Tutti i post della categoria: In evidenza

L’abbraccio di Borsellino

postato il 19 Luglio 2012

Nel commovente racconto di Antonino Caponnetto non c’è solo una straordinaria esperienza umana, ma in quell’ultimo abbraccio di Paolo Borsellino al suo amico, collega e capo c’è anche la metafora della vicenda umana di Borsellino. Tra le braccia di Borsellino non c’era solo Caponnetto, c’era la sua vita, il suo lavoro, la sua missione. C’eravamo tutti noi.

A vent’anni dalla tragica morte di Borsellino, a vent’anni da quello straziante abbraccio, è giunto il momento che questo Paese abbracci la memoria del giudice palermitano, e la abbracci per non farla più scappare via, quasi per assimilarla totalmente.

E’ giunto il momento di restituire quell’abbraccio, che forse in un momento difficile è mancato a Paolo Borsellino.

1 Commento

Numeri chiusi, trasparenza e giustizia

postato il 17 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Ruggero Valori

Le università fino ad un recente passato hanno dato l’impressione di “trattenere” il più possibile e di attrarre i giovani con promozioni agli esami un po’ agevolate ( così le famiglie erano disposte più benevolmente a pagare rette ed a rinsaldare l’economia sommersa o quasi degli affitti universitari dei cd. fuori sede); i professori,ideatori o vittime di questo trend socio economico, si trovarono nella situazione ideale ( contenti o scontenti, volenti o nolenti, coscienti o incoscienti) per poter gonfiare i testi di esame di teorie, di“teorie di teorie”, di” teorie oblique”, di “contro teorie” spesso confusionarie, cervellotiche, lontane dalla realtà ( come per definizione è generalmente astratto dalla realtà l’insegnamento cattedratico) e spesso poco utili per l’inserimento nel mondo del lavoro .Il risultato fu il prolungamento a dismisura dei tempi per concludere gli studi ed anche l’aumento del numero dei laureati che ai giorni nostri si devono confrontare con il fenomeno deprecabile della disoccupazione/sottoccupazione intellettuale e con l’altro effetto indesiderato del lavoro non corrispondente al titolo di studio conseguito.

Le giovani generazioni- oltre a dover subire anni di politiche inadeguate sull’università e sulla cultura in generale- da qualche anno devono fronteggiare su tutti i piani ( economico , psicologico, culturale, nozionistico) la politica restrittiva sull’accesso a molti corsi universitari ( specialmente con le facoltà scientifiche con Medicina in testa). Le università si sono rese conto della deriva dei decenni precedenti e sono corse al riparo ( o almeno lo credono in modo troppo ottimistico) introducendo il numero chiuso ( o programmato) in molte facoltà, una risposta estrema e dannosa alla cultura e per il progresso della Nazione perché ovviamente diminuisce il numero dei soggetti che possono accedere ai saperi strategici, riproduce infelici elìte intellettuali conformate ai meccanismi perversi della corruzione propria dei tempi edonistici che si trasforma in decadente barbarie nonché alimenta nuove asimmetrie culturali ben più pericolose per la vita democratica delle iniquità economiche, le quali ovviamente si possono riparare in poche battute con attenta redistribuzione dei redditi o della ricchezza .

Non possiamo impedire ad un giovane di studiare medicina per un anno perché ha sbagliato un test!

E’ terribile, in chiave di crescita anche solo economica, questa situazione ( chiusura dell’accesso agli studi universitari, politica del numero chiuso ) che tra l’altro potrebbe divenire terreno di proliferazione della corruzione o di traffici di influenze ( forse semplici telefonate!?) da parte di professionisti affermati in determinate branche del sapere e che senza dubbio costituisce ormai da alcuni anni una fraudolenta e insidiosa barriera, di natura elitaria e antidemocratica, contro lo sviluppo economico, culturale e politico del Paese.

Come sarebbe bello che gli studenti potessero conoscere in maniera dettagliatissima – quando si iscrivono all’università- tutte le informazioni più importanti compreso il dato dei laureati che si inseriscono nel mondo del lavoro con quella determinata laurea dopo 1 anno, dopo 2 anni, e così via; costantemente tenuti al corrente sugli sbocchi professionali futuri ed attuali con quel determinato sapere.

