Tutti i post della categoria: Giustizia

Lodo Alfano, astensione Udc ponte tra i due poli

postato il 20 Ottobre 2010

Lo scudo retroattivo approvato ieri dalla commissione del Senato non ci piace per nulla, è un errore anche politico. Però si tratta di un’anomalia italiana, per cui realisticamente bisogna prendere atto che la soluzione del Lodo Alfano comportava quasi inevitabilmente questa fattispecie giuridica.
Tuttavia, la nostra astensione è il tentativo di lanciare un ponte tra maggioranza e opposizione per evitare che questa dissennata delegittimazione giudiziaria reciproca continui.
Mi auguro che il Lodo Alfano serva a rendere più sereno il clima politico: dei segnali ci sono stati, l’elezione di Vietti al Csm col voto unanime di togati e di uomini politici di destra e di sinistra, l’elezione di Bongiorno. C’è qualche segnale che anche sulla giustizia si può seguire un’altra strada, una strada di ragionevolezza, di responsabilità e di dialogo reciproco.

Pier Ferdinando

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Non metteremo veti sul Lodo Alfano, rimuovere macigno processi premier

postato il 19 Ottobre 2010

E’ un errore, ma anomalia italiana giustifica soluzione ‘sui generis’

Anche se gli scudi per le Alte cariche, in tutti i Paesi, sono funzionali, cioè connessi temporalmente e sostanzialmente all’incarico, l’anomalia italiana giustifica una soluzione ‘sui generis’.
Si tratta appunto di un’anomalia e quindi la retroattività è un errore ma non metteremo veti sul Lodo Alfano, perché la nostra intenzione è di dare un segnale di stabilità e tentare di rimuovere il macigno dei processi del premier una volta per tutte, rispetto alle più urgenti questioni della giustizia che riguardano tutti gli italiani.
E’ necessario contribuire alla serenità istituzionale e per questo motivo l’Udc al Senato si asterrà sul provvedimento.

Pier Ferdinando

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Giustizia, meglio parlare di separazione delle funzioni

postato il 16 Ottobre 2010

Questa grande riforma della giustizia a mio avviso sarà la montagna che partorisce un topolino.
Non siamo contrari a discutere della separazione delle carriere ma meglio sarebbe parlare di separazione delle funzioni. Sul tema dell’obbligatorietà dell’azione penale e dell’autonomia del pubblico ministero credo ci debba essere una posizione netta e chiara. Forme ritorsive verso i magistrati non sono accettabili. Due Csm, inoltre, sarebbero un grandissimo errore. Uno di questi diventerebbe un organo ancora più autoreferenziale di quanto a volte rimproveriamo all’attuale Csm. Due caste separate finirebbero per far ottenere un risultato diametralmente opposto a quello che Berlusconi si propone.

Pier Ferdinando

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‘Ndrangheta: partiti e cittadini si sveglino!

postato il 15 Ottobre 2010

I cittadini, anche quelli del Nord, si devono svegliare, perché il cervello criminale di tante penetrazioni proprio al Nord è in Calabria.
Bisogna condurre una battaglia per la quale i magistrati hanno il nostro pieno sostegno.
Quando ho incontrato il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, gli ho espresso la solidarietà del mio partito a tutti i livelli perché anche i partiti politici si devono porre seriamente questa questione e, in certi casi, prendersi la responsabilità di tagliare: non possiamo abituarci a convivere con la criminalità.
Questo non è accettabile.

Pier Ferdinando

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Solidarietà a Pignatone, servono piu’ uomini e mezzi

postato il 5 Ottobre 2010

A nome dei parlamentari dell’UDC esprimo piena solidarietà al Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Pignatone che, con il suo lavoro, ha concretamente dimostrato di contrastare sul territorio lo strapotere della ‘Ndrangheta.
Non è un caso che oggi questo magistrato sia oggetto di minacce sempre più dure: a lui e ai magistrati come lui lo Stato deve fornire mezzi, uomini e strutture per rendere efficace la lotta alla criminalità che rende i calabresi sempre più sgomenti.

Pier Ferdinando

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Quale giustizia possibile?

postato il 5 Ottobre 2010

Quale giustizia possibile? Questa è una delle tante domande che rimbombano tra le menti frastornate degli italiani, troppo intontite da slogan e attacchi quotidiani a chicchessia.

