevole dell’ esecutivo, c’ è anche il condono edilizio «per i piccoli abusi» residenziali.

Cosa si intende per “piccoli abusi residenziali”? In pratica si parla di un condono edilizio per tutti gli abusi realizzati fino al 31 dicembre 2010 per una volumetria pari a 400 metri cubi (una casa di 100 metri quadri ha una volumetria di 300 metri cubi, per fare capire le proporzioni), anche se non «aderente alla costruzione originaria» e indipendentemente dai vincoli ambientali, demaniali, storici.

Anzi per essere precisi l’emendamento riporta: “il condono edilizio per tutte le opere abusive realizzate entro il 31 dicembre 2010 in ampliamento di opere regolarmente assentite. Per ultimazione si intende l’opera completamente definita nella sua volumetria e nella sua sagoma visiva (in caso di abitazioni occorre il tetto ed i muri perimetrali completi di intonaco e pitturazione esterni) ed esternamente esteticamente completate (con intonaco e pitturazione); che l’opera abusiva realizzata in ampliamento non debba essere superiore al 25 per cento della volumetria originaria o, in alternativa, e non deve costituire un ampliamento superiore a 400 metri cubi (circa 130 metri quadri); che l’ampliamento si considera tale anche se questo non è costruito in aderenza alla costruzione originaria, purché sia tutto realizzato entro la distanza di metri 75 dalla costruzione originaria regolarmente assentita.”

Per chi volesse approfondire ecco il testo completo, compresi errori di battitura e grammaticali, del famigerato emendamento Scilipoti.

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Usciamo dalla crisi investendo sulla banda larga

postato il 19 Settembre 2011

di Giuseppe Portonera

Pier Ferdinando Casini ha pubblicato su Fb, qualche giorno fa, un aggiornamento di stato molto interessante, su un tema di primaria importanza: “Senza banda larga si ferma la crescita, si blocca lo sviluppo. I fondi per internet veloce devono essere ripristinati al più presto”. La scelta di ritornare sull’argomento (che noi abbiamo lungamente analizzato, in ultimo qui, ma che sembra essere scomparso dall’agenda politica) assume quindi un grande valore, perché dimostra come l’Udc sia in grado di proporsi come forza rinnovatrice e modernizzatrice e, soprattutto, come forza di Governo. Il ragionamento sviluppato da Casini, infatti, è in linea con le politiche messe in atto dai governi nord-europei che da tempo hanno scelto di investire su internet e banda larga, volani ormai indispensabili per rilanciare le economie dei paesi in crisi. Non è un caso che nella contromanovra che abbiamo presentato lo scorso mese, uno dei punti principali fosse proprio il lancio di un grande piano strutturale per la banda larga nel nostro Paese, da finanziare attraverso l’asta delle frequenze tv: in un momento, cioè, in cui davanti alla sfida della crisi economica, l’esecutivo in carica si barcamena in modo penoso e insufficiente e gran parte della sinistra risponde utilizzando parole d’ordine passate, l’Udc è l’unico partito che, pensando seriamente al futuro, ha compreso che si può superare dalle sacche della depressione solo “approfittandone” per fare le famose “riforme strutturali”, che non investono solo il rapporto tra lavoratori e pensioni, per dire, ma anche e soprattutto l’accesso ad Internet, che dovrebbe – come abbiamo sempre sostenuto – essere uno dei diritti fondamentali del cittadino. Per questo servirebbero regole più flessibili, prezzi più concorrenziali, infrastrutture migliori (lo ripeto sempre: in Italia si parla di Wi-Fi libero quando in tutt’Europa si sperimentano già il Wi-Max e il Wi-Gig!).