Quindi questi problemi dovrebbero essere risolti da un lato con la” dovuta trasparenza” nei confronti degli studenti e delle famiglie e dall’altro con la libertà di iscrizione alla facoltà preferita escludendo così all’origine i tentativi di discriminazione parte delle famiglie più influenti spesso contaminate da un antiumano neotribalismo che postula l’aggregazione di nuove consorterie per combattere coloro che stanno al di fuori di esse .

Sul fronte molto particolare invece dell’ accesso alla professione forense che si connette con” la vocazione al potere del ceto avvocatizio” si assiste ad un aumento in progressione geometrica del numero degli avvocati rispetto al periodo fascista. Comunque non è tanto il numero ” il problemone” ma da un lato ( per le elìte avvocatizie) il desiderio di tutelare in maniera egoistica i proventi del proprio lavoro e dall’altro ( per” il proletariato forense”) di essere in grado di rispondere alle istanze nazionali e internazionali di “ rimodulare la giustizia italiana” che si è inaridita a causa della lentezza dei processi ( si veda la recentissima missione in Italia dal 3 al 6 luglio uu.ss. del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks ).

E’ evidente di per sé che si può affermare : “ben vengano molti avvocati di qualità, personalità e soprattutto diligenti servitori degli “interessi della giustizia”, dove “giustizia” (secondo la nostra tradizione giuridica) vuol dire: ricerca instancabile del vero (l’attuale criterio della miglior scienza esperienza), il rispetto del principio di inoffensività e la capacità di attribuire a ciascuno il suo ( il rispetto della vita dal suo inizio naturale alla sua fine reale, il rispetto degli altri principi non negoziabili consequenziali e di tutti i diritti che rampollano dall’interiorizzazione della norma morale ); invece ora- in ossequio ad un’ arbitraria e anfibolica “doppia fedeltà” alla legge e al cliente- l’avvocatura sembra voler invertire anzi svilire la giustizia e i suoi interessi; invece non c’è interesse del cliente ( e della legge) che sia titolo valido per annichilire la giustizia perché la giustizia e l’interesse del cliente procedono per uno stesso cammino; l’interesse del cliente è e deve essere ricompreso nell’interesse della giustizia( verità, principio di inoffensività e capacità di attribuire a ciascuno il suo)!!!

Quindi il numero è uno sviamento della controversia culturale nel mondo forense, lancinato dallo strapotere della gerontocrazia forense(vera piaga democratica) che come Giano bifronte postula la doppia fedeltà e intanto persegue strategie di avvicinamento al potere politico e di condizionamento del sistema democratico, perché l’unico tema utile e attuale da affrontare è la corrispondenza dell’attività giudiziario- forense agli interessi della giustizia in relazione ai nuovi contesti sovranazionali.

 

1 Commento

Una casa per i moderati

postato il 15 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Scavone

I moderati sono sotto un cumulo di macerie” commentava Casini ai cronisti lo scorso maggio, venuto a conoscenza dei dati definitivi della tornata delle elezioni amministrative. Tutti ci saremmo aspettati, dopo la catastrofe, pompieri e volontari che, uniti e solidali, avessero lavorato duramente per la ricostruzione. La ricostruzione di una casa per i moderati che nel nostro Paese, soffocato da egoismi di parte e predellini, manca da tempo. I presupposti sembravano buoni: Berlusconi, principale responsabile delle tante divisioni createsi negli anni, fuori di scena; Alfano ben intenzionato a discutere di programmi e progetti, nella veste di responsabile sostenitore di Monti; la Lega disorientata tra inchieste, amnesie e tentativi di rimonte elettorali, pronta a rispolverare la veste populista e incoerentemente antiromana.

Oggi, con il senno di poi, possiamo dire che quei presupposti non solo non hanno portato a scenari migliori, ma sono addirittura peggiorati. Forse non tutti consideravano che, tra i generali consensi alla riunificazione dei moderati, stava segretamente riemergendo Berlusconi. Agli attenti osservatori non è sicuramente risultata inaspettata la notizia di qualche giorno fa della sua possibile ridiscesa in campo. E’ infatti caldeggiata e preparata da tempo, se pensiamo alle dichiarazioni e alle vesti che l’ex-premier ha indossato nei mesi passati: prima di padre nobile del Pdl, pronto a favorire da lontano il progetto del PPE italiano, poi di aspirante candidato alla Presidenza della Repubblica con l’emendamento per il semi-presidenzialismo, poi ancora di esperto statista, pronto ad accettare l’incarico di Ministro dell’Economia in un futuro governo di centro-destra.

