Tutti i post della categoria: In evidenza

Chi è senza peccato scagli la prima Roccella

postato il 2 Agosto 2012

di Adriano Frinchi

“Mentre l’Udc di Casini decide di tenere i valori non negoziabili ai margini della politica e fuori da ogni accordo di alleanza, la sinistra mette quelle stesse questioni al centro del proprio programma di governo”.

Così ieri Eugenia Roccella, parlamentare del Pdl, si è scagliata contro l’Unione di Centro.

E’ comprensibile, considerato che i sondaggi  danno il Pdl in caduta libera, che l’onorevole Roccella sia piuttosto preoccupata di perdere il proprio seggio e debba in qualche modo “farsi valere”, fa però sorridere questo veemente attacco.

Fa sorridere, non solo perché palesemente in cattiva fede, tutti infatti conoscono le posizioni dell’Udc e di Casini, posizioni prese anche a costo di roventi polemiche, ma perché non c’è traccia nei giornali e nelle agenzie di stampa di critiche analoghe rispetto a qualche problemuccio riguardante la moralità e la legalità dei comportamenti di compagni e compagne di partito dell’onorevole Roccella.

Verrebbe allora da chiedere alla parlamentare pidiellina se esistono valori non negoziabili, e valori magari un poco negoziabili, e in quale di queste due categorie rientrano moralità e legalità.

Considerato che non ho reperito dichiarazioni critiche dell’on. Roccella sui festini di Arcore e sulla candidatura di Nicole Minetti, credo sarò indulgente: chi è senza peccato scagli la prima Roccella.

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Combattere la malasanità

postato il 1 Agosto 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Ancora un caso di “malasanità” denunciato dal “Mattino”: diciannovenne diabetico muore dopo infusione di una flebo di cortisone. Leggere queste notizie, come il bambino morto per la trasfusione di latte, mette addosso un’ enorme rabbia e tristezza; i responsabili, spesso a causa di negligenza o di mancato rispetto delle pratiche di prevenzione sanitaria, meritano di presentarsi davanti alla giustizia.

Tuttavia penso che a volte dovremmo fare anche trasmissioni in cui parlare delle buone notizie, delle vite salvate, dei trapianti e delle operazioni riuscite, dei centinaia di successi che avvengono ogni giorno in tanti ospedali italiani e che sono il 99% della sanità.

Mi raccontava un neurochirurgo di un paziente che l’aveva citato in giudizio per una cicatrice lasciatagli 15 anni prima in un’operazione in cui gli aveva salvato la vita, gli aveva chiesto i danni morali.

Sento un clima di generale sfiducia verso la sanità, dai casi più piccoli, come la signora anziana in pullman che confessa all’amica di far finta prendere i medicinali per la pressione che gli ha dato il medico di famiglia perché “vuole fare esperimenti sulla mia pelle”, ai casi gravi, come quelle persone che pensano che l’Aids sia solo un’invenzione della cause farmaceutiche o pensano di curare un tumore con parole magiche e infusi di erbe.

Combattiamo duramente la malasanità e  il sentimento di disagio e di disprezzo che in tanti, in troppi, hanno verso la medicina.

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Se Orbán torna alla carica e pensa a sostituire la democrazia

postato il 30 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Della difficile e controversa situazione ungherese mi sono già occupato precedentemente, quando il premier di centrodestra del Paese, Viktor Orbán, aveva dato avvio a una preoccupante “svolta a destra”, smettendo i panni dell’uomo di governo moderato e liberale e indossando quelli dell’uomo forte, presunto artefice della rinascita nazionalista della “Grande Ungheria”. Avevo già all’epoca espresso profonda preoccupazione per come gli avvenimenti stavano precipitando (anche dal punto di vista economico, visto che l’Ungheria risente pesantemente della crisi) e avevo avanzato l’idea che l’Europa – a riprova del fatto che è comunità democratica, prima che sede di scelte tecniche – non potesse restare inerme mentre in uno dei suoi Paesi membri la Democrazia veniva messa a dura prova.

