Tutti i post della categoria: In evidenza

I valori della buona politica: Gianna Galzignato

postato il 1 Febbraio 2013

Gianna Galzignato, 47 anni, originaria di Montebelluna (Tv) è una insegnante e attualmente svolge l’attività di vice preside presso l’istituto Comprensivo di Cornuda, in provincia di Treviso. E’ stata consigliere comunale assessore alle politiche giovanili, al bilancio, alla cultura e di vicesindaco del suo paese natio, dal 2008 è anche segretaria provinciale dell’Udc. E’ candidata per la Camera nella lista dell’Udc nel collegio Veneto 2.

Gianna, come hai deciso di candidarti?

Ho deciso di candidarmi perchè credo, malgrado la legge elettorale espropri di fatto dal diritto di esprimere la preferenza al candidato, che la rappresentanza politica nazionale debba essere anche una rappresentanza dei territori e per questo è giusto seguire la strada battuta dall’Udc, quella cioè di mettere, nei collegi alla Camera, rappresentanti del territorio in posizione eleggibile. La mia scelta sulla candidatura è in realtà il frutto di un percorso di riflessione collettiva con tutto il partito di Treviso che mi ha indicato  come figura di sintesi dell’Udc provinciale trevigiana.

Credo in una politica che debba proseguire sulla strada del risanamento della finanza pubblica come pre-requisito alla ripresa del Paese, ma le misure di rigore e riqualificazione della spesa devono essere funzionali ad un nuovo slancio riformista, che metta come priorità un programma che ristrutturi e potenzi il welfare, in primis per la famiglia e sul lavoro,  che ponga le condizioni per lo sviluppo del sistema economico e la ripresa del reddito dei lavoratori, la riduzione ragionevole del carico fiscale a partire dagli investimenti privati e  le imposte sulle famiglie a più basso reddito e numerose,  una inversione di tendenza sulla stretta agli enti locali, che sono i primi erogatori di servizi alle comunità e che oggi vivono una drammatica difficoltà che non può essere risolta con nuove tasse. Penso che l’investimento sulle infrastrutture sociali, sanità, scuola e tutela dei più deboli, non sia mai uno spreco di denaro pubblico ma, appunto, un investimento e anche un priorità etica. Così come ritengo ineludibile una riforma del sistema politico, oggi troppo distante dalla gente di cui spesso non riesce accogliere i veri bisogni e le vere necessità, a partire da un maggior collegamento fra eletto e territorio.

Perché proprio nell’Udc?

Nell’Udc ritrovo la storia della mia esperienza, i valori di una buona politica che deve essere riscoperta perché protagonista degli anni migliori di una Italia a cui è stata garantita prosperità e libertà. Nell’Udc, poi, perché mi ritrovo convintamente nella difesa dei valori della tutela della persona umana, della sua dignità anche economica e quindi nella visione dell’economia sociale di mercato, caposaldo della visione di società dei popolari italiani e europei.
Perché votare l’Udc?
Votare per l’Unione di Centro, nell’ambito dell’alleanza che ruota intorno alla figura di Mario Monti, significa dare seguito alle buone politiche che hanno salvato l’Italia dal tracollo greco puntando però, oltre al rigore, a iniziative fortemente improntante alla dimensione della difesa del sociale come cemento della comunità, alla centralità della persona umana e alla sua primazia rispetto all’economia. Basandosi su valori autentici che vanno oltre il relativismo e il materialismo di visioni laiciste, moralmente ed eticamente indifferenti e anche ad un eccessivo tecnicismo che spersonalizza la politica e l’economia e che rischia di considerare il cittadino solo come fattore di produzione o consumatore.

 

6 Commenti

La persona ‘al centro’: Laura Marsala

postato il 30 Gennaio 2013

Laura Marsala è nata a Enna il 2 agosto 1979. Cresciuta a Calascibetta, piccolo paese della provincia di Enna, dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Palermo decide di iniziare la pratica notarile e la pratica forense fino al conseguimento del patrocinio legale. Nel 2009, il percorso formativo le consente di avviare lo studio professionale legale ma anche di realizzare la costituzione di un’attività imprenditoriale che oggi la vede Presidente. Al lavoro ha sempre coniugato l’impegno nel campo sociale, culturale, religioso e politico. Oggi è Presidente di diverse realtà associative e candidata alla Camera per l’Udc nel collegio Sicilia2.

 Laura, come hai deciso di candidarti?

 Ho accettato di candidarmi, incoraggiata dal nostro segretario regionale Gianpiero D’Alia e dal movimento giovanile, come segno e testimonianza di una militanza attiva all’interno del partito.

Perché proprio nell’Udc?

 Ho deciso di accettare la candidatura nell’ UDC perché questo partito nella sua azione di rinnovamento oltre a dare spazio ai giovani e alle donne, guarda anche a tutte quelle forze che partecipano con responsabilità, serietà e trasparenza.

 Perché votare l’Udc?

 Occorre votare l’Udc per la credibilità della sua azione politica che pone al centro la “persona” e per i criteri utilizzati nella scelta delle persone che la rappresenteranno. Ed ancora, per la sua vicinanza ai valori cristiani che sostengono la cellula primitiva della società che è la famiglia.

