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Salario minimo garantito, cos’è?

postato il 17 Gennaio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi giorni Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo (organismo che riunisce i ministri dell’Economia dell’area Euro), ha parlato del salario minimo garantito augurandosi che sia adottato da tutta la UE.

Ma cosa è il salario minimo garantito? La domanda non è peregrina, perché sull’argomento esiste un grandissimo fraintendimento, infatti viene spesso scambiato per una sovvenzione da dare ai disoccupati e questo è un grosso errore perché in questo caso si parla di “reddito minimo garantito”. Proprio a causa di questo fraintendimento in Italia, riprendendo le parole di Juncker, hanno parlato di reddito minimo garantito, ma occorre fare un preciso distinguo fra l’uno e l’altro.

Il salario minimo garantito è collegato alla condizione lavorativa: in altre parole si tratta dello stipendio base che un’azienda dovrebbe pagare al proprio dipendente parametrizzandola alle ore lavorative da lui sostenute. Volendo essere molto chiari: con il salario minimo garantito, il datore di lavoro non può sfruttare il lavoratore pagandogli una mensilità sproporzionata rispetto all’impegno orario e in questo modo si pongono dei paletti legali allo sfruttamento. Come si vede, parliamo di una norativa che non prevede esborsi da parte dello Stato e riguarda i lavoratori.

Cosa ben diversa è il reddito minimo garantito che è un ammortizzatore sociale: si tratta di una indennità erogata ai disoccupati, con una durata limitata nel tempo e condizionato da un certo attivismo da parte del beneficiario. Questo emolumento (meglio conosciuto come reddito di cittadinanza) è corrisposto dallo Stato ed è devoluto a soggetti ritenuti socialmente bisognosi (anziani non arrivati alla pensione, studenti fuori-sede, disoccupati). E’ ovvio che questo strumento pone il problema ineludibile di dove reperire le fonti di finanziamento, soprattutto alla luce della fragilità del bilancio nazionale.

Il salario minimo garantito è adottato in Australia, in Nuova Zelanda, in Brasile, Francia, USA, Spagna. La maggior parte degli Stati comunitari adotta un salario minimo (che varia dai 131 euro della Bulgaria ai 1801 euro del Lussemburgo), mentre altri Stati (Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Svizzera, Germania, Austria, Cipro e, naturalmente, l’Italia) non hanno un salario minimo imposto per legge, ma delegano alla contrattazione fra le parti sociali tale decisione

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Le 13 bugie che vi hanno raccontato su Mario Monti

postato il 10 Gennaio 2013

La saggezza popolare ci ricorda che “le bugie hanno le gambe corte”, se poi le bugie sono dette da Berlusconi sembra che siano ancora più corte. E non è una questione di “statura accademica”. Il Cavaliere nel tentativo disperato di una improbabile rimonta sta riversando, oltre agli insulti più classici nei confronti di Pier Ferdinando Casini, tonnellate di falsità su Mario Monti. Un nostro lettore si è preso la briga di smascherare tutte le bugie messe in circolazione sul Presidente del Consiglio. Una lettura interessante, un antidoto contro la disinformatia berlusconiana.

di Michael Surace

1) MONTI NON HA FATTO NULLA PER RISOLVERE LA CRISI Falso. In 1 anno, a tempo di record, ha promosso leggi e decreti che hanno portato lo Spread da 550 a 270, praticamente dimezzato. Vuol dire più di 6 Miliardi di debito in meno. E l’Italia, al contrario di altri Paesi in difficoltà (Spagna e Grecia), non ha fatto ricorso ai prestiti europei, ma ce l’ha fatta da sola senza indebitarsi.

2) LO SPREAD È UNA BUFALA, NON INCIDE SULLE FAMIGLIE ITALIANE. Falso. L’aumento del differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi impatta non solo sulle finanze pubbliche, ma anche su quelle di famiglie e imprese. Sulle famiglie, in quanto l’aumento dei rendimenti per il rischio-Paese ha effetti rialzisti pure sui prestiti e tassi dei mutui. E le imprese subiscono le conseguenze negative di un rialzo dei tassi dei BTP, in quanto sono costrette ad offrire un premio più alto sui mercati dei capitali (o alle banche) per finanziarsi. E il divario dei rendimenti tra imprese italiane e straniere (ad esempio, tedesche) penalizza le prime, in quanto le grava di un costo maggiore, rendendole meno competitive. Nei mesi scorsi, ad esempio, le aziende italiane hanno dovuto corrispondere il 5,5% medio di interessi sui loro prestiti, mentre quelle tedesche intorno al 3,5%. Ciò ha avuto anche l’effetto di spiazzare gli investimenti in Italia, con beneficio della Germania.

3) MONTI NON HA TOLTO I PRIVILEGI ALLA CASTA POLITICA, NON HA APPROVATO LA LEGGE ELETTORALE. Falso, non è stato Monti. La casta della politica si è autodifesa, , tra Monti e il Partiti di maggioranza si reggeva sulla ripartizione di ruoli: il Governo si sarebbe occupato di questioni economiche e il Parlamento di riforme istituzionali, compresi legge elettorale, stipendi, province… E come si è visto tutto affossato grazie a PD-PDL!

4) MONTI HA FAVORITO LE BANCHE. Falso, semmai ha fatto qualcosa che le ha fatte infuriare; pensate alla gratuità dei conti corrente per i pensionati con ISEE inferiore a 7.500 euro o con una pensione fino a 1.500 euro/mese e l’inserimento di una tassa bancaria sui conti oltre un certo reddito. Per non parlare della richiesta franco-italiana a livello europeo della Tobin tax. E infine l’aver “disturbato” le regine delle banche mondiali, le banche svizzere, con un accordo in cantiere tra il governo presieduto da Mario Monti e il Governo Svizzero per combattere l’evasione (questo scoraggerà il deposito di capitali italiani nelle banche elvetiche).

5) IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, AMICO DI MONTI, SI È AUMENTATO LO STIPENDIO. Falsissimo. Il Presidente della Repubblica non si è aumentato lo stipendio, la notizia è stata smentita da una nota del Quirinale, la trovate sul sito del Quirinale. Ha dovuto semplicemente ripristinare lo stipendio più alto per il successivo Presidente della Repubblica, perché Napolitano si era auto ridotto lo stipendio già nel 2011 (vedi qui) ma non poteva decidere che le stesse riduzioni di stipendio decise da lui potessero influire anche sul futuro PdR senza una legge che lo prevedesse. Il totale del risparmio del Quirinale tra rinunce di parte dello stipendio e tagli vari auto impostasi dallo stesso Napolitano vale circa 70 milioni di Euro di risparmio.

6) MONTI NON HA FATTO NULLA PER IL LAVORO. Falso. È ovvio che in 1 anno i risultati di politiche per l’impiego non possono essere visibili, ma basti pensare al grande concorso pubblico dell’Istruzione che oltre a garantire lavoro a migliaia di docenti, ha svecchiato dopo decenni maestri e professori della Scuola italiana. A questo si sono aggiunte maggiori tutele per l’Apprendistato e soprattutto da oggi gli stagisti non potranno più essere sfruttati a costo zero, ma è stato stabilito uno stipendio lordo minimo di 400 euro.

7) MONTI NON HA FATTO NULLA PER L’ISTRUZIONE. Falso. I provvedimenti voluti dal Ministro Profumo ha contrastato almeno in parte i Baroni universitari, imponendo concorsi centrali. Stessa cosa vale per l’istruzione: ha svecchiato dopo decenni maestri e professori che finalmente potranno insegnare con nuove tecniche, nuova mentalità e nuovi strumenti. In Italia siamo ultimi in Europa per l’utilizzo di strumenti tecnologici (tablet, computer ecc.) per l’insegnamento, con questa epocale entrata di nuovi prof forse potremo colmare questo gap ed essere più competitivi. A questo va aggiunto l’introduzione di un metodo “meritocratico” per l’elargizione dei fondi agli atenei che vengono valutati positivamente sia dagli stessi studenti nella qualità dell’insegnamento che dai parametri di Ricerca. Su quest’ultimo capitolo ricordiamo che, al contrario di quanto aveva fatto il precedente Governo, il fondo per la Ricerca universitaria è stato mantenuto intatto.

8) MONTI FA QUELLO CHE VUOLE LA GERMANIA. Falso! Monti è stato il nemico numero 1 di Angela Merkel, almeno dal punto di vista economico. L’Italia ha proposto e fatto approvare contro i parere della Merkel il “fondo salva Stati”, ha iniziato un tavolo di collaborazione con la Francia per chiedere a Bruxelles politiche per la crescita in chiave anti tedesca.

9) MONTI NON HA INTRODOTTO L’IMU PER LA CHIESA. Falso. L’IMU verrà pagata anche dalla Chiesa nelle strutture non dedicate alla pratica religiosa (e ce ne sono molte), ma così come non la pagheranno Sindacati, Fondazioni, ONLUS ecc. La Commissione Europea si è detta soddisfatta e ha chiuso la procedura di infrazione aperta con il precedente Governo Berlusconi.

10) L’IMU L’HA CREATA MONTI. Falso! L’IMU è stata pensata e voluta dal precedente Governo, la proposta di legge infatti è a firma Calderoli, con l’intento di aumentare le entrate dei Comuni in ottica federalista. Il Governo Monti non ha fatto altro che riprenderla e destinarne una parte allo Stato; l’intenzione di Monti per il prossimo Governo è però quello di eliminare la quota dello Stato (abbassandola di conseguenza) e facendo incassare l’imposta solo ai Comuni per le proprie casse.

11) MONTI NON HA VOLUTO INTRODURRE LA PATRIMONIALE PER TASSARE I RICCHI. Falso. I partiti che hanno sostenuto Monti hanno affossato qualsiasi tentativo del Governo di introdurre patrimoniali: questo ha portato allora alla ripresa del progetto IMU del precedente Governo che in sostanza comunque colpisce soprattutto le classi più abbienti in quanto colpisce in maniera pesante chi ha multiproprietà: in Italia ricordiamo che la vecchia ICI era la tasse sulla casa più bassa d’Europa che premiava i proprietari di multiproprietà, ergo la classe più abbiente, mentre ora c’è stato un riequilibrio con l’IMU.

12) L’EUROPA HA CONDANNATO L’IMU. Falso. Notizia smentita dalla Commissione Europea la sera stessa del giorno che è stata messa in giro. Il rapporto della UE infatti riguardavo uno studio dell’ICI tra il 2008 e il 2011 in quanto tassa che non contemplava la progressività del reddito. Mentre l’IMU ha introdotto almeno sconti per le famiglie, con 50 euro a figlio. La Commissione europea ha solo criticato infine la mancata rivalutazione catastala che in molti comuni porta ancora a gravi disequilibri tra mega appartamenti in centro in cui il catasto ancora fornisce valori ben al di sotto di quelli di mercato.

13) MONTI NON VUOLE CANDIDARSI PER PAURA DI NON PRENDERE VOTI. Falso. Monti per legge non può candidarsi perché già Senatore a Vita, e per Costituzione non può candidarsi in nessun collegio. Sfatiamo un altro mito: in qualità di Senatore a vita Monti può comunque essere scelto dal Presidente della Repubblica per creare un nuovo Governo perché la legge prevede che sia Presidente del Consiglio non chi prende più voti, ma chi, sulla base della fiducia ottenuta in Parlamento sentiti i capigruppo, viene nominato dal Capo dello Stato.

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Gettito fiscale trattenuto al Nord? Un’altra bugia

postato il 10 Gennaio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Vincenzo Massimo Pezzuto

Siamo alle solite. Le solite ed inimitabili trovate populistiche made in Berlusconi, le stesse che hanno dominato la politica degli ultimi venti anni in Italia. Il ritorno dell’alleanza con il carroccio fa partorire un’altra proposta scellerata e priva di fondamenta economiche: trattenere il 75% del gettito fiscale nella macroregione del Nord Italia. Se da un lato la rinata alleanza non ha ancora un candidato Premier certo (forse perché sono parecchi i sostenitori sponda Lega che si vergognano del Cavaliere), dall’altro lato è già in grado di parlare, si fa per dire, di programmi e proposte. Se il buongiorno si vede dal mattino, credo che la coalizione, nata in notturna, sia destinata a brancolare nel buio. Meno male che a fornire uno spiraglio di luce nelle tenebre del populismo ci ha pensato Roberto Occhiuto ad Agorà, programma in onda su Rai3.

L’esponente centrista ha sottolineato, giustamente, che se anche per assurdo si potesse fare ciò si potesse fare, si creerebbe una voragine tale da richiedere agli italiani il pagamento di 10 volte l’Imu, che il Cavaliere promette di abolire. Berlusconi, come futuro Ministro dell’Economia, dimostra così di essere davvero un buon intenditore in materia finanziaria e di contabilità di Stato. Un vero e proprio premio Nobel! L’Italia non può più sostenere proposte del genere e l’esempio lo abbiamo già avuto e le conseguenze le stiamo attualmente pagando. Un federalismo in salsa leghista approvato in tutta fretta ha solo pasticciato un sistema fiscale già precario. Non è più tempo per slogan irrealizzabili e promesse populistiche. E’ giunto il momento di parlare con dati alla mano e di proporre riforme e idee concrete e fattibili agli elettori, non di arrivare a promettere, per meri fini propagandistici, anche il “mare in Lombardia”.

A voi la scelta se optare per chi vive di contraddizioni, di populismo, di demagogia o per chi ha deciso, in tempi non sospetti, di dire le cose come stanno, di sostenere il taglio della spesa pubblica e delle Province (riforma fatta cadere da altri schieramenti poco responsabili, non certo dall’Unione di Centro).

 

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Tasse e dintorni: tutte le bugie del Cavaliere

postato il 31 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

 Chi è il vero partito delle tasse? Il Pdl di Berlusconi. E chiunque sia un po’ attento, lo sa. Non solo, il PDL è il partito che favorisce i ricchi facendoli pagare tanto quanto i ceti popolari. Berlusconi afferma di volere togliere l’IMU sulla prima casa. Splendido, ma per compensare la minore entrata, ha affermato che aumenterebbe altre tasse, quindi alla fine per il cittadino non cambia niente: se paga l’IMU o se paga la stessa cifra con altre tasse, non cambia nulla. Ecco la prima bugia smascherata: Berlusconi non alleggerirebbe il carico fiscale per i cittadini meno abbienti.

In compenso lo alleggerisce per i cittadini ricchi, agendo come un Robin Hood al contrario: toglie ai poveri per dare ai ricchi. Supponiamo che Berlusconi tolga l’IMU sulla prima casa e aumenti le tasse su alcolici, tabacco e altri beni. Ovviamente tutti i cittadini pagherebbero queste maggiori tasse consumando a prezzo più caro questi prodotti (per inciso, questo penalizzerebbe i produttori italiani di vino), ma chi ne trae vantaggio sono i ricchi: l’IMU è pagata in base al valore dell’immobile, quindi più un immobile è di pregio e più si paga. Chi ha le case di maggior valore? Il poveraccio o il ricco? Facciamo un esempio concreto: se Berlusconi toglie l’IMU sulla prima casa e mette come sua residenza principale la sua casa di maggior valore (ad esempio villa Macherio ad Arcore con un valore stimato di 78 milioni di euro o la villa in Sardegna, valutata sopra i 100 milioni di euro), risparmierebbe moltissimo, molto più di quanto potrebbe spendere in alcolici. E questa differenza chi la pagherebbe? Ovviamente i cittadini. Quindi ai ricchi conviene togliere l’IMU sulla prima casa perché risparmierebbero molto più di quanto pagherebbero con le tasse sugli alcolici. La differenza la metterebbe il ceto medio. Seconda bugia smascherata: contrariamente a quello che dice Berlusconi, togliendo l’IMU sulla prima casa e aumentando le altre tasse, agevoliamo i ricchi e non i cittadini.

Ovviamente si dirà che l’IMU è colpa di Monti. Ma è davvero così? L’IMU è stata introdotta dal governo Berlusconi con il decreto legislativo del 14 marzo 2011, molto tempo prima che arrivasse Monti a governare. E lo stesso Berlusconi la introdusse per TUTTI i cittadini perché Berlusconi aveva abolito l’ICI ai ricchi; infatti il precedente governo Prodi aveva già tolto l’ICI su quasi tutti i cittadini italiani, tranne per quelli che avevano un reddito elevato. Berlusconi quindi tolse l’ICI solo ai ricchi, creando un buco nelle casse dello Stato per diversi miliardi.

E chi ha legato l’Italia all’austerità europea? Voi direte Monti, ma sbagliate di grosso, perché il governo che impegnò l’Italia al rigore europeo è stato proprio il governo Berlusconi, ad esempio ci siamo scordati la manovra da 47 miliardi fatta da Berlusconi nell’Estate 2011? Portò aumento di tasse sui conti correnti e sui btp detenuti dai piccoli risparmiatori oltre che tagli alla spesa pubblica per 20 miliardi di euro per il 2013 e il 2014.

E sempre nel 2011 Berlusconi diceva che abbassare la pressione fiscale era impossibile (andate a guardarvi le sue dichiarazioni nel Maggio 2011). Terza bugia svelata.

Infine sveliamo la quarta e piu’ clamorosa bugia: il famoso fiscal compact che porta tanta austerita’ ed e’ tanto criticato da berlusconi, e’ stato approvato proprio da berlusconi il 24 marzo 2011.

 

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Che cos’è lo Spread?

postato il 13 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Si parla spesso di spread, ma cosa è e perché influenza la nostra vita?

Lo spread è il differenziale tra il nostro tasso di interesse (che lo stato paga sui btp) e un altro tasso di interesse preso come “pietra di paragone” e che generalmente è pagato dagli investimenti ritenuti “sicuri”. In pratica, più rischioso è l’investimento, maggiore è l’interesse che vuole chi presta il denaro. Se la cosa vi sembra eticamente discutibile, provate a riflettere: voi prestereste denaro ad una persona inaffidabile con il rischio di non averlo restituito? E se prestate questo denaro, è chiaro che maggiore è il rischio, maggiore è il guadagno che chiedete per compensare il rischio corso.
Allo stesso modo dobbiamo ragionare con lo spread e il nostro debito pubblico:  lo spread è la differenza tra il tasso di interesse pagato dallo stato italiano e quello pagato dallo stato tedesco (reputato uno degli investimenti più sicuri). Supponiamo che abbiamo un tasso pari a 6%, se quello tedesco è del 2%, allora lo spread è del 4% (6-2=4).

Da queste considerazioni discende che se uno stato, come ad esempio l’Italia, diventa sempre più inaffidabile a causa dell’andamento dell’economia o perché i governanti non fanno le riforme o si dimostrano incapaci, chiaramente il tasso di interesse che paga salirà e quindi salirà anche lo spread. Sotto questo punto di vista lo spread è un primo termometro di quanto è affidabile un debitore o una nazione che si indebita.

Ma che significa per le nostre tasche uno spread alto? Ogni mese scadono dei titoli di stato (BOT, BTP, CCT, CTZ) che in massima parte vengono rinnovati: se lo spread aumenta, aumenta anche il tasso di interesse che lo stato paga sui nuovi titoli emessi; quindi se prima pagava il 4%, poi paga il 5%. In soldoni, significa che la spesa per interessi passivi dello stato italiano, aumenta e se aumenta lo stato italiano in seguito avrà meno soldi per investimenti e avrà bisogno di maggiore liquidità e quindi dovrà tagliare servizi ai cittadini o aumentare le tasse. Il nostro debito è di 1900 miliardi di euro; aumentare di 1% il nostro spread su tutto il debito (fingendo per semplicità di rinnovarlo tutto in un colpo solo) significa che gli italiani dovranno pagare 19 miliardi di euro in più ogni anno. A questo dobbiamo aggiungere che la maggiore spesa per interessi ha un effetto depressivo sul PIL e quindi non solo paghiamo più soldi, ma con un PIL minore, diminuisce anche la nostra economia 8quindi siamo penalizzati due volte): è stato calcolato che un aumento dell’1% del tasso di interesse significa per l’Italia un aumento di spesa per interessi pari allo 0,2% del PIL il primo anno, dello 0,4 il secondo anno e dello 0,5 il terzo anno, rispetto agli stati più “sicuri” (come la Germania); se si fosse mantenuto una differenza del 4%, come ai tempi di Berlusconi, per lo stato italiano si sarebbe parlato di una spesa aggiuntiva di circa 100 miliardi di euro di interessi.

Inoltre alti tassi di interesse implicano per le banche, le imprese e le famiglie, maggiori difficoltà nel reperire i fondi necessari; in altre parole una famiglia pagherà di più come interessi per avere un prestito, ma anche le imprese pagheranno di più (due estati fa, con Berlusconi, i prestiti alle imprese erano saliti ad un tasso di interesse del 9%).

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Se la spending review si può fare grazie ad Internet

postato il 8 Dicembre 2012

di Giuseppe Portonera

La spending review dovrebbe essere un metodo permanente dell’azione di governo e il taglio dei costi, collegato all’aumento dell’efficienza e della velocità dei servizi offerti, andrebbe programmato annualmente. Grazie al Governo Monti questa strada sembra essere stata intrapresa: i ministri Giarda e Patroni Griffi, che hanno combattuto una battaglia dura contro gli immensi sprechi che si nascondono nei meandri della Pubblica Amministrazione, si sono dovuti scontrare con un moloch pesante e da più parti inattaccabile, finendo con l’incidere tagli col bisturi, anziché con l’accetta, come sarebbe servito. Questo per una molteplicità di motivi: ma quello che più mi sembra primario, è il non aver usato i giusti strumenti operativi. Il Governo Monti è il Governo dell’Agenda Digitale, che più di altro può rappresentare uno stimolo alla crescita: perché, allora, in sede di programmazione della spending review non si è pensato a tagliare i costi delle PA puntando sulla trasformazione digitale? Cosa può avere più successo della smaterializzazione delle procedure, dei documenti, dei tempi d’attesa, in materia di riduzione dei costi burocratici e maggiore efficienza del servizio?

Del resto, le idee in campo non mancano. Specie da parte nostra. Sulla scia di quanto proposto da Stefano Quintarelli, per esempio, noi pensiamo sia necessario imporre, per legge: alle PA, che qualsiasi atto o procedura non digitale sia vietato a patto che non si dimostri essere più conveniente del digitale; ai ministeri, di produrre annualmente un piano di innovazione tecnologica. È un diritto per il cittadino-utente ricevere notifiche e certificati via mail; mentre per lo Stato investire su sanità elettronica e giustizia digitale significherebbe un risparmio notevole (pensate ai faldoni di carta che occupano spazio e che per essere trasportati da un ufficio a un altro succhiano via moltissime risorse). Già in questi campi si possono attivare iniziative a costo zero: con lo switch-off nelle PA, il lavoro di trenta camminatori siciliani, per dire, sarebbe svolto da una, massimo due persone (con un risparmio di soldi pubblici e una notevole riduzione dei tempi di attesa). Una trasformazione digitale, poi, non gioverebbe solo sul fronte economico, ma anche e soprattutto su quello della trasparenza delle PA: bisogna puntare, infatti, sull’OpenData e sul FOIA. Ogni atto delle pubbliche amministrazioni (dal governo ai comuni, alle istituzioni tutte) appartiene alla comunità e deve essere conosciuto dalla comunità. Il cittadino deve poter conoscere, in ogni momento, l’attività dei suoi rappresentanti politici o amministrativi (quindi leggi, bandi, bilanci per chi gode di finanziamenti pubblici). In questo modo l’efficienza delle PA sarebbe evidente e conoscibile a tutti, e questo obbligherebbe la burocrazia a conformarsi a standard molto più elevati, rispetto a quelli di oggi. Più trasparenza, infatti, vuol dire prima di tutto meno corruzione (e quindi meno costi). Secondo la Corte dei Conti, la corruzione costa all’Italia circa 60 miliardi all’anno: negli Stati Uniti, dove la legge sul diritto all’informazione è utilizzatissima dai cittadini, il costo totale annuale per l’applicazione della legge è di circa $ 416 milioni annui, cioè di meno di $1,4 per ogni cittadino. Mentre a noi italiani la corruzione pubblico-privata costa 1.000 euro a testa all’anno. Anche una piccola diminuzione della corruzione ripagherebbe ampiamente i costi di applicazione della legge: e questa sì che sarebbe spending review!

Al prossimo governo spetta quindi questa eredità: capire che la riduzione (necessaria, profonda) dei costi della PA deve passare soprattutto attraverso l’innovazione digitale. Ecco perché sul progetto di un’Italia più trasparente, efficiente e always connected incentreremo la nostra campagna elettorale.

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Chi paga, veramente, l’Imu?

postato il 6 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi gironi i giornali titolano “stangata IMU”, e si lanciano in calcoli apocalittici affermando che “la città più cara sarà Roma con picchi di 470 euro. Il valore della tassa per la seconda casa, invece, sarà mediamente di 372 euro ma potrà arrivare fino ai 1.200 euro nelle grandi città. Mediamente quindi tra acconto e saldo, l’importo complessivo sarà di 278 euro per la prima casa e 745 euro per la seconda”.

E non solo, altri affermano ancora calcoli peggiori, perché infatti scrivono che “per le seconde case, l’Imu peserà mediamente 745 euro, con punte di 1.885 euro a Roma; di 1.793 euro a Milano; di 1.747 euro a Bologna; di 1.526 euro a Firenze”. Altri affermano che le “grandi città del Centro-Nord che dovrebbero far registrare un aumento complessivo fino a circa 700 euro rispetto al 2011, e in quelle del Sud intorno ai 250 euro”.

Numeri apocalittici, completati con la,ormai consueta, affermazione che le tredicesime serviranno per pagare l’IMU. E’ giustificato questo allarme o si tratta di terrorismo psicologico supportato da dati “grezzi”? Scopriamolo insieme.

Intanto specifico subito che, se le stime saranno rispettate, il gettito IMU sarà di 23 miliardi di euro, di cui 15 destinati ai comuni, mentre solo 8 miliardi andranno allo Stato. Ma al di là di questa precisazione, osserviamo che l’IMU è una tassa meno ingiusta e meno esosa di quanto affermano certi giornalisti che riportano sempre cifre medie. IN pratica prendono l’introito stimato e lo dividono per il numero di contribuenti, con il risultato che, nei loro calcoli dozzinali, ricchi e poveri pagano la stessa cifra. Ma non è così. Infatti se si va a studiare meglio i dati, si scopre che rispetto all’Ici che esisteva sulle prime case, l’Imu ha un profilo più progressivo, colpisce cioè più duramente chi guadagna di più. E in moltissimi casi la nuova imposta si rivela, grazie anche al gioco delle detrazioni, più leggera. Fatti i calcoli con le aliquote standard (il 4 per mille per l’Imu, il 5 per l’Ici), e considerate le relative detrazioni, secondo il ministero dell’Economia la nuova Ici è più leggera, rispetto alla vecchia Ici, per tutte le unità immobiliari che hanno una rendita catastale inferiore ai 660 euro. Che sono il 74% di tutte le abitazioni censite, e rappresentano il 50% in termini di rendita complessiva. Ma la vera sorpresa è scoprire chi paga davvero l’IMU. Ovvero chi è più ricco paga, giustamente, molto di più di chi ha poco.

Infatti, considerando solo le proprietà delle persone fisiche, il 10% delle unità con le rendite catastali più elevate paga il 44,7% dell’Imu complessiva, con un importo medio di 2.693 euro, mentre il 10% dei contribuenti i cui immobili sono caratterizzati dalle rendite più basse versa appena il 2,8% del totale.

Prendendo come parametro la ricchezza personale, e non il valore dell’abitazione, il discorso non cambia moltissimo. Si scopre, infatti, che il 10% dei contribuenti con i redditi maggiori (tutti quelli che dichiarano oltre 55 mila euro annui lordi), pagano circa il 20% dell’Imu complessiva. Mentre il 50% dei redditi più bassi arriva al 10% dell’imposta complessiva.

Dai dati sopra riportati, si vede che l’IMU è una tassa molto meno ingiusta e molto meno invasiva di quello che si può pensare e che anzi fa pagare di più chi ha di più, dando vita ad un effetto redistributivo.

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La lotta all’evasione comincia dallo scontrino

postato il 26 Novembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

La lotta all’evasione condotta dal governo Monti e da chi lo sostiene, è sempre più accesa. Oggi la Commissione Finanze del Senato ha dato il via libera alla Delega Fiscale. In particolare segnalo il “contrasto di interessi”. Cos’è?

Per molti è la panacea risolutiva per limitare l’evasione fiscale. In pratica si potranno portare in detrazione fiscale gli scontrini e le fatture. Intendo tutti gli scontrini e tutte le fatture. Perché si chiama “contrato di interessi”? Perché vi è un in interesse contrastante tra venditore e consumatore: il primo ha convenienza a non emettere scontrino, ma il consumatore ha convenienza a richiederlo perchè lo può portare in detrazione fiscale e pagare meno tasse. A parte pochi casi in cui la documentazione fiscale è necessaria per altre ragioni, oggi non c’è un vantaggio nel chiedere scontrino o ricevuta fiscale quando si paga un bene o un servizio. Soprattutto se il venditore propone uno sconto.

Ma ora si cambia. Con il nuovo principio gli scontrini diventano la via per ottenere sconti sulle tasse da pagare. Questo sistema funziona in molti paesi del mondo (giusto per citarne uno, gli USA), e dà un aiuto concreto alla lotta all’evasione. Infatti il cittadino ha convenienza a richiedere lo scontrino, perché così pagherà meno tasse, inoltre questo agevola anche le famiglie e i singoli rendendo il fisco più equo: alla fine ad essere tassato sarà il reddito non usato per vivere.

Mi spiego meglio: se io guadagno 100, ma spendo 80 per vivere, è giusto che pago le tasse sul 20 che resta. Proprio per questo motivo, gli italiani vorranno gli scontrini, perché avranno la possibilità di scaricare dalle tasse una parte delle spese regolarmente fatturate.
Nello schema contenuto nell’emendamento, viene data al governo una delega legislativa con il compito di fissare le regole del contrasto d’interessi all’italiana, disciplinando la misura prevedendo le «opportune fasi applicative» e le «eventuali misure di copertura».

Il contrasto d’interessi, comunque, dovrà essere «selettivo», ed essere concentrato «con particolare riguardo nelle aree maggiormente esposte al mancato rispetto dell’obbligazione tributaria».
Di sicuro, però, sarà conveniente ora chiedere lo scontrino al bar o la fattura fiscale al proprio dentista. Ora la passa alla camera dei deputati e poi, si spera di approvare tutto il pacchetto entro Natale per renderlo operativo già nel 2013.

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Avanti con Monti e l’Italia può farcela

postato il 22 Novembre 2012


I sacrifici fatti non sono stati vani

I sacrifici di questi mesi non sono stati vani, da oggi le imprese e le famiglie che hanno bambini beneficeranno di un alleggerimento della pressione fiscale: è il risultato della politica della serietà e continuando così ce la potremo fare.  Interrompere ora l’esperienza Monti vorrebbe dire tornare al punto di partenza, come nel gioco dell’oca. Non dimentichiamo che eravamo sull’orlo del baratro.

 Pier Ferdinando

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I frutti della ritrovata credibilità all’estero

postato il 20 Novembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

A chi si lamenta della “scarsa incisività” del governo Monti segnalo che le cose stanno cambiando: i primi risultati della cura Monti si vedono e stanno portando vantaggi concreti.

Pochi giorni fa annunciavamo, tra le varie cose positive, il provvedimento per estendere “l’iva per cassa” alle piccole aziende che fatturano fino a 2 milioni di euro, andando incontro alle richieste di artigiani e piccoli imprenditori; oggi possiamo dare due belle notizie figlie della ritrovata credibilità internazionale dell’Italia.

La prima riguarda la visita di questi giorni nel Medio Oriente del presidente Monti, che sta portando un risultato molto tangibile: dal Qatar arriveranno massicci investimenti nelle società italiane che operano nell’alimentare, nella moda, nel lusso e in generale nel made in Italy.

Si formerà infatti una joint venture tra il Fondo Strategico Italiano (gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti) e la Qatar Holding che porterà in dote due miliardi di euro al sistema produttivo italiano. Si creerà la “Iq Made in Italy Venture”, una joint venture che partirà subito con 300 milioni che diventeranno due miliardi nei prossimi anni. Questa jv nasce grazie alle eccellenti relazioni tenute da Monti e dalla ritrovata credibilità internazionale dell’Italia e , oltre ai soldi, mette a disposizione delle aziende italiane due partner con competenze complementari che possono portare opportunità e stimoli per migliorare la competitività.

L’altra notizia invece riguarda la possibilità di un accordo con la Svizzera per tassare i capitali all’estero.

Dopo mesi di lavoro, il governo è sul punto di chiudere l’accordo con la Svizzera, addirittura si dice che dovrebbe accadere già entro la prima metà di dicembre.

In pratica con questo accordo, similarmente a quelli stretti con altre nazioni, la Svizzera si impegna a tassare i capitali degli italiani lì depositati e a girare tali proventi al governo italiano, in cambio manterrebbe l’anonimato dei correntisti, tutelando il segreto bancario.

La tassazione avverrebbe in due modalità, ma sempre con le stesse aliquote in vigore in Italia: la prima sarebbe una sorta di sanatoria con il passato e quindi si parla di una percentuale di prelievo molto più consistente del ridicolo 7% del precedente governo: il governo Monti vuole accordarsi per una aliquota pari a circa il 35-40% da applicare su un capitale complessivo stimato sui 160 miliardi di euro. In pratica, la cifra che dovrebbe entrare nelle casse dello stato dovrebbe aggirarsi sui 48-60 miliardi di euro.

Ma non ci si ferma qui, perché, oltre a questa tassazione (che varrebbe per il passato), vi sarebbe anche un prelievo sui rendimenti dei conti correnti da effettuare ogni anno e che sarà in linea con quello già applicato in Italia (pari a circa il 20%) e che, nelle ipotesi più conservative, potrebbe portare a un introito annuo di circa 6-10 miliardi di euro.

Ottimi risultati, che premiano gli sforzi del governo Monti e di chi ha creduto in lui.

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