Ora, la situazione – che sembrava inizialmente rientrata nei binari – è tornata in una fase critica. Due giorni fa, Orbán, intervenendo a un meeting dell’associazione degli imprenditori magiari, ha addirittura evocato la possibilità di dover inventare un “nuovo sistema” che sostituisca quello democratico, perché il suo popolo, “semi-asiatico”, “capisce soltanto la forza”: “noi speriamo che non sia necessario introdurre un nuovo sistema che rimpiazzi la democrazia, ma noi abbiamo comunque bisogno di nuovi sistemi economici e di nuove idee”; mentre a un raduno studentesco nella città di Baile Tusnad ha attaccato duramente la UE, accusandola di perdere tempo dietro “ai giocattoli per maiali e allo stato d’animo delle oche, mentre centinaia di migliaia di cittadini stanno perdendo il lavoro e la moneta unica sta collassando”. Due attacchi, speculari e complementari, che chiariscono il modello di azione politica che Orbán sembra ormai deciso a portare fino in fondo: rafforzamento del potere centrale in patria (non escludendo svolte veramente autoritarie) e progressivo sganciamento dalle istituzioni comunitarie, approfittando del malcontento popolare e delle difficoltà del momento.

Già in Ungheria le reazioni sono state di sdegno diffuso. Népszava, quotidiano di sinistra sottolinea che “se qualcuno dubitava ancora che Orbán fosse un partigiano dei regimi autoritari e non della democrazia ci ha pensato lui stesso a dimostrarlo. Il suo discorso non è stato un lapsus, ma un’espressione dei suoi pensieri più reconditi. Ora sappiamo cosa pensa dell’Europa, dell’Ungheria e della democrazia”. Persino Magyar Nemzet, il quotidiano tradizionalmente più vicino al primo ministro, fa fatica a difenderlo. Secondo il quotidiano “la diagnosi sull’Unione è abbastanza pertinente: il problema è trovare il giusto mezzo tra interesse nazionale e interesse comune. Quello che abbiamo ascoltato da Orbán è un monologo, e non un dialogo. Questo non è un buon segno”. Ma le parole più nette arrivano dal settimanale liberale Magyar Narancs, che scrive: “se daremo una nuova chance a Orbán nel 2014 gli daremo ragione, perché dimostreremo che siamo veramente un popolo semi-asiatico”.

Appare chiaro, quindi, come le prese di posizioni di Orbán siano ben oltre il livello di guardia consentito. È qui che entriamo in gioco noi, con l’UE: se vogliamo mantenere l’Ungheria di Orbán all’interno dei limiti di una democrazia veramente tale, dobbiamo agire, scegliendo accuratamente i nostri obiettivi e il metodo da seguire (distinguendo le scelte politiche non condivisibili ma legittime, dal resto) e ribadendo la difesa dei nostri principi democratici e costituzionali. Contro ogni involuzione reazionaria e autoritaria. Contro il ritorno di spettri che questa crisi economica rischia di rendere più consistenti.

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L’identikit del leader

postato il 30 Luglio 2012

di Michele Salvati

«Das Madchen», la ragazza, così Helmut Kohl chiamava Angela Merkel, con affetto e condiscendenza. E che dire del confronto tra Hollande e il grande «florentin», François Mitterrand? O, ancora più schiacciante, tra Sarkozy e de Gaulle? O tra Tony Blair e Ed Miliband? Carità di patria mi trattiene dal paragonare i nostri attuali leader politici con i padri della Repubblica e questi pochi riferimenti servono solo a ricordare quanto siano comuni tali confronti, non solo in Europa. E quanto siano unanimi nel doppio giudizio che esprimono: non ci sono più i grandi leader democratici del passato e questo è insieme causa ed effetto del decadimento delle nostre democrazie. Quanto c’è di vero in questo doppio giudizio?

