Tutti i post della categoria: Esteri

Il cuore di piazza Tahrir

postato il 28 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Piazza Tahrir è un simbolo. E’ il cuore pulsante di una lotta per il pane e di una sete inestinguibile basata sull’inesprimibile desiderio di umanità, libertà e dignità presente nell’animo umano. Piazza Thair è diventata un simbolo quando  i giovani blogger e le donne del movimento 6 aprile sono riusciti a portare migliaia di persone in piazza a protestare contro il regime trentennale di Hosni Mubarak.  Piazza Tahrir è diventata un simbolo quando  musulmani e cristiani si sono uniti per una preghiera interreligiosa per la prosperità e il futuro dell’Egitto.

In prossimità delle elezioni legislative di nuovo Piazza Tahrir è occupata. L’approvazione, pur in via referendaria, della nuova costituzione, è uno dei motivi che ha deluso il cuore dei giovani di Piazza Tahrir, impauriti che la modifica di qualche emendamento della vecchia costituzione non fosse abbastanza per dimenticare trent’anni di regime e non segnasse una vera svolta, come invece poteva essere l’abolizione dell’articolo 2 richiesto da molti giovani islamici moderati e dai cristiani copti e cioè l’abolizione di una nazione di ispirazione islamica in cambio di un entità statale laica. La nuova piazza Tahrir  ha conosciuto 41 morti secondo le stime ufficiali tra cui un bambino di dieci anni colpito alla testa da un proiettile e  un giovani con il cranio schiacciato.  Bothaina Kamel, la prima donna dopo Cleopatra ad aspirare a guidare la terra delle Piramidi è stata arrestata e poi rilasciata. Ma in Egitto in queste ore è soprattutto polemica per il presunto uso di gas tossici. Il premio Nobel ed ex direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica Mohammed El Baradei ha accusato il governo, che ha risolutamente negato,  del possibile uso del lacrimogeno Cr, sostanza dal forte impatto immediato che causa spasmi muscolari e può avere nel tempo effetto cancerogeno, gas vietato nel 1993 dalla convenzione sulle armi chimiche di Parigi.

Oggi si svolgeranno le elezioni legislative in un Egitto guidato da una giunta militare che comunque resterà al potere fino alla primavera del 2013, data delle elezioni politiche presidenziali. Le elezioni legislative di oggi, se si svolgeranno, potranno essere un’opportunità per avviarsi sul cammino difficile di una pacificazione e di una democrazia che noi tutti auguriamo all’Egitto. Prima di concludere, vorrei ringraziare la giornalista di Radio Popolare Marina Petrillo e il suo impegno nel riportare minuto per minuto l’Egitto e la Primavera Araba con l’utente twitter AlakaRp che invito a seguire, quasi più efficiente della nostra Farnesima ma attenzione perché adesso il nuovo ministro Giulio Terzi ha deciso di cinguettare con noi e chissà che non possa stupirci.

 

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Da Madrid a Roma, le responsabilità dei moderati.

