Archivio per Dicembre 2011

A futura memoria (se la memoria ha un futuro)

postato il 3 Dicembre 2011

Prima di iniziare a leggere vi prego di guardare attentamente la foto a fianco e di considerare come degli imbecilli hanno ridotto Oscar Giannino che era stato invitato a parlare ad una conferenza alla facoltà di Scienze politiche di Milano. Detto questo mi appresto a scrivere un post molto banale, ma anche molto umiliante per una persona che crede di essere in un Paese civile e democratico: sono convinto che impedire ad un giornalista di parlare in una università e lanciargli contro uova e pomodori non è solo antidemocratico e incivile ma è da cretini.  Sono gli stessi cretini che hanno lanciato un bengala contro Bonanni e che hanno sputato in faccia a Marco Pannela, gente che si comporta come se gli anni settanta non fossero mai finiti, o per dirla con Francesco Costa “sedicenti rivoluzionari di sinistra, minorenni, di mezza età e più stagionati che si considerano in missione per il bene del pianeta”. Sono un po’ stanco di questa gentaglia che non ho ben capito perché bivacca nelle nostre università, ma sono anche infastidito da chi minimizza queste cose. Scrivo queste cose a futura memoria, sempre che, come diceva Sciascia, la memoria abbia futuro.

Adriano Frinchi

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Cinque anni dopo possiamo dirlo: avevamo ragione noi.

postato il 2 Dicembre 2011

Sono già passati cinque anni da quella splendida serata. Sono già passati cinque anni da quando l’Udc decise di smettere di essere solo un’appendice di un centrodestra ormai da archiviare e di diventare un partito maturo e autonomo. Sono già passati cinque anni: i più difficili, impegnativi, emozionanti e importanti della nostra storia. Fu il 2 dicembre 2006, infatti, che dal palco del Palasport di Palermo, Pier Ferdinando Casini prese coscienza che il suo e il nostro destino politico non potevano più rimanere legati alla vecchia, paternalistica e raffazzonata idea di politica (e di centrodestra, ça va sans dire) di Silvio Berlusconi e ammise chiaramente che la CDL aveva fallito nella stessa misura in cui stava fallendo il Centrosinistra: “la Casa delle Libertà non ha più senso. Il suo ritualismo fa parte del passato e non di una prospettiva presente”. Disertando Piazza San Giovanni, dove invece si riunì il grosso della vecchia coalizione, l’Udc scelse di dare un segnale forte: l’alternativa a Prodi e alla sua Unione non poteva più essere Berlusconi. Non ci si poteva più accontentare dell’alternanza, serviva un’alternativa. Vera.

Da lì, da quel 2 dicembre, ha avuto inizio il nostro lungo cammino, difficile e solitario ma coraggioso e coerente. E oggi possiamo dire di aver avuto ragione: del resto, il Governo Monti è la dimostrazione che quella sera eravamo riusciti a vedere lontano. Abbiamo chiesto, ai vari governi che si sono succeduti in questi ultimi anni, le celebri riforme strutturali: dopo anni di rinvii, solo Monti oggi è in grado di affrontare questioni che la politica finora non è stata in grado di risolvere. Ecco perché noi – e il Terzo Polo, che nel frattempo si è stretto intorno alle nostre intuizioni e alle nostre scelte – sosteniamo questo governo con convinzione, senza pretese personali o veti. Questo esecutivo, come abbiamo sempre sostenuto, non è e non sarà una semplice parentesi nel quadro politico italiano. Tutto cambierà: nuovi schieramenti nasceranno su nuovi valori e su nuove idee e ci lasceremo finalmente dietro questi 18 anni deludenti.

Cinque anni fa, decidemmo di scommettere tutto: la posta in gioco era alta, forse anche troppo per un partito piccolo come il nostro. Avevamo ragione noi, però. Perché saremo forse piccoli nei numeri, ma siamo grandi nel resto: a partire dal senso di militanza e di sostegno che ciascuno di noi ha sempre avuto nei confronti del partito. E quindi, cinque anni dopo, concediamoci il grado di soddisfazione che meritiamo. Avevamo ragione noi.

