Archivio per Aprile 2012

Il “18 aprile”, un rimedio all’antipolitica

postato il 18 Aprile 2012

di Adriano Frinchi

Don Camillo e Peppone sono andati in pensione da tempo, ma ricordare il 18 aprile 1948 non è un esercizio per nostalgici della Dc o per coloro che, come avrebbe detto Guareschi, rimpiangono il tempo dei cazzotti e delle legnate. Ricordare il 18 aprile, quel 18 aprile, non è una retorica celebrazione della più grande vittoria della Dc, ma significa rendere ancora attuale uno dei momenti più alti della democrazia e della coscienza civile del popolo italiano che nelle urne seppe scegliere democrazia e libertà. In tempi in cui l’anti politica trionfa fare memoria di una prova di straordinaria maturità politica del popolo italiano è anche motivo di speranza per il futuro: la politica malata che viviamo si salva solamente se tutti gli italiani tornano a partecipare alla vita democratica del Paese.

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Abbiamo evitato di finire come la Grecia

postato il 18 Aprile 2012

Il governo ha il compito di evitare all’Italia di fare la fine della Grecia, ha attuato alcune riforme, ha chiesto sacrifici, ma se riparte lo sviluppo e l’Europa fa la sua parte, lo sbocco può essere l’alleggerimento della pressione fiscale, che però non si può promettere oggi. Farlo ora farebbe tornare l’Italia nel mirino dei mercati.

Pier Ferdinando

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Ungheria, un altro punto di vista

postato il 18 Aprile 2012

Le vicende ungheresi sono da tempo seguite con attenzione dalla comunità internazionale e non hanno mancato di destare  anche qualche preoccupazione. Per completezza di informazione e in nome del pluralismo pubblichiamo l’opinione di un nostro volontario che recentemente si è recato in Ungheria, nella speranza di alimentare un dibattito positivo per far crescere l’Europa e l’Ungheria.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Umberto Velletri

È da svariati mesi, che il governo ungherese, ed in primis il Primo Ministro Viktor Orban,  sono sotto l’attacco di tutta una schiera di giornali e giornalisti faziosi che hanno montato, e continuano a farlo, una farsa contro le istituzioni magiare.

Ho passato le ultime settimane in Ungheria, ed ho potuto vedere con i miei occhi, e soprattutto sentire l’opinione di quanti vivono lì e difendono con orgoglio gli interessi di tutta la nazione.

Tanti giovani, e non, mi hanno raccontato del buon operato di questo governo, e di quanto nella persone di Orban vi sia l’interesse per risollevare le sorti di un popolo, che per troppi anni non è stato libero di scegliere nemmeno un prodotto rispetto ad un altro, di un popolo che ha fatto file giornaliere per un po’ di pane, di un popolo che è stanco di vedere al potere le solite figure che, come i loro predecessori del periodo comunista, continuano a mentire (ad esempio l’ex primo ministro Ferenc Gyurcsàny).

Ovviamente, come in una buona democrazia che si rispetti, anche in Ungheria vi sono gli oppositori e vi sono tanti liberi cittadini che non si rivedono nella politica di Orban, che magari agli occhi di tutti sembrerebbe un po’ autoritaria.

Ed è proprio questo ciò che distingue il governo magiaro: poche parole e molti fatti, molta serietà e poca ridicolizzazione di quel 55% di popolo che ha scelto di voltare pagina.

La situazione sociale interna non è delle più semplici, le divisioni sono molteplici, come molteplici sono i problemi che si hanno tra gli ungheresi e le etnie rom residenti nel territorio, ed è questo uno dei primi punti sulla quale il governo sta lavorando.

Un governo che, inoltre, sta ridando le chiavi dell’economia agli ungheresi dopo anni di sfruttamenti economico di imprese straniere.

Un governo che ha cambiato, finalmente, una costituzione che è stata figlia dell’occupazione comunista post seconda guerra mondiale, e che per tutto il periodo della dittatura ha fatto incetta di incarcerazioni ed esecuzioni.

Un governo scomodo sia agli oppositori che a quanti in Europa stessa pensano di sfruttare la dignità e l’orgoglio di quei 15 milioni di ungheresi che, figli di una storia bellissima, da più di 1000 anni, grazie all’edificazione da parte di Santo Stefano, sono legati alla loro nazione: l’Ungheria.