Ed intanto il Pdl camminava spedito, mettendo in minoranza i falchi antimontiani e premiando la linea di responsabilità impersonificata dal segretario Alfano. Una linea che venne lanciata con buoni propositi nel luglio scorso, con l’elezione per acclamazione dell’ex guardasigilli alla segreteria, e fu premiata dallo stesso Berlusconi quando, poco prima delle sue dimissioni, disse: “Per la candidatura a leader del centrodestra per le prossime elezioni, Alfano è in pole position. (09/11/11)” Ma si sa, non sono questi gli atteggiamenti che piacciono al Cavaliere, sempre pronto a ritornare in prima linea, convinto di possedere un “quid” che manca ad altri, e a disattendere gli inviti lanciati ai moderati italiani.

Dobbiamo quindi proprio convincerci che quelle macerie resteranno lì? Che il progetto, seppur ambizioso, resterà intentato? Pare proprio di sì, per ora, con un Pdl in evidente sofferenza e senza ancora una direzione. Il ritorno del Cavaliere ha infatti riacceso gli animi e le polemiche, per buona parte messe a tacere, e riaperto scenari e possibilità. E’ Stracquadanio a fare il punto, non nascondendo le perplessità a riguardo: con Berlusconi candidato, o si dovrà puntare alla larga coalizione oppure ci si dovrà adeguare al grillismo, sposando battaglie antieuropeiste e antimontiane. Di fronte a dichiarazioni del genere, non resta che rimanere allibiti. Si torna a pensare al successo elettorale e non al Paese? Non si è imparato nulla dall’esperienza del Governo dei tecnici? E affiorerebbero anche dei dubbi sul reale spirito moderato della formazione di centro destra. Come può un partito che aderisce alpopolarismo europeo avanzare dubbi di tale portata sull’atteggiamento da adottare in campagna elettorale? Se così fosse, si dovrebbero fare serie riflessioni, che porterebbero alla conclusione che per molti il moderatismo è solo questione di facciata, solo una formalità da riproporre all’occorrenza.

E a Lupi, che commenta gli ultimi avvenimenti dicendo: “Bene la candidatura di Berlusconi, con lui si possono ricompattare i moderati.”, vorrei ricordare qualcosa. Quel Berlusconi è lo stesso che giorni fa indeboliva Monti, poco prima di un cruciale vertice europeo, ponendo l’attenzione su un ritorno alla lira. Quel Berlusconi è lo stesso che, pur di ritornare a giocare in attacco, archivia le primarie programmate solo un mese fa e scatena le reazioni indignate della base, come dimostrano i commenti rilasciati su diversi blog di area. Quel Berlusconi è lo stesso che, ricandidandosi, suscita preoccupazione in Europa, come espresso dal portavoce della Merkel, perché – per citare Fini – con lui ritornerebbe “il tempo di promesse solenni, di impegni disattesi dicendo poi che la responsabilità è di qualcun’altro e di palesi conflitti di interessi“.

Insomma, la situazione è complessa. E, se l’unione fa la forza, bisogna essere uniti e non lavorare per la divisione. Magari prendendo anche atto degli ostacoli che non permettono ai moderati italiani di ricompattarsi e affrontare insieme questo difficile momento per il Paese. Altrimenti, dovremo cominciare a pensare di impiegare quei pompieri e quei volontari non alla ricostruzione della casa dei moderati, bensì alla ricostruzione del Paese.