Giuseppe Portonera

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Monti impopolare? Colma mancanze della politica

postato il 2 Dicembre 2011

Appoggiamo Monti non per vigliaccheria ma per convinzione, perché a partire da una riforma delle pensioni nel segno dell’equità anche generazionale, questo governo affronta questioni da anni rinviate e non risolte dalla politica di destra e di sinistra. A Prodi e Berlusconi invano avevamo chiesto riforme strutturali per i nostri figli, e per colmare lo squilibrio per il quale i giovani non avranno mai la copertura previdenziale che abbiamo noi.
Sono provvedimenti impopolari e che ci faranno perdere voti? Se vogliamo salvare l’Italia non c’è alternativa.

Pier Ferdinando

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Perché la riforma delle pensioni s’ha da fare (subito)

postato il 2 Dicembre 2011

di Giuseppe Portonera

Una delle principali matrici di azione di questo Governo, come spiegato più e più volte dal Premier Mario Monti, sarà quella di fare la tanto annunciata quanto irrealizzata “riforma del sistema pensionistico”. In realtà la riforma del sistema previdenziale sarebbe dovuta essere approntata molto tempo fa, ma la nostra politica ha preferito sprecare anni e anni in interminabili e infinite discussioni ideologiche, con il risultato che, nella situazione straordinariamente delicata in cui ci troviamo ora, ci vediamo costretti a prendere provvedimenti decisi, senza mezze misure, in tempi stretti. Per questo serve una comune assunzione di responsabilità da parte di tutti: l’aumento dell’età pensionabile, il superamento del magico numero 40, il passaggio al sistema contributivo per tutti, l’abolizione delle pensioni di anzianità non sono misure “punitive”: sono “necessarie” per garantire una maggiore equità sociale, maggiori possibilità alle future (e presenti) nuove generazioni.

Come hanno spiegato gli economisti Tito Boeri e Agar Brugiavini, su Lavoce.info, il sistema attuale ha delle palesi situazioni di iniquità, che vanno eliminate, così come ci hanno chiesto anche Europa e Bce, non “per fare cassa, ma per equità”. Anche perché questa tipo di riforma agirebbe anche sul grande problema italiano (o meglio, uno dei tanti): la disoccupazione giovanile. Abbiamo, contemporaneamente, la quota più alta di giovani che non lavorano e non studiano al tempo stesso e quella di chi ha vite lavorative più brevi. Lavorando più a lungo, sostengono giustamente Boeri e Brugiavini, potremmo ridurre la pressione fiscale che grava sui giovani e aumentare assunzioni e rendimento dell’istruzione fra chi ha meno di 24 anni.

Del resto, sempre su lavoce.info, il neoministro per il Welfare, Elsa Fornero, non ha mancato di esporre la propria visione in materia e la propria preferenza verso una riforma netta che vada nella direzione indicata sopra: e questo, è ovvio, ci fa ben sperare. La Fornero, infatti, è un’esperta in materia, di indubbia qualità e competenza e ha sempre avuto un approccio alla questione estremamente razionale e non ideologico: in un articolo del 2007, commentando la proposta di riforma previdenziale avanzata dall’Ulivo, spiegava che “sarebbe un vero peccato se vertesse soltanto sullo scalone, che pure si può ammorbidire. A patto di saper progettare il futuro e di riaffermare il metodo contributivo, il punto forte della riforma del 1995. E l’unico in grado di garantire al tempo stesso sostenibilità finanziaria ed equità tra le generazioni”. Centrale, come vedete, è il concetto del sapere “progettare il futuro”: un futuro che si può costruire, pezzo dopo pezzo, solo se oggi i nostri padri (a proposito, date un’occhiata all’hashtag #caropadre) saranno disposti a rinunciare ad alcuni dei loro privilegi di oggi. Se così non dovesse essere, si potranno lamentare delle loro (anche magre, per carità) pensioni, ma non lasceranno ai propri figli neanche questo di cui lamentarsi: saremo la Generazione zero, zero lavoro e zero pensione. Senza questo tipo di riforma, possiamo dimenticarci ogni possibilità di crescita.

Perché, come recita un antico proverbio, le società crescono solo quando gli anziani piantano alberi sotto la cui ombra non riposeranno mai. La strada è questa, non esistono alternative: perché le pensioni tornino ad essere la giusta ricompensa per chi ha lavorato una vita, non un miraggio impossibile o un felice ricordo di un lontano passato, è necessario riformare il sistema previdenziale. Subito.