Prima di rispondere, chiediamoci chi sono i grandi leader democratici. Sono leader democratici coloro che non sovvertono le istituzioni fondamentali di una democrazia liberale: per un grande leader, per chi è profondamente convinto della necessità storica del proprio progetto, la tentazione di liberarsi degli impacci dei partiti, della rappresentanza e del parlamentarismo può essere molto forte. Essi sono dunque un sottoinsieme dei grandi leader, di coloro che cambiano il corso della storia, del loro Paese o di aree più vaste: Napoleone, Mussolini o Lenin sono stati grandi leader, grandi capi carismatici, ma non leader democratici. Cavour o Gladstone o de Gaulle lo sono stati. Questo precisato, chiediamoci ancora quali sono i caratteri essenziali e storicamente accertabili di un grande leader democratico, oltre a quello di porre come vincolo alla propria azione innovatrice le istituzioni di base di una democrazia liberale. Volendo molto semplificare, a mio avviso i caratteri essenziali sono due.

Il primo ha a che fare con la natura del progetto politico al quale essi dedicano la loro vita. Deve trattarsi di un progetto storicamente progressivo, che apre nuovi orizzonti di sviluppo economico, sociale e culturale al Paese di cui hanno la responsabilità politica e al contesto internazionale in cui è inserito. Di solito si tratta di rompere una situazione di stallo o di ristagno, prodotta da tenaci forze di conservazione che tenderebbero a perpetuarla. Il secondo carattere ha a che fare con la difficoltà del progetto, con la resistenza delle forze nazionali e internazionali, economiche, sociali e politiche, che devono essere piegate per realizzarlo. Più grande e innovativo il progetto, più tenaci le forze di conservazione, maggiore è la grandezza del leader, se riesce ad attuarlo e a mantenersi nei confini della democrazia. Ma chi valuta se il progetto era un grande progetto, un progetto che era giusto perseguire, e quanto fossero elevati gli ostacoli che vi si frapponevano? Valuta la storia, naturalmente, e la storia — ovvero il consenso delle principali correnti di studi storici — non è un giudice perfetto: giudizi dissidenti, a volte vere inversioni nel consenso dominante, sono comuni tra gli studiosi seri. E più veniamo a leader vicini nel tempo, meno distanti dai problemi politici che ancor oggi affrontiamo, maggiori sono ovviamente i dissidi.

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In memoria di Rocco Chinnici

postato il 29 Luglio 2012

Il 29 luglio 1983 la Mafia uccideva con una Fiat 127 imbottita di esplosivo il giudice Rocco Chinnici, gli addetti alla sua sicurezza, maresciallo Mario Trapassi e appuntato Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile dove abitava Chinnici, Stefano Li Sacchi.

Nel marzo 1983, quattro mesi prima di essere ucciso, il consigliere istruttore di Palermo Rocco Chinnici rilasciò un’intervista al giornale degli universitari della Fgci, Mobydick. A porgli le domande, sulla nuova legge riguardante la confisca dei beni ai mafiosi, era una giovane studentessa, Franca Imbergamo, oggi sostituto procuratore generale a Caltanissetta.

 

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Se i consumatori sono costretti a pagare i costi di investimenti sbagliati

postato il 27 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giovanni Portonera

Qualche giorno fa la Camera ha approvato, all’interno del decreto sviluppo, un emendamento bipartisan che introdurrà il capacity payment, una remunerazione degli impianti calcolata in base alla potenza messa a disposizione e non alla semplice produzione. Si tratta di un salvagente per le centrali termoelettriche messe in difficoltà in questi mesi dall’alta penetrazione delle fonti rinnovabili, in particolare il fotovoltaico, che ormai sono arrivate a produrre kwh a costi minimi e con priorità di dispacciamento.

Le fonti rinnovabili sono però intermittenti e non programmabili, quindi è necessario tenere centrali termoelettriche a ciclo combinato in funzione, pronte a riequilibrare il sistema elettrico in caso di mancanza di approvvigionamento da energia verde. I costi saranno pagati però dai consumatori e la bolletta potrebbe subire un aumento di 500-800 milioni di euro, con un carico maggiore per le pmi e le famiglie. Questo senza contare che nel mercato elettrico italiano c’è una sovraccapacità di circa il 30%, che in questo momento non serve ai consumatori: con il capacity payment questa potenza in eccesso verrà remunerata e per il consumatore si tratterà di una doppia beffa, perché si tratterebbe di un prelievo oneroso per un bene di cui non ha bisogno.

