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Importiamo buone idee dalla Francia: il CAF per l’affitto

postato il 31 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Se in Italia parliamo di CAF, intendiamo il Centro Assistenza Fiscale, ma in Francia è l’acronimo di una delle migliori e più utili istituzioni d’oltralpe che si potrebbero mutuare e sviluppare anche in Italia: Caisses d’Allocations Familiales.

Il Fondo francese di Assistenza alle famiglie (ma non fatevi ingannare dal nome, il suo funzionamento lo rende più simile alla nostra INPS) e funziona tramite vari strumenti, ma i più noti sono l’APS ( Allocation de Logement Sociale) e l’APL ( Aide Personnalisée au Logement) che erogano aiuti finanziari.

Il livello di aiuto dipende dal reddito, dal tipo di alloggio e dall’affitto e gli aiuti sono indirizzati a coloro che hanno un reddito basso, in certi casi specifici agli studenti, a coppie di fatto, e a cittadini singoli. Nel caso di proprietà condivise, ogni inquilino può beneficiare dell’assistenza, in base all’affitto di ognuno. Ogni inquilino dovrà farne richiesta per via separata.

Tra i requisiti per inoltrare la richiesta è necessario avere un contratto d’affitto a proprio nome, se l’appartamento è in condivisione, è necessario che compaia il nome del richiedente nel contratto e l’importo dell’affitto sia ben specificato. Se invece non si dispone di un contratto d’affitto, bisogna farsi fare una dichiarazione di hébérgement (ospitalità) da chi offre alloggio in Francia.

E’ importante chiarire che non è mai un contributo integrale, ma solo una parte dell’affitto.

Si potrebbe importare questo sistema per andare incontro a studenti fuori sede (anche stranieri) e per le coppie (di fatto e sposate) con reddito basso. Fondamentale è però a vere chiaro in mente che questo aiuto è limitato nel tempo ed è necessaria una copertura finanziaria adeguata.

Una valida alternativa possono essere i Centri di riadattamento sociale (CHRS) che esistono nelle grandi città francesi per trovare alloggio alle persone che non hanno un posto in cui vivere.

Questa alternativa ha il pregio di potere avere una minore necessità finanziaria da parte dello Stato, perché l’Italia potrebbe usare (riadattandole) le caserme in disuso e gli altri edifici in disuso dello stato. Questi edifici potrebbero essere girati al ministro del Wellfare e risparmiare i soldi degli aiuti (in pratica invece di dare soldi o caricarsi affitti, si forniscono alloggi di proprietà dello stato per un limitato periodo di tempo).

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La vera partita da vincere comincia adesso

postato il 29 Ottobre 2012

di Giuseppe Portonera

Qualche mese fa, su questo sito, pubblicai un articolo, descrivendo quello che – a parer mio – serviva davvero alla Sicilia per uscire dal pantano in cui anni e anni di cattiva gestione delle risorse l’avevano cacciata. Non era ancora certo che saremmo tornati alle urne, ma concludendo il pezzo osservavo che: “in un momento di stringente crisi come questo, i rubinetti sono destinati a chiudersi, bruscamente. Questo vuol dire che se arriveremo impreparati a quel momento, continuando magari allegramente a spartire posti e incarichi di sottogoverno, il default sarà assicurato. La scelta sta a noi. Diciamo basta alla Sicilia-Crono che divora i suoi figli e agli interventi palliativi per pony: diamo avvio a una seria cura da cavallo, per rimettere in sesto la nostra terra”. Il “mio” programma minimo di buon governo constava di pochi ma fermi punti: in primis, una gestione migliore dei fondi pubblici (che passa, inevitabilmente, per un taglio netto alla spesa pubblica); in secundis, la richiesta alla politica di decidersi, una volta per tutte, a fare il proprio mestiere, che non è quello di essere onnipresente e invadente, ma di lasciare libero campo d’azione all’iniziativa privata dei cittadini siciliani.

