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#ideapazzapersilvio, peccato sembri Totò

postato il 1 Giugno 2012

di Adriano Frinchi

Gli italiani hanno sempre associato la “pazza idea” a Patty Pravo, da oggi probabilmente insieme alla mitica cantante del Piper ci sarà Silvio Berlusconi che oggi in un incontro con i gruppi parlamentari del Pdl ha annunciato la sua pazza idea: “Vi dico la mia pazza idea. Se non viene stampata altra moneta dalla Bce, stamperemo noi la nostra moneta con la nostra Zecca” ha detto il Cavaliere che ha poi spiegato: “Monti deve chiedere che l’Europa stampi moneta. Se così non fosse, sarebbe meglio uscire dall’euro, pur restando nell’Unione europea… La Banca centrale o diventa di ultima istanza o si deve porre il problema dell’Europa o meglio della Germania in Europa”.

C’è da dire che la “pazza idea” di Berlusconi ha riscosso subito un certo successo su Twitter dove gli utenti si sono scatenati con l’hashtag #ideapazzapersilvio.

Perplesso e spiazzato invece il mondo politico, in particolare sull’uscita dall’euro che sarebbe, a detta di molti, deleteria.

Roberto Occhiuto,  vicepresidente della commissione bilancio di Montecitorio, ha spiegato perché la pazza idea berlusconiana è improponibile e impraticabile ma anche immaginato un Berlusconi intento a stampare euro di notte.

L’immagine di Occhiuto richiamerà alla mente di molti la mitica scena del film “La banda degli onesti” dove Totò è impegnato a stampare banconote false. Una scena esilarante, quasi come la proposta del Cavaliere.

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L’abbandono dell’euro: una scelta con tanti rischi e nessun vantaggio.

postato il 1 Giugno 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Uno dei cardini del “programma” di Grillo, a cui si sta accodando anche la Lega, è l’uscita dall’euro e la svalutazione della lira come soluzione alla crisi economica italiana.

Questa soluzione, in realtà, è peggiore del male e va a colpire non i ceti abbienti, ma soprattutto gli strati più poveri della popolazione. Analizziamo cosa comporterebbe seguire il “consiglio” di Grillo e quali sarebbero le conseguenze:

1. ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI

E’ vero che per effetto della svalutazione, le esportazioni risultano più competitive, mentre le importazioni, aumentando di prezzo, perderebbero quote nel mercato italiano, ma è anche vero che si avrebbe un aumento proporzionale in senso inverso dei prezzi delle materie prime (più si svaluta la nostra moneta, maggiormente costano le importazioni di materie prime) e questo danneggerebbe le nostre esportazioni annullando quasi del tutto gli effetti della svalutazione.

Per effetto della svalutazione, infatti, i prezzi delle materie prime aumentano con due ovvie conseguenze: aumento dei costi per le aziende (che trasferiranno questo aumento nei prezzi finali, con conseguente aumento nel prezzo delle merci vendute) e aumento dei costi per i consumatori. Il risultato è che l’azienda produttrice vedrà ridotto (o annullato) il vantaggio competitivo della svalutazione, mentre il consumatore vedrà l’aumento non solo sui beni importati come l’energia, ma anche sui prodotti finali, e questo impoverirà ulteriormente i ceti meno abbienti, con il risultato che saranno i più penalizzati dal provvedimento auspicato da Grillo.

2. MUTUI, TASSI, RISPARMI

Se andiamo a guardare il settore bancario e i clienti, le conseguenze dell’uscita dall’euro e della svalutazione propugnata da Grillo, sono ancora più esiziali.

Intanto dobbiamo chiederci se il mutuo resta in euro o viene convertito in lire. Nel primo caso, ovvero se il mutuo resta in euro, la svalutazione della lira vedrebbe gli italiani percepire uno stipendio in lire (svalutate) e pagare una rata in euro, ma siccome l’euro si apprezzerebbe sulla lira (cioè avrebbe più valore della lira), ecco che subentra per il cliente un ulteriore costo, quello legato al cambio lira-euro.

