postato il 11 Novembre 2011
Ore 15.00 – Sala del Mappamondo – Camera dei Deputati (Piazza di Montecitorio)
Partecipa a Roma al Meeting della Alliance of Democrats (“Il Futuro della Democrazia”) – Come promuoverla, come rafforzarla, come difenderla.
postato il 11 Novembre 2011
di Mario Pezzati.
Nessuno di noi confonderebbe mele con pere: sono entrambi frutti, ma sono differenti. Allo stesso modo non si dovrebbero confondere le aziende start up (con questo termine si identifica l’operazione e il periodo durante il quale si avvia un’impresa, si tratta di solito di imprese appena costituite, nelle quali vi sono ancora processi organizzativi in corso) e le società di comodo (società costituite per occultare patrimoni, generalmente utilizzate per procedure di evasione fiscale).
Eppure, come fa rilevare Quintarelli, per lo Stato italiano sono la stessa medesima cosa e questo crea notevoli problemi perché rischia di castigare e fare scappare coloro che volessero iniziare nuove attività imprenditoriali, in particolare nel campo dell’alta tecnologia.
E’ normale per una start up avere un periodo iniziale (generalmente un paio di anni) di profondo rosso, ma questo, per il fisco italiano, equivale ad una società di comodo che, tramite perdite fittizie, permette di occultare capitali per evitare che vengano tassati. Lotta dura all’evasione fiscale, ma altra cosa è penalizzare chi, nel rispetto delle regole, decide di investire, creando occupazione e sviluppo, perché se sei considerato società di comodo, non puoi detrarre le perdite pregresse e neppure l’IVA.
Il problema è che il sistema italiano si fonda tutto sulla “presunzione”. Effettuare le verifiche del caso è impegnativo e costoso, allora: tutte le aziende che hanno 3 anni in perdita oppure due anni in perdita e un anno con un profitto inferiore a quanto “previsto” dallo Stato, sono considerate società di comodo. Per evitare questa presunzione, l’imprenditore deve dimostrare (in quanto “presunto colpevole”) la sua innocenza. Tale dimostrazione avviene tramite una sorta di “entità astratta”, ovvero “l’istanza di interpello disapplicativo”, in pratica altra burocrazia inutile, nonostante già nel 2006 fosse stata varata da Visco e Bersani una legislazione molto stringente per le società di comodo.
Il prossimo governo si preoccupi pure di questo.
postato il 11 Novembre 2011
Il governo Monti non è ancora nato che è già al centro della polemica: se infatti Pd e Terzo Polo gli hanno già confermato il proprio sostegno, il Pdl continua a dividersi al proprio interno sull’atteggiamento da seguire; e mentre l’Idv ritratta il suo no, la Lega lo conferma. Ed è la lacerazione intestina del Pdl è il dato da analizzare con più attenzione: proprio quando Berlusconi sembra ormai essersi orientato verso il sostegno al governo tecnico, ecco che un pezzo importante del suo partito gli si ribella (a partire dagli ex An, capeggiati da La Russa e Matteoli, per arrivare a Sacconi e Rotondi). Per Massimo Franco, sul Corriere, è proprio la “caduta” del premier ad aver impresso una notevole accelerazione alla disgregazione del centrodestra, mentre per Marcello Sorgi, su La Stampa, questo processo non interesserà solo il centrodestra, ma coinvolgerà tutti e due i poli: si torna tutti lì, dritti al centro, dopo anni e anni di inconcludenti governi di Destra e Sinistra, con i risorti partiti, “quelli veri” (eppure, per Pigi Battista, il fatto che i due grandi Pd e Pdl possano convergere su un comune obiettivo, è una novità da salutare con calore). Spazio, poi, a Pier Ferdinando Casini, che il Tempo incorona nuovamente come grande vincitore di questi giorni: su Avvenire e QN potete trovare il suo giudizio riguardo al “governo tecnico”, che non rappresenta – come qualcuno pensa – la morte della politica, ma è anzi l’ultima occasione perché la Politica si salvi.
Addio Poli, si torna al centro. (Marcello Sorgi, La Stampa)
La caduta del premier accelera la diaspora del centrodestra. (Massimo Franco, Corriere della Sera)
I promessi alleati. (Pierluigi Battista, Corriere della Sera)
Ride solo Casini: «Tutti ci cercano». (Nadia Pietrafitta, il Tempo)
Casini: «Non sarò ministro, serve unità». (Roberta D’Angelo, Avvenire)
Casini e il governo tecnico: «Ultima occasione per salvare la politica». (Elena G. Polidori, QN)
Buttiglione: «In carica fino al 2013, c’è troppo lavoro da fare». (Maria Grazia Colombo, il Riformista)
Tre possibili scenari nel caso di elezioni anticipate. (Pietro Tatafiore, Italia Oggi)
postato il 10 Novembre 2011
Alla presentazione del libro di Maurizio Lupi ‘La prima politica è vivere’.
