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Il compito dei moderati: liberare le energie positive delle nostre comunità

postato il 10 Maggio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

L’immagine del cumulo di macerie utilizzata da Pier Ferdinando Casini per commentare i risultati della recente tornata elettorale è efficace e veritiera. Ma cosa c’è dopo il cumulo di macerie che ha seppellito anche i moderati? C’è solo la ricostruzione, l’apertura di un cantiere, di una officina. Non dobbiamo però pensare ai cantieri dei nostri giorni a quelli delle opere incompiute, degli incidenti sul lavoro o dell’abusivismo edilizio, la nostra mente deve correre a quanto abbiamo letto nei libri di storia, a quanto ci hanno insegnato i nostri maestri, a quel racconto che di bocca in bocca è passato dai nostri avi a noi: all’inizio del Medioevo una serie di splendide costruzioni che gareggiavano fra loro in bellezza, fascino e suggestione costellarono d’improvviso l’Europa preda di povertà, pestilenze e guerre. Sono le cattedrali, che sorsero grazie allo sforzo di intere comunità che misero a disposizione risorse economiche ed umane per queste opere stravaganti ed utopistiche, slanciate verso il cielo con una grazia inimitabile nella sua perfezione. Le cattedrali racchiudono una energia straordinaria e il loro compito era, ed è tuttora, quello di catturare, concentrare ed amplificare l’energia di una comunità, la stessa energia che fece rifiorire le città di un continente devastato. Tutto ciò successe anche nel nostro Paese dove nei centri storici dei nostri comuni sorgono ancora questi prodigi comunitari che sono le cattedrali.

Oggi i moderati devono identificarsi con quegli antichi costruttori di bellezza e devono nuovamente essere pronti al lavoro. I moderati di questo Paese devono avere nel cuore e nella mente un progetto straordinario: devono destare una comunità, affinchè ciascuno dei suoi membri si riappropri del suo destino e spenda le sue energie migliori per dare all’Italia una nuova stagione politica.

La crisi economica, la disoccupazione, il degrado e l’abbandono che quotidianamente viviamo, l’inerzia politica che sembra avere ragione delle nostre energie ci spingono al pessimismo, a credere che l’incantesimo per cui nulla mai potrà cambiare non può essere rotto.

Percorrendo le piazze e le strade delle nostre città, possiamo percepire preoccupazioni, incertezze, timori e dispiaceri. Sono sentimenti legittimi, ma sono anche nemici che lentamente ci fanno piegare verso la terra 
e diventare polvere prima della morte. Questi sentimenti sono il nostro primo avversario, il primo ostacolo al cambiamento di questo Paese e possiamo batterli solamente se riusciamo a liberare le energie positive della nostra comunità. E’ l’energia dei nostri bambini che giocano a pallone, dei commercianti che combattono la crisi, dei nostri anziani che non si arrendono alla solitudine, dei giovani che non si rassegnano a perdere la speranza.

La sfida politica dei prossimi mesi, la sfida di tutti i moderati italiani è dunque quella di liberare queste energie, di fare sì che ogni italiano torni ad essere ricettivo a tutto ciò che è bello, buono e grande. Il nostro Paese deve tornare a sfidare gli avvenimenti con la sua volontà e il suo ingegno, dobbiamo ritrovare la gioia al gioco della vita per non lasciarci immobilizzare dal pessimismo e farci corrodere dal cinismo. I moderati, superando le alchimie della politica e i giochi di palazzo, devono esclusivamente regalare all’Italia un desiderio. L’Italia deve tornare a desiderare, perché desiderio nella sua etimologia è sentire la mancanza delle stelle. L’Italia deve tornare a guardare il cielo, quel cielo stellato delle notti italiane cantate da Fossati, e l’Italia deve trovare la sua stella per avere luce e camminare sicura nella notte.

Non si tratta di fare poesia, si tratta solamente di costruire un progetto politico con un’anima, di tornare a credere che la politica non è l’attività della casta, ma il mezzo con cui liberare e convogliare le energie positive della nostra comunità civile. E’ questo il punto di partenza per i moderati italiani.