Si potrebbe obiettare, allora, che si può convertire il mutuo in lire per legare salari e rate, ma in questo caso ci rimetterebbero le banche e i fondi di investimento, perché la lira perderebbe subito di valore e in termini reali i loro crediti si vedrebbero ridotti, con il risultato che il sistema bancario italiano dovrebbe fare i conti con ingenti perdite e il rischio concreto di dichiarare fallimento (e quindi azzerando i conti dei clienti).

Per quanto riguarda il debito pubblico il problema è più complesso: intanto non si può di fatto dichiarare il default dell’Italia (anche se pilotato) come è stato fatto per l’Argentina, perché in quest’ultimo caso la maggior parte dei titoli argentini erano allocati all’estero, mentre qui in Italia la maggior parte del debito pubblico è in mano agli italiani medesimi e alle banche italiane.

Questa situazione di fatto viene a creare un cortocircuito logico-economico: se lo stato italiano dichiara default e non paga i titoli di stato (BTP, BOT, ecc.), di fatto azzera i risparmi di tantissimi italiani e il patrimonio delle banche e quindi lo strumento (il default appunto) che dovrebbe “salvarci” finisce con l’affossarci definitivamente (sull’Argentina parleremo più diffusamente in seguito).

A questo punto abbiamo due strade: o si converte in lire o si lascia in Euro. Se si lascia in Euro, con la svalutazione della lira, lo Stato di fatto vede moltiplicato il debito pubblico in maniera più che proporzionale rispetto a quanto viene svalutata la lira sull’euro: in concreto, se la lira dimezza il suo valore (ovvero perde il 50%), il debito pubblico in euro raddoppia (aumenta del 100%).

Se invece si converte in lire, si rischiano una valanga di cause da tutto il mondo da parte di detentori dei nostri titoli di Stato che non accetterebbero il tasso di conversione deciso da noi. Dunque, il debito rimarrebbe in euro.

3. STIPENDI E PENSIONI

Gli stipendi convertiti in lire, vedrebbero il loro potere d’acquisto ridotto in seguito alla svalutazione della lira (si veda quanto detto al punto 1), in pratica se la lira viene svalutata del 50%, di fatto il mio stipendio viene dimezzato e questo riduce ancora di più le probabilità di sopravvivenza di tantissimi italiani già sulla soglia dell’indigenza.

A fine mese, per pagare la solita rata del muto o del frigo bisognerebbe mettere cioè molti più soldi. L’onere sui prestiti di ogni tipo balzerebbe molto al di sopra del livello attuale (si parla di almeno il 7% in più), e questo potrebbe innescare il fenomeno del «bank running», ovvero la corsa a ritirare i soldi dai conti e dai depositi che è uno scenario tipico, in questi casi.

4. ARGENTINA

Chi invoca la svalutazione della lira e/o il default dell’Italia cita come esempio l’Argentina, ma non considera che la realtà argentina è ben diversa da quella italiana, inoltre nonostante la crescita attuale, non si può dire che il default del paese sudamericano sia stato indolore per i suoi abitanti.

E’ vero che oggi il Pil viaggia tutti gli anni a più 8 o lì intorno, e il tasso di disoccupazione è sceso da un numero angosciante (25% nel 2002) al 7,5 del 2011, ed il reddito medio è tornato ai livelli pre crisi, e anche un po’ sopra, 7400 dollari pro capite, dopo essere crollato nell’annus terribilis a 2670, però non dobbiamo scordare che l’Argentina è benedetta da un immenso territorio ricco di materie prime, dal mais alla farina, al grano. Nel momento più nero, l’Argentina ebbe un aiuto eccezionale da Cina e India: questi paesi (come altri) sono grandissimi importatori di soia, e l’alto prezzo della soia sui mercati internazionali (più che triplicato in quel periodo) determinò un grande afflusso di valuta estera. Per capire il fenomeno: la sola Cina ha importato, nel 2009, soia per 19 miliardi di dollari

Ancora oggi, la domanda di soia di Cina e India è in continuo aumento tenendo alti i prezzi e garantendo un notevole afflusso di denaro verso l’Argentina e uno sbocco verso, nel momento in cui la gente ritirava in massa i soldi dalle banche per mandarli all’estero, provocando così il loro fallimento assieme a quello dello Stato.

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Merito, cominciamo dal territorio

postato il 31 Maggio 2012

 

Meritocrazia, chi era costei? Le ombre di un dibattito che tiene banco da alcuni anni si allungano sul nostro presente, ma senza portare grandi elementi di novità. Ormai è cosa nota, in Italia esiste un problema che si chiama “mancanza di meritocrazia”. I giovani che hanno studiato e portato a termine un percorso che ha significato fatica, sacrifici, rinunce, impegno non vengono ripagati e i loro sforzi ma soprattutto i loro risultati non vengono riconosciuti, in un Paese che ha altro a cui pensare.

È ormai giunto il momento di affrontare la questione e discutere non per esibire un interesse di facciata ma con l’intento di trovare una soluzione. Spetta alla politica tracciare il percorso per dare all’Italia una prospettiva diversa: pensare a un modello di crescita fondato sul merito. Perché i neolaureati trovano così tante barriere al momento di entrare nel mondo del lavoro? Perché le eccellenze non vengono valorizzate? Perché i risultati conseguiti da studenti capaci e meritevoli non vengono premiati con un maggiore investimento da parte di istituzioni e privati in questo preziosissimo capitale umano? La causa di questo disinteresse non è facilmente rinvenibile perché probabilmente affonda le sue radici in una cattiva cultura non meritocratica e in una tradizione ormai consolidata che vede i più raccomandati, i più furbi, i più abbienti andare avanti a scapito di chi avrebbe i titoli per arricchire la società.

Dobbiamo porre mano al problema, e lo possiamo fare partendo da una proposta. Una prima pietra, un primo step per rinnovare la classe dirigente di questo Paese, per un nuovo modello sviluppo fondato sulle qualità individuali, per fare relazionare il mondo del lavoro con il meglio della gioventù istruita. La proposta è una mozione che chiamiamo “Meritocrazia nel territorio”. Si chiede ai Sindaci di istituire sui siti internet dei comuni una sezione in cui i residenti laureati di quel comune potranno, una volta autorizzato il trattamento dei dati, inserire  le proprie generalità, comprensive della Facoltà e del voto di Laurea così da far incontrare domanda ed offerta di lavoro in un ambito territoriale. L’intenzione è quella di mettere in comunicazione i giovani talenti locali e le imprese che operano a livello territoriale, premiando il merito. È una proposta che si rivolge ai laureati, e cioè a coloro che hanno proseguito gli studi ai livelli più alti, e che intende affermare una convinzione: una Nazione come la nostra per sopravvivere e crescere nei mercati internazionali non può che puntare su alti livelli di conoscenza. Il confronto con gli altri protagonisti della scena mondiale è durissimo e possiamo prevalere solo puntando sulle eccellenze che vivono, crescono, fanno esperienza nel nostro Paese. Ci troviamo invece adesso nella paradossale situazione di un’Italia che vuole uscire dalla crisi ma rischia di non far fruttare i talenti ancora presenti, prima che migrino definitivamente all’estero impoverendo ulteriormente il territorio.

La mozione dei Giovani Udc Piemonte  è stata già approvata dal Comune di Caluso e dall’Unione dei Comuni del Nord Est della Provincia di Torino, per un bacino d’utenza di circa 130.000 abitanti; a breve verrà presentata nel Consiglio della Provincia di Torino e nel Consiglio Regionale del Piemonte.
Inoltre il Presidente Casini ho espresso la volontà di far diventare la mozione sul merito un tema nazionale da diffondere su tutto il territorio attraverso gli amministratori locali Udc.

È una sfida che i moderati devono saper cogliere. Impegniamoci per costruire davvero una società meritocratica. Valorizziamo competenze, capacità, risultati. Non può essere solo una battaglia ideale ma una concreta iniziativa per lo sviluppo: se le imprese e i neolaureati meritevoli si incontrano, questo non può che avere effetti positivi sulla ricchezza del Paese. Troveremo d’accordo il presidente Monti, da sempre in prima linea sul tema del merito. Del resto è stato lui, all’inizio del suo mandato, a pronunciare la significativa frase “Ciò che giova ai giovani giova al Paese”.

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Per ricominciare

postato il 30 Maggio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Anna Giunchi

Il terremoto che, nella notte del 20 maggio scorso, ha colpito l’Emilia Romagna, rimarrà per molto tempo nella memoria dei miei conterranei, e nelle mie orecchie. Secoli di arte distrutti in un batter d’occhio, casolari sbriciolati, gente terrorizzata. E la terra, tuttora, continua a tremare. Dopo la terribile scossa di terremoto avvenuta alle 23:41 del 23 maggio, i tecnici dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia tra le province di Modena, Ferrara e Mantova hanno continuato a registrare continue scosse. L’ulteriore forte scossa registrata alle 9:0o della giornata di ieri, magnitudo 5.8, è stata seguita da circa una trentina di sequenze sismiche. Gli ultimi dati parlano di altri 16 vittime accertate, per un totale di 8 mila evacuati dalle proprie abitazioni. Ma la gente non molla; da sempre distinta per la propria operosità, ha voglia di tornare al più presto alla normalità, pur costretta ad abbandonare le proprie case, frutto di una vita di lavoro.

L’Udc, per voce del deputato Mauro Libè, annunciando che destinerà la sua parte di risorse del Fondo per le piccole opere (cosiddetta “Legge Mancia”) ai Comuni colpiti da terremoti e calamità naturale, si fa promotrice di una iniziativa che permetterà l’utilizzo dei 160 milioni di Euro complessivi ai fini di una più veloce ricostruzione dei Comuni calamitati.

Un gesto di vera e propria solidarietà e compartecipazione, cui segue l’iniziativa, da parte dei tre consiglieri Udc della Regione Lombardia, di donare la propria indennità per la seduta consiliare del 22 maggio alle vittime del terremoto.

Un esempio, una storia da raccontare, nonchè una testimonianza di umanità, qualcosa che debba servire da lezione, per mettere  da parte quelle discussioni che, in questo momento, paiono del tutto inopportune. L’italia, in queste circostanze, si ricorda di essere unita.

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I risultati ci sono, ora rimettiamoci in cammino

postato il 28 Maggio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Sono trascorsi diversi giorni dal ballottaggio delle amministrative delle scorse settimane, e il dibattito politico – surriscaldato sul momento dall’exploit di Grillo e del suo MS5 – sembra essersi “raffreddato”: questo ci permette delle riflessioni a mente più calma, partendo – come siamo soliti fare – dai numeri, dai dati.

Innanzitutto, in un quadro generale di difficoltà dei partiti maggiori e di avanzata di nuove forze politiche, il risultato dell’Udc non è affatto negativo: mentre, infatti, come spiega D’Alimonte oggi sul Sole, il Pdl perde ben 28 (ventotto!) punti percentuali e il Pd 16 (sui risultati del 2008), il nostro partito si conferma stabile al 6% (gli altri stanno più giù: Idv al 3,8%, Sel al 2,7%, la Lega addirittura al 2,4%). Il che, certo, non può essere considerato come un soddisfacente risultato finale, ma come una riprova della stabilità e validità del progetto che abbiamo messo in campo, sì. Nel dettaglio, il risultato al Nord – conquistato grazie alla sperimentazione di un nuovo tipo di aggregazione civica e centrista (senza Fli e Api, in molti casi) – è straordinario: in comuni come Alessandria, Buccinasco, Garbagnate Milanese, Belluno, Monza, abbiamo sfiorato o superato il 10% (novità assoluta, specie in un nord dove gli elettori orfani della Lega hanno ripiegato sul M5S). Senza contare che proprio al Nord, a Cuneo, abbiamo addirittura eletto un nostro sindaco (con una coalizione autonoma). Sulle stesse percentuali anche i risultati al Centro e al Sud, dove il nostro tradizionale radicamento è stato nuovamente premiato (in Sicilia abbiamo eletto, per esempio, diversi sindaci: e qui vi posso assicurare che, per esperienza personale, ripartivamo da un quadro completamente diverso da quello degli ultimi anni).

La (quasi?) scomparsa del Pdl, poi, apre nuovi e interessanti scenari: come abbiamo sostenuto più volte, rischia di sparire la rappresentanza politica che per tanto tempo ha detenuto la golden share del campo moderato, ma di certo non può essere scomparso quel blocco sociale, politico e culturale di “moderati” (per utilizzare un termine spaziale che però ormai significa poco) che è comunque maggioranza nel nostro Paese. Tocca a noi lavorare per rifondare questo campo e dare voce a milioni di elettori confusi e disorientati. Ecco perché la scelta di azzerare (e sciogliere) l’Udc ci ha premiati. C’è uno spazio da occupare e presidiare, da dove si può anche partire per andare conquistare nuovi territori. Per farlo, certo, servono programmi e idee chiare. Sulla base di questo dobbiamo poi andare a cercare i nostri voti, i voti che ci servono per vincere e governare (e fare, ça va sans dire, le riforme liberali e strutturali di cui questo Paese ha un maledetto bisogno). È ovvio, però, che noi da soli siamo insufficienti.

Dobbiamo cercare quindi compagni di strada coraggiosi e validi, senza doverli però trovare in esperienze consumate e superate: quello che ci serve non è altro personale politico da apparato; ci servono volti e storie freschi, ricchi di nuove energie. Non ci servono generali senza truppe, e neanche riedizioni aggiornate di coalizioni fallite. Né, tantomeno, possiamo accettare di unirci – in modo acritico – ai protagonisti di foto messi in crisi da nuovi e pericolosi concorrenti.

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Hula, la strage degli innocenti

postato il 27 Maggio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

“Satelles i, ferrum rapte, perfundas cune sanguine”

“Vai o guardia del corpo, afferra la spada, / riempi le culle di sangue”

(Prudenzio, IV secolo, Inno epifanico in ricordo di Erode e la strage degli innocenti )

Marzo 2011: presso la cittadina di Dara’a (intervista a un siriano emigrato in Italia che racconta i drammi della sua terra), nella regione agricola e tribale di Hawran, un gruppo di ragazzini di elementari e medie scrive sui muri con i gessetti colorati “Il popolo vuole la caduta del regime”. I ragazzi vengono immediatamente sequestrati dalla polizia e imprigionati. Al terzo giorno, i capi tribù di Dara’a vanno a supplicare i rappresentati del governo per la liberazione dei bimbi, ma vengono umiliati ed insultati pesantemente. In seguito alle prime proteste che diventano sempre più vivaci, i bimbi vengono scarcerati . Hanno le unghie strappate e mostrano evidenti segni di percosse. Tranne uno che non ritornerà a casa; evirato e ucciso con un colpo di pistola alla nuca. Già nei mesi precedenti, sull’onda dei moti di protesta di Tunisia ed Egitto, erano iniziate le prime timide manifestazioni contro il regime ma ora la misura è colma. Il popolo siriano addolorato e inferocito scende nelle piazze del paese in barba alle legge del ’63 che vieta le adunanze popolare. E’ l’inizio di una rivolta che giorno per giorno non cessa di essere perseguitata e cannoneggiata dai carri armati ed elicotteri ultramoderni del presidente Assad. Ancora oggi, a più di un anno di distanza, un bilancio di sangue arriva dalla Siria: le forze governative hanno bombardato Hula, un insieme di piccoli villaggi 200 km a nord di Damasco uccidendo 92 persone tra cui 32 bambini.

La strage degli innocenti. Dopo duemila anni, ancora il sangue dei bambini bagna i ciottoli delle nostre piazza. Bambini innocenti che muoiono violentati dalle sete di potere; vittime inconsapevoli dei mostri del presente che nella loro fame smisurata vogliono recidere sul nascere il futuro.

Per approfondire:

Tarek, che sfidò il regime con i canti.

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L’Udc di Pisa riparte dalla politica

postato il 26 Maggio 2012

In un tempo in cui l’anti politica accusa la politica di rinchiudersi nei palazzi del potere e di essere sorda rispetto alle richieste dei cittadini, l’Udc di Pisa ha assunto la meritoria iniziativa di offrire ai cittadini uno spazio e un tempo per tornare a ragionare e discutere di buona politica. Tra oggi e domani stazione Leopolda di Pisa si celebrerà la prima festa provinciale dell’Udc di Pisa   e il programma si presenta ricco e interessante.

Dopo l’apertura della festa con il saluto dell’autorità la festa entrerà nel vivo con il primo dibattito: “Le sfide della partecipazione”.

 Non capita spesso di affrontare un tema così negli incontri di partito. A qualcuno potrebbe apparire anche un tema minore, di fronte alla crisi che attraversiamo.

Tuttavia  affrontare il tema della partecipazione come trasparenza, codici etici della pubblica amministrazione, coinvolgimento dei cittadini nelle scelte pubbliche, sia fondamentale per provare ad invertire il fenomeno della distanza tra la politica e i cittadini.

 E se qualcosa di positivo c’è nel popolo “viola” e nei grillini è proprio la richiesta, anche attraverso la rete, di una maggiore trasparenza della pubblica amministrazione e la volontà di molti giovani di partecipare attivamente a migliorare.

Dopo il tema della partecipazione, alle ore 18.30 si parlerà delle sfide dello sviluppo. Pisa, in particolare, è molto cresciuta in questi ultimi anni, grazie soprattutto alla propria posizione invidiabile e allo sviluppo dei voli low cost che hanno favorito la crescita del Galilei. Ci sono state scelte infrastrutturali importanti, come il porto turistico a Marina, che finalmente prende il via dopo decenni di inutili tentativi.

Allo stesso tempo c’è una città a vocazione turistica, che pare sfruttare più le situazioni del momento, piuttosto che mettere in piedi vere policy di marketing territoriale.

C’è però una politica e una burocrazia miope (il caso Ikea a Vecchiano ne è stato un triste esempio).Persiste una certa invadenza della politica nell’economia. E dalla crisi di questi anni, si esce attraverso un rapporto nuovo tra pubblico e privato nella nostra società, finora troppo impermeata di statalismo. Di tutto questo parleranno il Prof. Manca (Università di Pisa) e il dott. Caporale (Regione Toscana) e i protagonisti dell’economia cittadina (Banti – confartigianato, Bottai – Confcommercio e presidente della società del porto di Pisa, ed infine l’assessore comunale Cerri).

Sabato sarà la volta de “le Sfide per la vivibilità”. E’ uno dei temi più sentiti a Pisa. Nel quotidiano la città continua ad essere percepita dai pisani e dai turisti, come una città sporca, poco curata e anche sempre meno sicura. Una città che vorremmo più a dimensione del ciclista, del bambino, del diversamente abile. Una città con più spazi verdi e meglio tenuti. Una città dove i cittadini si riapproprino dei propri spazi sociale e aggregativi. E dove le forze dell’ordine garantiscano con una presenza più adeguata alcune aree a rischio. Una città che riesca a coniugare divertimento e opportunità imprenditoriali, con una vivibilità dei residenti del centro storico. Se ne parlerà con l’architetto Martini, con il Vice-sindaco Ghezzi e con diversi esponenti dell’associazionismo pisano.

Sarà presente anche  il Prof. Panizza, esperto di diritto pubblico e di trasparenza negli enti pubblici e il dott. Floridia, dirigente della Regione Toscana, la prima regione in Italia a dotarsi di una apposita legge sulla partecipazione, per incentivare il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte pubbliche.

Ci sarà poi spazio per la “grande” politica co un dibattito su “Le sfide di un nuovo partito di governo”. Invitati i segretari regionali del Terzo Polo, del Partito Democratico e del Popolo della Libertà.

Anche le ultime elezioni amministrative, se ce n’era il bisogno, hanno in maniera inequivocabile segnato la fine della cosiddetta “seconda repubblica” e il superamento di molti dei partiti oggi in scena. Serve una scossa da parte del ceto politico. Serve, soprattutto, un’offerta politica nuova. Serve coraggio. Alla festa dell’Udc pisana si proverà ad iniziare un discorso, anche dal basso, per costruire un’alternativa credibila all’anti-politica e al populismo.

Questi alcuni momenti significativi della festa, che non è solo un momento di dibattito e confronto ma un’occasione per ripartire con la politica.

Appuntamento alle 15,30 alla stazione Leopolda!

 

 

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Trasparenza e democrazia sono più importanti di Beppe Grillo

postato il 25 Maggio 2012

di Adriano Frinchi

Sarà l’eccessiva esposizione mediatica, sarà anche merito del consenso elettorale  raccolto nelle recenti elezione amministrative ma Beppe Grillo pare diventato il crocevia della politica italiana, tanto che sembra addirittura che in Parlamento i “cattivoni” della casta si siano messi a cospirare contro Grillo e i grillini.

Ma andiamo con ordine.

Ieri la Camera ha approvato un emendamento, presentato da due deputati dell’Udc, al disegno di legge sulla riduzione dei rimborsi elettorali e sul controllo dei bilanci dei partiti, dopo gli ultimi scandali che hanno coinvolto l’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi e quello della Lega Nord Francesco Belsito. Il testo approvato prevede che non abbiano diritto al rimborso i partiti che non abbiano uno statuto.

Il comico genovese, ha gridato allo scandalo perché a suo avviso l’emendamento approvato sarebbe una manovra dei partiti per rendere impossibile l’accesso ai rimborsi elettorali al Movimento 5 stelle.

Ma perché in base all’emendamento approvato il M5s non avrebbe diritto ad accedere ai rimborsi?

Semplicemente per il fatto che il movimento di Beppe Grillo non è giuridicamente inquadrato come un partito e non ha uno statuto. Il Movimento 5 stelle ha infatti solamente un “non statuto”, piuttosto fumoso, che garantisce solo una cosa: la proprietà del simbolo del M5s a Beppe Grillo.

Da qui gli strali di Beppe Grillo su un presunto “emendamento ammazza Grillo”.

Per onorare la verità e tranquillizzare molti animi bisogna ricordare alcune cose:

  1. il M5s, per decisione di Beppe Grillo, non usufruisce dei rimborsi elettorali. Non si capisce quindi come si fa a colpire il Movimento su una cosa a cui ha espressamente rinunciato;
  2. l’emendamento si inserisce nel quadro di una riforma per mettere fine allo sperpero dei soldi pubblici e regolamentare in maniera rigorosa la vita dei partiti e quindi l’accesso al finanziamento pubblico (una proposta che l’UDC presentò a febbraio).

Nessun “complottone” dunque contro Beppe Grillo, ma solamente il tentativo della classe politica di rendere i partiti trasparenti e democratici ed evitare partiti padronali che fanno man bassa del denaro pubblico.

Sorge però legittimo il dubbio che  gli strali di Grillo siano dovuti al fatto che questa riforma interroga il M5s su democrazia interna e trasparenza. Qualche grillino infatti potrebbe chiedere conto e ragione al “grande capo” del “non-statuto” e di quella proprietà esclusiva del simbolo del Movimento.

Questo dubbio verrà chiarito col tempo, intanto è sufficiente ricordare che trasparenza e democrazia sono più importanti di Beppe Grillo. Che a lui piaccia o no.

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Perché dall’estero non investono in Italia?

postato il 24 Maggio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Nei giorni scorsi ho potuto parlare con alcuni amici che si sono trasferiti in Germania per lavoro e mi hanno detto che, facendo due conti, le tasse che pagano (come IRPEF) più o meno quanto pagherebbero in Italia.

Partendo da questo punto viene da chiedersi perché dall’estero si investa poco in Italia e quali sono i problemi degli imprenditori italiani ad investire in Italia, rispetto ad altre nazioni come la Germania.