2 Commenti

Cosa serve (davvero) alla Sicilia

postato il 14 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera di oggi, ha scritto un articolo durissimo – fin dal titolo, “Il Festival degli sprechi” – sul recente stop di 600 milioni di euro di fondi dall’Ue alla Regione Sicilia. L’analisi è impietosa: dal 2000 al 2006, la Sicilia ha ricevuto 16,88 miliardi di fondi europei (il quintuplo dei fondi destinati a tutte le regioni del nord); di questi il 30-40% pare sia gestito dalle mafie. Di 2177 (duemilacentosettasette) progetti finanziati, ne sono stati completati solo 186 (centoottansei): l’8,6% (otto virgola 6 percento). Più di uno spreco, uno scandalo. Per anni in Sicilia sono piovuti miliardi, che invece di trasformare l’Isola in positivo, hanno solo aggravato, peggiorato, portato alla cancrena la situazione. Il centro studi Svimez ha calcolato che il Pil pro capite delle regioni del Sud dal 1951 al 2009, anziché crescere, ha subito rispetto al Nord un netto arretramento, passando – in modo constante – dal 65,3% al 58,8%.

Cos’è che quindi serve davvero alla Sicilia, per invertire la vergognosa tendenza? Di sicuro, meno soldi. Basta rubinetti aperti che servono solo a ingrassare clientele e a offrire una succulenta moneta di scambio a una classe politica parassita e parassitaria. Serve, poi, meno spesa pubblica, tagli netti alla pletorica e non funzionale macchina amministrativa/burocratica della regione. Serve avere il coraggio di dire basta alle infornate per stabilizzare migliaia di precari ogni anno (perché non è così che si crea lavoro!). Serve, quindi, un netto cambio di rotta: innanzitutto serve – paradossalmente – meno politica: serve cioè più spazio per l’iniziativa privata; in Sicilia i livelli di penetrazione industriali sono bassissimi e le varie aziende che nascono sopravvivono spesso solo grazie a incentivi vari, mentre proprio la stessa burocrazia regionale le strangola lentamente (del resto, ce lo insegnò Hayek: chi possiede tutti i mezzi, stabilisce anche tutti i fini). Viva la concorrenza, viva la libertà di investire, vincere (o fallire) quindi! Bisogna poi recedere in profondità i canali di collegamento tra i politici che spartiscono fondi pubblici per interessi privati. Perché, facendo questo, si assesta anche un colpo mortale alla corruzione e ai mille tentacoli delle piovre mafiose: l’Ue ha bloccato la tranche di 600 milioni di euro, perché non condivideva la sua divisione in mille rivoli – una marea di “misure” e “sottomisure” (gli ambiti di intervento) – tali da rendere sempre più piccoli gli importi ma anche più difficili i controlli.

Qualche tempo fa, il ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca spiegava che il dato che più impensieriva gli organismi internazionali non era il pur spropositato livello della nostra spesa pubblica nazionale, quanto l’improduttività di gran parte dei suoi capitoli: in parole più semplici, l’incapacità della spesa pubblica (che è uno strumento utilissimo, da gestire con molta attenzione) di creare ricchezza. E, provate a indovinare, quali sono le regione che più appesantiscono con le loro cattive performance questo già triste bilancio. In Sicilia, per esempio, la spesa pubblica per le infrastrutture è altissima, ma le infrastrutture non esistono. E i soldi stanziati, che fine fanno? Eh.

Se, come è vero, a Ottobre si tornerà a votare per le elezioni regionali, questi saranno i temi che diventeranno ineludibili. Perché, in un momento di stringente crisi come questo, i rubinetti sono destinati a chiudersi, bruscamente. Questo vuol dire che se arriveremo impreparati a quel momento, continuando magari allegramente a spartire posti e incarichi di sottogoverno, il default sarà assicurato.  La scelta sta a noi. Diciamo basta alla Sicilia-Crono che divora i suoi figli e agli interventi palliativi per pony: diamo avvio a una seria cura da cavallo, per rimettere in sesto la nostra terra.

11 Commenti

Napolitano e Monti ci hanno salvato dalla bancarotta

postato il 14 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Cittadino

Buongiorno, Presidente
la sua linea di appoggio convinto al Governo Monti è sacrosanta in quanto tutti i cittadini di buon senso capiscono che se ci siamo fino ad oggi salvati e non abbiamo fatto la fine della Grecia lo dobbiamo a Napolitano ed a Monti, nonostante gli errori fatti (nessuno è infallibile). E’ giustissimo anche che i partiti si impegnino per il futuro a seguire le linee dell’attuale governo altrimenti torneremo ad avere all’estero credibilià pari a zero. Poi, dato che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, se gli Italiani torneranno a scegliere di essere rappresentati o dai vari venditori di tappeti-bunga bunga o dai no tav, no rigassificatori, no autostrade etc. anzichè da persone preparate e credibili, allora chi è causa del suo mal pianga se stesso. Un cittadino.

