Tutti i post della categoria: Esteri

Libia:il vertice italiano un flop. Prevalsa la linea di Egitto e Francia, l’Europa esce sconfitta

postato il 16 Novembre 2018

L’intervista di Antonella Coppari pubblicata su Quotidiano Nazionale

«Di mancanza di professionalità politica si muore. Conte avrebbe dovuto evitare di imbastire la Conferenza sulla Libia, poiché non c’erano i presupposti: in questo modo avrebbe evitato un fallimento annunciato».
L’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, che in tema di politica estera ha esperienza da vendere, è categorico: «Non ho nulla contro le conferenze internazionali, ma non bisogna organizzarle in modo velleitario perché invece di risolvere, peggiorano le cose».
Perché il summit di Palermo avrebbe peggiorato il quadro?
«Basta vedere quello che è successo mercoledì a Tripoli con il riesplodere della guerriglia urbana: purtroppo, l’Italia ha sbagliato completamente linea. Per far venire Haftar ha determinato l’irritazione di tutta l’area islamica che agisce su Tripoli, sostenuta dal Qatar e dalla Turchia, un’area per noi fondamentale. E così ora, coloro con cui tradizionalmente dialogavamo sono insoddisfatti, mentre la linea che è sembrata prevalere a Palermo è stata quella della Francia e dell’Egitto».
Pure la conferenza organizzata dai francesi è stata un flop.
«Non è una giustificazione: li abbiamo criticati per questo».
Nello scacchiere libico ci sono almeno tre attori europei: Francia, Italia e Inghilterra. E’ possibile che l’Unione non faccia sentire la sua voce?
«Questa è la grande sconfitta dell’Europa. Un soggetto che è assolutamente incapace di incidere una svolta a livello politico perché non ha una politica estera comune. Un dato di fatto che il dossier della Libia ha evidenziato drammaticamente negli anni».
Quanto pesa la competizione internazionale sulla crisi libica?
«Nella vicenda libica la competizione internazionale ha inciso fin dall’inizio, a partire dall’intervento sbagliato proposto da Sarkozy e dagli inglesi contro Gheddafi. Devo riconoscere che, per quanto riguarda i nostri interessi economici, l’Eni in Libia ha tenuto benissimo, non ha sentito la concorrenza della francese Total».
Si può risolvere la situazione senza mettere attorno a un tavolo non solo i libici ma anche le potenze coinvolte?
«Va bene il dialogo politico ma io sostengo che se gli Stati Uniti e la Russia non riuniscono attorno alla Libia gli attori principali, che sono Turchia, Egitto, Italia, Francia e gli Stati del golfo non si produrrà nulla perché questo è terreno di una guerra per procura».
Ha qualche chance di riuscire la mediazione dell’inviato dell’Onu, Salamé?
«Sembra un pochino più efficace di quelle del passato».
La scadenza delle elezioni a giugno in Libia sarà rispettata?
«Non sono in grado di dirlo. Le elezioni ci devono essere quando è garantito un percorso di sicurezza e di tranquillità nel paese. Se il governo legittimo non è in grado di garantirlo nemmeno nelle strade di Tripoli, di cosa si parla?».
Per governare il fenomeno migratorio Minniti prima e Salvini poi hanno puntato sugli accordi con la Libia: ha senso dato che non esiste uno stato libico?
«Da ministro dell’Interno farei le stesse cose, però è chiaro che più la Libia è divisa in fazioni, più è impossibile controllare il fenomeno».

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Libia: A Palermo soltanto una cerimonia, gli Usa faranno il minimo

postato il 12 Novembre 2018

L’intervista di Fabrizio Caccia pubblicata sul Corriere della Sera

«Io non so se è vero o no che il premier Conte sia volato da Haftar a Bengasi», dice il senatore Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera e oggi docente di Geopolitica del Mediterraneo alla Lumsa di Roma.

Palazzo Chigi ieri ha smentito.

«Fosse vero sarebbe penoso, vorrebbe dire che siamo ridotti al punto che per tenere in piedi un simulacro di conferenza, che non servirà a nulla, il nostro presidente del Consiglio deve correre da Haftar a chiedergli di partecipare».

Oggi a Palermo comincia la conferenza sulla Libia.

«Al massimo sarà una cerimonia. Perché il livello delle presenze è davvero basso. Gli Usa mandano appena un sottosegretario. Nel gergo diplomatico vuol dire fare il minimo indispensabile, piuttosto che darti un calcio in faccia. Ma forse pure lo è».

Allora cosa aspettarsi?

«Io mi auguro che alla fine Haftar venga, sarebbe un grande atto d’umiltà, anche se Palermo è solo un’ostentazione di velleitarismo. Di sicuro, occorrerà abbassare l’asticella delle aspettative. Alla conferenza, tra chi ci sarà, cerchiamo di creare almeno un dialogo sereno per indurre a un cammino elettorale».

Il futuro della Libia, però, resta un’incognita.

«L’unica soluzione è che Russia e Usa congiuntamente mostrino la volontà reale di coinvolgere gli attori principali: Egitto, Turchia e Unione Europea».

Per adesso comandano le milizie armate.

«La Libia anche con Gheddafi non è mai stata una realtà statuale. Il Colonnello la teneva insieme distribuendo i proventi del petrolio e del gas tra le tribù. Oggi servirebbe un altro capo riconosciuto da tutti, ma non c’è. Haftar è divisivo, Serraj troppo debole. Nessuno rimpiange Gheddafi, ma il problema è che oggi ci sono 50 capi che litigano tra loro».

E l’Italia?

«Ho grande stima del ministro degli Esteri, Moavero. Il problema è la nostra politica estera. Perché ci siamo vantati a lungo di essere rimasti i soli con l’ambasciata aperta a Tripoli e adesso ci ritroviamo con l’ambasciatore Giuseppe Perrone, il più esperto di cose libiche in assoluto, interdetto ad entrare? O forse siamo noi stessi che non lo facciamo più entrare? Sono cose che non capisco».

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Libia: condivisione su decreto motovedette, in continuità con governi precedenti

postato il 25 Luglio 2018

La politica si fa col cuore e con la mente

Cari colleghi, non è semplicissimo intervenire in questo dibattito perché naturalmente, come sempre capita quando si parla di temi così delicati e quando si parla di Libia, un conto è il voto che noi siamo chiamati a dare, un conto è l’analisi che siamo chiamati a fare, un conto sono le sensibilità diverse che attraversano il nostro Parlamento.
Allora partiamo dal primo punto: il Gruppo per le Autonomie voterà a favore di questo decreto-legge perché è in continuità con il lavoro dei governi precedenti e perché è giusto dotare di un equipaggiamento navale le forze di controllo costiero libico, perché è giusto, perché è giusto.
Poi, colleghi, facciamo un passo in avanti: la senatrice Bonino ci ha ricordato che non esiste la statualità libica. Purtroppo lo sapevamo tutti in quest’Aula che non esiste la statualità libica. Sappiamo addirittura che c’è un Governo, quello di Haftar, che con la collaborazione di statualità estere e anche europee ha lavorato in questi anni per arrivare ad una tripartizione della Libia nonostante la comunità internazionale abbia insediato un Governo che noi sempre abbiamo appoggiato, con Letta, con Renzi, con Gentiloni e oggi con il Governo Conte in uno spirito di continuità, perché era il Governo legittimato dall’ONU. Ma questo Governo controlla la Libia? Scusate, non siamo su “scherzi a parte”, lo sappiamo benissimo che questo Governo non controlla la Libia. Sappiamo benissimo che non la controllano neanche gli altri due governi. Sappiamo benissimo che ci sono dei soggetti tribali municipali che non a caso sono stati al centro del lavoro che nei mesi scorsi ha fatto il Governo Gentiloni con il ministro Minniti.
Abbiamo in Aula la senatrice Pinotti che è stata parte di quel lavoro che oggi, in continuità, viene ripreso dal Governo Conte.

Allora, scusate, un conto è il mondo che vorremmo vivere, un conto è il mondo che viviamo perché la politica estera non è un pranzo di gala e noi, purtroppo, dobbiamo fare i conti con quello che c’è non con quello che vorremmo che ci fosse. Ho sentito prima alcuni colleghi che hanno detto che chi arriva non ha i documenti. Scusate, ma volete che vadano a chiedere il certificato penale a Mogadiscio quando partono da realtà che sono devastate, prive di qualsiasi statualità?
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Italia-Albania: dal presidente Meta il conferimento dell’onorificenza Madre Teresa

postato il 23 Aprile 2018

Oggi a Tirana il presidente della Repubblica dell’Albania mi ha conferito la medaglia dell’Ordine di Madre Teresa, una delle massime onorificenze dello Stato albanese

Ringrazio il presidente Meta dell’onorificenza, che in realtà è tributo non a me personalmente, ma al rapporto speciale fra Italia e Albania. Sono certo che chiunque guiderà l’Italia nel prossimo governo sara’ coerente con la tradizione migliore della nostra politica estera. Anche le forze nuove che si avvicinano al governo del paese, saranno come noi lo siamo stati, testimoni e ambasciatore dell’Albania in Europa. Mi conforta molto oggi vedere tra i punti programmatici che i colleghi del Movimento Cinque Stelle hanno presentato, la conferma di quello che sto dicendo, perché si parla di continuità nell’impegno della politica europea.

***

La medaglia – si legge nelle motivazioni del conferimento a Pier Ferdinando Casini – è in segno di apprezzamento per la sua personalità’ di spicco come politico il quale incarna i valori più’ alti del parlamentarismo, del dialogo e della democrazia, e per essere stato un ponte di collegamento per la permanente amicizia italo-albanese.
Nel suo intervento il presidente Ilir Meta ha sottolineato “lo straordinario aiuto del senatore Casini nel promuovere l’Albania sul campo internazionale. Lui e’ stato un avvocato dell’adesione del paese alla Nato e un fermo sostenitore della prospettiva europea dell’Albania e della regione dei Balcani. L’Italia è un nostro insostituibile partner strategico. Perciò un’Italia forte, stabile e prospera è importante per un’Albania per sviluppata e prospera”.

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Il percorso da condividere della politica estera italiana

postato il 21 Settembre 2017

Ci sono diversi fattori che rendono un Paese affidabile agli occhi della comunità internazionale. Tra questi c’è la continuità nelle sue scelte di fondo

La mia lettera al Direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana

Caro Direttore,

Angelo Panebianco ha avuto il merito, su queste colonne (Corriere, 14 settembre), di ricordare l’importanza della politica estera nelle scelte dei partiti e nei loro programmi.
Il quadro internazionale, del resto, è straordinariamente complesso. L’emergenza più recente, quella coreana, ha fatto riemergere la prospettiva di un conflitto nucleare. Poi c’è Daesh e la minaccia del terrorismo di matrice islamica, che ormai sono parte integrante della nostra vita quotidiana. C’è il dramma dei migranti, che tocca pesantemente l’Italia, ma che in realtà è una delle grandi questioni planetarie. C’è un uso distorto e perverso delle religioni per spingere ad uno scontro di civiltà. C’è un arco di instabilità e di conflitti che corre per tutta la sponda sud del Mediterraneo, per arrivare fino in Medio oriente.
Proprio la situazione di quest’area è un esempio lampante della crisi del sistema delle relazioni internazionali. Il disimpegno degli Usa, avviato da Obama, ha lasciato un vuoto pericoloso. Che in molti, ora, vogliono riempire: dalla Russia, alle potenze regionali, perennemente in lotta tra di loro.
Uno scenario così frammentato richiede nuovi strumenti di intervento e capacità di lavorare per un “ordine mondiale”, come scrive Kissinger, più aderente alla realtà. Questo non significa, però, mettere in discussione tutto quello che si è fatto finora. Al contrario, proprio perché siamo in una fase così complessa, i pilastri della nostra politica estera devono rimanere ben saldi.
Il primo è la scelta europeista. L’Ue, oggi, ha tante difficoltà ed incertezze, molte delle quali, in verità, dovute più a certe capitali nazionali che a Bruxelles. Ma non dobbiamo dimenticare quello che ci ha garantito fino ad oggi (a cominciare da pace e stabilità), né possiamo illuderci che, per il futuro, ci siano alternative credibili. Il mondo moderno è un mare in tempesta. E gli Stati nazionali, da soli, sono barchette in balia delle onde che rischiano, Germania compresa, di affondare. In più dalla Brexit, che è un male, potrebbe anche venir fuori qualcosa di buono, cioè la formazione di un nucleo duro di Paesi che, come diceva Delors, spinga finalmente sull’acceleratore dell’integrazione, a cominciare da sicurezza e politica estera.
Il secondo pilastro è la scelta atlantica. Le singole amministrazioni possono piacere di più o di meno, o anche per niente. I governi però passano, mentre i popoli restano. E noi, con gli americani, abbiamo un rapporto solido e di lunga data, un’alleanza strategica fondata su una visione condivisa del mondo che dobbiamo preservare ad agni costo.
Il terzo pilastro è il multilateralismo. Anche qui, non si tratta di nascondere la realtà, in primis la debolezza del sistema dell’Onu. Si tratta di convenire che, nelle relazioni internazionali, non esistono alternative alla mediazione e al dialogo, per costruire un ordinamento, come dice la nostra Costituzione, “che assicuri pace e giustizia fra le Nazioni”.
Questi pilastri è bene che restino solidi, condivisi da tutte le forze politiche, o, almeno, dalla loro gran parte. E bisogna dire che, negli ultimi anni, i partiti italiani hanno fornito alcuni esempi virtuosi di coerenza bipartisan nella politica internazionale, a partire dal sostegno alle missioni militari di pace in cui quasi sempre si è ottenuto un consenso più ampio del perimetro governativo. Ma vorrei aggiungere due casi per tutti: Turchia e Iran. I governi italiani, ci fosse Berlusconi o Prodi, hanno sempre tenuto aperta la porta dell’Europa alla Turchia. E se nel 2003 Schröder e Chirac ci avessero dato retta, oggi avremmo probabilmente un Medio Oriente un po’ meno tormentato. Lo stesso vale per l’accordo sul nucleare con l’Iran. Anche qui il nostro Paese ha saputo mantenere, negli anni, una posizione coerente a favore del dialogo e dell’apertura. Personalmente non sono affatto persuaso che la svolta di Trump, annunciata martedì a New York, sia foriera di grandi successi per l’Occidente.
Ci sono diversi fattori che rendono un Paese affidabile agli occhi della comunità internazionale. Tra questi c’è la continuità nelle sue scelte di fondo in politica estera. Per essere forti nel mondo bisogna che la maggioranza e le forze più responsabili dell’opposizione si facciano carico di progettare insieme un percorso condiviso nell’interesse della comunità nazionale.

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Migranti: Casini loda il codice Ong «I cattolici stanno con Minniti»

postato il 10 Agosto 2017

Il Papa non vuole i trafficanti

L’intervista di Antonella Coppari a Pier Ferdinando Casini pubblicata su QN

Convinto anzi arciconvinto che il codice di comportamento per le Ong sia sacrosanto determinato ad appoggiare senza se e senza ma la svolta di Minniti sull’immigrazione che sta producendo ottimi risultati di fronte a voci critiche che si levano dal mondo cattolico Pier Ferdinando Casini presidente della Commissione Affari esteri del Senato con solide radici cristiane, non ha dubbi: “Se si facesse un referendum tra gli italiani che vanno a Messa la domenica sono sicuro che la maggior parte di loro si schiererebbe con il ministro dell’Interno”.

Ma la solidarietà nei confronti dei migranti non dovrebbe essere un imperativo categorico per un cristiano?
“Sicuramente. Ma è un imperativo altrettanto categorico trattare le persone da esseri umani e non da bestie. E siccome chi arriva oggi in Italia va ad alimentare il racket della prostituzione della droga e della criminalità io dico che con i mercanti di schiavi ci deve essere tolleranza zero”. [Continua a leggere]

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Libia: su lotta a trafficanti Italia passa da parole a fatti

postato il 30 Luglio 2017

Ospite di Rainews24 intervengo su migranti, rapporti tra Italia e Francia, legge elettorale e prospettive politico-elettorali.

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Libia: Il pattugliamento un colpo ai trafficanti

postato il 29 Luglio 2017

Nel derby con l’Italia a rischiare è Parigi

 L’intervista di Marco Ventura pubblicata su Il Messaggero
Il derby Italia-Francia rischia di trasformarsi in un boomerang per Parigi. Su Fincantieri e sulla Libia il presidente Macron ha fatto due operazioni azzardate. I cantieri di Saint-Nazaire, una volta nazionalizzati, rischiano di restare in carico al governo francese senza funzionare, mentre il vertice con Al Serraj e Haftar è stato poco più di una photo opportunity come è dimostrato dai pesci in faccia di Haftar a Al-Serraj due giorni dopo».
È netto il presidente della Commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, su quello che l’Italia dovrebbe fare in Europa e Nord Africa. «Nel dossier libico sono coinvolti Paesi come gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto, col quale l’Italia ha diversi contenziosi a cominciare dal caso Regeni. Non si può lasciar bighellonare alla Farnesina uno dei nostri migliori diplomatici, Giampaolo Cantini, da tempo nominato ambasciatore al Cairo. Dev’essere mandato a insediarsi e risolvere i problemi».

È in pericolo l’amicizia tra Roma e Parigi?
«L’amicizia italo-francese è più forte delle contingenze, e la storia ha dimostrato che quando Italia e Francia non sono state in sintonia ne sono venuti fuori guai per tutti. Ma oggi il problema è più per Macron e per il governo francese. Lui sarà preoccupato dal calo di sondaggi, si è candidato in nome dell’Europa ma sa quanto sia forte in Francia la spinta sovranista».
Che cosa può succedere adesso?
«Sul fronte della cantieristica, o Macron rinnega la posizione di Hollande e la Francia farà una figura meschina, squalificandosi in Europa per una scelta inaccettabile, o invece il tutto è finalizzato a un nuovo accordo e questo farebbe parte delle regole del gioco. Fincantieri fa un’operazione industriale, non politica. Se la politica glielo impedisce, i francesi vadano avanti per conto loro. I coreani erano ben accetti perché soci finanziari? Fincantieri, proprio perché è una vera industria, può dare una prospettiva ai lavoratori francesi». [Continua a leggere]

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Navi in Africa, una svolta

postato il 28 Luglio 2017

«Le Ong ribelli non sbarcheranno più migranti nei nostri porti»

L’intervista di Lorenzo Bianchi pubblicata su QN

Navi italiane a ridosso della costa libica. E’ un blocco navale?
«No, si tratta – smentisce con forza il presidente della commissione Esteri del Senato Pier Ferdinando Casini – di assistere la Guardia Costiera libica. Per la prima volta noi siamo autorizzati su richiesta del governo Sarraj a entrare nelle acque territoriali per svolgere l ‘azione di contrasto che la Guardia Costiera locale non riesce a fare cercando di respingere i trafficanti di persone. Con la nostra assistenza potrà infliggere di fatto un serio colpo alle loro attività».

Si frenerà il flusso dei migranti?
«Ora l’Italia affronta la questione libica con una strategia complessiva. C’è stato un ottimo lavoro di squadra. Sarebbe stato splendido però che il presidente francese Emmanuel Macron avesse veramente realizzato il capolavoro».

Invece?
«Al rientro in Libia Haftar (il generale che di fatto controlla la Cirenaica ndr) ha detto che Sarraj (il premier del Governo di unità nazionale appoggiato dall Onu ndr) è un fanfarone, un fantoccio e che non controlla nulla. E’ la risposta più efficace a chi riteneva che l Italia fosse stata espropriata e che si fosse realizzato il miracolo di Parigi».

Adesso Macron annuncia che il suo Paese farà in Libia centri hotspot per i richiedenti asilo politico “con o senza l’Unione Europea”
«Per noi tutto quello che contribuisce a infliggere colpi ai trafficanti di esseri umani o a bloccare questo esodo incontrollato è un fatto positivo. Comunque mi sembra che le stesse smentite francesi dimostrino che non hanno le idee così chiare». [Continua a leggere]

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Venezuela: Parlamento italiano sempre attento su crisi

postato il 26 Luglio 2017

Alla conferenza sulla situazione del Venezuela, promossa dal vice presidente del Gruppo Pd a Palazzo Madama, Alessandro Maran, alla presenza di Tulio Hernàndez, scrittore e sociologo venezuelano costretto all’esilio dal suo Paese per il suo dissenso nei confronti del regime di Maduro.

sdr

Il Parlamento italiano, anche in nome del meraviglioso rapporto con il Venezuela, non si è mai addormentato su questa vicenda, cercando di tenere sempre desta l’attenzione. Sarebbe molto bello che i giovani italiani capissero fino in fondo cosa significa la politica e la democrazia guardando il Venezuela oggi, a noi sembra che tutto sia acquisito, che abbiamo tutto facile.
Tutto parte da un concetto di fondo, la legittimità del parlamento. Il popolo ha eletto legittimamente il parlamento, a cui però, a tavolino, è stata sottratta la legittimità democratica, da parte di chi invece aveva perso la sua di legittimità, cioè da parte del governo. Molti di noi hanno paura che alla fine finisca in un bagno di sangue, questo è il rischio vero che abbiamo di fronte.
Noi siamo con il Venezuela con l’anima e col cuore.

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