Da ormai molti mesi, per non dire da molti molti anni, il tema della riforma della giustizia è una priorità nell’agenda governativa. Il problema principale però è che nonostante le infinite discussioni non si riesce a capire quale giustizia sia possibile.

Non credo il problema riguardi l’etimologia del termine o il suo senso più alto, il nodo invece rimane sempre sull’uso che se ne fa della giustizia.

Ultimamente la discussione politica è stata improntata allo smantellamento dell’attuale sistema giudiziario per porre le basi alla riedificazione di un sistema nuovo e possibilmente migliore. Nelle intenzioni nulla da eccepire. Ma si sa che tra le intenzioni, ritenute buone, e l’azione passa inevitabilmente la mente dell’uomo.

Il corpo giudiziario è composto da uomini che per definizione possono commettere degli errori, hanno dei desideri, vogliono crescere professionalmente, e che purtroppo qualche volta non hanno scrupoli ad abusare di ciò che hanno per le mani pur di farsi un po’ di pubblicità. Ne sono prove inequivocabili molti degli innumerevoli processi che negli ultimi 20 anni hanno colpito il mondo politico e non solo. Le assoluzioni piene arrivate spesso troppo tardi hanno però dimostrato la buona fede degli imputati, e la cattiva fede di qualche magistrato che pur di un titolo sul giornale era disposto a ergersi, e lo fa tuttora, a bandiera del giustizialismo, la peggiore degenerazione della giustizia.

Per ovviare a questo e per salvaguardare il buon nome dell’Italia anche e soprattutto all’estero, negli ultimi tempi ritorna sempre più insistentemente il cosiddetto lodo Alfano. È chiaro che, come affermato dallo stesso Casini poco tempo fa, lo scudo per le più alte cariche dello stato è un elemento imprescindibile oggi per impedire l’ingerenza in politica di un potere diverso da quello esecutivo o legislativo, ed è chiaro che chi in un preciso momento rappresenta l’Italia nella comunità internazionale non deve essere turbato da problemi giudiziari spesso ingigantiti o montati ad hoc. Ma in una democrazia “matura”, come vorrebbe essere la nostra, l’imposizione di un codice etico in politica dovrebbe elidere la possibilità di utilizzo dello stesso.

Troppo spesso il problema si cerca di risolverlo a valle, mentre si dovrebbe andare sempre più alla radice. La necessità di un “lodo costituzionale” nasce dal fatto che guardando la composizione del parlamento una gran parte si è macchiata di reati, piccoli o grandi che siano, ma pur sempre reati. Questo si ovvierebbe a monte impedendo che chi è sottoposto a procedimenti giudiziari non possa essere candidabile. Ma questo purtroppo non è.

E perciò ormai troppo spesso si utilizza la politica come scudo per evitare di essere processati, adducendo ancor più spesso, motivazioni ridicole di fronte all’opinione pubblica volontariamente inerte a queste affermazioni.

Se delle intercettazioni sono realmente irrilevanti, perché non dare l’autorizzazione all’utilizzo da parte della magistratura? Se tutti i processi intentati sono solo bolle di sapone, perché allora non affrontare tutti i gradi di giudizio per arrivare finalmente ad una sentenza definitiva?

Troppo comodo bloccare la magistratura attendendo che scadano i tempi della prescrizione. Troppo comodo additare la magistratura come di parte. È vero, si riscontra una ideologia prevalente in certi ambiti, ma è pur sempre vero che se non si ha commesso nessun reato tutte le azioni intentate si risolveranno in una assoluzione piena.

Ma la realtà è che forse qualche scheletro nell’armadio lo si trova, e proprio grazie a questo risulta più facile a chi controlla mezzi di informazione o dall’altro lato a qualche magistrato troppo “furbo” montare un caso pur di screditare agli occhi dell’elettorato questo o quel politico. L’attività ignobile del dossieraggio ne è solo l’ultimo mezzo. L’utilizzo ormai dilagante del “metodo Boffo” ne è l’ultima conseguenza.