Ieri, nella mia Sicilia, si è votato per il rinnovo dell’Assemblea Regionale e per l’elezione diretta del Presidente della Regione. Dai risultati dello scrutinio – che, mentre scrivo, non è ancora concluso: un abbraccio fortissimo agli organi a questo proposti, per la loro celerità – si profila una vittoria, netta, del candidato Rosario Crocetta, sostenuto da un’alleanza di centrosinistra (riformista) tra Pd e Udc (salutateci anche gli amici di SEL e IDV). Prima notazione: è una vittoria “netta”, per una serie di ragioni che elencherò in seguito, ma non è di certo “totale”. Crocetta ha vinto superando di poco il 30%, non avrà una maggioranza solida all’ARS e il dato altissimo dell’astensionismo è comunque una sconfitta, per tutti. Perché, allora, ritengo la sua una vittoria “netta”? Primo, per il profilo personale del candidato: Crocetta è stato un sindaco amato e discusso e ha unito e diviso con la sua ferma e coraggiosa battaglia per la legalità. Secondo, per le modalità con cui questa vittoria è stata conseguita: Crocetta, e i partiti che lo hanno sostenuto, hanno giocato tutto in rimonta, affrontando un candidato di centrodestra dato per vincente sin dall’inizio della campagna elettorale e smontando un blocco politico ritenuto, fino a qualche tempo fa, solidissimo. Terzo, perché – fidatevi, è così – Crocetta ha vinto la sfida con Grillo (ci perdonerà Giancarlo Cancelleri, che ci è parso tuttalpiù un semplice avatar): l’affermazione del M5S c’è stata, innegabile, ma il suo candidato presidente è arrivato terzo e gli elettori siciliani hanno preferito un ex sindaco che gira la Sicilia a spiegare il proprio programma sui palchi a uno che attraversa lo stretto a nuoto e catalizza tutta l’attenzione esclusivamente su di sé (non è un caso, infatti, che l’exploit del M5S sia conciso con il tracollo del PDL: finite le prebende, il richiamo dei caudilli si fa irresistibile). Quarto, perché gli artefici di questa vittoria siamo anche e soprattutto noi, che abbiamo fatto una grande scelta di responsabilità (rinunciando a presentare un nostro candidato e stringendo un’alleanza di buon senso) e che per questo siamo stati premiati dall’elettorato: chi di voi avrebbe scommesso i suoi two cents sul fatto che l’Udc, il partito dato per scomparso dopo la scissione dell’ottobre di due anni fa, oggi avrebbe riconfermato i suoi voti e sarebbe diventato forza di governo?

Concediamocelo: quello di oggi è stato un piccolo capolavoro politico. Sarebbe potuto venire meglio, sicuramente. Ma siamo soddisfatti di quanto abbiamo fatto, anche perché siamo consapevoli che la vera partita comincia adesso. E, per quanto ci riguarda, comincia dal programma minimo di cui sopra: la Rivoluzione, che faceva da leitmotiv alla nostra campagna elettorale, dovrà essere vera, dirompente, liberatoria. Dovrà essere una Rivoluzione del merito e della legalità, della bellezza e della libertà, dell’impegno e del lavoro. Solo così, solo liberando e riformando in profondità la nostra Regione, potremo dirci veramente soddisfatti e vincenti.

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Salvate il soldato Sallusti, ma non uccidete il giornalismo

postato il 25 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Ho un difetto, lo confesso. Mi piace combattere battaglie scomode: ogni qualvolta si creano due fazioni intorno a una questione spinosa, dopo aver verificato la situazione, mi schiero di solito a favore della parte più in difficoltà. Mi siedo quasi sempre dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti sono solitamente occupati, per dirla con Brecht. Difendo le idee, le istituzioni, anche se questo significa difendere uomini e donne che sono molto diversi e distanti da me. È stato così quando si votavano in Parlamento le richieste d’arresto di diversi parlamentari ed è stato così anche quando ho scelto di “difendere” le ragioni di Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, che è stato condannato per “diffamazione” per un articolo firmato da un anonimo Dreyfus, su Libero, in cui veniva raccontata la storia di una ragazzina “costretta” ad abortire da un giudice, Giuseppe Cocilovo. Da più parti questo è stato visto come un attacco alla libertà della stampa e anche se, tecnicamente, non ci troviamo di fronte a un “reato d’opinione”, è pur vero che vedere un giornalista (non Alessandro Sallusti in quanto tale, ma un giornalista) finire in galera per un articolo (che non aveva scritto neanche lui, ma di cui aveva la responsabilità oggettiva) fa male al cuore. I principali direttori di quotidiani hanno infatti espresso il loro disappunto e la loro preoccupazione: Ezio Mauro, direttore de La Repubblica: «Non si può andare in galera per un’opinione anzi per il mancato controllo su un’opinione altrui. È una decisione che deve suscitare scandalo»; Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere: «È davvero molto grave che si arrivi ad ipotizzare il carcere per un collega su un cosiddetto reato d’opinione»; Franco Siddi, segretario della FNSI: «È sconvolgente. In questo momento siamo tutti Sallusti».

Com’è abitudine del nostro Paese, in molti – scandalizzati, sinceramente o meno non so – hanno aperto gli occhi e diversi parlamentari (quella categoria di persone, cioè, che dovrebbe promulgare leggi lungimiranti e responsabili, non legiferare sull’onda degli eventi) hanno provato a promulgare una norma per impedire al giornalista Sallusti di essere incarcerato. Solo che, anziché fare bene una (e dico una) cosa, i senatori hanno finito per peggiorare la situazione: perché, in una discussione interminabile e in un gioco di veti e interessi incrociati, la prima bozza partorita era davvero un obbrobrio, addirittura pericolosa per la libertà d’informazione (senza contare i nuovi, immancabili attacchi alla Rete, con l’eterno ritorno dell’obbligo di rettifica). L’accordo (raggiunto attualmente) dovrebbe eliminare il rischio di finire in carcere per chi diffama, ma introduce una sanzione massima di 50 mila euro e un obbligo di rettifica online, per le testate giornalistiche e gli articoli che vi saranno pubblicati. Ora, l’abolizione del carcere è finalmente un’opera di buon senso (avrebbero potuto farlo prima, eh), ma l’obbligo di rettifica e le sanzioni pecuniarie mi lasciano perplesso: come può un soggetto che si ritiene offeso, obbligare un giornalista a rettificare l’informazione che lo riguarda, senza che nessuno verifichi se siamo in presenza o meno di vera diffamazione? In questo modo la libertà d’informare (anche scomodamente) viene meno. E della sanzione di 50 mila euro, che dire? Per i piccoli giornali o gruppi editoriali sarebbe difficile fare fronte a una richiesta simile. Così facendo si introduce un clima da guerra psicologica, che indurrebbe i mezzi di informazione a muoversi con i piedi di piombo e, molto più probabilmente, a non muoversi proprio.

È davvero così difficile, per dei legislatori, trovare una mediazione tra la tutela della libertà della stampa e il rispetto della dignità e dell’onorabilità del protagonista di un’inchiesta giornalista? Io non credo. Però i nostri parlamentari fanno di tutto per convincermi del contrario: fanno di tutto per farmi sloggiare anche da quei pochi posti rimasti disponibili alla tavola del “torto”. Per questo faccio un appello, accorato: salvate il soldato Sallusti, ma non uccidete il giornalismo. Siate all’altezza del compito a cui siete stati chiamati, Parlamentari della Repubblica.

 

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Come migliorare la legge di stabilità

postato il 25 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

La legge “stabilità” del Governo è ottima se andiamo a guardare il principio che vuole imporre all’Italia: maggiore efficienza nella spesa pubblica, tagliare gli sprechi e cercare, mantenendo i saldi invariati, di agevolare le fasce di reddito più basse.

Ovviamente arrivare a questa legge è un percorso lungo e complicato, come è dimostrato dalla dialettica che si è sviluppata in questi giorni tra le varie forze politiche e i vari organismi.

Ad esempio, la corte dei Conti si è dichiarata soddisfatta e metà, segnalando il rischio di ”un deterioramento della tax compliance sia in conseguenza del depotenziamento del contrasto d’interessi prodotto dai tagli a detrazioni e deduzioni di spese in settori ad elevato rischio di evasione, sia per le ricadute negative che la deroga ai principi dello Statuto del contribuente potrebbe produrre sulla trasparenza e sulla lealtà nel rapporto fisco-contribuente”.

Se guardiamo il comunicato della Corte, emerge , da un lato, un giudizio positivo della legge considerando che è orientata ad una politica di bilancio di alleggerimento fiscale, dall’altro vi sono notevoli rischi e incertezze per quanto attiene gli effetti redistributivi e le incoerenze di alcuni interventi, che potrebbe portare ad un aggravio delle imposte locali.

Proprio per questo motivo, l’UDC sta proponendo delle modifiche, come ha fatto rilevare Gian Luca Galletti che ha affermato l’intenzione di ampliare detrazioni e deduzioni “in particolare a beneficio dei nuclei familiari”.

Sempre Galletti ha affermato l’intenzione di “andare anche oltre, cancellando definitivamente le modifiche su oneri deducibili e detraibili e rafforzando i vantaggi per le famiglie” e di cancellare l’aumento dell’iva per le cooperative sociali che rendono servizi alle famiglie.

Ovviamente per realizzare ciò bisogna rispettare le esigenze della copertura finanziaria (quasi due miliardi), ma si può ipotizzare di limitare la riduzione delle aliquote solo al primo scaglione di reddito e lasciare invariata l’aliquota IRPEF al 27% per il secondo scaglione.

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Senza Erasmus anche l’Europa sarebbe a rischio

postato il 24 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Virgilio Falco*

I vantaggi prima della Comunità Europea e poi dell’Unione Europea li conosciamo bene: nazioni che qualche anno dopo essersi fatti reciprocamente la guerra con la CECA hanno iniziato cooperare per garantire i propri interessi nazionali ma anche per solidificare un rapporto comune da secoli tralasciato per via di piccole rivendicazioni territoriali e economiche; poco dopo la possibilità di varcare i confini senza visti ne passaporti; poi una moneta unica che soppiantava i gloriosi marchi, la cara lira, i secolari franchi francesi e le pesete spagnole.
Ma chiedendo tra i giovani la prima cosa che vi diranno sull’Europa sarà l’Erasmus.
Questo progetto voluto dall’UE ha qualcosa di rivoluzionario: esso non nasce per garantire un diritto inalienabile del cittadino, bensì promuove una coscienza europea tra i giovani laureandi. E i primi risultati già si stanno scorgendo: a 25 anni dall’introduzione del progetto la “Generazione Erasmus” ormai laureata e entrata nel mondo del lavoro guarda con molta più facilità, rispetto a coloro che hanno svolto un percorso accademico tradizionale, a lavorare fuori dai propri confini nazionali e tende a muoversi con più facilità dalla propria patria.
Se solo ci pensiamo bene già qualche secolo fa esisteva un antesignano del progetto Erasmus: era quel “tour” che facevano farei ricchi nobili ai propri figli per apprendere le dinamiche oltre il confine del proprio regno.
Oggi questa opportunità è invece aperta ai milioni di studenti universitari europei.

Ma pochi giorni fa qualcuno ha lanciato un segnale d’allarme: il deputato francese Alain Lamassoure (PPE), presidente della commissione parlamentare bilancio del Parlamento Europeo, ha denunciato che alcuni paesi, se non si operano modifiche al budget europeo, rischiano di non poter garantire più ai propri studenti la possibilità di studiare all’estero.
A seguito di questa dichiarazione quasi tutte le forze politiche europee si sono attivate per garantire che questa “Generazione Erasmus” possa continuare a sentirsi protagonista a pieno titolo del progetto UE.

E’ di poche ore fa la notizia che la Commissione Europea avrebbe approvato un bilancio rettificato per finanziare, tra le varie cose, il progetto Erasmus con 90 milioni di euro.
Questa è sicuramente una buona notizia ma l’Europa deve dire con chiarezza quali sono le proprie priorità altrimenti il rischio che si corre riguarda proprio il futuro dell’Unione: non si può, soprattutto in un periodo di crisi economica, politica e valoriale, fare un passo indietro nel processo di integrazione europeo. Questo, infatti, potrebbe essere il primo passo verso il fallimento del tanto agognato sogno europeo.
*portavoce nazionale StudiCentro
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Fiducia nei giovani? Dimostratelo con l’Erasmus

postato il 18 Ottobre 2012

di Alessandro Boggian

L’Erasmus, il famoso progetto nato per incentivare lo scambio culturale tra studenti appartenenti ai vari Paesi dell’Unione Europea promuovendo periodi di studio e di vita all’estero, rischia di chiudere per fallimento. Dopo aver fatto viaggiare più di 3 milioni di studenti, il fondo di finanziamento sembrerebbe essere rimasto al verde, lasciando così un velo di mistero sul futuro dell’intero progetto esistente fin dal 1987.

Il fondo sociale europeo “non ha più un euro”, questo è il grido d’allarme lanciato dal Parlamento Europeo circa la pesante situazione in cui versa il Progetto Erasmus che, dalla prossima settimana resterà con le casse vuote e, insieme ai fondi europei per la ricerca, rischierà di affondare in un mare di debiti (solo per il 2012 ammontano a 10 miliardi di euro): una enorme mole di fatture relative a progetti che sono già in esecuzione e che, per il momento, difficilmente saranno saldate. Nel Parlamento europeo sono stati presentati diversi emendamenti che esprimono la volontà di evitare i tagli prospettati dal Consiglio europeo sul programma Erasmus, ma il problema del buco da coprire, denunciato da Lamassoure, resta.

Il progetto Erasmus ha permesso di fare sino ad oggi una concreta esperienza all’estero, imparando lingue e costumi che hanno contribuito a dare ai giovani una visione più coerente e concreta di che cosa possa essere una ”identità” europea.

L’Europa deve rappresentare oggi più che mai un riferimento politico e sociale. E il progetto di mobilità studentesca Erasmus ha rappresentato sino a oggi una delle realtà fondanti di una nuova generazione di cittadini europei. Tanto che il numero di borse dovrebbe essere ampliato andando a garantire anche gli studenti con maggiori difficoltà socio-economiche di partenza.

Dunque, gli Stati membri dell’Unione dovrebbero mettere la propria quota per il raggiungimento della cifra prevista secondo i normali criteri di contribuzione. Ed è proprio qui che potrebbero sorgere delle difficoltà, visto lo stato di crisi economica in cui versano molti governi di Eurolandia. Con la bocciatura del bilancio correttivo della commissione per il 2012 verranno a mancare gli investimenti europei in quelli che sono sempre sbandierati come fattori di crescita: l’educazione, la riqualificazione professionale, la mobilità di lavoratori, studenti e ricercatori, le infrastrutture, la ricerca e l’innovazione.

Mi auguro che i fondi per il programma di scambi internazionali delle università del nostro continente siano ripristinati al più presto: è in gioco un progetto in grado di far crescere e vivere un Europa dei cittadini, non dei poteri forti. E’ in gioco l’identità stessa del sogno europeo. Non possiamo pensare di mettere Erasmus in pericolo. Come è inconcepibile che il Consiglio non voglia rendere disponibili le risorse necessarie per finanziare questi progetti.

Il sogno di quel ragazzo di Nizza che riuscì a mettere insieme una rete di 12 mila universitari in 70 città europee e che divenne realtà organizzata grazie all’appoggio del presidente francese François Mitterrand, rischia di naufragare per mancanza di risorse.

Speriamo che non sia così.

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Monti è il curatore fallimentare del bipolarismo muscolare

postato il 17 Ottobre 2012

Riceviamo e pubblichiamo di Attilio Biancalana
La nascita del governo Monti non può essere disgiunta dal contesto socio economico e politico in cui si è formato. Il Presidente Berlusconi (la cui credibilità personale e politica era scesa nel frattempo ai minimi termini) aveva preso impegni di risanamento economico con gli organismi europei che il suo governo non voleva/non poteva onorare. Da ciò l’iniziativa del Presidente della Repubblica di dar vita ad un governo in grado di assolvere a quel grave ed oneroso compito: rimettere i conti in ordine perchè la nazione italiana rischiava il fallimento. Il sen. Monti, che ha onorato gli impegni presi da Berlusconi, è il curatore fallimentare del bipolarismo italiano, ricattato dalle estreme (Idv e Lega) e fondato sulla feroce contrapposizione su tutto. Bipolarismo che aveva fatto tante promesse e suscitato tante illusioni ma che è sprofondato negli scandali e nella più assoluta inefficienza.

E’ paradossale che si rimproverino all’Udc serietà di comportamenti, capacità di analisi, coerenza politica e coraggio morale. L’equità e la ricerca del consenso sociale sono nel Dna dell’Udc (q
uando ha potuto lo ha sempre dimostrato) e proprio per questo che il partito deve lottare perchè la nazione italiana non scada nella miseria. Miseria che metterebbe in discussione anche la libertà e la democrazia nel nostro Paese.

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Monti simbolo di serietà e preparazione.

postato il 17 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Patrizia

Credo che non ci siano dubbi sul fatto che Monti abbia segnato una discontinuità con i governi che lo hanno preceduto. Non è solo serietà e correttezza il governo Monti , ma è preparazione, il così tanto disprezzato “governo dei professori”, non mi sembra abbia promesso niente se non la volontà e l’impegno suo e dei suoi collaboratori di portare il paese fuori dalla catastrofe economica. E’ vero la crescita è lontana, ma intanto il nostro paese sembra aver riacquistato una credibilità nel mondo.
La nostra politica aveva toccato il fondo, e non solo dal punto di visto morale, ma anche per professionalità, per competenza e perché no, per l’ignoranza anche culturale di molti nostri politici, una politica caduta così in basso , cariche politiche a livello regionale, nazionale, europeo di diverse “signorine del cavaliere”e di personaggi con un passato poco chiaro. Il governo Monti non è questo, l’altro giorno ho visto il ministro Fornero attaccata non in maniera molto democratica da alcune donne, fermo restando che forse il ministro del lavoro avrebbe potuto fare, ma questo certo non posso dirlo io, le casse dello stato erano quello che erano, io però vorrei rivolgermi a quelle signore e chiedere loro perché non vanno ad insultare le deputate, le consigliere del cavaliere, sono loro che hanno rubato e stanno rubando le nostre vite, e quelle dei nostri figli, altro che la Fornero che sta facendo i conti con i sempre meno soldi.

Alcide De Gasperi quando si rivolgeva ai suoi elettori trentini all’inizio della sua carriera politica diceva:”Votate il candidato che vi promette di meno”. Credo che sia questo che debbano imparare i nostri politici, a non fare promesse, preparare e presentare un programma credo sia doveroso per una forza politica , ma andare oltre con promesse difficili da mantenere o da sostenere per le casse del paese credo contribuiscano solo a prendere in giro gli italiani.

Un’altra cosa vorrei aggiungere e questo credo che valga per tutti gli schieramenti, e forse per lei presidente Casini un po’ di più, è sempre una frase di De Gasperi: ”Mai al potere a qualunque costo”.

Cordialmente la saluto, Patrizia.

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La Lucchini di Piombino: una nuova vicenda Ilva?

postato il 17 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

La vicenda dell’Ilva di Taranto ha aperto una finestra sul mondo dei grandi impianti industriali, in particolare sulla cosiddetta “industria pesante”. Una vicenda che si trascina da parecchi anni (almeno dal 2008), anche se molti la ignorano.

Per quanto riguarda la produzione dell’acciaio, in Italia, oltre a Taranto un altro grande centro è quello di Piombino che da alcuni anni versa in gravi condizioni economiche tanto che si prospetta la chiusura dell’azienda Lucchini nei prossimi mesi.

Questa azienda gestisce ed è proprietaria del complesso di altoforni a Piombino, e, da alcuni anni, ha provato a vendere invano il complesso industriale.

Sostanzialmente parliamo di 3000 operai che rischiano il loro posto di lavoro, a causa di una profonda crisi che ha colpito tutta la siderurgia europea e ha messo alle corde le aziende più piccole e deboli del settore. In totale, nel polo siderurgico di Piombino lavorano circa 6mila persone, di cui 300 appunto nella Lucchini.

Il polo è stato messo in vendita alcuni anni fa, ma nessuno si è fatto avanti per rilevare l’azienda, anche perché, oltre ai debiti pregressi, l’impianto (che è ancor attivo) perde 10 milioni di euro la mese. Significa che chi investe in questa azienda dovrebbe recuperare efficienza per 120 milioni di euro annui più i debiti contratti con le banche. Ovviamente questa è una situazione gravissima e c’è chi teme a breve un default dell’azienda.

Attualmente il complesso in questione è pesantemente indebitato verso le banche e, oltre al problema finanziario, vi è anche un problema di economicità: l’impianto risulta essere vecchio e dovrebbe essere ammodernato e ristrutturato per sostenere la concorrenza internazionale, ma, proprio a causa dei debiti pregressi, non si può intervenire investendo e migliorando l’efficienza.

L’ideale sarebbe che il governo aprisse un tavolo o, meglio ancora, decidesse di intervenire direttamente, ristrutturando il debito (senza accollarselo), rinegoziando quindi le scadenze e lanciando un programma di investimenti per l’intero settore siderurgico.

Per fare ciò, il primo passo che dovrebbe effettuare il governo è riconoscere che il polo siderurgico di Piombino è una area di crisi complessa (come si sta facendo per altre zone d’Italia), ai sensi e per gli effetti del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 24 marzo 2010 che permetterebbe l’applicazione delle agevolazioni previste dalla legge 15 maggio 1989, n. 181 e quindi l’accesso a fondi speciali e soprattutto potere rivedere i meccanismi di intervento da parte della regione Toscana.

Il problema è ovviamente complesso, come è complessa la storia di questa azienda: nel 2005 il 60% del Gruppo Lucchini passa, attraverso un aumento di capitale, al gruppo russo Severstal che ha come presidente Aleksei Mordashov. La notizia di per sé è buona, perché Severstal è uno dei più grossi gruppi siderurgici al mondo nonché uno dei primi gruppi industriali russi ad aver fatto acquisizioni all’estero. La famiglia Lucchini, invece, si concentra invece sul business ferroviario acquistando da Severstal nel 2007 il 100% della BU Lucchini RS con sede a Lovere (Bergamo) e filiali industriali in altri Paesi europei.

Di fatto, abbandonando la gestione dell’azienda di famiglia, abbandono sancito nel 2010, quando la Severstal ha acquisito tutte le quote del Gruppo Lucchini ancora in mano alla famiglia (alla data deteneva ancora una quota del 20%). A questo punto, Severstal, visto che l’impianto non riesce ad essere profittevole, conduce un processo di vendita dell’intero pacchetto azionario di Lucchini SpA, conclusosi senza acquirenti. Visto l’insuccesso, per deconsolidare il debito Lucchini SpA dai bilanci Severstal, il 51% di Lucchini SpA è stato ceduto a una società cipriota facente capo a Mordashov, mentre il restante 49% è restato di proprietà di Severstal.

E veniamo ai giorni nostri: nel 2011 viene venduta la BU Ascometal per la cifra di 325 milioni di Euro. L’incasso è servito a preparare un piano di ristrutturazione, omologato a Febbraio 2012 dal Tribunale di Milano, col quale si prevedeva di avere altri 6 mesi di liquidità per trovare al più presto un compratore. Purtroppo i 6 mesi sono passati, e nessun compratore si è fatto avanti, con il risultato di gettare ombre sul futuro di questa realtà industriale.

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Monti medicina amara ma necessaria.

postato il 17 Ottobre 2012

Riceviamo e pubblichiamo di Attilio Biancalana

Le preoccupazioni sono giustificate, le ingiustizie sono evidenti, le rivendicazioni sono legittime,la situazione socio economica è pesante e lo sarà ancora di più. Ma nonostante ciò è un errore grave dare spazio alle proteste ed al qualunquismo per inseguire il particolare. E’ un dato di fatto. Per una minoranza di italiani ci può essere la scorciatoia della autotutela ma per la stragrande maggioranza la medicina sarà amara e cattiva. E dovrà essere bevuta fino in fondo se vogliamo guarire ed evitare il “nostro” fallimento. Ma cosa ha realizzato la protesta in vent’anni di vita repubblicana? Niente ha solo peggiorato le cose e creato nuovi centri di potere e di ambizione personale. Le persone responsabili invece non assolvono le malefatte ma cercano di costruire e di mantenere ciò che di buono è stato fatto fino ad ora.

Rinunciare alla persona del prof. Monti, ormai un interlocutore credibile a livello internazionale, è un errore grave; modificare l’agenda Monti ora che ha raggiunto dei risultati significativi, ma fragili, è una sciocchezza; rilanciare il bipolarismo all’italiana di Pdl e Pd che ha fallito è una pazzia; illudere ancora una volta gli italiani strumentalizzando il malaffare ed il disagio è da delinquenti.

Il voto è una assunzione di responsabilità. Un elettore, seppure in buona fede, che ha votato le idee e le persone sbagliate non può dissociarsi dagli errori che le stesse hanno commesso. Troppo comodo. Deve avere l’umiltà di riconoscerlo e cambiare per scegliere l’opzione più giusta e più credibile. Io non ho motivo di cambiare il mio voto!!

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