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La Sardegna passa dalle parole ai fatti e dice SI: aboliamo le province

postato il 10 Maggio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

In tempo di crisi, i costi della politica sono inevitabilemente finiti sull’occhio del ciclone. Fra il populismo e la facile demagogia di chi proclama il taglio netto di tutte le spese conseguenti alla pratica politica (senza però precisare come potrà far politica un operaio o un disoccupato senza mezzi pubblici) e l’immobilismo di una classe politica ormai irrigidita su se stessa e incapace di rispondere alla richiesta di razionalizzazione e austerità che i tempi ci impongono, il dibattito si è dilungato per parecchio tempo, senza portare a soluzioni decisive.

Non dappertutto. In Sardegna, la regione dai Consiglieri regionali pagati meglio d’Italia, con 80 consiglieri regionali e 8 province per poco più di un milione e mezzo di abitanti, il dibattito non si è fermato a parole. Si è scelto di dare la parola ai cittadini, attraverso un referendum abrogativo e consultivo che riguarda appunto temi cruciali quale il numero dei consiglieri regionali e i loro compensi, l’abolizione delle province di nuova costituzione (Olbia-Tempio Pausania, Ogliastra, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias) ma anche di quelle “storiche” (Cagliari, Sassari, Oristano e Nuoro), la riscrittura dello statuto regionale tramite un’assemblea eletta dai cittadini sardi, l’abolizione dei consigli di amministrazione delle agenzie e degli enti controllati dalla regione sardegna e l’elezione diretta del Presidente della Regione attraverso candidati scelti attraverso primarie.

Ha stravinto il Sì, con percentuali oltre il 90% e con un quorum del 35% circa. E dal momento che i primi quattro quesiti, che riguardavano l’esistenza delle ultime province costituite, erano abrogativi, questo ha portato all’immediata riduzione delle province sarde da otto a quattro. Ora il consiglio regionale è impegnato a provvedere alle norme che vadano a riempire il vuoto legislativo creato dall’improvvisa abrogazione degli articoli oggetto di referendum e per dare attuazione alla volontà espressa dai sardi con i referendum consultivi.

La Sardegna, una delle regioni più colpite dalla crisi, con un’economia industriale e agro-pastorale in ginocchio e con vertenze fondamentali aperte da troppo tempo, ha dato una lezione all’Italia. Ha mostrato che rendere la politica meno costosa e più vicina ai cittadini si può, e lo si può fare in poco tempo. Occorre determinazione e buon senso. Che l’Italia, per una volta, prenda esempio, perché i cittadini hanno diritto a istituzioni meno onerose e più efficienti.

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Febbre d’azzardo…

postato il 7 Maggio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Anna Giunchi

Il gioco d’azzardo patologico, classificato in psicodiagnostica all’interno dei disturbi ossessivo-compulsivi, è una problematica da non sottovalutare, soprattutto in conseguenza degli esiti che può determinare nella vita sociale dell’ individuo.  I giocatori compulsivi (o patologici) sono persone incapaci di resistere all’impulso di giocare con somme di denaro, al punto da farlo in maniera cronica e progressiva, fino alla compromissione delle proprie relazioni sociali e familiari. Si è calcolato che i giocatori d’azzardo patologici presentano tentativi di suicidio di 4 volte superiori rispetto alla media dell’intera popolazione. A ciò bisogna aggiungere i danni creati dalla frequente associazione con altre dipendenze, come quelle da alcool o da sostanze stupefacenti.
Le conseguenze più evidenti, tuttavia, sono quelle strettamente legate alle perdite finanziarie, nonchè le ripercussioni sull’ambiente di lavoro e sul contesto familiare.