postato il 22 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

L’era Zapatero si chiude con una storica debacle socialista e un ex premier fischiato anche all’uscita del seggio. Sembrano lontanissimi i fasti dell’effimero boom economico e gli encomi per l’enfant prodige del socialismo spagnolo, il popolo spagnolo stremato e preoccupato dalla crisi economica ha deciso di consegnare le chiavi della Moncloa al popolare Mariano Rajoy che dopo tre tentativi falliti riesce a conquistare il governo. Ma la svolta degli spagnoli non deve stupire, non è un banale cambio della guardia o un’alternanza costruita solamente sul fallimento socialista. C’è in realtà un sottile filo rosso che lega la schiacciante maggioranza ottenuta dal Partido Popular e l’alto gradimento che in questi giorni i sondaggi registrano il governo di Mario Monti e per i partiti centristi, Udc in testa.  La gente, a Madrid come a Roma, ha percepito la gravità del momento e ha preferito dare fiducia a chi, rifuggendo ogni forma di populismo, preferisce affrontare con coraggio la dura realtà. Mario Monti non ha dietro di sé un mandato elettorale come Mariano Rajoy, ma è arrivato a Palazzo Chigi con il consenso determinante delle forze moderate, che percependo la difficile congiuntura politico-economica hanno spinto per affidare ad una compagine governativa di alto profilo supportata da una vasta maggioranza parlamentare  le sorti del Paese. La vittoria elettorale dei popolari spagnoli e la fiducia degli italiani nel governo Monti sono due dati che devono far pensare e che indicano chiaramente una certa propensione dell’opinione pubblica europea ad affidare la grave responsabilità di tirare il vecchio continente fuori dalle secche della crisi alle forze moderate. In Italia dove i moderati patiscono una dolorosa scomposizione politica, è necessario ritrovare le ragioni di una unità per tradurre lo spirito e le idealità che hanno consentito la formazione del governo Monti in una proposta politica permanente capace di misurarsi nelle urne. Non si tratta banalmente di tirare per la giacca Monti e i suoi ministri, bensì di concretizzare lo spirito di responsabilità e di coesione in un progetto politico di ampio respiro. I moderati italiani sono chiamati a dare una risposta politica, sono chiamati in altri termini a cogliere nella difficoltà della crisi, l’opportunità di avere un nuovo ruolo sulla scena politica italiana ed europea.

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Nassiryia, dalle famiglie dei caduti esempio di dignità

postato il 12 Novembre 2011

Non dimenticherò mai una delle pagine più tristi della nostra storia.

Oggi ricorre l’anniversario di una delle pagine più tristi della nostra storia: la strage di Nassiriya, che ha sottratto 19 italiani ai loro cari. Ho vissuto quella giornata da Presidente della Camera e non potrò mai dimenticare l’esempio di dignità e di attaccamento alla Patria che ci hanno dato le famiglie dei caduti. Il loro ricordo mi accompagnerà sempre.

Pier Ferdinando

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Gheddafi è morto, chi l’ha ossequiato in vita ora sia prudente nei commenti

postato il 20 Ottobre 2011

Gheddafi è morto e  la sua scomparsa non potrà cancellare le sofferenze che ha inflitto a migliaia e migliaia di libici. Consiglio maggiore prudenza nei commenti soprattutto a chi in vita lo ha ossequiato con poco senso della misura.

Pier Ferdinando

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Il silenzio non scenda su Cuba

postato il 5 Ottobre 2011

L’Occidente non abbandoni chi lotta per la libertà del popolo cubano

Faccio un appello a tutti gli organi di informazione. Evitiamo che il silenzio scenda su Cuba e che questo silenzio significhi l’abbandono da parte del mondo libero di chi lotta per il futuro di una Cuba libera. Chiediamo alle autorità cubane di indire un referendum e libere elezioni. Si uccide anche col silenzio lo sforzo di uomini straordinari che hanno subito e subiscono giornalmente pregiudizi e privazioni per la loro battaglia a favore della libertà del popolo cubano.

Pier Ferdinando

 

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La primavera araba e l’inverno europeo

postato il 25 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Rocco Gumina

Nel 1989 il muro che divideva l’Europa crollò, quasi, improvvisamente. In pochi anni diversi paesi dell’est sono riusciti ad incanalarsi su una via di sviluppo politico, sociale, economico che continua tutt’ora e che per alcuni stati ex satelliti dell’URSS ha portato all’ingresso nell’Unione Europea. Tale evento storico può essere accostato, seppur lontanamente, a quanto sta accadendo nei paesi del Maghreb? Certamente la storia, gli anni venturi ci mostreranno se è possibile o meno rispondere positivamente a questo quesito. Ma alcuni punti di riflessione, per comprendere la cosiddetta “primavera araba”, dobbiamo svilupparli per dirci, o ridirci, italiani ed europei in un contesto che è davvero alla nostra portata di mano, ma che drammaticamente, come Europa e soprattutto come Italia, manchiamo. E cioè la capacità di offrire a questi popoli vie reali e forti di sviluppo, facendo magari della nostra penisola, e della nostra Sicilia, un punto di snodo fondamentale per rivolgersi con credibilità al futuro proprio e altrui.