Per questo oggi la riforma della giustizia è imperativa. Bisogna riuscire a coniugare una riforma che garantisce al cittadino che si trova davanti ad un giudice di non invecchiare con questa spada di Damocle del processo, bisogna, dall’altro lato, separare le carriere di pubblici ministeri e giudici, ed impedire ad entrambi di farsi pubblicità sfruttando le indagini magari a carico di un cittadino illustre. A chi ha un procedimento in corso deve essere garantita la privacy, deve essere garantita la possibilità si svolgere serenamente il proprio lavoro fino a che la giustizia non abbia accertato la colpevolezza o l’innocenza del cittadino indagato. Ma ancor di più devono essere rispettati i principi fondamentali che la giustizia impone, quelli della certezza della pena e soprattutto dell’uguaglianza di fronte alla legge.

E proprio sull’uguaglianza che oggi la classe politica deve riflettere. L’uguaglianza impone una moralità di base imprescindibile per chi fa politica. Chi persegue il bene comune non può e non deve perseguirne il proprio. Perseguendo il bene comune non si commettono quegli errori che purtroppo oggi sono all’ordine del giorno. Non si vendono o comprano case, non si fanno “massaggi” in cambio di appalti, ma soprattutto non si utilizza la politica come mezzo per difendersi dal giudizio della legge e non si offende pubblicamente e quotidianamente la nazione impunemente, specialmente se si è un ministro della Repubblica.

Ancora una volta la politica deve interrogarsi sul motto ciceroniano “bisogna essere schiavi delle leggi per essere veramente liberi”. Libertà e giustizia sono sempre più un binomio inscindibile legato a doppio filo con la maturità della democrazia in cui si vive. Solo quando riusciremo ad essere una democrazia matura avremo una giustizia efficiente e solo quando avremo una giustizia efficiente potremo essere una democrazia matura.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonio Cannatà

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A chi gioverà la depenalizzazione del reato di banda armata

postato il 4 Ottobre 2010

Foto Venezia 2007 di Lega Nord PadaniaTra pochi giorni Berlusconi potrà ringraziare in maniera tangibile i suoi alleati leghisti tramite la depenalizzazione del reato di banda armata, un provvedimento che diverrà operativo il 9 ottobre.

Andiamo con ordine.

Intanto cosa è il reato di banda armata? Citiamo testualmente da Edizioni Giuridiche De Simone: “il reato di banda armata (che figura nel codice penale) è figura criminosa, consistente nel formare o partecipare ad una particolare associazione a delinquere con lo scopo di commettere uno o più tra i più gravi dei delitti contro la personalità dello Stato (art. 306 c.p.). Il reato si differenzia dall’associazione per delinquere per il diverso fine (la commissione di reati contro la personalità dello Stato) e per la presenza di armi che, a differenza della circostanza aggravante di scorrere in armi le campagne o le pubbliche vie prevista dall’art. 416 c.p., nel delitto di banda armata è elemento costitutivo del reato.

Il codice non definisce il concetto di banda armata in senso stretto, che viene pertanto rimesso all’interpretazione giurisprudenziale, secondo la quale consiste in un raggruppamento di persone dotato di un armamento idoneo al raggiungimento di specifici scopi delittuosi.

Il codice punisce tanto chi costituisce una banda armata, quanto chi vi partecipa, prevedendo, peraltro, una pena diversa. E la pena quale è? Per la costituzione di Banda armata la pena è la reclusione da 5 a 15 anni. Per la partecipazione la pena è la reclusione da 3 a 9 anni.”

Questa è la legge fino ad ora.

Cosa accade dal 9 ottobre? Che questo reato, di fatto, scompare. Come è possibile che nessuno se ne accorge?

Il governo è ricorso al solito trucco, che avevamo visto per il lodo Mondadori inserire provvedimenti “pesanti” o discutibili in mezzo a tanti altri di cui non importa nessuno. In questo caso, si tratta del Dl 15.3.2010 n. 66 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l’8 maggio col titolo “Codice dell’Ordinamento Militare”, un provvedimento comprendente l’abrogazione di ben 1085 norme tra cui la numero 297, che abolisce il “Dl 14.2.1948 n. 43”: quello che puniva col carcere da 1 a 10 anni “chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare, le quali perseguono, anche indirettamente, scopi politici” e si organizzano per compiere “azioni di violenza o minaccia”.


Capito il trucco? Si aboliscono migliaia di norme utili e in mezzo si aboliscono reati penali “pesanti”, soprattutto alla luce degli arresti di questi mesi per le BR e soprattutto della denuncia unanime del clima “pesante” che ormai si respira tra le fazioni più estremiste (un esempio è l’attentato, su cui tanto si discute, subito dal giornalista Belpietro) e che anzi fa paventare il ritorno al terrorismo come dice lo stesso ministro Maroni.