2 Commenti

Se in Spagna si taglia più che in Italia…

postato il 11 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Accade spesso di sentire lamentele sull’operato del governo Monti, e sovente le critiche sono accompagnate dall’affermazione che all’estero le cose vanno meglio. E’ vera quest’ultima affermazione? La risposta è sui giornali di oggi: il premier spagnolo Rajoy ha chiesto di approvare misure da fare tremare i polsi: in pratica si vogliono ottenere risparmi per 65 miliardi nella spesa pubblica entro il 2014.

Premesso che la Spagna ha una percentuale di disoccupati molto più alta che in Italia, le misure che vuole varare Rajoy sono: un aumento dell’IVA dal 18% al 21%; tagli e riforme delle amministrazioni pubbliche per risparmiare 65 miliardi di euro in 2 anni e mezzo con nel 2013 un taglio di 600 milioni di euro alle dotazioni dei ministeri; ma soprattutto il taglio delle tredicesime per il 2012 di parlamentari, impiegati e alte cariche dell’amministrazione pubblica. A questo taglio vi è da aggiungere anche la riduzione dei giorni di ferie dei permessi sindacali.

A questo si aggiungano la riduzione del numero dei consiglieri delle società pubbliche e delle indennità per i sindaci, una imminente riforma delle pensioni e la privatizzazione di aeroporti, ferrovie e porti.

Se guardiamo il recente provvedimento di Monti sulla Spending Review, possiamo dire che in Italia ce la siamo cavata meglio e anzi si è iniziata una cura dimagrante per la Pubblica Amministrazione tramite il dimezzamento delle province e la partecipazione delle aziende farmaceutiche nel coprire gli sforamenti dei tetti alla spesa sanitaria, che evita ulteriori costi ai cittadini.

Da altre parti poi le cose sembrano non andare proprio bene: l’economia cinese sta vistosamente rallentando , gli Usa sono visti stazionari e il resto d’Europa non sta meglio. In particolare vanno ricordati gli ultimi annunci di due colossi come Nokia, che taglierà 10.000 dipendenti a cui aggiungere anche i tagli operati dalla jv Nokia-Siemens, e dalla casa automobilistica Peugeot che addirittura ha annunciato il taglio di 10.000 operai in Francia, nonostante solo 3 anni fa avesse ottenuto prestiti dal governo francese per 3 miliardi di euro (assicurando che non avrebbe licenziato). Tra i provvedimenti di Peugeot vi dovrebbe essere la chiusura dello stabilimento d’Aulnay-Sous-Bois, che occupa 3mila persone, e il ridimensionamento di quello di Rennes, che dovrebbe riguardare la soppressione di un migliaio di posti di lavoro, in pratica come se la Fiat chiudesse Cassino e riducesse di un terzo Pomigliano.

Guardare a quanto accade all’estero non significa sminuire i nostri problemi, ma è assolutamente utile per capire che i provvedimenti del Governo Monti, per quanto spesso duri e rigorosi, sono preziosi e ci hanno allontanato dal ciglio di un temibilissimo baratro.

2 Commenti

Non ci sono scuse contro le preferenze

postato il 11 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Raffaele Reina

Le dichiarazioni di Pier Ferdinando Casini a proposito della legge elettorale esprimono con nettezza la volontà dell’UDC di introdurre il sistema delle preferenze nella riforma in discussione. Chi è contro le preferenze non può avanzare alcuna scusa plausibile. Clientelismo,voto di scambio,corruzione, ecc. sono frutto della disonestà di esponenti poilitici spregiudicati, che possono verificarsi con qualsiasi tipo di legge elettorale.

Nei ricordi storici vi è il pensiero di Sturzo (PPI) che volle la proporzionale con preferenze nelle elezioni del 1919, perchè il sistema uninominale dei collegi era diventato fonte di corruttele e di demoralizzazione della vita pubblica, conniventi i governi giolittiani. Lo storico esponente politico lottò per l’introduzione della proporzionale anche perchè, dopo il primo conflitto mondiale, bisognava fronteggiare l’avanzare dei movimenti nazionalistici e allargare la base democratica del Paese, favorendo la partecipazione dei cittadini alla vita politica.