La manovra presentata dal governo è riuscita – tra i tanti disastri – anche ad affossare definitivamente il progetto di sviluppo della banda larga in Italia, contribuendo così ad aumentare sempre più il gap che ci separa dagli altri paesi. I fondi che erano stati inizialmente stanziati (800 milioni di euro in un progetto complessivo da 1,47 miliardi), infatti, sono stati successivamente congelati, rendendo plateale il fallimento del Piano Romani; e la cosa che più ci fa innervosire è la motivazione con la quale il Governo ha bloccato quei soldi: “la banda larga – ha spiegato il sottosegretario Letta, tempo fa – non è una priorità”. Pura follia, perché dimostra ancora una volta come la classe politica al governo non sia in grado di definire chiaramente cosa sia una “priorità” e cosa no: contro questa assurda decisioni si sono levati, lo scorso agosto, la Confindustria e Telecom Italia, che hanno rilasciato un dossier (inizialmente classificato come riservato) in cui si sviluppa un’ipotesi di piano d’azione per colmare il digital divide nei principali distretti industriali del Paese, dove internet va al rallentatore o proprio non arriva – come infatti ha ricordato Aldo Bonomi, vicepresidente di Confindustria con delega sul territorio e i distretti, bisogna creare “un’iniziativa di sistema che azzeri una volta per tutte il divario digitale di molte aree industriali, che senza internet perdono competitività”. Nella “mappa” prodotta da Telecom e Confindustria si individuano le aree più colpite dal digital divide: la maglia nera spetta ad Avellino, noto per le industrie alimentari, dove l’Adsl arriva solo al 45% della popolazione e dove, secondo le stime Telecom, basterebbe un milione e mezzo di euro per risolvere decentemente il problema. Più a Nord anche Marsciano, in provincia di Perugia (metalmeccanica e arredamento), non naviga in buona acque, e ci vorrebbero circa 2,6 milioni per “sanare” la situazione. Vanno meglio il distretto di Parma-Langhirano (ancora alimentare), con una copertura del 77%, e Pordenone (meccanica e componentistica), dove Internet raggiunge il 78% della popolazione. Persino nel distretto motoristico di Bologna, dove la velocità non dovrebbe essere un problema, c’è però un buon 1% degli imprenditori completamente tagliati fuori da un collegamento decente.

Fino ad oggi, la politica si è accorta marginalmente di Internet. Per questo è giunto il momento che un leader di partito scelga di intestarsi seriamente la battaglia per l’allargamento della banda larga e l’introduzione quindi di Internet nelle case di tutti gli italiani. Avanti Pier, tocca a noi!

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Referendum elettorale, se il rimedio è peggiore della malattia…

postato il 19 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

L’Italia è un Paese con un mucchio di problemi, e questo è noto a tutti. Pochi però sembrano comprendere che uno dei motivi che ci impediscono di rimetterci in piedi è quella che Giovanni Sartori ha chiamato la “citrullaggine elettorale” cioè “l’incapacità di adottare un sistema di voto che funzioni e che, di conseguenza, consenta alla politica di funzionare”.

L’attuale legge elettorale è stata ribattezzata da Giovanni Sartori, che a dire il vero ha ripreso le parole dell’estensore della legge il ministro Calderoli, Porcellum. Che questa legge elettorale sia una porcata non c’è dubbio poiché assegna un premio di maggioranza alla maggiore minoranza. Per capirci: un premio di maggioranza è lecito se rafforza chi consegue la maggioranza assoluta dei voti (il 50 o più per cento); ma non se trasforma una minoranza elettorale in una maggioranza di governo! Sempre il Porcellum ha introdotto le cosiddette “liste bloccate” con le quali i segretari di partito spediscono in Parlamento, nel migliore dei casi, amici e parenti.

E’ urgente dunque cambiare questa assurda legge elettorale che ha prodotto un sistema politico malato. Bisogna però stare attenti a che il rimedio non sia peggiore della malattia. Se la raccolta di firme per ottenere il referendum abrogativo della legge Calderoli andasse a buon fine, l’eventuale vittoria dei “sì” alla conseguente consultazione referendaria avrebbe come risultato quello di reintrodurre la vecchia legge elettorale, il cosiddetto Mattarellum. Questa situazione è resa possibile da un clamoroso errore del ministro leghista: invece di abrogare la vecchia legge, Calderoli si era accontentato di emendarla. Un errore fatale, che adesso permette il referendum abrogativo, inoltre cancellando gli articoli nuovi, come chiedono i quesiti del comitato referendario,  si risuscita la vecchia legge.

C’è da dire però che tecnicamente il ritorno al Mattarellum in caso di abrogazione della vigente legge elettorale, non è scontato. Come ben illustrato da un recente articolo di Cesare Salvi su “il Riformista” uno dei quesiti proposti dai referendari prevede in particolare l’abrogazione delle norme della legge vigente, che a loro volta avevano abrogato i decreti legislativi sulla determinazione dei collegi uninominali della Camera e del Senato. Anche uno studente di giurisprudenza di primo anno sa che l’abrogazione non può far rivivere norme abrogate, e quindi l’eventuale approvazione del quesito produrrebbe una legge priva della normativa che riguarda il suo punto centrale, cioè l’adozione dei collegi uninominali. Ne risulterebbe una legge non immediatamente operativa, in contrasto con quanto richiesto dalla Corte costituzionale nella sentenza 29/1987. Alla luce di questi importanti rilievi del Prof. Salvi c’è da ritenere che è assai probabile che la Corte Costituzionale dichiarerà inammissibili i quesiti.