Commenti disabilitati su La persona ‘al centro’: Laura Marsala

Impegno e difesa dei valori: Federico Gorbi

postato il 28 Gennaio 2013

Quarantaquattro anni, sposato con due figli, Federico Gorbi svolge la professione di assicuratore e promotore finanziario. Da sempre impegnato in parrocchia vive nel suo comune, Serravalle Pistoiese, la dimensione dell’impegno politico come consigliere comunale. E’ candidato dell’Udc alla Camera nel collegio della Toscana.

Federico, perché hai deciso di candidarti?

Mi candido perché spero di non vedere più politici incapaci, quando va bene, e corrotti, quando va peggio. Penso che in Italia ci sia tanto da fare: creare più posti di lavoro, aiutare le famiglie e  incrementare la natalità, rendere le nostre città più sicure, avere una scuola che aiuti a crescere e che premi il merito, semplificare la burocrazia, dare più efficienza al sistema giudiziario, ridurre la pressione fiscale, per azzerare gli sprechi e ridurre il debito pubblico. Per fare tutto questo ognuno ha la sua ricetta ma prima del programma credo che bisognerebbe sempre “controllare” chi propone: per questo ho scelto la coalizione che sostiene Mario Monti.
Monti non sarà stato perfetto, non avrà fatto tutto quello che c’era da fare, avrà pure commesso tanti errori, ma ha governato un anno, solo un anno, e se l’Italia si trovava nella situazione che ha ereditato non è certo per colpa sua.

Anzi, con serietà, ha scelto di parlare con il linguaggio della verità, della cruda verità, ed ha detto che c’erano dei sacrifici da fare ma era l’unica via per saldare i debiti accumulati da altri e per non fallire.

Perché proprio nell’Udc?

La politica non è solo numeri, non può ridursi solo a ricette economiche. Se si sceglie, come ho fatto io, di entrare in qualche lista è perché si spera di fare qualcosa di buono ma anche perché si crede di poter difendere il proprio patrimonio di valori. Per questo il mio partito è l’Udc: perché io sono per la difesa della famiglia composta da un uomo e una donna, penso che la vita sia sacra, sono convinto che il lavoro sia un valore e ritengo che il diritto all’educazione debba essere esercitato liberamente, credo che la salute sia un diritto inviolabile per ogni uomo e ogni donna.

Appello finale, perché votare l’Udc?

Gli italiani hanno potuto capire, negli ultimi anni, quello che Pier Ferdinando Casini e l’Udc avevano da tempo denunciato: il bipolarismo muscolare e rissoso della seconda Repubblica è fallito, ha prodotto solo ritardi nel nostro sistema istituzionale, giudiziario e produttivo che oggi ci relegano tra i fanalini di coda dell’Europa. L’Udc aveva capito prima degli altri dove stavamo andando e, prima degli altri, può capire, interpretare e indirizzare anche il nostro futuro.

Federico Gorbi è su Facebook, Twitter, Google Plus e ha un suo blog.

Commenti disabilitati su Impegno e difesa dei valori: Federico Gorbi

In ricordo di tutte le vittime dell’Olocausto

postato il 27 Gennaio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

Fu un giorno speciale, quel fatidico 27 gennaio del 1945. Le truppe dell’Armata Rossa abbattevano i cancelli del campo di sterminio nazista di Aushwitz, in Polonia, mostrando al mondo la più grande  barbarie del Novecento. L’espressione più compiuta di tutti i crimini contro l’umanità ha avuto il suo teatro in quei luoghi del male, milioni di persone, vittime incolpevoli della follia di un uomo, deportate dalle loro case verso i forni crematori.

Nel 2000 il Parlamento italiano ha voluto istituire una giornata che ricordasse quello che è stato, una “Giornata della Memoria”, fissata in questa data così evocativa, una presa di coscienza nazionale sulla pagina più orrenda del secolo che ci siamo lasciati alle spalle.

Il valore della memoria nelle società attuali si sostanzia nella convinzione che la storia è necessariamente maestra di vita. Deve poterci indicare gli errori del passato, darci gli strumenti per voltare pagina e far calare il sipario sull’orrenda scena dell’Olocausto, assurto a simbolo del male assoluto. Del resto come potremmo dimenticarci di quei sei milioni di ebrei che hanno perso la dignità, la libertà, la vita sotto i colpi di un’ideologia criminale, che aveva la folle missione di cancellare dall’Europa un popolo intero. Ma non dobbiamo essere parsimoniosi nel ricordare, nel renderci conto di cos’è avvenuto solamente sei decenni fa, nel tenere sempre fermi i principi di giustizia, uguaglianza, libertà, umanità.

Il nostro pensiero è certamente stato condizionato dall’immaginario tremendo restituitoci dalle testimonianze dei sopravvissuti, dalle pagine di tutta una letteratura bellissima, Primo Levi, Elie Wiesel, Jonah Oberski, Anna Frank, e tanti altri, con le loro opere che valgono più di mille documentari, uomini e donne, bambini e bambine che hanno vissuto sulla propria pelle i risultati dell’odio, della sopraffazione, della coscienza criminale. La memoria è celebrazione ma anche immedesimazione nelle esistenze di chi ha visto e ha potuto testimoniare: la vita da perseguitati, la mancanza di libertà, le atrocità dei lager, la perdita di ogni diritto, persino quello alla vita. Memoria non è solo monito civile, pubblico, solenne, quello delle istituzioni, che pure è fondamentale, memoria è presa di coscienza individuale, è comprendere il significato vero di quelle parole fissate per sempre nelle pagine della mente e del cuore.