La risposta la forniscono alcuni studi internazionali secondo i quali quello che penalizza l’Italia davvero sono quattro punti: la complessità burocratica, la minore produttività, la lentezza nei trasporti e il digital divide.
In particolare il “Global Competitiveness report 2011-2012” del World Economic Forum afferma che, in Italia, l’indice di complessità del quadro legislativo relativo all’applicazione delle regole misura 125 punti, contro i 17 della Francia, i 60 della Francia, i 12 della Germania, i 13 della Spagna. Secondo la società di Consulenza McKinsey ogni posto di lavoro nelle imprese estere crea maggiore valore aggiunto e ricerca che nelle imprese nazionali, citando a supporto di questa affermazione i dati dell’Istat, la quale afferma che nel 2009 il valore aggiunto medio per addetto delle imprese (ovvero la produttività per addetto) è pari a 33.700 euro contro i circa 65.000 euro delle imprese estere. Inoltre, a fronte di una spesa di 600 euro per addetto in ricerca e sviluppo da parte delle imprese nazionali, le imprese a controllo estero ne spendono in media 2.100. Guido Meardi della McKinsey ha anche ricordato che rispetto ai principali partner europei l’Italia nel periodo 2005-2011 è stata la peggiore nella capacità di raccogliere i flussi netti di investimenti diretti esteri in entrata, pari all’1,0% del Pil contro il 4,8% del Regno Unito, il 2,4% della Francia, il 2,6% della Spagna e l’1,3% della Germania. E sugli altri due punti (ovvero trasporti e digital divide) cosa possiamo dire? Secondo Nando Volpicelli, amministratore delegato di Schneider Electric Industrie Italia le nostre infrastrutture sono ridotte ai minimi termini, e addirittura il costo di trasporto per unità di prodotto (al netto della benzina) dallo stabilimento di Rieti della multinazionale transalpina è «di due euro più caro rispetto al Sud della Francia». In questo campo il recente provvedimento del governo Monti per sbloccare 100 miliardi di euro da investire nelle infrastrutture potrebbe essere un toccasana decisivo, infatti nel 1970 eravamo al terzo posto in Europa per dotazione autostradale in rapporto agli abitanti, ora siamo al quattordicesimo.
Ma a livello generale la situazione delle infrastrutture in Italia è alquanto carente: l’Italia è stato il primo Paese europeo a sperimentare l’Alta velocità ferroviaria nel 1970, ma oggi siamo indietro a tutti, infatti la Spagna ha 3230 chilometri di linee veloci, contro gli 876 dell’Italia. E a che prezzo, sta avvenendo quel recupero: 48,9 milioni di euro al chilometro, a fronte dei 10,2 milioni della Francia e dei 9,8 della Spagna. Per quanto riguarda i porti (ricordiamo che il 70% del traffico merci, viaggia su mare), tutti i principali porti italiani, per i loro problemi strutturali, hanno visto transitare nel 2009 meno container (9 milioni 321 mila teu, l’unità di misura del settore) che nel solo scalo olandese di Rotterdam (9 milioni 743 mila teu). Se guardiamo alla rete informatica, le cose non migliorano, consideriamo che la classifica 2010 di netindex.com sulla velocità media delle connessioni internet collocava l’Italia al settantesimo posto nel mondo, dietro Georgia, Mongolia, Kazakistan, Thailandia, Turchia e Giamaica.

Indubbiamente i punti sopra individuati sono delle catene che limitano le capacità dell’economia italiana e proprio per questo il governo Monti sta coniugando il rigore a delle riforme che abbattano queste catene: 100 miliardi di investimenti nelle infrastrutture, la semplificazione nel mondo del lavoro, e l’agenda per colmare il digital divide sono tutte iniziative che permetteranno di rilanciare l’economia italiana nel mondo.

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Venti anni fa

postato il 23 Maggio 2012

di Giovanni Villino

Sono passati venti anni. Quella sera è ancora viva e nitida nei colori e nei brividi che correvano lungo la schiena. Mi trovavo a casa dei nonni. Nella terrazza dei vicini si festeggiava un compleanno. Ad un certo punto ricordo lo squillo del telefono e la musica abbassarsi improvvisamente. Uno dei ragazzi, dopo aver parlato al telefono, tornando in terrazza dice: “Mario non può venire, c’è l’autostrada bloccata. Un attentato”. Corro in casa. Pochi istanti e la sigla del Tg1 “edizione straordinaria”.

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