postato il 16 Gennaio 2012
Gran parte delle nostre difficoltà vengono dal pregresso italiano ma anche dallo stato un po’ confusionale che c’e’ in Europa.
Quindi abbiamo convenuto sul fatto che il governo si possa e si debba presentare al vertice del 30 a Bruxelles con il supporto forte di una mozione parlamentare con il più ampio consenso possibile appoggiata da Terzo polo, Pdl, Pd e dalle forze che vorranno essere disponibili a questa intesa nazionale.
Pier Ferdinando
postato il 16 Gennaio 2012
“Riceviamo e pubblichiamo”
Notizia di questi giorni è stato raggiunto un ottimo accordo tra la società Luxottica e i sindacati. Vi chiederete dove sia la novità: ebbene la novità è nel “come” è stato raggiunto questo accordo.
La Luxottica aveva la necessità di aumentare la produttività di Sedico facendo girare gli impianti non più solo dalle 8 alle 17 ma dalle 5 del mattino alle 20. Il turno è stato ampliato senza un’ora di sciopero e attraverso una consultazione efficace e diretta tra azienda e lavoratori. Il risultato: accordo in poco tempo sottoscritto con tutti i sindacati, nessuno sciopero e produzione di cinque milioni di occhiali con un giorno di anticipo.
Per la prima volta i sindacati, prima di avanzare proposte, hanno consultato preventivamente i lavoratori che hanno scelto di fare girare gli impianti non più solo dalle 8 alle 17, ma dalle 5 del mattino alle 20 di sera, in quanto alcuni lavoratori hanno scelto di lavorare dalle 5 alle 12 e dalle 13 alle 20. In pratica hanno prima parlato con i lavoratori, poi hanno raccolto indicazioni su orari ed esigenze personali di questi ultimi e infine hanno esaminato con i lavoratori i risultati delle consultazioni. L’accordo è stato poi siglato in “maniera tradizionale” tra sindacati e azienda.
La novità è, quindi, nel metodo che ha portato alla consultazione preventiva dei lavoratori, con i sindacati che hanno ridato centralità ai loro assistiti e non hanno negoziato da “soli”, preferendo la consultazione preventiva.
Questo metodo, a mio avviso, potrebbe e dovrebbe essere usato in tutta Italia: da un lato i sindacati ridarebbero centralità ai lavoratori ed eviterebbero di arroccarsi su posizioni che, in alcuni casi, non sono gradite nemmeno dai lavoratori; dall’altro i lavoratori parteciperebbero attivamente alla vita produttiva maturando il radicamento con il posto di lavoro; l’azienda avvierebbe un percorso collaborativo con i sindacati che eviterebbe trattative estenuanti e scioperi.
Questo mutamento nel modo di agire dei sindacati dovrebbe essere seguito con attenzione perché eviterebbe delle contrapposizioni spesso ideologiche, che danneggiano solo i lavoratori e le aziende, e a tal proposito non possiamo non pensare alla lotta estenuante ingaggiata tra la Fiat e i sindacati Cisl, UIL e CGIL da un lato e la FIOM dall’altro, che ha portato il sindacato guidato da Landini ad essere escluso da tutte le trattative future.
postato il 16 Gennaio 2012
L’intervista di Marcello Sorgi pubblicata su ‘la Stampa’
Presidente Casini, tutti i veli sono caduti: -oggi Monti incontra voi segretari della maggioranza alla luce del sole, senza più doversi nascondere.
Com’è nata la svolta?
«Vede, in politica c’è sempre un po’ di ipocrisia: da quando è nato il governo, ci siamo visti con Monti, come tra noi della maggioranza, altre volte. Domani è la prima volta che accade ufficialmente, ma non direi che è un fatto sconvolgente».
Sarà soddisfatto, lei che ha tanto premuto per far uscire questa maggioranza dalla clandestinità.
«A me sembra normale che con tutto quel che sta accadendo e nel vivo di un cambiamento positivo di rapporti tra Italia e Europa, chi appoggia il governo discuta delle prospettive. Se vuole la mia valutazione, ritengo che noi abbiamo fatto il primo passo per uscire dall’isolamento in cui eravamo con il governo Berlusconi, abbiamo dimostrato di poter essere credibili con la manovra di dicembre, con gli impegni presi per il pareggio di bilancio nel 2013 e con il programma di liberalizzazioni che sta per essere varato. Adesso però dobbiamo trovare il modo di ottenere dall’Europa risposte concrete sul rafforzamento del fondo salva-Stati, sul ruolo della Bce e sull’effettiva difesa dell’euro dagli attacchi speculativi che continuano». [Continua a leggere]
postato il 14 Gennaio 2012
“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera
Ho sempre ritenuto l’assenza di concorrenza come il sintomo di una Paese malato, nel mercato, così come nella vita di ogni giorno. Sono sempre stato convinto che lì dove c’è concorrenza (e quindi l’opportunità di scegliere tra almeno due offerte diverse e magari alternative), ci siano libertà e migliori condizioni di vita. Ho sempre pensato che – per dirla con Einaudi – “la libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica”: per questo sono sempre stato un avversatore di quelle corporazioni che godono fino ad oggi di un trattamento privilegiato sul mercato, attraverso una rigida e inflessibile difesa del proprio status quo, e che si stanno opponendo, in questi giorni, al piano di liberalizzazioni messo a punto dal Governo Monti. L’introduzione, infatti, di una maggiore concorrenza all’interno di questo sistema, finirebbe con lo scardinare le varie lobbies e trusts, costringendo quelli che finora sono stati i produttori unici di un dato servizio a confrontarsi con le leggi del mercato e con i diritti del consumatore.
Non mi stupisco quindi delle proteste dure e selvagge che alcune di queste corporazioni stanno mettendo in atto contro il pacchetto di liberalizzazioni. Non me ne stupisco, principalmente perché comprendo l’errore ideologico che sta alla base di questo genere di reazioni: rinunciare ai propri privilegi è sicuramente indigesto, specie poi se si pensa che le liberalizzazioni siano una sorta di punizione nei propri confronti. Dimenticandosi, quindi, che un regime concorrenziale è favorevole per tutti: per ovvi motivi per i consumatori, ma anche per i produttori, che avrebbero tutto da guadagnare da un adeguamento della loro offerta e competitività. Anche perché, così come hanno sottolineato lo stesso Monti e il sottosegretario Catricalà più volte, le liberalizzazioni non riguarderanno solo una professione: saranno a 360° e interesseranno tutte le castine che vanno eliminate. Per questo bisogna agire, in profondità, dai tassisti ai farmacisti, dai notai agli avvocati, dall’energia ai servizi pubblici locali. Come ha anche ricordato Casini, le liberalizzazioni «devono essere fatte non solo per i soliti noti, ma anche per i poteri forti. Serve più concorrenza, più vantaggi per i consumatori, le liberalizzazioni non devono riguardare solo taxi e farmacie o giornali, ma anche i servizi pubblici locali e i poteri forti».
Le liberalizzazioni – secondo la stima fornita dall’Adiconsum – porterebbero a un risparmio medio di più di 1000 euro a famiglia e a un aumento del Pil tra l’1 e il 2% e rappresenterebbero un altro importante intervento strutturale – dopo quello sulla riforma previdenziale e quello atteso sul mercato del lavoro – che contribuirebbe ad ammodernare il nostro sistema Paese. Per questo non possiamo accettare di arrenderci di fronte alla minaccia di scioperi preventivi o senza scadenza: bisogna ascoltare la maggioranza silenziosa d’Italia (che ha cominciato ad alzare la voce, però) che è stanca di subire ricatti e di dover capitolare di fronte alla difesa degli interessi particolari. Le liberalizzazioni sono una battaglia di civiltà, una battaglia di libertà. Per questo dobbiamo vincerla.
postato il 14 Gennaio 2012
Il declassamento dell’Italia non puo’ cambiare la nostra politica. Il governo sta facendo cose giuste e deve continuare su questa strada. E’ Monti che governa l’Itala, non le agenzie di rating.
Pier Ferdinando
postato il 13 Gennaio 2012
“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi
Confesso che ho sorriso il giorno prima della sentenza della Consulta sui quesiti referendari quando ho letto sui giornali che secondo “indiscrezioni” la suprema Corte era orientata a respingerli, così come ho sorriso nel leggere lo stupore di certi membri del comitato referendario. Tuttavia non ho sorriso per niente alla reazione scomposta di Antonio Di Pietro. Ho sorriso di questa vicenda per la finta indignazione di alcuni membri del comitato referendario: che i quesiti presentati fossero inammissibili dalla Corte Costituzionale era chiaro anche ad uno studente al primo anno di giurisprudenza, ma era stato facile profeta un fine giurista come Cesare Salvi che in un articolo su il Riformista aveva ampiamente previsto il no della Corte. I membri del comitato referendario potrebbero a questo punto scrivere un manuale completissimo dal titolo: “Come raccogliere un milione di firme per nulla e continuare a far finta di niente”. Sì, il rammarico più grande è per tutti quei cittadini che in buona fede hanno sottoscritto il referendum per cancellare il Porcellum, ma che invece sono stati abilmente utilizzati da alcuni per raggiungere fini esclusivamente politici. Il comitato referendario non aveva infatti in animo la riforma della legge elettorale, ma voleva solamente ottenere una legge elettorale ben precisa con il contorno di una redditizia, ai fini elettorali, campagna referendaria. I referendari con i loro quesiti puntavano a ritornare senza troppe seccature e con il consenso popolare al cosiddetto Mattarellum, la legge elettorale precedentemente in vigore, cioè un sistema elettorale che non solo mantiene le liste bloccate (nella quota proporzionale) ma che con i collegi uninominali a turno unico gli stessi deleteri effetti del premio di maggioranza e cioè coalizioni troppo ampie e incapaci di governare. In altri termini il vero obiettivo di Di Pietro, Vendola, Parisi e Veltroni era quello di continuare ad assicurare ai partiti il potere di scegliere gli eletti, con un evidente ritorno personale, e di mantenere in piedi il falso bipolarismo. Spiace che per piccoli interessi di bottega siano stati presi in giro i cittadini e sia stato anche boicottata la seria raccolta di firme di Stefano Passigli, Giovanni Sartori e Domenico Fisichella che proponeva dei quesiti che erano realmente in grado di abolire il Porcellum e consentire l’elaborazione di una nuova legge elettorale in senso proporzionale che restituisca ai cittadini il voto di preferenza. Ora che la decisione della Consulta ha bloccato la strategia dei “referendari” la palla ritorna alla politica e al Parlamento che devono, come auspicato dalla suprema Corte e anche dal Quirinale, occuparsi della riforma della legge elettorale. La riforma della legge elettorale potrebbe essere una straordinaria occasione per la politica, una grande prova di maturità per la classe politica del nostro Paese, e la stagione aperta dal governo Monti potrebbe essere proprio il tempo propizio per ridare dignità alla politica attraverso scelte condivise e responsabili mirate a cercare il bene del Paese e non l’interesse personale e di parte.