Siamo figli di una cultura che per fortuna ci ha trasmesso il rispetto delle libertà e delle diversità, i nostri ordinamenti democratici fissano in maniera chiarissima quei valori inderogabili che ci proteggono dalle derive autoritarie, illiberali e criminali. Ma non basta affidarsi ai risultati raggiunti dalle nostre democrazie e giudicare sufficienti questi argini formali per onorare chi ha finito i suoi giorni nei campi di sterminio. Occorre convincersi che da un momento all’altro il germe dell’intolleranza, dell’odio e della violenza come risposta può attecchire in certe coscienze. Dobbiamo essere forti e trarre insegnamento, soprattutto noi giovani – meno esposti alla falsa retorica e all’ipocrisia – dall’esperienza e dalla storia, trarre spunto per il nostro futuro, sulle orme di chi aveva davanti a sé la fine di tutto, ma non rinunciava a sperare in un futuro migliore, luminoso, giusto.

Oggi ci serve davvero un’iniezione di speranza. Anche per rispetto nei confronti di tutti i perseguitati che il 27 gennaio ricordiamo: gli ebrei, gli oppositori politici, i personaggi scomodi, gli omosessuali, gli zingari, i portatori di handicap, i malati di mente, i testimoni di Geova, uomini e donne come noi vittime di un’ideologia malvagia che non ammetteva i “diversi”. E la speranza è propria dei giovani, di chi crede ancora nel futuro e lo vuole bello e vivibile per tutti.

La speranza di Anna Frank, che nel suo “Diario” ci ha lasciato un passo bellissimo, indescrivibile, con un messaggio positivo sebbene fosse consapevole che la fine stava per arrivare, che dobbiamo davvero prendere a monito:

Vedo che il mondo lentamente si trasforma in un deserto, sento sempre più forte il rombo che si avvicina, che ucciderà anche noi, sono partecipe del dolore di milioni di persone, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si tornerà a volgersi al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che nel mondo torneranno tranquillità e pace. Nel frattempo devo conservare alti i miei ideali, che forse nei tempi a venire si potranno ancora realizzare!

E Jona Oberski, giovanissimo autore di “Anni d’infanzia. Un bambino nei lager”, scritto durante la sua prigionia ci ha lasciato un altro insegnamento importante:

Guarda sempre il cielo e non odiare mai nessuno

Così sarà.

Commenti disabilitati su In ricordo di tutte le vittime dell’Olocausto

Contratto con gli italiani? No, grazie!

postato il 22 Gennaio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Nel 2001 Berlusconi da Vespa firma il “Contratto con gli Italiani”, una mossa pubblicitaria spettacolare, condita dalla promessa che se non avesse raggiunto almeno 4 risultati su 5, non si sarebbe ricandidato. Ebbene sono stati raggiunti i risultati? Come illustrerò tra poco, la risposta è pesantemente negativa, ma prima vorrei che fosse chiaro un concetto: il Contratto con gli Italiani è stata una bufala, una mossa pubblicitaria con meno vincoli della pubblicità; perché almeno quest’ultima deve essere “veritiera e non ingannevole”, mentre il Contratto con gli Italiani non era nulla di tutto questo. Era uno scherzo, se vogliamo essere buoni e generosi.

E, badate bene, questo non lo dice un antiberlusconiano di ferro; non lo dice un rivale politico di Berlusconi; assolutamente no. Questo lo afferma lo stesso Berlusconi in tribunale. Dovete sapere che nel 2006 un giovane italiano citò in giudizio Berlusconi perché non aveva rispettato il Contratto con gli Italiani; ebbene la difesa di Berlusconi (il materiale è depositato in tribunale, quindi liberamente consultabile) fu che il contratto era “nullo”, dunque nessuno può pretenderne il rispetto: era un semplice “programma politico”. La difesa Berlusconi ammette addirittura che gl’impegni non furono rispettati, anche se accampa le solite scuse: “Se il mancato raggiungimento di una o più parti del programma politico si è verificato, cioè è dovuto a fattori politico-economici imprevedibili e indipendenti dalla volontà del dr. Berlusconi: a partire dell’attentato alle torri gemelle fino al buco di 37 mila miliardi di lire scoperto dopo l’insediamento del Governo…”.

Poi, a scanso di equivoci, invoca l’immunità parlamentare: il Contratto-non contratto rientrerebbe “nell’attività insindacabile” protetta dall’art.68 della Costituzione che “comporterebbe l’improcedibilità del giudizio o la sospensione del processo” in attesa dell’autorizzazione a procedere della Camera.

Ma a questo punto, se lo stesso Cavaliere, sapeva che il contratto era nullo, allora perché firmarlo?

Domanda che probabilmente non avrà mai risposta. Detto ciò, è possibile dare pienamente ragione alla stessa difesa di Berlusconi: il programma non è mai stato lontanamente raggiunto, e per capirlo basta osservare i 5 punti e cosa è stato fatto (poco) e cosa non è stato fatto (molto):

TASSE

La promessa: Abbattimento della pressione fiscale:

● con l’esenzione totale dei redditi fino a 22 milioni di lire annui (11.362 euro circa);

● con la riduzione al 23 per cento per i redditi fino a 200 milioni di lire annui;

● con la riduzione al 33 per cento per i redditi sopra i 200 milioni di lire annui;

● con l’abolizione della tassa di successione e della tassa sulle donazioni.

Il primo punto non è stato minimamente rispettato, infatti l’esenzione per il lavoratore autonomo è solo se si percepiscono 4.800 euro l’anno, mentre per il lavoratore dipendente, l’esenzione è fino a 8.000 euro. Da queste cifre in poi si pagano le tasse.

Anche secondo e terzo punto non sono stati rispettati, come si può vedere da qualsiasi tabella sugli scaglioni IRPEF. In particolare la riduzione al 23 per cento si ha solo per chi ha un reddito uguale o inferiore a 15 mila euro. Sopra i 15.000 euro si paga ben più del 23% di aliquota. Per i redditi alti (sopra i 75.000 euro) si paga il 43% (mentre Berlusconi aveva promesso il 33.

Le tasse sulle successioni e sulle donazioni sono state abolite nel 2001. Successivamente il governo Prodi ha reintrodotto l’imposta, ma solo per grandi patrimoni.

DISOCCUPAZIONE

La promessa: dimezzamento dell’attuale tasso di disoccupazione, con la creazione di almeno 1 milione e mezzo di posti di lavoro.

L’occupazione, dal terzo trimestre 2001 (quando è salito in carica Berlusconi) al terzo trimestre 2011 è passata da 21 milioni 798 mila a 22 milioni 865 mila unità, ovvero circa 1 milione di posti di lavoro. Tale incremento è legato quasi esclusivamente a ragioni demografiche ed emersioni del lavoro nero. Questo lo si vede dal tasso di occupazione (occupati in rapporto alla popolazione in età lavorativa) che è, infatti, passato dal 55,9 al 56,8 per cento.

Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione, siamo passati dal 9,6% (ultimo trimestre 2000) al 7,5% nel 2005, mentre nell’ultimo trimestre 2010 era all’8,5%. Berlusoconi non lo ha dimezzati (ovvero passare dal 9,6% al 4,8%).

PENSIONI

La promessa: Innalzamento delle pensioni minime ad almeno 1 milione al mese (cifra espressa nelle vecchie lire, ovvero circa 520 euro).

Nel 2006 si può stimare, con l’indagine dello stesso anno della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie, che vi fossero ancora 4,4 milioni di persone con pensione inferiore ai 550 euro.Oggi, a dieci anni di distanza dal “contratto con gli italiani”, la pensione minima è pari a 467,43 euro (905.070,69 lire) a meno di appartenere a un ristretto gruppo di pensionati che soddisfino requisiti di reddito (non superiore ai 7.850,31 euro se singolo e, se coniugato, il reddito cumulato con quello del coniuge non deve essere superiore ai 13.275,21 euro) e vecchiaia (a partire dai 70 anni).

CRIMINALITA’

La promessa: L’introduzione del poliziotto, carabiniere o vigile di quartiere nelle città col risultato di una forte riduzione del numero dei reati rispetto agli attuali 3 milioni

Nel 2001, in base ai conti dell’Istat, il numero dei reati non era di 3 milioni, come sosteneva Berlusconi nel salotto di Vespa, ma di 2.163.826. In totale dal 2001 al 2006 i reati sono aumentati del 28,0 per cento. Nel 2006 si sono registrati 2.771.490 reati. Nel 2011, 2.629.831 reati, con un incremento del 21,5 per cento rispetto a dieci anni fa.

GRANDI OPERE

La promessa: Apertura dei cantieri per almeno il 40 per cento degli investimenti previsti dal “Piano decennale per le grandi opere” considerate di emergenza e comprendente strade, autostrade, metropolitane, ferrovie, reti idriche e opere idro-geologiche per la difesa dalle alluvioni.

Premetto subito che qua si potrebbe discutere all’infinito su cosa si intende per “apertura dei cantieri” e per “opera cantierabile”. Se partiamo dalla Legge obiettivo approvata dalla amggioranza nel 2001, troviamo 196 opere (di cui 126 relative ai trasporti), poi portate a 348 per 358 miliardi di spesa. In seguito l’elenco fu portato a 348 opere per complessivi 358 miliardi di euro.

Dopo dieci anni, le opere realizzate, cantierate o in gara (che possono essere ancora molto lontane dall’essere cantierate) sarebbero il 32,2 per cento del totale. Sulla base di queste fonti, nel 2006, alla scadenza del contratto, il traguardo del 40 per cento era perciò assai lontano.

Volendo fare affidamento su dati ufficiali, bisogna restringere lo sguardo alle sole opere approvate dal Cipe tra il 2002 e il 2010 – ma che comprendono anche opere estranee al settore dei trasporti. Facendo le somme si ricava che le opere realizzate o almeno cantierate rappresentano una spesa inferiore al 23 per cento del totale approvato. Il numero, invece, è più elevato perché sono stati realizzati o cantierati progetti molti piccoli o micro lotti (come quelli dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e di altre opere stradali).

Nel 2008, Berlusconi, conscio che il contratto con gli italiani del 2001, era stato disatteso (come lui stesso ha ammesso in tribunale), si è fatto furbo (o almeno pensa di esserlo più degli italiani) e cosa fa? Non parla di contratto, ma di un generico programma, senza però dare obiettivi precisi. Eppure, qualche promessa il Cavaliere doveva farla; la fece e, inevitabilmente, la disattese.