A cosa si deve questa situazione di stallo? Principalmente alla mancanza di un serio piano energetico nazionale, più volte chiesto dagli operatori del settore, e da scelte avventate – e alla prova dei fatti, non proficue – di imprenditori che, pur consapevoli della possibile espansione del settore delle rinnovabili, hanno continuato a fare investimenti sbagliati. Infatti le centrali termoelettriche dovrebbero lavorare per circa 5000 ore  per ripagare i costi fissi: oggi, però, ne lavorano per 3000-4000 a causa del fotovoltaico e per rifarsi dei mancati guadagni alzano il prezzo dell’energia durante le ore serali in modo ingiustificato. Un comportamento economico, suicida e ingiustificato, oltre che inaccettabile per i consumatori.

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Che noia perdere l’aereo (in Italia)!

postato il 25 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marco Da Rin

A quanti viaggiano, per lavoro o per diletto, prima o poi immancabilmente succede: ritrovarsi con il naso all’insù contemplando il soffitto dell’aeroporto o peggio passeggiando davanti a vetrine di improbabili souvenir per colmare le ore di attesa dell’aereo in ritardo.

Fortunatamente anche in questo la tecnologia ci viene in aiuto: da alcuni anni tutti i pc portatili, gli smartphone, ma anche ebook reader o addirittura macchine fotografiche escono dalle fabbriche predisposti per accedere alle reti senza fili wi-fi.

E così arriva il lieto fine, in cui il viaggiatore può alleviare le sue pene lavorando direttamente dall’hub o rilassandosi navigando i suoi siti preferiti. Se non si trova in Italia!

Eh si perché nel nostro paese lo “spread digitale” non manca di affliggere anche la rete aeroportuale, dove è impossibile accedere gratuitamente a internet o ricaricare la batteria dei nostri dispositivi. E il paragone non è con i soliti Stati Uniti, dove compagnie come Google garantiscono la connettività anche negli scali minori, ma con quasi tutto il mondo conosciuto: in Asia, Sud America, Australia il wi-fi free è la regola, non l’eccezione.

Fanalino di coda il vecchio continente, dove internet spesso è considerata un lusso da far pagare a caro prezzo, che può raggiungere i 10€ all’ora. Un panorama sconfortante che non trova giustificazioni se non in una sottovalutazione culturale dell’importanza della rete nel presente e nel futuro.

Ah, se perdete l’aereo in Italia fatelo a Fiumicino, sembra ci sia un barlume di wi-fi gratuito. Ovviamente al gate della British Airways.

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Se la Grecia diventa un monito

postato il 24 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi giorni i mercati finanziari europei sono scossi da impetuosi venti ribassisti che hanno molteplici radici accomunate tutte da un palese nervosismo motivato da una paura verso il fallimento della Spagna. I recenti sviluppi, alla luce di alcuni fatti riportati in passato, impongono una riflessione molto seria.

Se la Spagna cadesse, la prossima a rischiare potrebbe essere la Germania a causa della fragilità del sistema bancario tedesco, inoltre ho affermato che se la Grecia dovesse dichiarare fallimento, le perdite per il sistema industriale tedesco si aggirerebbero intorno ai 200 miliardi di euro (circa il 10% del PIL tedesco); la Cina sta rallentando pesantemente e questo apre un possibile scenario di crisi anche in Asia; questi sono fatti oggettivi. In questi giorni, tra altro,  l’agenzia Moody’s ha abbassato a “negative” le prospettive future per l’economia tedesca.

I recenti sviluppi sono legati ad alcune dichiarazioni: pochi giorni fa il ministro spagnolo Montoro ha dichiarato che, se la BCE non avesse comprato i titoli di stato spagnoli (Bonos), il paese iberico non avrebbe avuto la liquidità (ovvero i soldi in cassa) per pagare i servizi.