Tuttavia, grazie alla proposta di legge presentata alle Camere dall’ Udc , firmata dal consigliere regionale dell’Emilia Romagna Silvia Noè, da qui a pochi mesi si compieranno grossi passi avanti nella prevenzione  all’insorgere della patologia.  La proposta di legge parla infatti di un “divieto di installazione dei sistemi di gioco d’azzardo elettronico in luoghi pubblici, o aperti al pubblico, nei circoli e associazioni”. Si parla di una sanzione che va dai 1.000 ai 6.000 euro a dispositivo, e la confisca (con distruzione) degli apparecchi senza autorizzazione.  Accanto al progetto di legge nazionale vi è anche una normativa regionale, firmata dalla stessa Noè, sorta con lo scopo di prevenire tutte le forme di dipendenza particolarmente comuni nelle fasce sociali maggiormente colpite dalla crisi. Vi sono persone che riservano speranze e illusioni nella monetina da un euro, e non vedono più la giocata come intrattenimento, quanto come dipendenza ossessiva.

Nella proposta di legge vi è l’obbligo, per i gestori, “di esporre materiale informativo che evidenzi i rischi connessi al gioco eccessivo”. Riportato, inoltre, il divieto di fare pubblicità sull’apertura o sull’esercizio di sale giochi.

La Regione prevede corsi di formazione per gli operatori delle sale da gioco, nonchè campagne di sensibilizzazione e di sostegno per gli affetti da quella che è una vera e propria patologia: la ludopatia.

Un viaggio di incontro da parte della politica locale verso una problematica di carattere sociale; lo stesso Ministro della Salute Renato Balduzzi ha mostrato il proprio sostegno verso l’iniziativa.

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La spending review è un metodo permanente, non un mezzo occasionale

postato il 3 Maggio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Mario Monti, alla fine, ha dato il via alla tanto attesa seconda fase del suo Governo: dopo le tasse e i sacrifici, ha deciso infatti di mettere mano al taglio della spesa pubblica – condizione necessaria per provare a rimettere in sesto questo Paese. In tutti questi anni, in Italia, ogni politica di crescita economica non è mai riuscita a prescindere dall’aumento della spesa pubblica, dal suo dilatamento e dal suo ingigantimento: servivano investimenti, si diceva; bisognava sostenere la domanda, si aggiungeva; era necessario l’intervento dello Stato, si concludeva.

E così, sotto l’ala della giustificazione nobile, si sono coperti anni e anni di mala politica: la spesa pubblica “improduttiva” (gli sprechi, per intenderci) è diventata sempre più grossa, alimentata da investimenti sbagliati e mal indirizzati, e ha finito per soffocare la parte di spesa “produttiva”, riferita all’erogazione dei servizi pubblici. Epperò, ogni volta che si chiede di tagliare la “spesa pubblica”, parte la corale alzata di scudi: “si taglino gli sprechi, ma non i servizi!”; sacrosanto, ma avete provato a chiedervi “quanti sprechi si annidano tra i cosiddetti servizi?”. Ecco, il Ministro Giarda ha fatto il punto della situazione in un doc che è stato pubblicato sul sito del Governo, oggi: il costo di produzione dei servizi pubblici è aumentato in trenta anni molto di più di quelli del settore privato – con un aggravio di spesa di circa 70 miliardi. E a tutto questo si aggiungono poi le decisioni sulla messa a frutto delle risorse, sbagliate perché influenzate dalla sfera politica e dai numerosi interessi costituiti del nostro Paese.

Tutto questo e molto altro deve essere radicalmente modificato e la decisione del Governo di mettersi all’opera (per ora con le forbici, quando però servirebbe uno strumento un attimino più aggressivo) è sicuramente positiva. Perché, come ha giustamente fatto notare Carmelo Palma su Libertiamo, con questa scelta (forse) si è finalmente capito che il sistema Italia per come ha funzionato finora (e non pensate sia un male recente, basterebbe rileggersi cosa scriveva Sturzo nel ’50), non va bene (non è mai andato bene): se si fa un buco, non lo si può coprire con un altro, “in uscita (e quindi da sinistra) o in entrata (e quindi da destra)”.

La spending review, espressione che speriamo possa presto entrare a far parte del nostro vocabolario politico quotidiano, non è e non può essere solo un “mezzo occasionale”, per evitare qualcosa (come può essere l’aumento dell’IVA ad ottobre): deve essere un “metodo permanente”, per liberare energie nuove e “restituire alla vita l’infrastruttura pubblica”. Solo che, perché questo accada, bravi tecnici e competenze acclarate non basteranno: serve una chiara e decisa volontà politica. E anche un po’ più di onestà intellettuale in materia.

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Sull’IMU Maroni recuperi la memoria

postato il 30 Aprile 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

Stupisce anche chi è abituato a leggere e parlare di politica il candore virginale con cui alcuni esponenti partitici, peraltro con rilevanti ruoli ricoperti nei passati governi, riempiono i media di dichiarazioni in cui si dichiarano accesamente contrari ad un provvedimento di legge che, guarda caso, porta in calce la loro firma. Stiamo parlando, è evidente, dell’IMU e della pretesa “obiezione fiscale” tanto invocata dallo stato maggiore della Lega Nord, a cominciare dal “nuovo” leader Roberto Maroni.

Orbene, se le parole hanno ancora un senso ed i numeri non tradiscono, l’IMU è stata introdotta nell’ordinamento italiano dal Decreto Legislativo 14 marzo 2011 n. 23 recante “Disposizioni in materia di Federalismo Fiscale Municipale”; il suo articolo 8 introduce infatti la famigerata “Imposta Municipale propria” di cui si parla. Scorrendo fino alla fine il testo di legge si scorge la firma del Presidente della Repubblica seguita da quella del Presidente del Consiglio pro-tempore Silvio Berlusconi e poi compaiono le firme degli allora ministri interessati tra cui Tremonti, Bossi, Calderoli e Maroni.

La norma era infatti stata introdotta nell’ambito del pacchetto relativo al federalismo fiscale come parziale ristoro dei tagli lineari fatti ai bilanci degli enti locali; tagli voluti da parte di quel governo sostenuto da una forza politica quale le Lega Nord che in ogni piazza elettorale non mancava di garantire il proprio sostegno a Comuni e Provincie salvo poi avallare la rapina ai danni dei loro bilanci.

Nella sua stesura originaria l’IMU doveva entrare in vigore dal 2014 e forse non era una data proprio casuale se la fine ordinaria della legislatura è prevista per il 2013; imporre nuove tasse è sempre impopolare, meglio se la colpa ricade su qualcun altro. L’anticipazione al 2012 è stata disposta in via sperimentale dal Decreto Legislativo 6 dicembre 2011 n. 201 recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità ed il consolidamento dei conti pubblici” e proprio approfittando del periodo sperimentale sarà possibile correggere alcune anomalie che dovessero manifestarsi.

In queste settimane i partiti, e la politica in generale, sono nell’occhio del ciclone a seguito della scoperta di alcuni imbrogli nella gestione dei rimborsi elettorali e più in generale a causa dei molti demagoghi che non perdono tempo per predicare bene e razzolare male. La serietà, il senso di responsabilità e la capacità di assumersi gli oneri oltre che godere degli onori dovrebbero essere gli antidoti al vento dell’antipolitica. Chi preferisce confondere e mistificare per parlare alla pancia della gente deve essere conscio che maneggia un’arma estremamente pericolosa che facilmente gli si può ritorcere contro.

Non c’è altro modo se non quello di fare le cose seriamente, diceva ieri sera Pier Ferdinando Casini in televisione; speriamo che anche qualcuno dei troppo numerosi arruffapopolo si fosse sintonizzato.

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L’attualità del pensiero di Toniolo

postato il 29 Aprile 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Il magistero ecclesiale ci ricorda che attraverso la venerazione dei beati e dei santi siamo incitati a ricercare la Città futura e attraverso la loro testimonianza ci è insegnata una via sicurissima attraverso la quale, tra le vicende del mondo, è possibile arrivare alla santità secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno.