Che promesse fece nel 2008 e cosa realizzò?

Ecco sinteticamente un excursus del programma politico del PDL nel 2008, che è stato quasi interamente disatteso, e per di più con costi esorbitanti per i cittadini.

ABOLIZIONE PROVINCE

Mai realizzato, anzi neanche mai proposto e discusso in Parlamento.

RISANAMENTO ALITALIA

 Alitalia dal 2008 ad oggi non ha mai prodotto utili, lo Stato ha pagato la cassa integrazione per migliaia di dipendenti, ha rimborsato azionisti e obbligazionisti e la compagnia aerea ormai ha esaurito tutta la cassa, brucia 670.000 euro al giorno e si parla di una sua cessione ad Air France. Tutta la procedura del piano Fenice è costato agli italiani 3 miliardi di euro secondo alcune stime, secondo altre si parla di 4 miliardi di euro.

CLANDESTINI

 Sul fronte immigrazione, aveva affermato: «aumenteremo il numero dei Centri di permanenza temporanea per l’identificazione e l’espulsione degli extracomunitari clandestini». Non solo Berlusconi non ha aumentato il numero dei CPT, ma nel 2008 si è impegnato con il governo libico di Gheddafi a pagare 5 miliardi di euro in 20 anni se la Libia avesse bloccato “in ogni modo” le partenze dei barconi con gli immigrati irregolari.

TASSE PER IMPRESE

• graduale e progressiva detassazione delle “tredicesime” o di una mensilità: mai discusso, anzi già dopo le elezioni ha dichiarato che non sarebbe stato possibile farlo.

• rimborsi IVA in tempo commerciale (da 60 a 90 giorni), per lasciare liquidità nelle imprese: mai votato in Parlamento.

• eliminazione di adempimenti burocratici e fiscali superflui e costosi;

• riforma degli studi di settore, partendo dalle realtà economiche territoriali e coinvolgendo anche i Comuni;

• graduale e progressiva abolizione dell’IRAP, a partire da quella sul costo del lavoro e sulle perdite; ebbene l’Irap non è mai stata abolita o ridotta, d’altronde l’irap pesa per circa 40 miliardi e copre circa il 30-40% delle spese sanitarie, per poterla abolire bisogna prima capire dove reperire queste risorse.

• graduale e progressiva riduzione dell’IVA sul turismo: non solo non lo ha fatto, ma anzi ha creato la tassa di soggiorno pari a 5 euro per persona per ogni giorno di soggiorno presso strutture ricettive in città d’arte o luoghi turistici;

TASSE PER LE FAMIGLIE

• graduale e progressiva introduzione del “quoziente familiare” che tenga conto della composizione del nucleo familiare: mai proposto o anche solo ipotizzato.

• abolizione delle tasse sulle successioni e sulle donazioni reintrodotte dal governo Prodi;

• diminuzione della pressione fiscale sotto il 40% del PIL: sotto il Governo Berlusconi la pressione fiscale nel periodo 2008-2011 è stata stabilmente sopra il 42%:

• graduale e progressiva tassazione separata dei redditi da locazione;

 GIUSTIZIA

• attuazione dei principi costituzionali sul giusto processo per una maggiore tutela delle vittime e degli indagati;

• aumento delle risorse per la giustizia;

• costruzione di nuove carceri e ristrutturazione di quelle esistenti: non solo non ha costruito nuove carceri, ma ha sottratto 70 milioni di euro al progetto di ristrutturazione delle carceri esistenti e 100 milioni al programma di rieducazione dei carcerati

• rafforzamento della distinzione delle funzioni nella magistratura, separazione delle carriere, responsabilità civile dei magistrati;

• riforma dell’uso delle intercettazioni;

 SUD

• piano straordinario per il potenziamento delle infrastrutture, la creazione di porti franchi, una legge obiettivo per i beni culturali: nulla di tutto ciò è anche solo mai stato proposto.

 Sembra proprio il caso di dire: contratto con gli italiani? No, grazie!

Commenti disabilitati su Contratto con gli italiani? No, grazie!

Per il buon governo e la buona politica, #popolarisempre

postato il 18 Gennaio 2013

di Adriano Frinchi

Il 18 Gennaio del 1919 con l’Appello ai liberi e forti don Luigi Sturzo dava vita al Partito Popolare Italiano, un evento che lo storico Federico Chabod non esitò a definire come “l’avvenimento più notevole della storia italiana del XX secolo”.

A 94 anni di distanza cosa rimane dell’inizio dell’avventura politica dei democratici cristiani? Rimane tutto, rimane sopratutto un’eredità politica a cui dare pieno compimento.

E in questi tempi di crisi e di anti politica l’esperienza del Ppi e l’insegnamento di Sturzo sono più preziosi che mai e rappresentano un richiamo costante al buon governo e alla buona politica.

Sturzo fu maestro di buona governo non solo per la qualità del suo insegnamento sociale ma anche per il suo esempio di amministratore. Il prete di Caltagirone, che fu anche pro-sindaco del suo comune, oltre che ottimo prete fu amministratore eccellete, anzi uno statista come ebbe a dire Oscar Luigi Scalfaro: “fu statista, se statista vuol dire avere visione strategica della vita del proprio popolo; statista, se vuol dire avere dello Stato una limpida concezione laica, come della casa di tutti; statista, se vuol dire avere, insegnare e vivere il senso dello Stato, che è il senso degli altri, della libertà, della giustizia anzitutto per gli altri”.