Ma su tutto questo, cosa c’entra la Lega? Perchè parlo esplicitamente di regalo alla Lega?

Perchè l’1 ottobre si doveva aprire un processo per il reato di banda armata, processo che si trascina dal 1996 e vede coinvolti 36 membri della Lega per la costituzione della struttura paramilitare denominata “Guardia Nazionale Padana” per la quale si parlava di tre reati gravissimi: attentato alla Costituzione, attentato all’unità e all’integrità dello Stato italiano, e la costituzione di Banda Armata. I primi due reati sono stati depenalizzati nel 2004, restava in ballo il terzo per il quale si attende il processo che vede imputati: il sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo e altri 35 esponenti della Lega nord, tra cui il deputato Matteo Bragantini, dell’ex primo cittadino di Milano Marco Formentini e del consigliere comunale di Verona Enzo Flego.

Perchè si attende ancora l’inizio del processo dopo 14 anni? Perché il procedimento è stato rallentato da richieste di autorizzazioni a procedere rivolte alla Camera e al Senato, perchè in questo processo, erano imputati anche Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori, Giancarlo Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli, usciti di scena a fine dicembre 2009 in virtù della dichiarazione di inammissibilità, pronunciata lo scorso luglio 2009 dalla Corte Costituzionale. Per gli otto, così come già avvenuto nell’aprile 2009 per i senatori Vito Gnutti e Francesco Speroni, il gup Caccamo ha quindi decretato a distanza di 13 anni e 2 mesi dai fatti contestati «il non luogo a procedere» motivandolo con la «mancanza della condizione di procedibilità» e quindi finalmente si era stabilita la data di 1 ottobre per l’inizio del processo.

Però nell’udienza preliminare svoltasi la settimana scorsa, l’avvocatessa Patrizia Esposito ha fatto rilevare che anche l’ultimo reato, dal 9 ottobre, cessava di esistere, con la conseguenza che il Tribunale non ha potuto fare altro che prenderne atto e aggiornarsi al 19 Novembre, data in cui il reato non sarà più esistente e quindi automaticamente i leader leghisti verranno salvati.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Ecco perché Berlusconi non farà nessuna riforma della giustizia

postato il 3 Ottobre 2010

Una riforma della giustizia di ampio respiro e che sia particolarmente centrata sul miglioramento dell’efficienza del sistema giudiziario è da tempo auspicata dagli addetti ai lavori e dalle forze politiche, ed è dunque naturale e quasi doveroso che il tema della giustizia figuri tra le cinque priorità che il Presidente del Consiglio ha voluto mettere nell’agenda del governo.

Parlando alle Camere il Premier ha indicato gli elementi che ha suo avviso sono necessari per  una riforma della giustizia: riforma del processo penale; separazione delle carriere; riforma e sdoppiamento del Consiglio Superiore della magistratura;  accelerazione dei processi e smaltimento delle cause civili pendenti; soluzione al sovraffollamento delle carceri; semplificazione del processo civile e aumento delle risorse finanziarie per la giustizia. Gli elementi indicati dal presidente Berlusconi sono in alcuni casi interessanti e degni di considerazione, tuttavia il burrascoso clima politico e le tensioni istituzionali che lo stesso Premier quotidianamente alimenta, rendono assolutamente difficile una condivisa riforma della giustizia.

Ci sono altri elementi non meno rilevanti che rendono pressoché impossibile una reale azione riformatrice. Il primo elemento è l’assenza di un sincero spirito riformatore del Presidente del Consiglio. La sollecitudine che egli dimostra nei confronti del problema giustizia non sembra dettata da una reale volontà riformatrice ma da una ricerca esecrabile di impunità. Non è possibile che la riforma della giustizia venga studiata e progettata dal Ministro della Giustizia coadiuvato dall’avvocato del Premier con l’unico fine di fronteggiare i suoi guai giudiziari.

E’ incredibile anche che il Capo del Governo abbia manifestato pubblicamente la volontà di attuare una riforma che abbia dei caratteri limitativi e punitivi nei confronti della magistratura che egli definisce  “politicizzata”. Questo sentimento degrada e snatura  l’azione del governo  che non è più destinata a fare qualcosa “per”, ma è “contro” qualcosa o qualcuno. Le riforme sono sempre il tentativo di risolvere un problema o di migliorare una situazione , giammai una clava da utilizzare contro veri o presunti avversari politici.

Se la volontà riformatrice appare dunque viziata, dubbi e perplessità desta anche il contenuto di alcuni provvedimenti annunciati. Ad esempio, quando si invoca l’accelerazione dei processi si ripropone forse il già discusso “processo breve” ? Se cosi fosse , e della parole del Presidente non si evince il contrario,  si è già dimostrato che il risultato di tale provvedimento  sarebbe l’ “eutanasia” di molti processi e dunque della giustizia stessa. Ancora, come pensa il governo di smaltire l’incredibile mole di cause civili? Forse con una giustizia “privatizzata” che alleggerisca i giudici togati, ma che di fatto toglierebbe al cittadino il diritto e la possibilità di ricorrere al giudice civile? Risultano anche fumose e non chiare le dichiarazioni riguardanti l’aumento delle risorse per la giustizia e la riduzione del sovraffollamento delle carceri: il Presidente Berlusconi non ha mai indicato quanti e quali sono queste risorse  e se intende varare un nuovo piano carceri. Infine non si riesce a capire come e perché il Premier colleghi la revisione dei rapporti tra politica e magistratura al miglior funzionamento della macchina giudiziaria.

Alcuni provvedimenti infatti sembrano destinati più che a migliorare l’efficienza della giustizia ad indebolire le procure della Repubblica, che in alcuni casi il Presidente del Consiglio considera sovversive e a cui imputa la colpa di tramare contro lui e il suo governo.  Questa convinzione del Premier impedisce una discussione serena e proficua anche su alcuni temi fondamentali come la separazione delle carriere e la responsabilità civile dei magistrati: si può mai discutere con qualcuno che considera la magistratura una forza eversiva?

All’Italia occorre una riforma generale della giustizia, non bastano provvedimenti disorganici e settoriali che celano molto spesso degli interessi personali,  inevitabilmente destinati a danneggiare l’interesse della collettività.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Silvio affossa ogni dialogo, se ha in mente altre forzature non voteremo neanche il Lodo

postato il 3 Ottobre 2010

Pubblichiamo da ‘Repubblica’ l’intervista  a Pier Ferdinando Casini di Giovanna Casadio

«Con queste affermazione altro che riforma! Non ci sono i presupposti, si affossa tutto. Qui siamo sempre all’anno zero. Non si vuole fare la riforma della giustizia ma si persegue la contrapposizione tra politica e magistratura a 360 gradi. L’attacco di Berlusconi è demenziale». Pier Ferdinando Casini è scettico sul futuro delle riforme e sulla tenuta del governo.

Eppure Berlusconi sostiene che la riforma della giustizia è la priorità?
«Un po’ come le affermazioni di grande impegno sulla bioetica vengono contraddette da una barzelletta con bestemmia incorporata, allo stesso modo una riforma della giustizia impegnativa, complessiva, partendo da terni come la separazione delle carriere – questioni complicate su cui noi siamo disponibili al dialogo e al confronto – si azzera e affossa in questo modo. È chiaro che occorre un minimo di rispetto reciproco per imbarcarsi in una operazione tanto grande. Gli insulti contraddicono ogni serietà di proposito». [Continua a leggere]

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Giustizia, basta con gli insulti ai magistrati

postato il 2 Ottobre 2010

L’attacco di Berlusconi alla magistratura è demenziale. Se si vuole fare una riforma seria della giustizia non si puo’ partire insultando i magistrati. Ancora una volta il premier rischia di andare fuori strada, mentre il tema della riforma della giustizia è importante, forse ineludibile.
Dovremmo discutere con pacatezza, anche sulla separazione delle carriere. Dovremmo accogliere l’invito del capo dello Stato a garantire un rapporto più equilibrato tra le istituzioni del Paese.
La saggezza di Napolitano è infinita, ma si scontra con l’ottusità di chi pensa di ottenere qualche vantaggio dall’inasprimento continuo dei toni verbali e dello scontro, anche morale.
L’accanimento con cui si sono condotte alcune campagne, pronte anche a investire gli affetti più intimi delle persone, non è certo la premessa per un Paese normale e una buona politica.

Pier Ferdinando

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