Siamo a un passo dal baratro, ci dobbiamo fermare e far prevelare l’unione. Un governo guidato da Mario Monti non sarebbe l’abdicazione della politica, ma l’ultima occasione che la politica ha di salvare se stessa e di non essere marchiata di irresponsabilità. Noi politici siamo chiamati oggi a salvare la nostra ragione sociale. Siamo in una fase delicata perché i partiti sono chiamati a svolgere un compito da statisti: guidare il loro popolo verso scelte impopolari, senza farsi condizionare dalla demagogia.
Pier Ferdinando
postato il 10 Novembre 2011
Ore 20.30 – La7
E’ ospite di ‘Otto e mezzo’
postato il 10 Novembre 2011
Ore 18.00 – Sala del Mappamondo (Camera dei Deputati)
Partecipa a Roma alla presentazione del volume di Maurizio Lupi, “La prima politica è vivere” con Gianfranco Fini, Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani, Giovanni Floris
postato il 10 Novembre 2011
“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi
In questi frenetici giorni politici e autorevoli commentatori hanno suggerito a Berlusconi di “fare come Zapatero”. La formula “fare come Zapatero” è piuttosto equivoca, tanto che per alcuni indica il non ricandidarsi alle prossime politiche mentre per altri l’andare senza indugio ad elezioni. Tutti però dimenticano un passaggio fondamentale di questo “fare come Zapatero”: tra la decisione di non ricandidarsi e l’indizione delle elezioni Zapatero ha trovato il tempo di fare alcune riforme necessarie, con l’opposizione, per rimettere in forma la Spagna in attesa del voto. La Spagna, che per molti mesi è stata considerata la candidata più probabile a un’ipotetica deriva greca, negli ultimi tempi sembra essersi un po’ allontanata dall’orlo del precipizio. La Spagna non è ancora fuori dalla crisi, ma la decisione del premier José Luis Rodriguez Zapatero di ritirarsi dalla vita politica, e di condurre il paese a elezioni leggermente anticipate il prossimo 20 novembre, ha avuto un effetto positivo. Questa decisione, in combinato disposto con alcune riforme fatte insieme all’opposizione ha fatto sì che la Spagna potesse guadagnarsi qualche lode dalla Bce e dalla stampa economica internazionale e che Madrid potesse allontanarsi dal mirino degli speculatori.
Nello specifico il governo Zapatero ha proceduto alla ristrutturazione del sistema delle Casse di Risparmio e ha preso altre misure in campo economico che sono state apprezzate dalle istituzioni europee e per le quali ha ricevuto in Parlamento anche l’appoggio “di responsabilità” da parte del Partito Popolare di Mariano Rajoy, su tutte l’inserimento nella Costituzione spagnola di un limite al deficit. Quando dunque si chiede a Silvio Berlusconi di “fare come Zapatero” bisogna ricordare che questo “fare” non significa solamente farsi da parte o invocare risolutive elezioni anticipate, ma significa, soprattutto, prendere quelle misure necessarie per allontanare dal Paese il rischio Grecia. E’ chiaro che se Berlusconi non ha la forza e il consenso per fare ciò è giusto che ceda il passo a qualcuno che, con il consenso suo e di gran parte del Parlamento, prenda quelle misure che l’Europa e i mercati aspettano da troppo tempo.
postato il 10 Novembre 2011
Pubblichiamo da ‘Il Corriere della Sera’ il Colloquio con Pier Ferdinando Casini
di Aldo Cazzullo
Con gli uomini dello staff, con i due personaggi a lui più vicini – Cesa per la politica, Rao per la comunicazione -, con i mediatori che in questi giorni hanno sfilato al Pdl uomini (e donne) simbolo, ieri sera Pier Ferdinando Casini sorrideva: «Ricordate quando tre anni e mezzo fa Berlusconi ci diede un calcio nel didietro? Adesso potremmo rendergli la pariglia. Invece noi dobbiamo fare esattamente il contrario. Rassicurare. Ricompattare il quadro politico. Non attaccare nessuno, non andare a cercare nessuno. Tanto, se devono venire da noi, vengono. Berlusconi ha capito che, se non fa il governo di larghe intese, metà partito lo saluta, il Pdl gli si sfalda tra le mani. Non a caso ha controfirmato la nomina di Monti senatore a vita. Oggi la nostra vittoria non è il parlamentare in più che viene da noi. È la vittoria di una linea. La scommessa del 2008 sulla fine del bipolarismo; e adesso l’investimento sul governo di responsabilità nazionale. Ancora giovedì pareva impossibile. Oggi è a portata di mano». [Continua a leggere]
postato il 9 Novembre 2011
L’intervista ai microfoni del Tg1
Nessuno vuole fare un governo del ribaltone: serve un governo di responsabilità collettiva perché corriamo il rischio di fare la fine della Grecia.
Per giochini politici non c’è spazio. Bisogna fare le cose vere, prendere misure impopolari, bisogna assumersi impegni anche contro interessi politici e dei partiti. Ci vuole la corresponsabilità delle forze maggiori del Pdl e del Pd. Mi auguro che Berlusconi ci rifletta e sono convinto che alla fine rifletterà sulla responsabilità che si assumerebbe se impedisse questa possibilità.