Ciò è particolarmente vero se consideriamo la vicenda umana e spirituale di Giuseppe Toniolo di cui celebriamo oggi la beatificazione. La straordinaria figura di Toniolo non ci sprona solamente, come credenti, a ricercare la Città celeste ma rappresenta una indispensabile testimonianza, specie per i cristiani impegnati nella società, per vivere al meglio ed edificare la Città terrena. Il fondatore della prima “Democrazia Cristiana” con l’esercizio eroico delle sue virtù non ci ha solamente testimoniato il Regno dei cieli ma ha anche disegnato, attraverso il suo insegnamento, una società che si regge sulla “buona politica” e la “buona economia”.

L’insegnamento di Toniolo non è stato prezioso solamente per i suoi contemporanei ma anche oggi, in tempi di crisi, può essere fonte di ispirazione per un profondo rinnovamento della società. Personalmente sono convinto che avesse ragione lo storico del cattolicesimo democratico Maurice Vaussard quando diceva che Toniolo “ha fatto per la gloria futura dell’Italia, più che due o tre generazioni di politicanti scalmanati, preoccupati di assicurarle innanzitutto il primato delle grandezze della carne”. [Continua a leggere]

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E’ l’ora della spending review

postato il 28 Aprile 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

L’ipotesi di revisione dei meccanismi della spesa pubblica, la cosiddetta “spending review” ha toccato negli ultimi giorni un argomento che rischia di rappresentare uno dei nodi più difficili da sciogliere lungo il percorso di riforma ipotizzato. Il Presidente della Corte dei Conti dott. Luigi Giampaolino, durante l’audizione in Commissione Bilancio della Camera nell’ambito dei lavori preparatori per il Documento di Economia e Finanza 2012, ha parlato espressamente della necessità di “riconsiderare drasticamente” alcune organizzazioni della Pubblica Amministrazione al fine di giungere ad una ottimizzazione della spesa che consenta anche di individuare “distorsioni strutturali connesse agli assetti organizzativi”, facendo espresso riferimento al comparto sicurezza ed ordine pubblico.

Sul medesimo tema e solo qualche ora prima vi era stato anche l’intervento del Ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri che annunciava lo studio di un piano di riorganizzazione delle Prefetture e dei presidi territoriali delle forze dell’ordine oltre all’ipotesi di una riduzione del personale civile grazie alla predisposizione di strumenti di uscita agevolata dal lavoro.

In realtà della questione si era iniziato a parlare già nel corso del convegno “Non c’è Sicurezza senza Giustizia”, organizzato a Roma il 29 marzo scorso dall’Unione di Centro, che ha visto la partecipazione dei ministri dell’Interno e della Giustizia ed è stato concluso da un intervento di Pier Ferdinando Casini. Nel corso della relazione introduttiva, il sen. Achille Serra dopo aver ricordato il duro lavoro svolto dalle forze dell’ordine e le condizioni critiche in cui esso si svolge a causa dei tagli indiscriminati operati in passato, aveva già allora accennato alla necessità di una seria e profonda rivisitazione della legge 121/1981 che porti ad una riorganizzazione delle forze di polizia puntando sull’eliminazione di sprechi e doppioni.

L’obiettivo di una revisione coordinata ed organica del “sistema giustizia e sicurezza” è certamente un traguardo altamente ambizioso e nasconde problematiche tecnico-giuridiche di non facile soluzione; il raggiungimento di tale obiettivo tuttavia consentirebbe, nelle ipotesi di lavoro, un sensibile miglioramento dell’efficienza della macchina amministrativa e contemporaneamente migliori risultati per il servizio reso ai cittadini e migliori condizioni di lavoro per gli addetti al comparto.

Si tratterebbe, in buona sostanza, di una riforma epocale che qualificherebbe molto positivamente il lavoro del cosiddetto “governo tecnico” e, di converso, consentirebbe di dimostrare la coerenza e la responsabilità delle forze politiche che lo sostengono, senza il cui consenso sarebbe impossibile portare a termine una revisione così profonda di un settore cardine della Pubblica Amministrazione.

Ci aspettiamo quindi concreti risultati dall’iniziativa ipotizzata e speriamo che non venga vanificata o depotenziata da timori reverenziali, gelosie o inutili difese di “orticelli” pseudo-privati; la statura di una classe politica si misura con il metro della serietà nell’affrontare le materie più difficili ed impopolari, non diamo all’antipolitica ulteriori occasioni di facile demagogia consentendo ancora una volta alla montagna di partorire il proverbiale topolino.

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L’Europa boccia ACTA. Ora tocca all’Italia.

postato il 27 Aprile 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Buone notizie dal fronte europeo. Il garante europeo dei dati personali, infatti, ha bocciato ACTA, l’accordo commerciale volto a fissare norme più restrittive per contrastare la contraffazione e la pirateria informatica, al fine di tutelare il copyright, le proprietà intellettuali e i brevetti su beni, servizi e attività legati alla rete, sottolineando la vaghezza della terminologia nelle clausole del documento, che lasciavano spazio a troppe interpretazioni. Si tratta di un fondamentale passo avanti, specialmente perché si aggiunge all’importante presa di posizione dell’assemblea parlamentare del Consiglio di Europa, che, nella sua seduta di ieri, ha approvato il rapporto sulla “Protezione della libertà di espressione e di informazione su internet e sui mezzi di comunicazione online”, raccomandando agli stati membri del Consiglio d’Europa che hanno sottoscritto l’Acta, tra cui proprio il nostro Paese (sigh!), di condurre ampie consultazioni pubbliche su eventuali leggi nazionali basate su quel testo, specificando inoltre che qualsiasi legge venga introdotta dovrà in tutti i casi rispettare il diritto a un equo processo, al rispetto della vita privata e quello alla libertà, diritti fondamentali che sono sicuramente molto più importanti della tutela del copyright.

Nel rapporto si chiede poi agli Stati di “tentare di garantire che i service provider non possano indebitamente limitare l’accesso alle informazioni e la loro divulgazione per motivi commerciali o di altra natura” e di renderli quindi legalmente responsabili delle eventuali violazioni dei diritti alla libertà di espressione e di informazione dei propri utenti.

Non per nulla all’interno del parlamento europeo è partita la gara a “demolire” definitivamente il trattato ACTA, con l’ALDE (liberali), che ha annunciato che chiedererà il rigetto totale di ACTA (proponendo che la materia del copyright online sia trattata in modo specifico e non nell’ambito generale della contraffazione). Allo stesso tempo, il gruppo popolare dell’EPP ha tenuto una conferenza stampa spiegando che ACTA non può essere sostenuto a meno che non sia fatta chiarezza sui punti più controversi del trattato, a partire dal fatto che gli Internet providers non possono essere obbligati ad agire come i poliziotti della Rete e dalla necessaria ridefinizione del “large scale IPR infringement”, in modo da non criminalizzare gli utenti in Rete.

Solo che, mentre la bocciatura europea di ACTA rappresenta un ottimo passo in avanti verso il superamento della vecchia concezione dei diritti (copyright vs copyleft, per intenderci) e l’affermazione di nuove tutele, a partire da quelle della libertà individuale degli utenti su Internet, in Italia – as usual – la fuoriuscita dal medioevo digitale appare ancora lunga e faticosa. E questo ci preoccupa, sempre di più.

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25 aprile, il popolo canta la sua liberazione

postato il 25 Aprile 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Il cantastorie ha cominciato a raccontare, 

il tessitore ha cominciato a dipanare,
porta la calce, porta i mattoni il muratore,
cammina l’uomo quando sa bene dove andare.

Il popolo canta la sua liberazione, il popolo canta la sua liberazione.

Il cantastorie ha cominciato a raccontare,
il tessitore ha cominciato a dipanare,
sento la vita che mi scoppia dentro al cuore,
cammina l’uomo quando sa bene dove andare.

Il popolo canta la sua liberazione, il popolo canta la sua liberazione.

(Claudio Chieffo)

Macerie e desolazioni. Le macerie delle città distrutte dalle bombe, dagli incendi e dai rastrellamenti. Le macerie civili di un paese privato della sua libertà e dei suoi diritti mentre  il cielo pesa greve sui sospiri delle anime gementi . Le macerie economiche di un paese mutilato e smembrato, di una rete ferroviaria e stradale distrutta. La guerra era in realtà  finita un anno e mezzo prima, con l’armistizio di Cassibile del 3 settembre 1943, ma l’Italia non trovava ancora pace: i corpi speciali nazisti SS e gli ufficiali della Wermacht avevano occupato le principali città italiane settentrionali governando con pugno di ferro e una lunga striscia di sangue.

Ma all’improvviso una scintilla nel buio, il popolo canta la sua liberazione.

Le forze angloamericane del generale d’acciaio Patton e dell’inglese Montgomery  ,sbarcate nell’estate del 1943 a Pantelleria con l’operazione Husky,  risalivano gradualmente la penisola aiutati dai partigiani, operai e studenti, contadini e intellettuali che lottavano per la libertà nelle città, sui monti e nelle campagne del centro-nord occupate dai tedeschi. Formazioni socialiste, comuniste, cattoliche, liberali, autonome e indipendenti riunite nel CNL, comitato di liberazione nazionale. La linea gotica è ormai superata, le alleati sono alle porte, Mussolini abbandona la prefettura alla volta di Como, il comitato nazionale di Liberazione proclama l’insurrezione armata e la liberazione di Milano.

Ricordate questa data , è una grande data,  il 25 aprile 1945.

La settimana successiva si inaugura il rinato teatro “La Scala” con le musiche di Rossini, Verdi, Puccini e il maestro Toscanini che aveva opposto il gran rifiuto di cantare “Giovinezza”.

E’ il primo segnale di un paese che ha voglia di rimboccarsi le maniche, di costruire un nuovo futuro, di sognare ancora. Il sogno di una generazione che ha sofferto la fame e la guerra ma ha lavorato duramente con il cuore colmo di speranza per un futuro migliore. Quella generazione costruirà un grande paese morale, civile ed economico, la settima potenza economica mondiale.

Oggi,  25 aprile 2012, non abbiamo in casa la guerra mietitrice di uomini e non siamo privati dei diritti civili, ma un ospite inquietante si aggira per le nostre case, una crisi che ci fiacca le reni e ci toglie le speranze, frusta le nostre ambizioni e ci costringe ad essere una generazione dalle passioni tristi. Una crisi economica che si erge a morale e che possiamo combattere soltanto tirando fuori tutta la nostra voglia di fare e di sognare.

Perché, come ci hanno insegnato i nostri nonni, il futuro si costruisce.

Grazie, grazie a tutti voi per questo insegnamento e per la libertà, il dono più grande. 

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Olivelli eroe cristiano

postato il 25 Aprile 2012

Pier Ferdinando Casini, Savino Pezzotta, Enzo Carra, Renzo Lusetti e Gian Guido Folloni in occasione del 25 Aprile hanno sottoscritto questo ricordo per la beatificazione di Teresio Olivelli.

 Oggi celebriamo la Festa della Liberazione.

Questo 25 aprile sarà una giornata dedicata alla memoria. Con la libertà ritrovata non possiamo dimenticare i sacrifici che essa è costata in termini di impegno, di sofferenze e di sangue.

Vogliamo ricordare anche la partecipazione dei cattolici alla resistenza oltre che alla lotta partigiana.

Per i cattolici quello non fu un momento facile, perché si trattava di decidere se per combattere e ridare la libertà all’Italia si dovevano o non si dovevano prendere le armi. Per un cristiano prendere un’arma per uccidere è sempre una lacerazione profonda e una trasgressione del comandamento, della Parola: “non uccidere”.

Eppure non potevano restare inerti e assistere allo sfacelo della Patria. Con altri si sono impegnati perché lo scempio avesse fine.