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Non facciamo pagare ai giovani medici il prezzo della crisi

postato il 16 Aprile 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

In questi giorni è stato votato al Senato il Disegno di legge A.S. n. 3184 – “Conversione in legge del decreto-legge 2 marzo 2012 n. 16, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento”. Al suo interno vi è un emendamento, precisamente il numero 3143, il quale definisce tutti i tipi di borsa di studio eccedente la somma di 11500 euro annui un “reddito da lavoro” a tutti gli effetti, e pertanto soggetto a imposta Irpef. Questo significa, in pratica, che i giovani laureati che decidono di perfezionare la loro formazione nel nostro paese e che avevano fino ad ora la fortuna di non doversi accontentare di meno di 1000 euro al mese, vedrà il proprio compenso mensile decurtato di una somma (pare dai 150 ai 300 euro mensili) da destinare a imposta Irpef.

Questo emendamento ci pare alquanto iniquo se pensiamo che colpisce una categoria, quella dei giovani laureati, che in Italia è già fortemente svantaggiata. In particolare i medici specializzandi si ritroveranno particolarmente penalizzati, in quanto inseriti in un contesto che è da studente, in teoria, ma in pratica da lavoratore a tutti gli effetti. Il medico in formazione specialistica, infatti, si ritrova a garantire con il suo lavoro il funzionamento del Sistema Sanitario Nazionale: pratica interventi chirurgici, assiste i pazienti ricoverati, effettua visite ambulatoriali. In pratica, compie tutte le mansioni competenti al personale medico di ruolo. Senza, però, i diritti retributivi e previdenziali del personale dipendente dalle strutture sanitarie. Il medico specializzando, infatti, è destinatario di un contratto di formazione specialistica, il quale prevede ore di pratica in reparto e di formazione “senza dover mai sostituire il personale di ruolo” per un massimo di 38 ore settimanali. La verità è che non viene mai rispettato il limite dell’orario settimanale fino a raggiungere anche le 60 ore settimanali, compiendo atti medici spessissimo senza la supervisione del tutor (nonostante la Cassazione abbia recentemente decretato la piena responsabilità penale dello specializzando nel suo operato), senza tredicesima, senza alcun riconoscimento delle ore eccedenti, con malattia e maternità della durata massima di un anno e da recuperare, dovendo pagare di tasca propria tasse universitarie (dai 1000 agli oltre 2000 euro annui), iscrizione all’ordine professionale, previdenza Empam (nonostante l’iscrizione obbligatoria alla gestione separata Inps); a carico degli specializzandi c’è tutto quanto occorre la formazione, come libri e corsi di formazione che le strutture universitarie e ospedaliere non forniscono ai medici in formazione, e spesso in una situazione di “autodidatta”, in quanto pochi di noi possono vantare tutor che si preoccupi di insegnare loro il mestiere anzichè vederli come semplice manovalanza.

Se pensate che a tutti questi oneri dovremmo aggiungere la tassazione Irpef, si giunge facilmente a una conclusione: in Italia non c’è la gratificazione per giovane medico che invece nel resto d’Europa viene garantito. Che fare? Emigrare? Rinunciare alla formazione specialistica e cercare un impiego retribuito dignitosamente, magari buttando alle ortiche anni di studi e fatica e sacrifici economici (nonchè spese da parte dello Stato)? I giovani medici hanno deciso di non arrendersi, di far sentire la loro voce e di combattere, astenendosi da tutte le attività assistenziali nelle giornate del 16 e 17 Aprile e manifestando quest’ultimo giorno davanti al Parlamento, in previsione del voto di fiducia alla Camera del disegno di legge in questione previsto per il 18 Aprile. I rappresentanti dei medici in formazione hanno ottenuto la presentazione di un emendamento in Commissione VI (Finanze) della Camera dei Deputati che va ad abrogare l’emendamento del Senato in oggetto. Comunque in parlamento qualcosa si muove: Paola Binetti (UDC) afferma che “Non si può scaricare sulle loro spalle un peso insostenibile. Non è certo così che si incoraggia la ricerca, specie quando la si considera uno strumento fondamentale di sviluppo per il nostro Paese in grado di valorizzare e trattenere le migliori intelligenze giovanili. Sosterremo alla Camera ogni iniziativa per migliorare il testo. E’ chiaro che si tratta di una determinazione iniqua e dagli effetti infausti per migliaia di giovani medici in formazione specialistica, dottorandi e borsisti di medicina generale”. C’è da sperare davvero che, in un momento economicamente difficile, non si voglia davvero pensare di fare cassa sulle giovani eccellenze del nostro paese, e ricordiamoci che la salute è un bene prezioso, e formare bravi medici e ricercatori garantendo loro condizioni lavorative dignitose è un dovere per un paese moderno e civile.

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Incoraggiare la ricerca è sostenere i giovani medici

postato il 15 Aprile 2012

Dobbiamo incoraggiare la ricerca e invertire la rotta che costringe tanti giovani a trasferirsi all’estero per formarsi e avviare la propria carriera professionale. Ha ragione Paola Binetti, occorre evitare la tassazione delle borse di studio e degli assegni di ricerca per i giovani medici in formazione specialistica, dottorandi e borsisti di medicina generale. Questi ragazzi sono il futuro dell’Italia e già oggi contribuiscono in maniera determinante al buon funzionamento del Sistema Sanitario Nazionale; alla Camera cercheremo di migliorare il decreto Semplificazioni tributarie.

Pier Ferdinando

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E’ finita la stagione dell’uomo solo al comando

postato il 15 Aprile 2012

Ivan Bragaglio domanda a Casini su twitter:

Pier Ferdinando Casini risponde:
Caro @IBragaglio, a volte nei partiti prevalgono patriottismo e difese dell’esistente. Con Fini il rapporto è ottimo perché condividiamo l’idea che all’Italia serva un partito nazionale che metta insieme politici e tecnici, sindacalisti illuminati e imprenditori. Non sarà il partito di Fini né quello di Casini, è finita la stagione dell’uomo solo al comando. Un partito dove ci sarà posto per tutti, chi non condivide sceglierà un’altra strada.

— PierferdinandoCasini (@Pierferdinando) Aprile 15, 2012

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Niente politica senza partiti, niente partiti senza onestà.

postato il 15 Aprile 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

recenti scandali che hanno colpito la Lega e Sel sono soltanto la punta di un iceberg, un rovinoso iceberg contro cui rischia presto di infrangersi la nave del Paese Italia.

Siamo ormai ad un punto di non ritorno: i reati che vedono coinvolti il partito del Carroccio e il partito di Nichi Vendola sono gravissimi, corruzione e concussione su tutti, e fanno precipitare la politica in un baratro che sembra non avere un fondoTesorieri che, mal interpretando la carica di cui sono investiti, credono di poter attingere dai finanziamenti pubblici come da un forziere segreto, ritrovato su una terra esotica, dopo un’avventurosa campagna al fianco di Jack Sparrow. Chissà, forse che il forziere é stato ritrovato in Tanzania, in uno degli ultimi viaggi leghisti?
Eppure, se da un lato la Lega si ritrova coinvolta in uno scandalo, non esitano a sorgerne di nuovi anche dalla parte opposta: é il caso di Vendola, indagato per la sospetta forzatura di una nomina di primario all’interno dell’Ospedale San Paolo di Bari. Le accuse? Abuso d’ufficio, peculato e falso. 
Insomma, chi più ne ha più ne metta. E così, mentre da una parte si gioca con forzieri grondanti denaro pubblico, dall’altro si abusa della propria carica per favorire conoscenti, edingigantire la macchina del consenso basata sul clientelismo.

“Non si salva nessuno” -verrebbe da dire- o, per utilizzare le parole di un vecchio detto: “Il più pulito ha la rogna”. Tuttavia, al di là del facile populismo, credo sia doveroso fare un’analisi attenta del problema. Innanzitutto, credo che il fattore più preoccupante sia l’abitudine di noi italiani a questi scandali: ormai non ci scandalizza più nulla, né un arresto, né un indagine, né una condanna. Bisogna cominciare a dire basta alle ruberie dei partiti, senza però prescindere da essi. Sono ancora convinta (anzi, queste inchieste non fanno altro che rafforzare le mie convinzioni) che i partiti possano fare molto per rialzarsi autonomamente da questa melma che hanno creato essi stessi, e per recuperare quella dignità ormai perduta. C’è bisogno di uno sforzo collettivo, di abbandonare i lussi per dare voce a tutte le piccole ma dignitose sezioni dei piccoli comuniche vivono -o sopravvivono- soltanto grazie al contributo dei tanti militanti che fanno politica per passione e non per lucro. Sono gli amministratori comunali, i giovani, i pensionati, che credono ancora che la politica possa tornare ad essere il pane della democrazia, ed animano le sezioni e le aule consiliari, senza far rumore, senza guardare ai Palazzi del potere.
Perché la politica non può prescindere dai partiti, nè i partiti possono prescindere dall’onestà. 
Questa è l’unica massima, l’unica regola che può guidare l’Italia e la politica italiana fuori dal baratro senza fondo.

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