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Non mettiamo ostacoli sulla strada di Monti

postato il 1 Dicembre 2011

Ognuno fa il suo mestiere e il sindacato va capito, ma noi non abbiamo chiamato Monti per disseminare la sua strada di ostacoli, per mettere veti contro veti. Il presidente del Consiglio ha la delega per fare una manovra importante, e noi siamo impegnati a sostenerlo senza riserve. Monti ha le idee chiare, sa bene che una recessione non serve e che, invece, bisogna ripartire con lo sviluppo.

Pier Ferdinando

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La pericolosa navigazione del comandante Monti

postato il 1 Dicembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Mantovani

Dopo alcuni mesi di navigazione difficilissima, che hanno causato alla nave Italia danni chiaramente visibili, il nuovo Comandante Monti ha ora la responsabilità di oltrepassare lo stretto più pericoloso. L’Unione Europea e l’Euro seguono trepidanti la rotta, perché insieme all’Italia affonderebbero anche loro.

Da un lato c’è Scilla, il gorgo della politica monetaria espansiva e dell’inflazione, lo strumento in apparenza più semplice per allentare la tensione sul debito, quello utilizzato dagli USA. Prevede una BCE che acquista in modo illimitato il debito sovrano dei paesi Euro sotto pressione dei tassi, stampando di fatto moneta.

In breve tempo tutti i tassi nominali dell’Eurozona aumenterebbero, l’Euro si deprezzerebbe e con esso il debito pubblico. La Germania, costretta ad una politica inflattiva, potrebbe decidere di uscire dall’Euro e qualche Stato la seguirebbe, adottando il SuperMarco. Oppure potrebbe costringere ai paesi più deboli di uscire e ritornare alle valute nazionali. Non esistono i meccanismi per gestire la spaccatura dell’Euro ed i danni sono difficilmente calcolabili ma inevitabili, come sempre nelle situazioni d’incertezza.

Dall’altro lato c’è Cariddi, il mostro recessivo alimentato dalla politica di austerità, che per ottenere risultati a breve taglia la spesa ed aumenta le tasse, deprimendo l’economia e rischiando una spirale nella quale i redditi diminuiscono ed il debito pubblico non scende. La Germania sostiene che loro sono riusciti ad evitare questa spirale, ora tocca a noi fare altrettanto. Ma se oltre a greci si ribellassero alla cura teutonica i cittadini italiani e poi gli spagnoli e infine i francesi, chi avrebbe la forza di governare la situazione? Anche in questo caso si assisterebbe ad un’implosione dell’Eurozona e della UE.

Se l’Europa unita avesse scelto per tempo, diciamo un paio d’anni fa, una delle due vie, ora non avrebbero ora le sembianze dei due mostri mitologici. Oggi invece Monti è chiamato a navigare nel mezzo, con una nave che ha vele ancora potenti, ma uno scafo piuttosto malandato.

Le misure del suo governo non devono apparire soltanto i mezzi per quadrare i prossimi bilanci, ma rappresentare un modello di riforma che ogni paese europeo in difficoltà può e deve adottare. Un modello che alleggerisce lo Stato, chiede sacrifici a tutti indistintamente e consente all’economia privata di ripartire, facendo crescere i redditi reali da lavoro e l’occupazione.

Per poter navigare al centro del terribile stretto le misure di rigore devono essere accompagnate da una politica monetaria comunque espansiva, pur evitando i temuti eccessi in stile FED.

Il passaggio senza naufragare dipenderà anche dal fatto che la manovra del 5 dicembre sia percepita come dura ma giusta, che colpisca tutti gli italiani ed in particolare coloro che negli anni passati sono rimasti indenni dai sacrifici. Più le soluzioni tenderanno a rendere omogenee le regole nell’Eurozona, più sarà possibile guidare l’economia continentale fuori dalle secche e creare nei prossimi mesi istituzioni europee più solide.

Ma oltre a Scilla e Cariddi il Comandante Monti dovrà evitare il pericoloso canto delle infinite Sirene che gli chiedono di alleggerire, di spostare, di rinviare i provvedimenti. Quelli che dicono che tanto, come sempre, ce la caveremo. Lui e i suoi marinai si leghino all’albero e si tappino le orecchie – come fece Ulisse – e vadano avanti, senza ascoltare nessuno.

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