Per Sturzo c’è buon governo solamente se c’è buona cultura. Così diventa imprescindibile per chi vuol ben governare saper fare buona politica.  Scriveva infatti il fondatore del Ppi: “C’è chi pensa che la politica sia un’arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenza, si attua con furberia. È anche opinione diffusa che alla politica non si applichi la morale comune, e si parla spesso di due morali, quella dei rapporti privati, e l’altra (che non sarebbe morale nè moralizzabile) della vita pubblica. La mia esperienza lunga e penosa mi fa invece concepire la politica come saturata di eticità, ispirata all’amore per il prossimo, resa nobile dalla finalità del bene comune”.

La buona politica dipende per Sturzo da una profonda e intima adesioni ad ideali incorruttibile. In questo senso la sua voce indirizzata ai  membri del consiglio nazionale della Democrazia Cristiana risulta limpida e ancora attuale: “C’è qualcosa che dipende da voi e qualcosa che dipende dagli eventi. Da voi dipende la fermezza nei principi e la fedeltà allo spirito della Democrazia Cristiana che deve vivificare tutta l’azione politica e sociale (…). Non mirate al puro successo materiale. Quando vi sono ostacoli, vanno prese iniziative per irrobustire lo spirito, al di sopra degli elementi tecnici e pratici della vita politica. Su questo punto occorre rifarsi al Vangelo, che ci ammonisce di essere distaccati dai mezzi materiali, non per schivare il lavoro in una fiducia passiva nella Provvidenza, ma per non perdere mai il contatto con gli ideali. ‘Cercate il regno di Dio ed il resto vi sarà dato’. Gli ideali su cui fondare ogni sana azione politica sono la giustizia e la libertà; giustizia e libertà sono gli ideali della Democrazia Cristiana”.

Ricordare l’anniversario della nascita del Partito Popolare Italiano non è una formalità e non può essere uno stanco rituale, ma è un appello a non disperdere il prezioso insegnamento sturziano a dare nuovo vigore all’esperienza politica dei cattolici. A questo appello è tenuto a rispondere chi ha voluto, ancora una volta, lo scudocrociato presente sulla scheda elettorale, chi si è impegnato a costo dell’impopolarità per il buon governo e la buona politica.

Lo sforzo titanico dei liberi e forti che vollero il Ppi è ancora attuale e corre anche sui 140 caratteri di Twitter: #popolarisempre.

Commenti disabilitati su Per il buon governo e la buona politica, #popolarisempre

La leggenda del voto (in)utile

postato il 17 Gennaio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Scavone

Una buona parte dei nostri rappresentanti è solita fare politica tramite annunci, belle parole, promesse e sogni. E questo è sotto gli occhi di tutti, soprattutto nel periodo della campagna elettorale, quando ognuno promette e dice di tutto. Oggi voglio fare una considerazione sul voto utile, espressione che sta occupando a dismisura gli annunci televisivi degli esponenti dei due poli tradizionali. Ci invitano a non disperdere il voto, a indirizzare le nostre scelte verso gli schieramenti maggiori, convinti di avere il mano le formule vincenti e i numeri adatti.

Ma andiamo per ordine. Questa storia del voto utile non è nuova alla politica, l’abbiamo sentita ripetere più volte. Anche nel 2008, quando il bipolarismo sembrava essere un approdo inevitabile e centrosinistra e centrodestra si spendevano in accorati appelli. I fan di questa visione politica sembrarono avere la meglio: gli italiani assegnarono una maggioranza solida ad uno dei due poli e tagliarono fuori le ali più estreme. In realtà, col senno di poi, dobbiamo renderci conto che questo ragionamento fu inutile e controproducente già allora: una maggioranza bulgara con 100 parlamentari di scarto fu vittoriosa alle urne ma sconfitta alla prova dei fatti. Presto si capì che si era parlato più di numeri e di promesse che di programmi e soluzioni e che uno schieramento così eterogeneo non poteva assolvere completamente il suo compito di Governo. Se  però facciamo uno sforzo di memoria – lo so, noi italiani tendiamo a dimenticare, ma spremiamo le meningi! – ricorderemo che sempre nel 2008 il bipolarismo non cannibalizzò tutto lo scenario partitico e politico. Riuscì a superare la soglia di sbarramento oltre ai due poli solo l’Udc che, dopo una legislatura all’opposizione del Governo Prodi e del predellino di Berlusconi, aveva candidato a premier Casini. C’era già allora la convinzione che vincere non significasse arruolarsi in uno dei due grandi schieramenti e nemmeno richiedere un po’ di potere sedendo nel Governo di turno, bensì testimoniare con audacia una posizione autonoma. E il coraggio fu premiato da molti elettori che non si lasciarono incantare dal ritornello del voto utile e fecero una scelta consapevole, prima dei tanti che a poco a poco hanno sconfessato il bipolarismo, abbandonando i partiti-ammucchiata.

Gli esiti della legislatura appena conclusa sono ben chiari, e con essi il dichiarato fallimento della politica bipolare all’italiana. A cosa servirebbe oggi il voto utile? A riproporre in Parlamento gli stessi schieramenti che hanno fallito in passato? Io non ci sto. Perché sono convinto che un’idea vada calibrata non sulle base dei numeri, ma dei contenuti. Servirebbe una campagna elettorale con meno sondaggi e più programmi, che consideri l’elettore non un numero ma un cittadino a cui offrire concrete soluzioni.

Se ci soffermiamo ancora un attimo a ragionare sulla questione del voto utile possiamo renderci conto di altre contraddizioni. Ci invita a votare per i grandi partiti chi intanto mette su coalizioni formate da tanti partitini satelliti. Fa questi appelli chi dice che questo tipo di voto serva agli italiani a sapere la sera stessa delle elezioni chi governerà, ma poi non ha definito con chiarezza un candidato premier. In mezzo a loro c’è anche Vendola, lui che solo nel 2008, escluso dalla coalizione di centro sinistra, diceva: “Dateci un voto meravigliosamente inutile, sono visceralmente stufo di vivere nella società dell’utilitarismo. E poi, a chi chiede un voto utile, risponderei: utile a chi? A cosa?” Registro con sorpresa che il leader di Sel abbia rimangiato questa considerazione e mi permetto di farla mia.

Sia chiaro: non sto facendo un elogio alla frammentazione, ma delle considerazioni che sono evidenti già di per sé. Mi piacerebbe che tutti i partiti e le formazioni riflettano attentamente su questo tema e la smettano di fare una campagna vuota. Mettiamo in soffitta questo spauracchio del voto utile, insieme a sondaggi pilotati e previsioni apocalittiche. Il mio voto, come quello di tutti gli italiani, ha un valore immenso, non è un numero. Io il 24 e il 25 febbraio voglio fare una scelta non “utile” (né inutile), ma intelligente.

Commenti disabilitati su La leggenda del voto (in)utile

Se tornano le tifoserie in politica…

postato il 17 Gennaio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

La campagna elettorale è iniziata. Ce ne siamo accorti dal fatto che si è quasi smesso di parlare di programmi, dei problemi degli italiani, della crisi. Mentre sempre più spesso si sente parlare di alleanze, schieramenti, “nemici” contro i quali schierarsi. A volte verrebbe da chiedersi se ci aspettano delle elezioni per il rinnovo del Parlamento o una guerra senza esclusione di colpi.

Esattamente ciò che succede da vent’anni.

La cosiddetta “seconda repubblica” è caratterizzata da un siparietto dove le campagne elettorali si svolgono denigrando l’avversario, promettendo tutto e il contrario di tutto pur di raccattare il voto e pianificando ogni singola virgola in base all’ultimo sondaggio. Una volta arrivati all’ambita poltrona, si dovrebbe smettere di farsi la guerra e iniziare a governare seriamente, no? Manco per niente!!! Eh già, perchè 5 anni passano in un baleno (arrivarci poi, alla fine dei 5 anni…), quindi occorre pensare a modificare l’aspetto istituzionale del paese in modo da assicurarsi la vittoria, con leggi elettorali degni dell’enigmista, abolire tutte le tasse abolibili forti dell’eterna riconoscenza degli italiani (e pazienza, se i conti pubblici si sballano irreversibilmente, domani ci penseremo…), modificare qualche legge qua e la per assicurarsi l’eterna immunità da quei cattivoni dei giudici… L’opposizione, nel frattempo, boccia tutto il bocciabile, senza preoccuparsi di spiegare agli italiani il perchè del voto contrario o una soluzione alternativa: una proposta del nemico è da bocciare per definizione, e le soluzioni alternative in guerra non servono a nulla. Oltretutto, l’opposizione non è mica scema, sa che se elimini Road Runner poi Willy il Coyote non se lo fila nessuno, pertanto stanno attenti a non sconfiggere mai definitivamente il nemico, non sia mai che poi si debbano inventare qualcosa da fare.

Negli ultimi 13 mesi però questo incantesimo si è temporaneamente rotto: il governo tecnico ci ha costretto a pensare ai conti pubblici, ad affrontare davvero i problemi del paese e a sciogliere quei troppi nodi che ormai erano arrivati al pettine. Ma una volta sciolti i primi nodi, quando il rischio di diventare un paese normale era troppo forte, ecco che gli eterni Tom e Gerry sono tornati alla ribalta: tolto di mezzo il Professore che ha dimostrato di non saper stare al gioco, si è ripreso a giocare a farsi la guerra, tanto, se siamo durati così vent’anni, possiamo continuare ancora per un bel po’.

Il problema però è che stiamo parlando non dell’ultimo gioco della Playstation, ma dell’Italia. Del nostro presente e futuro. Apriamo gli occhi e pensiamo che il 24 Febbraio 2013 non dobbiamo decidere chi vince fra due squadre di calcio, dobbiamo scegliere chi guiderà il paese. Ora, come tifosi non ci batte nessuno, ma per una volta lasciamo a casa le sciarpe e le bandiere, e portiamo la testa al seggio.

Commenti disabilitati su Se tornano le tifoserie in politica…

Salario minimo garantito, cos’è?

postato il 17 Gennaio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi giorni Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo (organismo che riunisce i ministri dell’Economia dell’area Euro), ha parlato del salario minimo garantito augurandosi che sia adottato da tutta la UE.

Ma cosa è il salario minimo garantito? La domanda non è peregrina, perché sull’argomento esiste un grandissimo fraintendimento, infatti viene spesso scambiato per una sovvenzione da dare ai disoccupati e questo è un grosso errore perché in questo caso si parla di “reddito minimo garantito”. Proprio a causa di questo fraintendimento in Italia, riprendendo le parole di Juncker, hanno parlato di reddito minimo garantito, ma occorre fare un preciso distinguo fra l’uno e l’altro.

Il salario minimo garantito è collegato alla condizione lavorativa: in altre parole si tratta dello stipendio base che un’azienda dovrebbe pagare al proprio dipendente parametrizzandola alle ore lavorative da lui sostenute. Volendo essere molto chiari: con il salario minimo garantito, il datore di lavoro non può sfruttare il lavoratore pagandogli una mensilità sproporzionata rispetto all’impegno orario e in questo modo si pongono dei paletti legali allo sfruttamento. Come si vede, parliamo di una norativa che non prevede esborsi da parte dello Stato e riguarda i lavoratori.

Cosa ben diversa è il reddito minimo garantito che è un ammortizzatore sociale: si tratta di una indennità erogata ai disoccupati, con una durata limitata nel tempo e condizionato da un certo attivismo da parte del beneficiario. Questo emolumento (meglio conosciuto come reddito di cittadinanza) è corrisposto dallo Stato ed è devoluto a soggetti ritenuti socialmente bisognosi (anziani non arrivati alla pensione, studenti fuori-sede, disoccupati). E’ ovvio che questo strumento pone il problema ineludibile di dove reperire le fonti di finanziamento, soprattutto alla luce della fragilità del bilancio nazionale.

Il salario minimo garantito è adottato in Australia, in Nuova Zelanda, in Brasile, Francia, USA, Spagna. La maggior parte degli Stati comunitari adotta un salario minimo (che varia dai 131 euro della Bulgaria ai 1801 euro del Lussemburgo), mentre altri Stati (Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Svizzera, Germania, Austria, Cipro e, naturalmente, l’Italia) non hanno un salario minimo imposto per legge, ma delegano alla contrattazione fra le parti sociali tale decisione

1 Commento

Perché Giulia Bongiorno è la candidata giusta per il Lazio

postato il 12 Gennaio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

Si sa: non esiste una ricetta che un partito, o il suo leader, possa adoperare per stabilire con certezza quale sia il candidato migliore da proporre alle elezioni. Tuttavia, dopo anni di esperimenti, di studi approfonditi e di accurati esami,sembra che Berlusconi abbia trovato la tecnica adatta. Infatti, si dice che, preoccupato per le elezioni regionali del Lazio, abbia deciso di utilizzare questa tecnica proprio per la scelta dell’eventuale candidata: dopo la notizia della candidatura della Bongiorno alla Regione Lazio (che guiderà la coalizione di centro), Berlusconi appare indeciso su chi poter candidare in risposta. I nomi sono diversi: Storace, Lorenzin e Matone e, di fronte a questo pluralismo, Berlusconi, dopo giorni di attenta riflessione, pare aver trovato una soluzione: deciderà in base alla bellezza. Infatti, a colloquio con Verdini, sembra che abbia detto: “La Bongiorno non è bella, ma la Matone è brutta, mentre Beatrice…”.

Ebbene, ecco il nuovo accuratissimo metodo per scegliere le candidate migliori per le prossime elezioni: saranno sottoposte ad una giuria preparatissima che, dopo averne esaminato per bene le qualità,sceglierà in base al loro fascino. Alcune indiscrezioni, poi, svelano che il PdL sia deciso a fare le tanto agognate Primarie: si terranno infatti a Salsomaggiore Terme, durante Miss Italia.

Forse siamo rimasti indietro noi che pensavamo si potesse scegliere un candidato in base alle qualità politiche e professionali. Tuttavia, in questo caso, preferisco di gran lunga passare per demodé ed esultare per la candidatura di Giulia Bongiorno che, è bene ricordarlo, non soltanto è un donna, ma è una grande donna. Infatti, oltre ad essere uno dei più importanti avvocati d’Italia, si è messa in luce per una brillante carriera politica che l’ha portata alla presidenza della Commissione Giustizia durante la XVI Legislatura, da cui ha portato avanti numerosissime battaglie per una riforma della Giustizia equa e non personale, per delle regolamentazioni giuste sulle intercettazioni, per evitare la cosiddetta “legge bavaglio”. Inoltre, ha sempre dimostrato un grandissimo impegno in difesa delle donne: dalla strenua opposizione alla decisione di evitare il carcere per i colpevoli di stupri di gruppo, alla partecipazione alla manifestazione “Se non ora, quando?”, fino alla decisione di dare vita , insieme a Michelle Hunziker, alla fondazione onlus “Doppia Difesa” per assistere le donne vittime di discriminazioni, violenze o abusi.

Ebbene, se queste sono le basi di partenza, sono contenta che sia la Bongiorno a provare a costruire il futuro della Regione Lazio. Dopo i recenti scandali, c’è bisogno di una personalità seria e preparata e credo che l’ “avvocato di ferro”, com’è stata soprannominata, sia la persona giusta e che sia “una candidatura di altissimo livello”, come ha sottolineato il leader UdC, Pier Ferdinando Casini.

E dunque, noi demodé non ci affideremo al metodo Berlusconi: spero possa mettersi l’anima in pace se per una volta la politica ha scelto diaffidarsi al curriculum, e non all’aspetto fisico.

Commenti disabilitati su Perché Giulia Bongiorno è la candidata giusta per il Lazio


Twitter


Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram