Isis: Occidente combatte con braccio legato dietro a schiena
postato il 21 Settembre 2015Ospite di “L’aria che tira”, il programma di Myrta Merlino in onda su La7
Ospite di “L’aria che tira”, il programma di Myrta Merlino in onda su La7
L’intervista di Lorenzo Bianchi a Pier Ferdinando Casini pubblicata su QN
«L’autopsia sul pescatore ucciso? È uno dei tanti misteri della vicenda. Andrà chiarito senza fare sconti a nessuno. L’Italia vuole la verità. Non ci siamo mai opposti alla necessità di fare chiarezza».
Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione Esteri del Senato, non tace le sue perplessità sul modo di procedere degli investigatori e dei giudici indiani nell’odissea cominciata nel 2012 con l’arresto di Massimiliano Latorre e di Salvatore Girone, i capi del nucleo militare di protezione della petroliera Enrica Lexie accusati dall’India di aver fulminato due pescatori scambiandoli per pirati.
Che ne pensa dell’intera questione?
«Dopo quasi quattro anni l’India tiene ancora in piedi, in sostanza, un regime di detenzione senza neppure aver formulato un capo di imputazione. È la madre di tutte le ingiustizie. Per questa ragione si è dovuta imboccare l’unica strada rimasta, quella dell’arbitrato internazionale».
Perché solo ora?
«L’Italia ha commesso l’errore di confidare nell’Autorità giudiziaria indiana. Abbiamo solo perso un sacco di tempo. I marò hanno pagato sulla loro pelle». [Continua a leggere]
L’intervista di Marco Ventura a Pier Ferdinando Casini pubblicata su Il Messaggero
«Sembra passata un’epoca dall’11 Settembre, un’intera ondata della storia, e l’amara constatazione dopo 14 anni è che abbiamo fatto passi indietro: la strategia occidentale di contrasto al terrorismo si è rivelata inefficace».
Il presidente della Commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, l’11 Settembre si trovava nella sua stanza di presidente della Camera: «Ero con D’Alema, qualcuno ci disse di sintonizzarci sulla Cnn. Rimanemmo stupefatti di fronte a quella violazione di un tempio, a quella strage».
E adesso?
«Bisognerebbe fare autocritica su certe missioni militari basate, dall’Iraq alla Libia, su un eccesso di fiducia, sull’idea che rimossi i dittatori la strada per la democrazia sarebbe stata più agevole. I dittatori sono stati rimossi, ma quei Paesi sono piombati in un caos generalizzato. E dalle ceneri della primavere arabe sono nate restaurazioni o Stati terroristici».
Che cosa deve temere di più l’Occidente?
«Nuovi attentati, magari per mano di foreign fighters figli di una nostra generazione perduta, ma anche insediamenti territoriali terroristici che grazie a armi, petrolio e tanto denaro hanno fatto saltare le statualità definite dopo la Grande Guerra. Non esistono più Iraq, Siria, Somalia, Libia. Intere aree del’Africa centrale sono dominate dai terroristi di Al Shabaab e Boko Haram. In Siria è impossibile distinguere buoni e cattivi, perché all’Isis si contrappongono eredi di Al Qaeda come Al Nusra o regimi agonizzanti come quello di Assad».
Quanto ci costa il disimpegno americano in Medio Oriente?
«Gli americani scottati dagli interventi in Afghanistan e Iraq, rassicurati dall’autosufficienza energetica raggiunta con lo shale gas, concentrati sul Pacifico orientale, sembrano dirci: adesso siete maggiorenni e provvedete da voi. Ma chi siamo noi? L’Europa è un’entità ancora astratta, purtroppo, nella politica estera e di difesa. E il dialogo con interlocutori fondamentali come la Russia è condizionato dalla vicenda ucraina».
Non rimpiangerà mica la Guerra Fredda? [Continua a leggere]
Al microfono Guido Del Turco
Oggi l’incontro con il Presidente della Repubblica Abdelfattah Al Sisi
Missione parlamentare a Il Cairo insieme a Giulio Tremonti (Gal), Emma Fattorini e Paolo Corsini (Pd).
“Tra Egitto e Italia c’è un rapporto speciale. Siamo impegnati insieme contro il terrorismo e siamo impegnati sul fronte libico perché senza una statualità libica saremmo invasi dai rifugiati e avremmo il terrorismo alle nostre porte: vale per l’Egitto e per l’Italia.
Dobbiamo lavorare, Europa, mondo arabo, Stati Uniti e Russia: perché se saltano gli Stati come Siria e Libia saremmo invasi dai rifugiati. E non ci saranno muri per poterci difendere, una soluzione non solo inumana ma anche inefficace. Allora la concertazione -ha proseguito- tra Egitto e Italia è fondamentale perché dobbiamo ricreare in Libia uno Stato per battere il terrorismo e bloccare i trafficanti di uomini”.
Oltre ad al Sisi, vi sono stati colloqui con il Primo ministro Ibrahim Mahlab e il ministro degli Esteri egiziani, Sameh Shoukry e il Segretario generale della Lega araba Nabil el Araby. Di particolare rilievo i colloqui con il Grande Imam di Al Azhar, Ahmed Al Tayyeb, e, successivamente, con la massima autorità spirituale copta, Papa Tawadros II.
L’intervista di Virginia Piccolillo a Pier Ferdinando Casini, pubblicata sul Corriere della Sera
Troppi errori, evitiamo di ripetere il disastro in Libia
Presidente Pier Ferdinando Casini, la Francia ha iniziato le ricognizioni aeree contro l’Isis in Siria. Ha fatto bene Matteo Renzi ha sfilarsi?
«Certamente. I protagonismi non servono a nulla. Renzi fa benissimo a non assecondarli. Di errori ne abbiamo alle spalle una lunga catena.
A quali errori si riferisce?
«Prima si è rinunciato a formare un’opposizione credibile ad Assad. Poi gli Stati Uniti, con l’appoggio di David Cameron, hanno proposto un intervento armato, al quale poi hanno dovuto rinunciare. E dopo qualche mese hanno organizzato raid aerei contro l’Isis trovandosi di fatto in un coordinamento con quell’Assad che prima volevano abbattere».
Piuttosto che temporeggiare la Francia sceglie i raid. Perché sbagliano?
«L’efficacia dei raid aerei è pressoché zero. Mi sembra una mossa pubblicitaria a fini interni. E non si può procedere in ordine sparso perché il contesto geopolitico è pieno di contraddizioni». [Continua a leggere]
Il Presidente della Commissione Affari esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, questa mattina ha incontrato a Roma il Presidente della Repubblica federale di Somalia, Hassan Sheikh Mohamud in visita in Italia. Al centro dei colloqui i temi dell’immigrazione, della lotta al terrorismo, in particolare dei gruppi di Al-Shabaab e Boko Haram attivi nel continente africano, e della necessità di stabilizzare le istituzioni somale con particolare riferimento alle prossime elezioni parlamentari.
La sentenza del Tribunale di Amburgo conferma la complessità della situazione dei nostri due marò ma stabilisce uno stop importante alle iniziative della magistratura indiana. Ci sarà ancora da intensificare gli sforzi ma, dopo un’attenta lettura del dispositivo, c’è da considerare questa pronuncia come un primo segnale incoraggiante.
Lettera appello pubblicata sul Corriere della Sera e firmata da Emma Bonino, Pier Ferdinando Casini, Fabrizio Cicchitto, Massimo D’Alema, Antonio Martino e Giorgio Tonini.
Caro Direttore,
le vicende che, negli ultimi giorni, hanno coinvolto i due figli di Gheddafi detenuti in Libia sono una drammatica conferma del caos e della barbarie in cui è precipitato il Paese.
Saif-al Islam, secondogenito e successore designato del Colonnello, è stato condannato a morte da un tribunale di Tripoli, dopo un processo farsa. Saadi, terzogenito ed ex calciatore, è apparso in un video mentre viene sottoposto a torture e a trattamenti degradanti in carcere, bendato e incatenato.
È uno schiaffo intollerabile al diritto internazionale e al senso di umanità, oltreché ai principi del giusto processo e al rispetto dei diritti degli imputati. Quali che siano state le loro responsabilità e le loro colpe, probabilmente gravissime, nel passato regime e nella guerra civile, la tortura è una pratica inaccettabile, così come la pena capitale, soprattutto in un contesto così platealmente privo di qualsiasi garanzia.
L’Alto commissario Onu per i diritti umani ha evidenziato la gravi carenze del procedimento giudiziario contro Saif-al Islam. Lo stesso hanno fatto il Consiglio d’Europa, e le principali organizzazioni non governative impegnate sul fronte dei diritti umani, a partire da Amnesty International e da Human Rights Watch.
È chiaro che in Libia, non solo a Tripoli ma probabilmente ovunque nel paese, non ci sono le condizioni per processi rispettosi dei minimi standard internazionali. Sicuramente non per imputati del genere. È un paese troppo diviso e dilaniato dalla violenza.
Da tempo il Tribunale penale internazionale chiede la consegna di Saif-al Islam e il trasferimento del processo all’Aja. La comunità internazionale deve sostenere questa richiesta con più forza e più decisione, con tutti gli strumenti di pressione di cui dispone. E lo stesso potrebbe essere fatto per il fratello Saadi.
La Libia non sarebbe un paese migliore con l’eliminazione dei due figli del suo ex dittatore. La sorte dei due Gheddafi non può rappresentare una nuova macchia nera su un paese devastato. Qui non si tratta di tirannicidio, forse neanche più di vendetta. Un processo equo è un’occasione per fare davvero i conti col proprio passato.
Un’occasione che la Libia non può permettersi di perdere. Come non possiamo permettercelo noi, che in quel pantano siamo immersi fino al collo.
Del resto l’Italia, a livello governativo e grazie all’impegno di “Nessuno tocchi Caino”, “Non c’è Pace Senza Giustizia” e della Comunità di Sant’Egidio, è stata continuativamente alla testa delle battaglie in sede Onu per la moratoria sulla pena di morte e per l’istituzione della Corte penale internazionale.
La Libia deve aprire una fase nuova del dopo Gheddafi. Bisogna partire da un po’ di giustizia, non da fucilazioni e torture.
Emma Bonino, ex ministro degli Affari esteri;
Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Affari esteri del Senato;
Fabrizio Cicchitto, presidente della Commissione Affari esteri della Camera;
Massimo D’Alema, ex presidente del Consiglio dei ministri;
Antonio Martino,ex ministro degli Affari esteri
Giorgio Tonini, vicepresidente senatori PD.