Ma oltre al dato tecnico-giuridico c’è quello politico: perché ritornare ad una legge elettorale fallimentare come il Mattarellum? L’errore di fondo, del comitato referendario e di una certa area politica, è associare la vecchia legge elettorale ad un presunto bipolarismo o bipartitismo. Mai associazione fu più sciocca e infondata. Con il sistema proporzionale della prima Repubblica i partiti rilevanti sono stati 5-6; con il successivo Mattarellum si sono triplicati. Perché? Nei collegi uninominali i partitini acquistano un potere di ricatto che altrimenti non hanno: nei collegi «insicuri», dove lo scarto tra i maggiori partiti è piccolo, i piccoli partiti sanno che il loro voto è decisivo. Nasce così i celebri e nefasti accordi di “desistenza”: io non mi presento in dieci collegi e tu, in contraccambio, mi assicuri un collegio ogni dieci.

Alla luce di queste considerazioni possiamo dire che il referendum per cui si stanno raccogliendo le firme, oltre ad essere a forte rischio inammissibilità, produrrebbe, nel caso venisse ammesso dalla Consulta, un nefasto ritorno alla vecchia legge elettorale. L’urgenza di una riforma elettorale che elimini l’orrido Porcellum è sotto gli occhi di tutti, ma questa riforma è bene che sia fatta in Parlamento dove le forze politiche devono confrontarsi e produrre una legge elettorale che faccia crescere politicamente il Paese. L’obiettivo di una legge elettorale non è infatti quello di costruire un sistema politico a tavolino, o di favorire il bipolarismo, ma è quello di dotare l’Italia di un sistema di voto che consenta, come si diceva all’inizio, alla politica di funzionare.

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Nasce da Chianciano l’idea di un’altra Italia

postato il 18 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

I sonnacchiosi weekend estivi a cavallo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre sono, non da ieri, il periodo preferito per organizzare le tradizionali feste di partito, ritualità superstite della Prima Repubblica cui si sono però subito prestati anche i partiti asseritamente “anti-sistema”.

Tra tutte le feste organizzate in questo periodo, tutt’altro che tranquillo a causa della “telenovela” sulla manovra finanziaria messa in piedi dal governo B.B. (Berlusconi & Bossi, non Banda Bassotti), certamente quella che ha avuto il miglior riscontro di partecipazione ed attenzione da parte dell’opinione pubblica è risultata essere quella organizzata a Chianciano dall’Unione di Centro.

Durante le quattro giornate organizzate nel centro termale toscano, si sono alternati nelle diverse postazioni di incontro numerosi personaggi della politica e dell’economia e soprattutto migliaia di persone, moltissimi i giovani, desiderose di portare finalmente il loro contributo alla definizione di una piattaforma ideale e programmatica attraverso la quale fare uscire il Paese dalla situazione di grave degrado in cui esso versa.

Per tutta la seconda parte della scorsa settimana le gravi notizie che quotidianamente trovavano spazio sui giornali ricevevano pronto eco dal palco di Chianciano attraverso le parole di illustri oratori, rilanciate in tempo reale anche attraverso Internet grazie all’opera dello staff dei giovani volontari che consentivano l’immediata condivisione di pareri e proposte con gli utenti dei “social networks”.

Ciò che, a mio avviso, ha determinato il successo dell’iniziativa è stato il senso di serietà e la concretezza delle posizioni emerse dai singoli dibattiti; il rigore morale e la coerenza dei comportamenti dimostrati dall’Unione di Centro hanno consentito a far emergere un nuovo modo di fare politica, distante anni luce da quello che molti esponenti dell’attuale compagine governativa hanno fatto vedere e che anche autorevoli esponenti dell’opposizione paiono voler copiare.

Si tratta della rinascita di quella che qualcuno definiva “l’idea di un’altra Italia”, una buona politica capace di mettere l’interesse del Paese davanti anche all’interesse particolare del singolo partito; si tratta di avere il coraggio di dire la verità e fare le scelte necessarie anche se tutto ciò potrebbe essere elettoralmente controproducente.

Gli italiani, nonostante da qualcuno siano considerati alla stregua di povere marionette, sanno capire e condividere le proposte serie quando arrivano da parte di chi ha fatto della serietà il proprio tratto distintivo, anche i sondaggi degli ultimi tempi dimostrano che questa presa di coscienza è già in atto.

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