Questa fu la grande intuizione di don Luigi Sturzo che ebbe anche l’intelligenza e la capacità di introdurre ufficialmente i cattolici italiani,dopo il non expedit, nella vita pubblica. Sistema elettorale proporzionale con preferenze, partecipazione politica, autonomie locali rappresentavano un unicum per rafforzare la democrazia come sistema della libertà. Una intuizione quella sturziana ancora valida oggi? Per molti aspetti ritengo di sì.

3 Commenti

Chi ha paura delle preferenze?

postato il 9 Luglio 2012

di Adriano Frinchi

Sul Corriere della Sera di oggi Pino Pisicchio confessa amaramente: “io penso che nessuno le voglia più le preferenze”. E forse il deputato ex dc non ha tutti i torti, le preferenze non le vuole più nessuno perché fanno paura. Le preferenze sono lo spauracchio di una classe politica di nominati, di garantiti dal potente di turno.

In quest’ottica sono comprensibili le reticenze e le  alchimie dei partiti sulla legge elettorale: si prende tempo, si discute, si formulano le ipotesi più disparate. Si fa di tutto per non parlare di preferenze. Ma da un’assemblea di nominati è possibile aspettarsi altro? Evidentemente non si può chiedere a qualcuno di firmare la propria condanna a morte (politica).

E’ comprensibile allora che la presa di posizione di Casini sul tema delle preferenze abbia arroventato il clima politico. E’ un’affermazione netta che chiede un’altrettanto netta e chiara risposta. Non si capiscono perciò alcune posizioni come quelle del Pd, ed in particolare della senatrice Finocchiaro, che si dichiarano contemporaneamete contrari al ripristino delle preferenze ma anche per ridare il potere di scelta agli elettori.

Come si intende ridare il potere di scelta agli elettori senza le preferenze? Secondo i democratici la soluzione starebbe nei collegi uninominali, magari con delle primarie propedeutiche.

E’ evidente anche al meno avvezzo alla materia elettorale che nel sistema uninominale l’elettore è costretto a scegliere tra candidati che sovente sono imposti dalle segreterie di partito e nel peggiore dei casi sono anche totalmente estranei al collegio elettorale. E questa non è una congettura ma l’esperienza italiana di pochi anni fa quando votavamo con il Mattarellum, una legge elettorale che come ha scritto tempo fa Giovanni Sartori si è rivelata ampiamente fallimentare.

I detrattori delle preferenze, quando non sono mossi esclusivamente dal garantire la loro sopravvivenza politica,  dicono che le preferenze sono un meccanismo poco trasparente che favorisce il clientelismo. Indubbiamente nella Prima Repubblica il sistema delle multipreferenze ha visto  una degenerazione notevole, ma non pare che con il cambio di sistema elettorale la situazione sia migliorata. Il grado di corruzione nel nostro Paese è sempre notevole.

Corruzione, clientelismo, nepotismo non sono frutto di un sistema elettorale ma sono un problema culturale. In una battuta, se uno è disonesto lo è sia se è eletto in un collegio uninominale, sia se eletto con le preferenze o in una lista bloccata.

La vera questione in tema di riforma elettorale è: cosa vogliono le forze politiche? Se si vuole discutere seriamente di legge elettorale i partiti si devono chiedere solamente se vogliono realmente restituire ai cittadini il potere di scegliere, se vogliono ricostruire un rapporto serio tra eletti ed elettori. Se invece i partiti vogliono solamente studiare una legge elettorale per vincere le prossime elezioni o garantire amici e parenti allora lo dicano prima. In questo caso un sistema elettorale vale l’altro.

4 Commenti

Sanità e spending review, affrontiamola seriamente

postato il 9 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

Tempi di “spending review”, di tagli alle spese inutili e di gestione oculata delle risorse. Uno dei primi settori di cui si è parlato a riguardo è stato la sanità, già vittima in passato di tagli e relative polemiche, perchè quando si parla di riduzione delle risorse in campo sanitario le proteste fioccano da ogni dove; giustamente, perchè la salute è un diritto fondamentale che deve essere salvaguardato e per il quale non si dovrebbe “badare a spese”.

Ma siamo davvero sicuri che dei tagli alla spesa sanitaria, o meglio una revisione della stessa, sarebbe così dannosa? O forse, con una miglior gestione delle risorse si riuscirebbero ad avere servizi più efficienti a minor costo per la collettività?

A mio avviso, la sanità italiana è soggetta a un forte handicap: è strettamente connessa alla politica. E’ la politica, infatti, che sceglie i vertici delle aziende sanitarie, e questo (e non solo) ha fatto si che le strutture sanitarie fosse uno dei maggiori bacini di clientele e di voti di scambio, assumendo indiscriminatamente amici e parenti, e tutele sindacali altissime, per cui chi sbaglia raramente paga. Il risultato è un alto numero di dipendenti, spessissimo sovranumerario, dove non serve, a dispetto di reparti caratterizzati da un alto carico di lavoro dove il personale è carente.

Altro annoso problema è la concezione che in Italia abbiamo avuto finora di “degenza”. Spesso si sentono pazienti che si lamentano perchè devono svolgere degli accertamenti in regime ambulatoriale quando vorrebbero farlo da ricoverati: in realtà non bisogna scordare che i posti letto sono da riservare a pazienti che hanno una patologia acuta (insorta nel giro di poco tempo) che per essere curata ha bisogno di un monitoraggio quotidiano o di farmaci che devono essere somministrati endovena; le patologie croniche, una volta instaurata una terapia efficace, possono essere tranquillamente gestite dal medico di famiglia attraverso un sistema di assistenza domiciliare: altro spinoso problema, visto che in Italia tra tempi burocratici e scarsità delle risorse non si ha un sistema di assistenza domiciliare efficiente, cosa che consentirebbe di ridurre la necessità di posto in casa di riposo, RSA e altri sistemi di degenza non ospedaliera, spesso esosi sia per il cittadino che per lo stato, togliendo oltretutto il diritto del paziente di restare nella sua casa e fra i suoi cari.

I ricoveri impropri, tuttavia, sono una brutta realtà e, oltre a rappresentare uno spreco di risorse pubbliche, sono la causa principale dei pazienti ricoverati in barella protagonisti di tante vergognose situazioni. Un malato ha diritto ad avere un letto, ma ogni letto deve essere assegnato solo a chi ne ha veramente bisogno e soltanto per il tempo necessario. Incentivare l’assistenza ambulatoriale e domiciliare può aiutare molto a decongestionare i pronto soccorso e i reparti ospedalieri, facendo in modo che solo chi ne ha davvero bisogno ne usufruisca.

Come vedete, la sanità non è così povera come appare al cittadino, vittima di liste d’attesa chilometriche e disservizi di ogni tipo: è malgestita. Occorre un controllo oculato sulla spesa, andando a premiare le aziende che tagliano gli sprechi offrendo un buon livello di assistenza ai cittadini: si può e si deve fare, tagliando i rami secchi, sanzionando i dipendenti negligenti e spendendo solo il necessario. Ne risulterebbe di certo un risparmio di risorse ma un servizio sanitario migliore per i cittadini.

1 Commento

Expo 2015: il tempo passa, ma a che punto siamo con i lavori?

postato il 7 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In passato ho scritto dell’expo in varie occasioni e ho sempre sollevato dei dubbi in merito alla tempistica e ai costi dei lavori, senza contare i problemi e le vicissitudini dei vertici della società che gestisce tutto l’affare “Expo”.

Oggi i miei dubbi permangono.

Il 30 settembre scorso il consiglio generale di Fondazione Fiera Milano, dopo avere recepito la volontà degli enti locali (Regione Lombardia e Comune di Milano), di comprare i terreni che ospiteranno l’Expo 2015 attraverso la società per azioni Arexpo, aveva deciso di entrare nella suddetta società con una quota del 27,7% del capitale (il Comune di Milano e la Regione Lombardia hanno circa il 69% della società) tramite il conferimento ad Arexpo di una parte, (circa 158 mila metri quadri), delle aree di sua proprietà necessarie alla realizzazione del sito Expo, a un valore pari a 26 milioni di euro. In pratica, la Fondazione Fiera Milano, entra nell’affare fornendo una parte dei terreni (che aveva di proprietà) conferendoli ad una società di cui acquista una parte della proprietà. Sembra uno scioglilingua, ma, questo escamotage assolutamente legale (tengo a precisarlo), di fatto permette alla Fondazione Fiera Milano di entrare nell’affare con un esborso minimo.

Anche il governo sta valutando il suo ruolo, dato che contribuisce alla realizzazione del sito con 823 milioni. Tra le ipotesi c’è anche l’ingresso del ministero delle Finanze dentro Arexpo, oppure la possibilità di uno sconto per lo Stato sulle opere di smantellamento a fine rassegna. A tal proposito riporto la dichiarazione rilasciata qualche giorno fa da Mario Catania, ministro dell’agricoltura, che ha affermato: ”Per l’Expo di Milano faremo tutto il possibile e tu e la tua organizzazione, come l’intero settore agricolo ci darete una mano”. Catania ha ribadito un convinto sostegno all’Expo del 2015 che servirà a ”dare un messaggio e un’immagine del sistema complessivo dell’agroalimentare italiano”.

Ma a che punto siamo con i lavori? Intanto premetto subito che si può rinunciare all’EXPO 2015, infatti, il regolamento del Bie (Bureau International des Expositions, ovvero l’ente supremo che gestisce i vari EXPO) prevede la possibilità di ritirarsi. Il ritiro, a partire da maggio 2012 e fino ad aprile 2013, comporterebbe una penale di 51,6 milioni di euro.

Se invece si continua sull’EXPO 2015, è bene dire che gli interventi previsti costeranno, in base alle ultime stime, fino a 25 miliardi tra opere e costi diretti, cioè creazione degli spazi espositivi di gestione. Questa cifra immane comporta la necessità, per il Comune di Milano, di ottenere una deroga al patto di stabilità interno. Per evitare tale deroga, l’alternativa sono gli investimenti dei privati che coprirebbero tali spese, ma al di là degli impegni verbali, l’intervento dei privati latita. Il Comune meneghino ha preparato un pacchetto di undici progetti obbligatori e di sette qualificanti che, per la maggior parte, dovranno essere finanziati da Palazzo Marino. Il problema, però, è che il Comune non può indebitarsi a causa dei vincoli imposti dal Patto di Stabilità. E il rischio è la paralisi.
Proprio per questo motivo, a Milano è divenuta concreta l’ipotesi che i lavori per la Pedemontana, le nuove linee metro e la bretella di raccordo tra Fiera di Rho e Malpensa, non vengano conclusi per il 2015. A questi problemi aggiungiamo anche il giudizio espresso nel dossier sui sistemi infrastrutturali dell’Osservatorio del Nord Ovest di Assolombarda, stilato lo scorso dicembre che afferma: “dal punto di vista procedurale, si segnala che diverse opere essenziali e connesse non hanno ancora un progetto preliminare approvato, con possibili ripercussioni sulla possibilità di realizzare gli interventi in tempo per l’Expo”.

A fronte di queste spese, quali sono i possibili ricavi (che, sono solo preventivati e ipotizzati, quindi assolutamente non certi)? Questi i numeri previsti: 20 milioni di visitatori di cui un terzo stranieri, settemila eventi in sei mesi, 181 paesi partecipanti, 61 mila posti di lavoro l’anno nel decennio 2011-2020, 3,5 miliardi di euro per la spesa turistica indotta e una produzione nel secondo decennio del secolo di 69 miliardi di euro, il tutto per una crescita del Pil dello 0,18 per cento. Sono numeri credibili? Sui posti di lavoro è lecito sollevare dei dubbi, visti i ritardi nei lavori, ma quel che più preoccupa è che ad oggi, solo 81 nazioni abbiano dato per certa la loro partecipazione firmando i relativi documenti. Vi sono poi una diecina di nazioni tra cui USA, Brasile e Cina che hanno espresso il loro interesse a partecipare, ma solo verbalmente e senza avere sottoscritto alcun impegno vincolante.

Da quanto detto è chiaro che siamo di fronte ad un opera faraonica, ma che, proprio per questo motivo, richiede celerità e massima attenzione per evitare che si facciano “cattedrali nel deserto” come fu per “Italia 90”.

4 Commenti


Twitter


Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram