Regeni: l’Italia vuole la verità
postato il 8 Febbraio 2016Nello spazio di approfondimento mattutino di Rai 1 parlo dell’omicidio di Giulio Regeni
Nello spazio di approfondimento mattutino di Rai 1 parlo dell’omicidio di Giulio Regeni
Nello spazio di approfondimento di Rainews24, condotto da Enrica Agostini, rispondo alle domande sul caso Regeni e sul Ddl Cirinnà
L’intervista di Daniela Preziosi a Pier Ferdinando Casini pubblicata su Il Manifesto
«L’Italia e l’Egitto hanno un legame forte. Ma il realismo politico ha un limite. Sulla morte di Regeni serve la verità, non gli arresti per far contenta l’opinione pubblica». Parla il presidente della commissione esteri del senato: «Giulio, un ragazzo per bene, il prototipo del meglio del nostro paese».
«Non conoscevo Giulio Regeni, ma leggo che ha l’età delle mie figlie grandi, che ha girato per il mondo. Che era un ragazzo pieno di curiosità, un ragazzo per bene, impegnato. Scriveva sul manifesto forse anche a rischio anche della propria vita». Il primo pensiero di Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione esteri del Senato, è un pensiero da padre. «Per me questo è il prototipo delle persone migliori di un paese. Non so come votasse, non so se le sue idee combaciassero con le mie. Non mi interessa. Mi interessa che era un ragazzo pieno di buona fede, volontà e passione civile».
Presidente, all’inizio le autorità egiziane hanno dato versioni contraddittorie sulla morte di Giulio.
La vicenda è iniziata male. C’è stato un tentativo di depistaggio, si è parlato di delinquenza comune, di incidente stradale. Peraltro l’eterogeneità delle tesi era evidente: nello stesso giorno a distanza di pochi minuti autorità dello stesso paese davano versioni opposte dello stesso fatto. Ma il tentativo di depistaggio non è andato a buon fine anche grazie anche alla ferma reazione dell’Italia, a partire dal rientro della delegazione commerciale. Mi auguro che l’Egitto non voglia mettere a repentaglio un rapporto bilaterale così forte. Per noi la morte di Giulio è una vicenda gravissima. Serve la verità.
Dal Cairo arriva la notizia di due arresti. È un buon segno?
Mi auguro che le indagini prendano i connotati della serietà, anche grazie alla collaborazione degli inquirenti italiani. Non ci interesserebbero arresti immediati e di comodo per soddisfare l’opinione pubblica. La nostra opinione pubblica è matura. Vuole la verità, e in base alla verità, l’arresto dei responsabili. Diffido delle indagini che si risolvono nel giro di poco. Danno l’impressione che se pasticci ci sono stati prima, possono esserci anche dopo.
Diceva che quello fra Italia e Egitto è «un rapporto forte». In queste ore anche l’opinione pubblica scopre che il regime militare di Al Sisi calpesta i diritti umani su scala larghissima.
I vicini non si scelgono. Noi non possiamo fare a meno di un rapporto buono con l’Egitto che, non dimentichiamolo, è a sua volta oggetto di attentati terroristici. Si vuole destabilizzare l’Egitto per allargare il fronte del terrore. Ma questo non significa che esprimiamo assenso verso i metodi che usano le autorità egiziane. E aggiungo: a volte delle migliori intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno. Guardate cos’è successo con Gheddafi. Abbiamo contribuito a rimuovere un dittatore, ma oggi la situazione in Libia non è migliore di prima. Ma tutto questo prescinde dal discorso per il nostro caduto: vogliamo la verità. Diversa è la riflessione geopolitica le primavere arabe hanno avuto esiti diversi. In Marocco si è arrivati a una riforma costituzionale che ha fatto avanzare i diritti delle donne. In Tunisia, nonostante tutti i problemi, un partito islamista ha accettato di perderle. Vorremmo questo modello, sappiamo che l’Egitto non lo è. Ma la politica internazionale è fatta di realismo. In quell’area l’unico paese democratico è Israele, eppure ci riserviamo di criticare tanti aspetti della sua politica, come gli insediamenti.
Quindi per ‘realismo’ sulla morte di Regeni l’Italia potrebbe accettare una soluzione pur che sia?
No. Il realismo ha dei limiti. Questo ragazzo è un figlio del nostro paese. Ma ribalto il suo ragionamento: l’Egitto si può permettere una verità di comodo anche meno di noi. Influenzerebbe i suoi rapporti con l’Italia. Perché? Con quello che sta succedendo in Libia e nel Mediterraneo, con le iniziative assunte in quell’area, e anche con le scoperte dei giacimenti di gas, l’Egitto non può fare a meno di partner importante come l’Italia. Un partner che non gli ha mai voluto le spalle. Da qui mi pare che nascano le ripetute telefonate di Al Sisi a Renzi. Le autorità egiziane sanno che questa vicenda va maneggiata con cura e rigore. Ma credo che abbiano capito la gravità della vicenda, e infatti hanno accettato subito la collaborazione del team italiano alle indagini. Al Cairo qualcosa potrebbe essere sfuggito al controllo delle autorità. Ma se è capitato questo, lo vogliamo sapere: con nomi e cognomi.
Si è fatto un’idea di com’è stato ucciso Giulio?
Ho un’idea personale, e mi auguro che venga smentita nei fatti. Potrebbe essere successo che in nome e per conto della lotta al terrorismo in Egitto si tollerino abusi che in Europa non sarebbero neanche concepibili. Nell’apparato militare potrebbero esserci schegge impazzite, responsabili della vicenda. Ma, ripeto, mi auguro di essere presto smentito.
Ospite di “Mattino 5”, spazio di approfondimento di Canale 5 condotto da Federico Novella
Una cosa e’ chiara: non possiamo accettare la manipolazione della verita’ e la manipolazione c’e’ gia’ stata perche’ nel giro di una giornata fonti egiziane, attribuibili ad autorita’ diverse, hanno dato versioni diametralmente opposte. E proprio alcune di queste spiegazioni, artatamente fuorvianti, inducono l’Italia ad essere inflessibile. Il Presidente Mattarella e Renzi ieri sono stati espliciti. Sconti non ne possiamo fare.
Siamo in presenza di un tentativo di depistaggio e la comprensione che va ad un Paese martoriato dalla minaccia terroristica come l’Egitto, bastione importante contro il proliferare dell’Isis, non ha nulla a che vedere con quello che e’ capitato: noi vogliamo che sia fatta chiarezza a 360 gradi, perche’ non possiamo accettare che la vicenda che ha portato alla morte di un nostro connazionale, un bravo ragazzo che si trovava al Cairo per fare una tesi sul diritto del lavoro, possa restare impunita. Giulio Regeni e’ espressione di una generazione, di quei nostri figli che si impegnano e vanno all’estero a studiare che sono veramente l’immagine migliore dell’Italia
L’intervista di Umberto De Giovannangeli a Pier Ferdinando Casini pubblicata su L’Unità
La Conferenza di Roma della Coalizione anti-Isis, il ruolo dell’Italia nelle aree di crisi. L’Unità ne discute con Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato.
«Non si devono ripetere interventi unilaterali – rimarca l’ex presidente della Camera – ma è necessario preventivamente creare le condizioni politiche per le intese necessarie con le forze sul terreno».
E questo vale sia sul fronte siro-iracheno sia su quello libico: «Il “modello Bush” per l’Iraq non può essere replicato». Quanto all’Italia, «il nostro Paese – dice Casini – sta giocando un ruolo importante e non solo in Libia, come dimostra il riconoscimento di Kerry. Semmai i problemi esistono in Europa…».
“Schiacceremo lo Stato islamico ovunque”, ha affermato il segretario di Stato Usa John Kerry a conclusione del summit di Roma, ma, ha avvertito,”sarà una guerra di lungo periodo”. Presidente Casini, come valuta queste affermazioni?
«La considerazione di Kerry è sottoscrivibile. D’altra parte, il Daesh sta cercando di realizzare una piattaforma geopolitica che superi le vecchie statualità e che si irradia dal Medio Oriente all’Africa. Sono di queste ore gli ennesimi atti terroristici compiuti da Boko Haram in Nigeria, e questo movimento è un neo affiliato all’Isis. La guerra sarà lunga e dolorosa, e potrà incidere anche sulla qualità della nostra vita e delle nostre abitudini».
Sia il segretario di Stato Usa che il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e la responsabile della politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini, hanno insistito sul fatto che l’azione militare non può surrogare l’iniziativa politica.
«Questa è la novità di questi mesi. Non si devono ripetere interventi unilaterali ma è necessario preventivamente creare le condizioni politiche per le intese necessarie con le forze sul terreno, e non è un caso che americani ed europei cerchino insistentemente l’aiuto dei principali Paesi islamici. Il “modello Bush” per l’Iraq non può essere replicato».
Il vertice di Roma ha affrontato i dossier più caldi, in particolare Siria e Libia.
«Sulla Siria, il tema di fondo che domina tutti questi colloqui, è il ruolo di Assad. La convergenza contro l’Isis è totale, ma si indugia da parte di alcuni per la paura di favorire Assad che ha rotto il suo rapporto con la popolazione siriana. Tutti sanno che non si possono combattere contemporaneamente le milizie del sedicente “Califfato” e quelle di Assad, ma soprattutto il fronte sunnita vuole la garanzia che non si stia portando solo acqua al mulino del regime».
E in Libia? [Continua a leggere]
Serve l’intervento militare
L’intervista di Alessandro Farruggia a Pier Ferdinando Casini pubblicata su QN
«Gli spari e l’autobomba contro il corteo del premier incaricato Sarraj, la strage di Zliten e l’attacco ai pozzi di petrolio della Cirenaica fanno parte di una stessa strategia. Bloccare l’insediamento dell’esecutivo di unità nazionale libico favorito dall’Onu, che i terroristi vedono come il fumo negli occhi. Ora più che mai, dobbiamo fare tutto quanto serve per fare insediare quel governo». Pier Ferdinando Casini (nella foto), presidente della commissione Esteri del Senato e docente di geopolitica mediterranea alla Lumsa, legge con preoccupazione gli eventi di questi giorni in Libia. Ed è convinto che il momento decisivo, se vogliamo evitare che la bandiera nera di Daesh sventoli su Tripoli, è agire adesso. Anche militarmente.
Presidente Casini, cosa significa l’attacco ai pozzi della Cirenaica?
«In questi anni tutte le parti in guerra in Libia hanno rispettato le risorse petrolifere, anche perché la società di Stato che li gestiva ha poi suddiviso i proventi con tutti gli attori principali. Con l’ingresso in scena dell’Isis, a partire dal 2015, questo non è più valido. Lo Stato Islamico è fuori dall’accordo tra fazioni, non vuole spartire, ma distruggere quelle infrastrutture. L’attacco ai pozzi, già tentato la scorsa estate, è strategico per il Califfato perché toglie risorse ai suoi avversari. Gli attacchi si ripeteranno perché i terroristi vogliono impedire che il nuovo governo possa contare sui proventi degli idrocarburi. Vogliono chiudere il rubinetto per innescare il caos».
Si attendono giornate di fuoco da qui alla data per l’insediamento del nuovo governo?
«Ogni giorno che passa il governo Sarraj è destinato a vedere un aumento degli attacchi da parte di chi gioca al ‘tanto peggio, tanto meglio’. Eppure non deve mollare. E non lo sta facendo. Membri del consiglio di presidenza e lo stesso Sarraj sono andati ieri sul suolo libico, a Misurata come a Zintan, per rendere omaggio alle vittime del camion bomba e per fare politica. Moltiplicare la propria base, stringere accordi con altri gruppi politici o tribali. E questo è un salto di qualità». [Continua a leggere]
Senza pacificazione Mediterraneo i muri non basteranno
In Libia l’isis, con altri gruppi estremisti con cui si sta raccordando, ha una strategia chiara: impedire l’insediamento a Tripoli del governo di unità nazionale che la comunità internazionale ha varato. Noi dobbiamo fare esattamente l’opposto; far sì che si insedi al più presto anche assumendoci la responsabilità, se necessario, di mandare i nostri militari a protezione dell’esecutivo libico, perché senza di esso la minaccia del terrorismo sarà destinata a moltiplicarsi.
Quanto all’escalation della tensione tra Iran e Arabia saudita, “lo scontro non è solo tra sciiti e sunniti; anche all’ interno del mondo sunnita esistono forti incomprensioni, come tra Turchia ed Egitto. Ma una cosa deve chiara a noi europei: non ci difenderemo dal flusso sempre più imponente di rifugiati costruendo dei muri, perché questa è un’illusione che serve solo per la propaganda. Noi o pacifichiamo l’area del Mediterraneo trovando nuovi assetti, visto che sono saltate le vecchie statualità, inviando anche i militari se c’è bisogno, oppure avremo un Europa destinata a subire un’invasione.
Nell’ultima giornata della missione parlamentare in Israele e Palestina, il Presidente della Commissione Affari esteri del Senato Pier Ferdinando Casini ha incontrato il Presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen: “L’Europa riconosca la centralità della questione israelo-palestinese che non può uscire dalle priorità dell’agenda politica internazionale”.
In precedenza l’incontro con Monsignor Pizzaballa, Custode di Terra Santa, e la visita al Patriarca latino di Gerusalemme, S.B. Fouad Twal, e ai luoghi sacri della cristianità.
Il Mediterraneo ha bisogno della pace in Palestina, non rassegnamoci allo status quo
L’intervista di Marco Ventura a Pier Ferdinando Casini, pubblicata su Il Messaggero
I sauditi, con l’esecuzione dell’Imam sciita Nimr Al Nimr, « hanno voluto dire agli Stati Uniti: o con noi o con l’Iran. L’America deve tornare nella sala di regia del Medio Oriente. Ma anche l’Europa deve tornare a essere un soggetto attivo nell’area». Anche per dare soluzione all’emergenza migratoria.
Queste le conferme che ha ricavato Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione Esteri del Senato, dalla visita in Israele e Cisgiordania dove ha incontrato il capo dello Stato, Rivlin, amico di lunga data, il predecessore Shimon Peres, i principali esponenti di maggioranza e opposizione e i leader dei Territori, poi una giovane israeliana accoltellata dagli estremisti palestinesi e, nello stesso ospedale, il piccolo Ahmad, 5 anni, sopravvissuto miracolosamente all’assalto incendiario di fanatici ebrei nel quale sono morti tutti i familiari.
Presidente Casini, Medio Oriente e migrazioni: che rapporto c’è?
«L’Europa per troppi anni non ha pensato al Mediterraneo, che è la fonte di tante opportunità ma anche di giganteschi problemi. L’Italia è stata lasciata sola quando gli arrivi si centralizzavano a Lampedusa. Poi, all’improvviso, tutti hanno capito che si aprivano altre rotte e che la meta predestinata erano i Paesi del Nord Europa.»
Svezia e Danimarca hanno deciso di riprendere i controlli alle frontiere, il sistema di Schengen è in pericolo. Che fare?
«Oggi vogliamo creare nuove illusioni, immaginando che ci difenderanno i muri? Liberi tutti di fare ciò che vogliono, ma sia chiaro che questa è un’altra fuga dalla realtà. O l’Europa concorre in prima persona alla stabilità del Medio Oriente, o sarà travolta dai suoi problemi».
Parliamo di Israele. Che cosa l’ha colpita di più? [Continua a leggere]
In missione parlamentare gli incontri con autorità politiche e religiose
Palestinesi e israeliani, e lo ha ripetuto il presidente Reuven Rivlin, sono destinati a vivere insieme ma ritenere, come fanno molti, che il caos in Medio Oriente allontani l’importanza decisiva della questione tra Israele e Palestina e’ un atto di grande miopia. Così come è assai pericoloso il tentativo che si vede di trasformare un conflitto in una guerra di religione. Un fatto che metterebbe ancora più fuoco in un’area che certamente non ne ha bisogno. Per questo l’Ue deve rafforzare il dialogo tra palestinesi e israeliani non favorito certamente dalla propaganda e dall’incitamento all’odio nei media e nella scuola da parte dei primi e dalla politica degli insediamenti dei secondi. Una politica sulla quale ho trovato nei miei incontri con alcune forze politiche molte perplessità’.
Israele e l’Europa hanno una questione in comune: quella di costruire un politica per il Mediterraneo, tema oggi decisivo sul quale servono fatti concreti. Uno di questi e’ il lavoro che l’Italia sta facendo nel campo della politica energetica insieme ad altri paesi del Mediterraneo. L’Italia e Israele hanno del resto interessi e obiettivi comuni. Perche’ con tutte le critiche che si possono fare, la realtà è che Israele è l’unico paese democratico della regione.