Tanti pastori e tanti cattolici hanno aperto le porte delle loro chiese, dei conventi, e hanno nascosto tutti quelli che i fascisti repubblichini e i tedeschi cercavano e volevano deportare, imprigionare, uccidere. La loro è stata una resistenza silenziosa, senza clamori e senza l’obiettivo del potere o di accaparrarsi i meriti per il futuro. Il loro unico obiettivo era salvare la vita delle persone e l’onore dell’Italia da altri, purtroppo, calpestato.

Quanti cristiani, laici e sacerdoti, gente del popolo e delle classi agiate parteciparono dunque alla guerra partigiana in montagna, nelle pianure e nelle città.

La loro scelta è stata pagata con il sangue. Preti fucilati, imprigionati, mandati a morire nei campi di sterminio perché avevano nascosto ebrei e fuggiaschi o perché avevano amministrato i sacramenti ai partigiani.

Cristiani, attraversati dal dubbio morale se imbracciare il fucile fosse legittimo, vissero un momento tragico, in cui la colpa e il riscatto convivevano nello stesso cuore. Questo li ha sicuramente fatti più umani.

Ci sono momenti nella storia in cui non ci si può sottrarre, anche a costo di pagare personalmente un prezzo e di vivere con la lacerazione dentro il cuore. Non potevano sottrarsi al dovere morale di battersi, di soffrire e sacrificarsi per la libertà, per aprire le strade della giustizia, per percorre fino in fondo, come quando Cristo scese agli inferi, la strada della salvezza.

Accanto a quelli che imbracciarono le armi ci sono stati altri che parteciparono a modo loro, disarmati, alla Resistenza, dando aiuto e conforto, rischiando anch’essi moltissimo.

Tutti, anche nella dura lotta, conservarono l’ideale della non violenza, della mitezza che restava la stella all’orizzonte. Un punto a cui occorreva tendere.

Oggi, il senso di una libertà conquistata a caro prezzo sembra essersi smarrito nei meandri degli interessi, delle clientele, della corruzione e dell’oblio verso il bene comune.

Essere fedeli agli ideali della Resistenza significa per noi, come allora, essere impegnati a costruire, oltre la crisi, un nuovo ordine sociale, per un’Italia più giusta e solidale, per una nuova economia che abbia al suo centro l’uomo e la sua dignità.

Non vogliamo dare un giudizio liquidatorio sulla attuale situazione politica, sociale ed economica, ma solo avvertire l’esigenza che un rinnovamento della politica non sarà possibile se nel contempo non ci sarà un rinnovamento sociale e se l’economia non tornerà ad essere al servizio della vita buona, più che del puro e semplice guadagno privato. Se la dimensione etica non dominerà la politica.

Si uscirà da questa crisi che sta provocando dolori e sofferenze, se guarderemo ai bisognosi, ai poveri, ai  senza lavoro e se combatteremo contro lo “spread sociale” che sta generando troppe ineguaglianze.

Questo è quanto ci dice la Resistenza, che fu certo lotta armata ma anche e soprattutto espressione di un anelito di libertà e di giustizia.

Per queste ragioni vorremmo anche ricordare che per iniziativa della Curia vescovile di Vigevano è stata promossa la causa di beatificazione di Teresio Olivelli. E’ un’iniziativa che testimonia il valore dell’impegno resistenziale dei cattolici configurandolo nella splendida figura di un eroe, di un comandante partigiano morto nel campo di concentramento di Hersbruck, in un luogo disumano, immolato per amore dei fratelli. Un “ribelle per amore” come lui stesso definì la partecipazione cristiana alla resistenza.

Ci auguriamo che presto la figura di un cristiano come Teresio Olivelli salga all’onore degli altari.

Sappiamo bene che questa decisione è oggetto di un esame ben più alto e diverso da quello che noi possiamo dare. Diciamo con tutta la pacatezza che richiede questo passo, che la beatificazione di Teresio Olivelli assumerebbe oggi un valore enormemente positivo, per la nostra comunità e per la Patria Italiana.

Pier Ferdinando Casini

Savino Pezzotta

Enzo Carra

Renzo Lusetti

Gian Guido Folloni

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