 

La “primavera araba” ci sta mostrando, in primis, una generazione protagonista che tramite Facebook e Twitter comunica e coinvolge in un modo del tutto nuovo e quasi totalmente incontrollabile. Possiamo dire, in parte, che è un cambiamento che vogliono, che chiedono i giovani africani, musulmani e cristiani insieme, per vivere con più libertà, con più protagonismo, senza avere paura di quello di negativo che può accadere nel presente o nel futuro. Giovani africani, insomma, che vogliono vivere in e con un sistema sociale molto più “occidentale”. L’Islam, la religione comunque prevalente in questi territori, non ha conosciuto il rinascimento e l’illuminismo, ma sta certamente rielaborando un episodio che ha mutato la storia dell’umanità della cosiddetta post-modernità: l’11 settembre. Questa data, questo tragico evento ha cambiato nella realtà la nostra vita. Basta prendere un aereo o analizzare le proposte politiche di qualsiasi paese o partito in occidente, per notare la rincorsa e riscossa che si ricerca a partire dalla sicurezza nazionale e internazionale. L’11 settembre ha anche cambiato, o sta cambiando, l’islam e gli stessi paesi protagonisti della “primavera araba”. Questa generazione che promuove la rivolta, il cambiamento dieci anni fa, nella maggior parte dei casi, non aveva ancora raggiunto la maggiore età. L’11 settembre 2001, dunque, da vedere anche come snodo, nella sua tragicità simbolica e reale, non solo dell’occidente ma anche del resto del mondo incluso gli stati a maggioranza islamica.

 

Occorre notare, come secondo punto, che queste rivolte sociali nei paesi del nord Africa (ma non dimentichiamo la Siria dove dall’inizio delle contestazioni contro il regime sono morti 2600 manifestanti) hanno mostrato ancora una volta la debolezza della politica internazionale dell’Unione Europea. Sono presenti, infatti, troppi individualismi fra i vari stati membri che stanno portando ad una strategia attendista, non chiara e che in definitiva nuocerà sia agli europei che ai nuovi governi della Tunisia, dell’Egitto, della Libia. La Spagna si è concentrata quasi esclusivamente verso la sponda “amica” del Marocco; la Francia, attraverso il leaderismo di Sarkozy (il quale per passare alla storia come grande statista francese doveva pur organizzare, e speriamo per lui, vincere la “sua” guerra) pompato addirittura dai filosofi francesi come Bernard Henry Lévy, sta facendo della Libia quasi una colonia, dimenticando che un’Europa unita passa oltre che da una moneta unica, anche e forse soprattutto da una politica estera comune; la Germania della Cancelliera Angela Merkel, lodata tanto nelle nostre valli molto poco nei suoi land dove accumula sconfitte elettorali impensabili, che è scomparsa inizialmente per il caso libico per poi cercare di salire sul carretto dei quasi vincitori; l’Italia che in un momento di crisi davvero epocale legge, vede e ascolta alla TV, sui giornali le debolezze di un Presidente del Consiglio mai come adesso non all’altezza della situazione, invece di progettare, stimolare, conoscere vie di crescita nel nostro territorio e nei paesi africani con sponda sul mediterraneo.

 

E infine il ruolo, o meglio, la vocazione dei cristiani in questi paesi protagonisti del cambiamento. Certamente occorre accettare e accogliere queste novità in delle regioni dove la maggioranza musulmana, a volte, sfiora il 100%. Territori, paesi, popoli che attraverso queste sofferenze, queste uccisioni stanno attraversando il loro deserto per giungere alla costruzione di democrazie che rappresentano la Terra Promessa. I cristiani in questo conteso devono sentirsi cittadini al pari dei musulmani e collaborare con essi come sentinelle che aspettano l’alba di una stagione politica, sociale, storica nuova. Cristiani che possono trovare, per il loro impegno in queste circostanze, una profonda radice nello “Spirito d’Assisi” inaugurato da Giovanni Paolo II nel 1986, quando chiamò a raccolta i rappresentanti di tutte le religioni del mondo per pregare per la pace e l’unità dei popoli.

 

La mia generazione (la stessa dei protagonisti delle manifestazioni nel nord africa) in Europa non può che sperare bene nel processo della “Primavera araba” sperando che essa non diventi presto o prestissimo “autunno arabo” e magari lasciandosi stimolare da questi cambiamenti e da questi coetanei per avere il coraggio di dire all’Europa di essere in “Inverno inoltrato”.

 

 

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Sarkozy e Cameron in Libia, gli interessi in ballo

postato il 16 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Sarkozy e Cameron, leader di Francia e Inghilterra, sono atterrati in Libia acclamati come eroi.

Dopo la guerra civile, la Libia rappresenterà, fra le altre cose, un enorme affare: la ricostruzione delle infrastrutture danneggiate, senza contare i contratti petroliferi e i punti di passaggio per il petrolio e il gas del resto dell’Africa (ad esempio il petrolio nigeriano). L’Italia che fino a ieri era il partner privilegiato della Libia, rischia a breve di essere tagliata fuori, con ripercussioni alle aziende, le finanze, i lavoratori.

Giusto per dare un’idea degli interessi che l’Italia ha in Libia, basta citare che prima della guerra civile, eravamo al primo posto per l’export e al quinto per l’import da Tripoli, con un interscambio nel 2010 che si aggirava sopra i 12 miliardi. Dalla Libia proviene quasi un terzo del petrolio e del gas che utilizziamo, senza contare che i libici possedevano circa il 7% di Unicredit, la finanziaria Lafico possiede il 14,8% della Retelit (società controllata dalla Telecom Italia attiva nel WiMax), il 7,5% della Juventus e il 21,7% della ditta Olcese. A questo aggiungiamo che Tripoli possiede una partecipazione attorno al 2,01% di Finmeccanica, e circa 100 imprese italiane in Libia, prevalentemente collegate al settore petrolifero e alle infrastrutture, ai settori della meccanica, dei prodotti e della tecnologia per le costruzioni. L’elenco è smisurato, ma, volendo restare alle più note, non possiamo non citare Iveco (gruppo Fiat) presente con una società mista ed un impianto di assemblaggio di veicoli industriali, Impregilo (i contratti stipulati con la Libia pesano per circa l’11% del fatturato della società), Bonatti, Garboli-Conicos, Maltauro, Ferretti Group (tutte società di costruzioni). Altri settori sono quelli delle centrali termiche (Enel power), impiantistica (Tecnimont, Techint, Snam Progetti, Edison, Ava, Cosmi, Chimec, Technip). Telecom è presente anche con Prysmian Cables (ex Pirelli Cavi). Nel 2008 inoltre i libici hanno formalizzato un’intesa con il ministero dell’Economia italiano che dovrebbe permettere a Tripoli di aumentare le partecipazioni in ENI (di cui già possiedono lo 0,7% del capitale) inizialmente al 5%, poi all’8%, fino a un massimo del 10%.  L’ENI è il primo produttore straniero nel paese libico, con una produzione di circa 244mila barili di petrolio al giorno, oltre al gas prodotto dai campi libici attraverso il gasdotto denominato GreenStream (che in questi giorni è stato chiuso a scopo precauzionale dall’ENI) che collega Mellitah, sulla costa libica, con Gela, in Sicilia.

Ma tutto questo era niente se confrontato con il piano di modernizzazione della Libia concepito da Gheddafi, che prevedeva investimenti per 153 miliardi di dollari per realizzare infrastrutture, progetti urbanistici e tecnologie per sviluppare l’industria estrattiva del petrolio e del gas.

Ovviamente questo piano acquista maggior peso ora che la Libia è da ricostruire interamente e in questo senso Impregilo che ha fatto molti affari in Libia: aveva vinto una commessa per la costruzione di una torre di 180 metri e un albergo di 600 camere a Tripoli, ha realizzato gli aeroporti di Kufra, Benina e Misuratah, e il Parlamento a Sirte. La stessa società ha vinto l’appalto per costruire tre università, più diversi alberghi e è in gara per la costruzione di una autostrada fino all’Egitto.

Tutto questo rischia di sparire se il governo non si muoverà per tempo come stanno facendo i governi di Francia e Gran Bretagna, ma, ed è questo il vero problema.

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11 settembre 2001: dieci anni dopo

postato il 11 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

“Ero a casa, la mia casa è nel centro di Manhattan, e alle nove in punto ho avuto la sensazione d’ un pericolo che forse non mi avrebbe toccato ma che certo mi riguardava. La sensazione che si prova alla guerra, anzi in combattimento, quando con ogni poro della tua pelle senti la pallottola o il razzo che arriva, e rizzi gli orecchi e gridi a chi ti sta accanto: «Down! Get down! Giù! Buttati giù». L’ ho respinta. Non ero mica in Vietnam, non ero mica in una delle tante e fottutissime guerre che sin dalla Seconda Guerra Mondiale hanno seviziato la mia vita! Ero a New York, perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre, anno 2001. Ma la sensazione ha continuato a possedermi, inspiegabile, e allora ho fatto ciò che al mattino non faccio mai. Ho acceso la Tv. l’ audio non funzionava. Lo schermo, sì. […] E su ogni canale, qui di canali ve ne sono quasi cento, vedevi una torre del World Trade Center che bruciava come un gigantesco fiammifero. Ero un pezzo di ghiaccio. Anche il mio cervello era ghiaccio” (Oriana Fallaci)

L’attacco fu così devastante da non aver precedenti in tempo di pace: ad essere colpita era l’invulnerabilità degli Stati Uniti d’America e con loro di tutto l’Occidente. Chi non aveva trovato subito la morte bruciato vivo nell’impatto dei due aerei, si buttava giù dalle finestre schiantandosi al suolo per evitare una morte atroce tra i tormenti delle fiamme. Immagini raccapriccianti, il riconoscimento delle vittime polverizzate tramite i loro effetti personali, immagini toccanti, il ritrovamento di una croce di legno tra le macerie delle torri, testimonianze di autentici eroi come l’italoamericano Daniel Nigro, il capo dei pompieri chiamati in soccorso.

Quel giorno il mondo conobbe un uomo, Osama Bin Lader, di cui non aveva mai sentito parlare e la sua organizzazione terroristica Al Quaeda, la base. Il movimento era nato negli anni Ottanta per liberare l’Afghanistan dai carri armati e dalle ambizioni dell’Unione Sovietica, giovani studenti di teologia, i mujaddin,costrinsero al ritiro l’Armata Rossa. Al Quaeda a partire da quegli anni ha iniziato una politica di decentramento organizzativo che ha iniziato a diffondere l’islamismo radicale in versione terroristica nel mondo arabo ma senza risultare evidente ai nostri occhi. Gli occhi del mondo occidentale si aprirono in modo drammatico e inaspettato sullo sconosciuto divenuto lo sceicco del terrore. Da quel terribile giorno in un crescente clima di terrore, nel nome della sicurezza e dell’ordine sono stati calpestati i più basilari diritti umani, altri attentati terroristici sono sorti penetrando nel centro dell’Europa, nelle metro di Londra e Madrid, nelle sue città e nei suoi cuori dilaniati.

Proprio quest’anno, il decennale del tragico episodio delle Twin Towers, ha visto la morte di Osama Bin Lader ma soprattutto ha visto migliaia di giovani del Medio Oriente ribellarsi e mettersi in gioco non per il fanatismo e la guerra santa ma per la libertà e la democrazia. E’ questa la vera morte di Osama, la primavera araba e l’inesprimibile sete di libertà del cuore umano che hanno saputo abbattere il fanatismo e il terrorismo e stanno costruendo un nuovo mondo arabo, o forse no, stanno facendo vedere e crescere ciò che i nostri occhi e i nostri cuori avvelenati ci impedivano di scorgere. Non abbandoniamoli, vinceremo insieme.

 

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11 settembre, 10 anni dopo

postato il 11 Settembre 2011
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Il Mediterraneo, tra Europa e Primavera Araba

postato il 10 Settembre 2011

Riceviamo e pubblichiamo di Jacob Panzeri

Il termine Mediterraneo deriva dalla parola latina Mediterraneus, che significa “in mezzo alle terre”. Vero e proprio ponte tra territori, è la culla di alcune tra le più antiche civiltà del pianeta e uno straordinario crocevia di genti e di culture. Ma da tempo le acque del Mediterraneo sono inquinate, e non solo per le 500 tonnellate di frammenti di plastica che vi galleggiano, ma per l’incapacità di creare una reale politica in grado di abbracciare  i popoli Mediterranei. Venire incontro all’inesauribile desiderio di libertà protagonista della primavera araba dovrebbe essere un diritto e un dovere per l’Europa, e non con il mero scopo di  preservare o rafforzare i propri accordi economici, ma per creare una vera realtà mediterranea. Un abbraccio in cui potenziarci a vicenda che si avvalga di una seria campagna immigratoria non propagandistica (il numero dei clandestini giunti in Italia tramite i famigerati barconi sono soltanto il 2-3% dei clandestini che per lo più si intrufolano ottenendo un permesso temporaneo, un visto turistico, per poi rendersi latitanti). Occorre una nuova prospettiva in cui guardare non solo alle braccia ma al cuore e al cervello, respingere con durezza chi non desidera davvero  migliorare la propria vita e rendere un servizio all’Italia e  allo stesso tempo accogliere con maggiore efficacia e umanità i giovani dei paesi mediterranei che potranno un giorno diventare protagonisti della vita del loro paese, migliorarlo e conseguentemente migliorare anche noi. Ecco perché è una prospettiva sbagliata quella condotta per oltre trent’anni e cioè avallare regimi con limitazione delle libertà personali e sociali che possono essere definite delle vere e proprie dittature in cambio della stabilità politica del territorio ed economica per i nostri interessi.

L’età media dell’Egitto è 22 anni, è un paese con un altissimo tasso giovanile che vuole sentirsi protagonista, è in contatto con tecnologie come internet che gli permettono di avere uno sguardo globale, sono giovani che non si fanno condizionare dai radicalismi islamici e desiderano una vita migliore di democrazia e libertà. E’ il caso di Abdu Azzab, giovane egiziano al terzo anno di economia dell’Università di Trento che ci ha reso una preziosa testimonianza del suo paese. I giovani egiziani sono stati 18 giorni in piazza Tahir a chiedere le dimissione del governo Mubarak e una nuova speranza per l’Egitto. Gli estremisti hanno tentato durante la rivolta a più riprese di prenderne la testa ad esempio con il tentativo di sabotaggio dell’ambasciata israeliana del Cairo ma venendo anch’essi sconfitti dalla sete di libertà dei giovani. Ci racconta Abdu che oggi Piazza Thair ha raggiunto per lui davvero un valore sacro e uno dei segni che più lo ha emozionato è stata la preghiera interreligiosa tra cristiani e musulmani. Oggi i principali esponenti del governo Mubarak sono agli arresti e l’Egitto è in attesa delle prime elezioni democratiche dopo trenta anni. Auguriamo all’Egitto e agli altri paesi oppressi di poter finalmente vedere la luce e a questi giovani di abbeverarsi continuamente alla loro speranza per costruire un futuro migliore. Insieme. Per un nuovo grande Mediterraneo.

 

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