E’ una dichiarazione pesante, resa al parlamento spagnolo, quindi un contesto ufficiale e nel quale le parole vengono scelte accuratamente e pesate e sono state dette per motivare le pesantissime misure prese dal governo spagnolo. A questo aggiungiamo le recenti richieste da parte di alcune regioni spagnole (Valencia e soprattutto la Catalogna, che, per importanza economica, è la seconda regione del paese iberico). Domenica, invece, il ministro tedesco Rosler ha affermato che l’eventualità del default della Grecia è una ipotesi concreta e che non preoccupa. Ipotesi che anche l’FMI sembra che stia considerando.

Detto ciò, cosa possiamo concludere? E’ possibile che la Germania accetti tranquillamente il costo che comporta il default greco per il suo sistema industriale?

La risposta è si. Nonostante le recenti dichiarazioni da parte del Presidente dell’Eurogruppo Juncker. Evidentemente la riflessione della Germania parte dal presupposto che ormai per la Grecia non ci siano più speranze, ma questo non basterebbe a giustificare l’uscita del ministro.

A mio avviso, la dichiarazione tedesca fa eco a quella del ministro Monitoro e ha un duplice scopo: da un lato spingere affinché Madrid approvi il prima possibile il piano stabilito dal governo, e dall’altro lato usare la Grecia (e le conseguenze che avrebbe il popolo greco uscendo dalla UE) come monito e come esempio verso quelle persone che non accettano il piano di tagli e risanamento varato dai vari governi.

Insomma, si può ipotizzare che la Grecia venga usata come esempio (in negativo) di quel che può accadere se non si rispetta un piano di austerity e si va in default.

Se questa mia personale riflessione è corretta, nel giro di poche settimane vedremo l’uscita della Grecia dalla UE e la sua contestuale dichiarazione di default, con tutto quello che comporterà (aumento dell’inflazione, della disoccupazione e, potenzialmente, disordini).

In ogni caso, nei prossimi giorni vedremo un aumento della volatilità sui mercati finanziari e altri ribassi, come avevo affermato in passato, ma ribadisco che se la Spagna cade, la prossima a seguirla potrebbe essere il sistema bancario tedesco.

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Cosa è il fiscal compact

postato il 21 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Nell’era della globalizzazione fa figo parlare in inglese e così sappiamo che in questi giorni il parlamento ha approvato il “Fiscal Compact”. Stupendo. Ma cosa è?
Per dirla in “politichese” è stato ratificato il Trattato di stabilità sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria, che detto così fa ancora più impressione, ma non c’è nulla di strano in quanto il fiscal compact è semplicemente un accordo di diritto internazionale, stipulato al di fuori del diritto comunitario. L’accordo riprende le norme del Six-pack, ovvero il nuovo Patto di stabilità e crescita, e impone di inserire nella costituzione il principio del pareggio di bilancio e la correzione automatica in caso di sforamento. La convergenza verso gli obiettivi di medio termine potrà avere uno scostamento massimo per il deficit strutturale pari allo 0,5% del Pil, salvo in caso delle circostanze eccezionali considerate nel Six-pack. In caso di sforamenti o deviazioni dai target stabiliti, vi saranno dei meccanismi automatici di correzione, mentre è confermato l’obbiettivo di ridurre, a partire dal 2015, di un ventesimo l’anno del debito eccedente il 60% del Pil, salvo periodi di congiuntura particolarmente sfavorevole.
Con l’approvazione del fiscal compact abbiamo dimostrato responsabilità e soprattutto svincoliamo la finanza pubblica dagli interessi individuali, in quanto non potrà più essere usata per ottenere voti e per sprechi, perché per attuare questa norma vi dovrà essere non solo maggiore rigore, ma soprattutto dei controlli oggettivi sui conti pubblici, svincolandoli dalle beghe dei partiti e dall’utilizzo improprio (ad esempio approvare progetti inutili che hanno lo scopo di cercare facile consenso).
Ora abbiamo una tabella da rispettare, in soldoni si tratta di trovare 50 miliardi di euro l’anno e come possiamo trovarli? La risposta è molto semplice: dalla lotta all’evasione che sta venendo attuata, finalmente, in forma dura. Ogni settimana sui giornali leggiamo di indagini della guardia di finanza che trovano irregolarità, d’altronde secondo l’Agenzia delle Entrate sarebbero circa 120 miliardi i capitali sfuggiti alle casse dello Stato e in base ai dati raccolti dall’Istat, il valore dell’economia sommersa e dell’evasione in Italia, sarebbe quantificabile tra i 250 e i 275 miliardi di euro. Per intenderci tra il 16 e il 18% circa del Pil. Secondo Confcommercio questo significa circa 154 miliardi di tasse non pagate. Basterebbe fare emergere questa massa di denaro per avere i soldi necessari per rilanciare la crescita e diminuire il debito pubblico, riuscendo anche ad abbassare le tasse.
Indubbiamente il fiscal compact si può prestare a critiche, ma è indubbio che fosse necessario ed è un passo verso l’integrazione fiscale europea, obbiettivo divenuto imprescindibile alla luce degli ultimi sviluppi in Spagna, dove, pur essendo in crisi da un anno, solo ora si stanno prendendo misure urgenti e pesanti (diminuite le tredicesime, blocco delle assunzioni nel settore pubblico, privatizzazioni, aumento dell’iva). D’altronde questo era un passo necessario, soprattutto alla luce di quanto affermato dal ministro delle finanze spagnolo, Cristobal Montoro, il quale ha detto che senza l’intervento della BCE, la Spagna non avrebbe avuto i soldi per pagare i servizi. In pratica il paese iberico sarebbe stato ad un passo dal default.
Ovviamente la situazione spagnola, unita all’annuncio che la regione di Valencia chiederà un intervento statale per ripianare i suoi debiti, mentre come se non bastasse l’esecutivo spagnolo ha rivisto al ribasso le stime del pil per il 2013 e la Bce, con un tempismo davvero fatale, ha fatto sapere che i titoli di Stato della Grecia non saranno più idonei come collaterali. Questo mix di notizie ha generato pessimismo e ha spaventato gli operatori finanziari, facendo partire vendite a raffica e consegnando un venerdì nerissimo per la borsa, ulteriore riprova che vi è un diffuso clima di sfiducia sulla tenuta dei conti.
Proprio per questo dobbiamo continuare sulla strada tracciata di rigore e di attenti interventi nel taglio delle spese improduttive.

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Bene torrada Rossella, “femina” dei giorni nostri

postato il 20 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

“Ciao Rossella, e bene torrada,
faghimus festa pro custos congruos,
gosadi in paghe sos afetos tuos,
s’isula intrea fit tota ispantada,
como seguru ca l’as alligrada
a Simugheo, e a sos fizos suos,
fin totus in anneu e in oriolu,
preighende donzi die, in su dolu.”

(Tonino Cau, Tenores di Neoneli)

La Sardegna è donna, è madre. Lo è sempre stata, dalla notte dei tempi. In una società agropastorale l’uomo stava per settimane o mesi lontano da casa con le greggi, e chi teneva le redini della casa era la donna, gestendo l’economia domestica e la vita familiare. Ciò ha temprato il carattere delle “feminas” sarde, forti, fiere e decise, ma capaci di grande generosità e amore verso il prossimo, fosse un figlio o un perfetto estraneo.

Rossella non è diversa. Una donna piccola ed esile, ma che ha dimostrato generosità e coraggio, andando ad aiutare sconosciuti in difficoltà in aree geografiche pericolose. Al punto da sperimentare sulla sua pelle il male che vorrebbe che questi angeli non svolgessero il loro lavoro. Per 286 giorni è stata rapita e tenuta prigioniera. 286 giorni in cui la sua terra non ha mai smesso di aspettarla e chiedere con forza la sua liberazione, come fa una mamma per una figlia. La Sardegna è questo per i suoi figli: una madre.

Oggi Rossella è libera, e riabbraccerà la sua terra domani. Ma per poco. Nonostante abbia sperimentato sulla sua pelle il pericolo ha espresso il desiderio di tornare in quella terra ostile dove tante persone hanno bisogno di lei. Coraggiosa e testarda, ma nella generosità. Da brava “femina”.

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