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2 giugno, l’unica forza di cui disponiamo: la nostra infrangibile unione

postato il 2 Giugno 2011

In tempi di personaggi politici mediocri o assolutamente ridicoli può essere utile ricordare in occasione della festa della Repubblica il Capo provvisorio dello Stato e primo presidente della Repubblica Enrico De Nicola. Napoletano, brillante avvocato e giurista diede lustro alle istituzioni del Regno e della Repubblica ma fu soprattutto un galantuomo che, pur avendo ricoperto tutte le massime cariche dello Stato, non rinunciò mai ad onestà, umiltà ed austerità nei costumi.

Memorabile rimase il cappotto rivoltato di De Nicola, che non fu solo protagonista di tante uscite ufficiali ma anche il segno di una classe politica che era chiamata a fare sacrifici come ogni altro cittadino italiano per ricostruire l’Italia uscita devastata dal secondo conflitto mondiale. Pochi forse sanno che il nostro primo Capo di Stato era monarchico e che probabilmente il 2 giugno, come tanti meridionali, votò perché rimanesse il Re; eppure questa circostanza non gli impedì di accettare l’incarico che di capo dello Stato provvisorio per cui era stato designato con l’accordo di tutte le forze politiche. De Nicola sapeva che il bene del Paese veniva prima del bene del Re e delle proprie convinzioni personali. Enrico De Nicola forse lo ricordano in ben pochi, forse è un nome familiare per quanti hanno una certa dimestichezza con le domande di certi test e concorsi pubblici, allora questa festa della Repubblica può essere un buon motivo per riaprire l’album di famiglia dello Stato repubblicano, non solo  per vedere la foto sbiadita di  uno dei suoi padri, ma anche per avere l’opportunità di rileggere un passo del discorso di insediamento del Presidente De Nicola (15 luglio 1946): «dobbiamo avere la coscienza dell’unica forza di cui disponiamo: della nostra infrangibile unione. Con essa potremo superare le gigantesche difficoltà che s’ergono dinanzi a noi; senza di essa precipiteremo nell’abisso per non risollevarci mai più». Parole, quelle di De Nicola, pronunciate per un Paese prostrato dalla tragedia della guerra, ma che restano sempre valide, specie in tempi difficili,  e che vale la pena ricordare nel centocinquantesimo anno dell’unità d’Italia.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Lo schiaffo di Novara alla Lega

postato il 2 Giugno 2011

Una sconfitta pesante in casa di Roberto Cota: il centrosinistra prevale nel ballottaggio di Novara sul candidato della Lega Nord, sostenuto anche dal PDL, l’assessore uscente Mauro Franzinelli, fedelissimo del presidente della Regione.

Novara, capoluogo di provincia di oltre centomila abitanti, è un po’ il feudo di Roberto Cota. Dalla città di San Gaudenzio il governatore del Piemonte ha costruito la sua carriera che l’ha portato alla poltrona più alta, strappata di misura al centrosinistra, che candidava la Bresso, solamente un anno fa. Sembra passato un secolo: allora la Lega dilagava nelle province piemontesi, da Cuneo a Verbania, passando naturalmente per la culla politica di Cota. Si parlava di avanzata leghista in un Piemonte mai andato veramente a braccetto con forze estreme, terra di moderati, democristiana, tutt’al più socialista. L’avanzata che molti  definivano inarrestabile trovava un argine solo a Torino.

Per capire l’inaspettata vittoria dell’outsider Andrea Ballarè (PD, SEL, Rifondazione) sul favorito Franzinelli bisogna allora fare un passo indietro, alle elezioni dello scorso anno. Cota strappa la poltrona di piazza Castello all’uscente Bresso, sconfitta per una manciata di voti, e con lui viene eletto in consiglio regionale il sindaco in carica di Novara, il leghista Massimo Giordano, divenuto poi assessore allo sviluppo economico. Un incarico di prestigio, che non può certamente svolgere mantenendo anche la poltrona di sindaco. Giordano allora si dimette e la città passa nelle mani del vicesindaco Silvana Moscatelli che lo sostituisce nelle funzioni di primo cittadino. Arriviamo al 2011, Novara è chiamata a scegliere il suo sindaco. Al primo turno nessuno raggiunge la fatidica soglia del 50%: brutta sorpresa per gli ambienti di Cota, che contavano di festeggiare il loro uomo al primo passaggio, forti di un dominio indiscusso e ininterrotto dal 2001. Al ballottaggio arriva la batosta finale e inappellabile: Ballarè diventa sindaco. Come capacitarsi di una sconfitta così netta, quando cinque anni fa Giordano aveva trionfato con il 61 per cento dei voti al primo turno?

Qualche spiegazione logica c’è. Innanzitutto dobbiamo considerare le elezioni amministrative nel loro insieme. Novara, come tante altre città passate in questa tornata elettorale al centrosinistra, ha subito gli influssi di quella realtà che più di ogni altra quest’anno ci ha sorpreso, Milano, con il caso Pisapia, che dato dai più come perdente fin dall’inizio ha sbaragliato l’uscente Moratti al ballottaggio, dopo averla staccata di sette lunghezze al primo turno. Novara è anche geograficamente vicina al capoluogo lombardo, è facile capire  l’influenza che  l’esito delle amministrative meneghine ha esercitato. L’onda lunga non ha risparmiato Novara, Trieste, Cagliari, e altre realtà importanti conquistate dal centrosinistra. Tutto merito di una campagna di entusiasmo, con uno schieramento compatto che ha saputo mantenere il vantaggio e incunearsi nelle falle degli avversari.

A scavare un po’ più a fondo, si trova un’altra ragione, forse più sottile, forse meno decisiva nell’aver spostato voti, ma comunque degna di considerazione. Massimo Giordano, appena chiamato da Cota (suo padrino politico) nella giunta regionale, ha mollato la poltrona di sindaco, lasciandola alla reggente. Inutile dire quanto poco la popolazione abbia apprezzato questo gesto, per di più se commesso da un esponente della Lega, che della buona amministrazione e del rispetto del potere locale ha fatto i propri cavalli di battaglia. Se Giordano, Sindaco scelto subito dai novaresi con una netta affermazione al primo turno, che alla prima nomina più importante e, si presume, redditizia, lascia il posto per cui è stato chiamato dagli elettori, chi può assicurarci, hanno ragionato i cittadini, che anche Franzinelli, stesso colore politico, comune appartenenza al “giro” di Cota, non farà lo stesso, se gli capiterà un’opportunità simile? La Lega, da sempre alfiere del buongoverno, ha marciato un po’ troppo sui suoi successi, approfittando della buona fede della gente.

Novara ha dimostrato al clan leghista che ha governato la città per quattordici anni (una sola parentesi tra il 1997 e il 2001, con un sindaco dell’allora PDS) che la rendita politica non basta. Servono modelli convincenti di buona amministrazione, non fedelissimi o yes-man a cui si dà la poltrona di primo cittadino, “tanto la città è leghista”.

Uno schiaffo civico che mette in discussione l’invincibilità leghista al Nord. La volata anti-Lega può partire dal suo cuore antico, la Novara di Roberto Cota.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

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Ascoltare e interpretare il vento che cambia

postato il 31 Maggio 2011

Le elezioni amministrative che ci siamo appena lasciate alle spalle ricordano per diversi motivi le elezioni amministrative del 1993. Le ricordano sicuramente per l’eco mediatico ma anche perché probabilmente segneranno un passaggio storico fondamentale. Il 1993 fu l’anno della prima elezione diretta dei sindaci, ma segnò anche la fine della Dc e del Psi che furono spazzati via dalle amministrazioni comunali dalla Lega e dall’alleanza delle sinistre: il leghista Formentini espugnava la Milano socialista e riformista, Leoluca Orlando si imponeva con percentuali bulgare a Palermo, mentre a Roma e Napoli le sinistre vincevano sui candidati di un Msi con percentuali a due cifre. Eppure nonostante il trionfo in gran parte del Paese della “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto le elezioni politiche del 1994 finirono in maniera ben diversa. E tutti sappiamo il perché. Le elezioni amministrative del 2011 come quelle ormai lontane del 1993 hanno dei vincitori chiari, ma bisogna anche saper leggere il messaggio che esce dalle urne e solamente chi sarà capace di interpretare questo messaggio potrà sperare di vincere le prossime elezioni politiche.

Giuliano Pisapia e Luigi De Magistris cinque anni fa probabilmente sarebbero finiti nel tritacarne berlusconiano, oggi invece hanno annientato gli alfieri del centrodestra perché sono riusciti ad incarnare quel cambiamento coraggioso e rigoroso che da più parti viene chiesto alla classe politica. Non hanno vinto dunque l’immaginifico Vendola o il tribuno Di Pietro, ma hanno vinto il compassato avvocato garantista che ha fatto campagna elettorale sui problemi di Milano e il magistrato Masaniello che ha promesso, ad una città stanca e demoralizzata, di liberarla dai suoi cattivi amministratori degni del celebre film “Signori e signori, buona notte”.

Berlusconi invece ha perso perché ormai non incarna nessun cambiamento. Quando Giuliano Ferrara dalle pagine del suo quotidiano tenta di resuscitare il Berlusconi del 1994 non ha tutti i torti: quello fu il Berlusconi che interpretò al meglio la voglia di cambiamento degli italiani, che alcuni improvvidi commentatori nel 1993 avevano chiamato “voglia di sinistra”. Ma Berlusconi ormai non interpreta più nessun cambiamento anzi, e probabilmente questo è un dramma per l’uomo Berlusconi, incarna tutte quelle cose che da imprenditore aveva sempre aborrito: retorica, stagnazione, lacci e laccioli. Il voto amministrativo ha condannato senza appello questo centrodestra da cinepanettone ed è difficile pensare che Berlusconi riesca a tirare fuori dal cilindro qualcosa che cambi radicalmente la situazione. Resta a questo punto da capire se Berlusconi vorrà vedere scorrere per intero i titoli di coda di questo triste film o se vorrà, con buonsenso e signorilità, alzarsi prima dal tavolo da gioco prima di perdere tutto. In ballo non c’è solo la sorte del Cavaliere ma anche quella dei moderati italiani che ormai non si riconoscono più nella sua figura e nella sua politica.

Il Nuovo Polo che, seppur con difficoltà, si è cimentato da poco con le urne non può restare a guardare: non può restare a guardare l’inabissamento dei moderati imbarcati nel Titanic berlusconiano e non può restare a guardare i professionisti del nuovismo e del cambiamento, ma occorre che si faccia promotore di una iniziativa politica autonoma, coraggiosa e giovane. Nei prossimi mesi per i moderati italiani si potranno aprire praterie da percorrere in lungo e in largo ma lo potrà fare solamente chi avrà il coraggio delle scelte, chi saprà rinunciare alle alchimie politiche e agli appiattimenti di convenienza, chi avrà il coraggio di rinunciare ai ras delle preferenze per proporre donne e uomini giovani, preparati e con tanta voglia di fare. Questa non è solo la scommessa dei moderati italiani, ma la scommessa di quanti credono che non basta dire che “cambia il vento” ma che occorre anche capire quello che il vento dice perché, come diceva Jim Morrison, “la solitudine è ascoltare il vento e non poterlo raccontare a nessuno”.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi


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eG8, quando si parte già male.

postato il 29 Maggio 2011

Pochi giorni fa aprendo il forum “eG8” di Deauville ,che puntava a far incontrare i “Grandi” della rete con i “Grandi” della terra, Sarkozy ha aperto la conferenza con queste parole :

“Non voglio cercare di controllare la Rete, ma piuttosto aprire un dialogo proficuo tra governi e gli attori di Internet”.

Se però si è ideatori del sistema censorio più famoso del mondo,l’ HADOPI, che dopo tre violazioni (uso di programmi p2p per il download illegale), disconnette automaticamente dalla rete il cittadino francese, ed ancora, se si è il presidente di una nazione dove il copyright è talmente severo che soffoca la creatività e crea casi internazionali, viene il dubbio che i propositi del presidente francese siano solo uno specchietto per le allodole, e che invece nascondano quella che lui stesso definisce opera di “civilizzazione della Rete”, che poi non è altro che un controllo del web, che conferirebbe ai governi una autorità su contenuti, informazioni e dati, mai vista prima.

Il vertice, criticabile per certi versi, positivo per altri, ha messo in luce dei dati importanti su internet e il suo indotto , si parla di 8mila miliardi di euro di commercio online, cioè il 3,4% del Pil in 13 Paesi (quelli del G8 più Brasile, Cina, India, Corea del Sud, Svezia), il 10% della loro crescita negli ultimi cinque anni.
L’Italia tra tutti i paesi industralizzati è quello in cui Internet ha contribuito di meno alla crescita economica: solo il 12% del Pil tra il 2004 e il 2009, rispetto al 33% della Svezia, il 24% della Germania o il 23% del Regno Unito. Altro dato di rilievo è che per ogni posto convenzionale perso, internet ne produce 2,5.
Questi dati in contrapposizione all’ostilità dilagante di alcune governi mondali , su internet e la Net neutrality ,rendono chiara la lontananza tra questi due mondi che in realtà si sovrappongono.
Alla conferenza erano presenti molti nomi noti come Jimmy Wales di Wikipedia e Eric Schmidt di Google, Zuckerberg (interessantissima una sua intervista sul rapporto fra fb e potere), Rupert Murdoch, il CEO di eBay John Donahoe e Neelie Kroes per l’agende digitale europea e tra i pochi italiani Franco Bernabè AD di Telecom Italia.
Nell’infografica cosa hanno detto:

Tanti ancora i protagonisti assenti, come hanno fatto notare sul web gli utenti e molta la distanza tra i presenti , sia per barriere culturali, ideologiche e per divergenze di interessi .
Proprio per queste divergenze di interessi tra i players di internet e i governi, l’eG8 è risultato fallimentare, senza dare vere risposte o conclusioni di rilevo,un tentativo nato all’insegna di una conquista dello spazio virtuale che con molta probabilità verrà presto riposta nel dimenticatoio da internauti e cittadini comuni.
Pare chiaro che la formula proposta non sia quindi quella giusta per un confronto proficuo sul futuro della rete, le distanze tra gli attori principali, ma sopratutto tra i governi, i loro cittadini e internet sono il freno a mano che non permette ad internet di essere il traino della rivoluzione auspicata, e che la sicurezza della rete e della protezione dei diritti vada pari passo con la libertà e la neutralità della rete stessa.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Michele Nocetti

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Equitalia, un lettore ci scrive

postato il 28 Maggio 2011

Pubblichiamo una mail in redazione sulla mozione UDC per una moratoria sulle cartelle di Equitalia.

L’iniziativa è lodevole e interessante anche perchè per la prima volta interviene in un settore che è quello del terziario attualmente in grave crisi. Non è un mistero che il commercio al dettaglio e l’artigianato non riescano a contrastare l’attacco concentrico della concorrenza rappresentata dalla grande distribuzione, dalla Cina e dai paesi dell’est, oltre che da quelli asiatici, e dalle spese erariali e previdenziali che in Italia incidono più degli altri Paesi. Non bisogna, inoltre, generalizzare la qualifica di imprenditore e distinguere tra il piccolo e il grande, tra settore e settore, e intervenire.
Credo che sia necessario un piano di interventi che ripensi totalmente la figura del piccolo imprenditore, ancora legato nella fantasia popolare ma anche nei provvedimenti legislativi (vedasi studi di settore), all’immagine di “ricco ed evasore” creatasi negli anni di prosperità economica. Difatti, per le aziende che chiudono, anche se unifamiliari, che non riescono ad onorare gli impegni, c’è tutta una legislazione punitiva che li porta a perdere la propria azienda e subire il disonore personale del fallimento con conseguente impossibilità di intraprendere qualsiasi altra attività lavorativa. E tutto questo, in un settore in cui non è proprio contemplato alcun ammortizzatore sociale, il che significa condannare a morte il piccolo imprenditore e la propria famiglia privandoli di qualsiasi mezzo di sostentamento. Non solo. In tutto questo, si rischia paradossalmente anche di essere perseguiti per non aver pagato i contributi Inps; come se qualcuno potrebbe aver piacere a non crearsi una posizione pensionistica, per questo lo Stato lo costringe a pagare con mora e sovrattasse e spese di esecuzione qualcosa che in definitiva riguarda sé stessi.
Per tali motivi auguro buona fortuna alla Vostra azione parlamentare che ha avuto il merito di squarciare il velo che da decenni ammanta tutto il settore.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco

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La “relazione complicata” tra internet e la politica

postato il 27 Maggio 2011

Questa aspra campagna elettorale verrà sicuramente ricordata non solo per gli innumerevoli, e spesso incredibili, spunti di cronaca ma perché segna il definitivo ingresso di internet nelle competizioni elettorali. Internet è diventata sempre più mezzo di comunicazione e propaganda elettorale, ma anche, a dir la verità ancora troppo poco, parte dei programmi elettorali dei candidati. Bisognerebbe parlare però, per usare un linguaggio caro agli utenti di Facebook, di una “relazione complicata” tra politica e internet:  non sembra, infatti, che candidati, e politici in generale, abbiano compreso le potenzialità del nuovo mezzo di comunicazione. Anzi, questi  troppo spesso si rapportano alla rete come schemi comunicativi desueti che potevano andare bene per una campagna elettorale degli anni ’50.  Paradigmatica in questo senso è stata la campagna elettorale di Letizia Moratti, che proprio in rete ha commesso delle gaffes clamorose che indubbiamente hanno influito, e probabilmente influiranno, sul suo risultato elettorale. La “moschea di Sucate”le calunnie diffuse su Pisapia e il meccanismo truffa per gonfiare la pagina Facebook della Moratti, sono i risultati di una ignoranza abissale del mondo della rete e di un goffo tentativo di saldare nuovi mezzi e vecchi messaggi, Achille Lauro e Twitter. L’errore di certi “strateghi” della comunicazione politica sta proprio nel riportare in rete messaggi vecchi e demagogici o, peggio, ispirandosi al principio della propaganda di Goebbels, credere che una bugia ripetuta migliaia di volte diventi una verità: se nella vita di tutti i giorni, nei mercati rionali o sull’autobus, queste tecniche possono ancora aiutare a pescare qualche voto, in rete possono invece rivelarsi un boomerang letale e scatenare l’ironia e i lazzi nei blog e nei social network.

Per evitare clamorose brutte figure sarebbe utile allora capire che messaggi tradizionali e meccanismi demagogici mal si addicono alla rete, soprattutto perché gli utenti, e quindi i destinatari dei messaggi, non sono assimilabili, con qualche eccezione su Facebook, a elettori sicuri o bambini di cinque anni. Questa poca dimestichezza con la rete dei candidati si rispecchia anche nei programmi elettorali: si trovano, senza distinzione di colore politico, solo pochi e vaghi riferimenti ad internet e più in generale al digitale, ricorrente è il tema del wi-fi libero e lo sfruttamento della rete internet per snellire le elefantiache burocrazie comunali, ma nessuno sembra avere chiara una strategia innovatrice, una vera e propria agenda che segni le tappe della rivoluzione digitale nei comuni. Perché questo scarso interesse? Perché non coinvolgere esperti del settore ed evitare di parlare in maniera inadeguata di cose che non si conoscono? Per rispondere a queste domande è sufficiente guardare l’età media dei candidati a sindaco, e accorgersi che in molti casi sono i protagonisti di tante campagne elettorali del passato. Uomini vecchi con idee vecchie. Ma questo è un altro problema.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Un salvagente alle famiglie: la moratoria verso Equitalia

postato il 25 Maggio 2011

L’Udc si appresta a lanciare un salvagente alle famiglie per tenerle a galla: ieri è stata ufficializzata la proposta per una moratoria di un anno verso le procedure di esazione crediti poste in essere da Equitalia.

Che significa nel concreto? Significa aiutare circa 6 milioni di famiglie e piccoli imprenditori, che hanno problemi a pagare i crediti vantati da aziende ed Enti (ad esempio INPS) e riscossi da Equitalia.

Questo aiuto avviene sottoforma di moratoria, ovvero bloccando per un anno le procedure di riscossione verso i soggetti che realmente versano in stato di bisogno.

Bisogna però precisare che Equitalia è  solo il braccio di chi vanta il credito e che non può rifiutarsi di agire, ma è anche vero che evidentemente c’è qualcosa che non va nella legge.

La nascita di Equitalia doveva servire a sbloccare molte situazioni pendenti e permettere agli enti pubblici di potere esigere con facilità e velocemente i propri crediti, e questa è una buona cosa, purtroppo però le buone intenzioni sono state tradite da una legge che oggettivamente è molto poco flessibile, soprattutto poi se andiamo considerare come lo Stato tratta i i suoi fornitori: i pagamenti avvengono sempre con grandi ritardi mettendo in crisi i fornitori (ricordiamo che in media solo nel settore sanitario, i privati vantano circa 60 miliardi di euro di crediti verso lo Stato).

L’Udc, tenendo conto di queste situazioni e in una ottica costruttiva e di massima collaborazione verso le istituzioni, ha deciso di iniziare una battaglia che cambi totalmente lo status quo.

La mozione dell’Udc invita il governo, inoltre, ‘a considerare la possibilita’ di ridurre gli interessi delle sanzioni annesse, di prevedere un aumento del numero massimo di rate concesse nelle rateizzazioni da Equitalia (fino a 120 rispetto alle attuali 72) nonché di concedere la possibilità di compensare i debiti nei confronti di Equitalia con i crediti verso enti pubblici’.

Altro punto molto interessante è quello rivolto ad ‘iniziative normative volte a utilizzare sui territori regionali i profitti che Equitalia matura dalla riscossione dei tributi insoluti’ e ‘l’istituzione di un fondo di garanzia a sostegno delle imprese in difficolta’ per le pendenze e che si troverebbero costrette a licenziare i dipendenti e fallire’.

Questi punti sono molto interessanti perchè legano direttamente la riscossione delle somme al loro utilizzo: è chiaro che se le somme riscosse vengono utilizzate sul territorio abbiamo due vantaggi, il primo è quello di attenuare l’effetto vessatorio migliorando o fornendo servizi alla comunità; il secondo è che in questo modo il cittadino si sente “incoraggiato” a mettersi in regola.

E’ ovvio però che la mozione Udc è solo un primo passo (anticipato da tante azioni da parte del Consigliere Regionale UDC Alberto Goffi) e nessuno deve pensare che esaurisca il discorso: il problema potrebbe ripresentarsi nella stessa drammatica emergenza, anche tra un anno, quando scadrà la moratoria. Allora sarà necessario rivedere tutti i meccanismi di legge che stanno alla base delle poltiche di riscossione crediti.

In questo senso sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione con i cittadini che in prima persona vivono questa situazione e che forse più di tanti altri, possono indicare dove il sistema è migliorabile.

 

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Cara Sardegna… la Regione, lasciata sola, trova la soluzione con Saremar

postato il 25 Maggio 2011

Ogni estate le famiglie italiane si ritrovano a scegliere la meta delle proprie vacanze. Per molte di queste, la Sardegna è da tanti anni la meta prediletta, nonostante non sia fra le mete più economiche, tuttavia gli incantevoli paesaggi e la buona cucina valgono, per tanti vacanzieri italiani, qualche sacrificio in più. Quest’anno, però, le famiglie che vorrebbero recarsi nell’isola hanno avuto un’amara sorpresa: i prezzi dei traghetti hanno subito un aumento considerevole, addirittura si parla del 90-100%.

Facciamo un esempio. Una famiglia romana, composta da una coppia con un bambino di 7 anni,  vorrebbe trascorrere una settimana a San Teodoro (OT), una delle più gettonate località turistiche, dal 9 al 16 Luglio.  Facciamo un preventivo per il trasporto in cabina singola e con utilitaria (condizioni indispensabili per una famiglia con bambino) per i traghetti che coprono le rotte da Civitavecchia a Olbia (la tratta che interessa la nostra famiglia).

Ecco i risultati (andata e ritorno):

TIRRENIA: 708,40 €

MOBY: 759,80 €

GNV: 798,00 €

SARDINIA FERRIES: 804,48 €

Cifre simili, per una famiglia media e soprattutto di questi tempi, è decisamente eccessiva. Soprattutto se pensiamo che riguarda solo il trasporto marittimo, non rimane nulla ai sardi!!! E infatti la Sardegna ha registrato un considerevole calo di prenotazioni quest’estate rispetto agli anni precedenti.  Le compagnie marittime, dal loro canto, hanno giustificato il rincaro con l’aumento del prezzo della benzina e del caro-vita in generale, e sempre per tali ragioni negato ogni possibilità di sconti.

La Regione Sardegna, davanti alla prospettiva di un calo così importante delle affluenze in estate, non è rimasta a guardare. La Saremar, flotta navale di proprietà della Regione che gestisce dal 1988 il servizio pubblico di linea tra S. Teresa di Gallura e Bonifacio, tra La Maddalena e Palau, tra Carloforte e Calasetta e tra Carloforte e Portovesme, da quest’anno garantirà anche i collegamenti stagionali con la penisola tra Golfo Aranci e Civitavecchia e tra Porto Torres e Vado Ligure. Applicando l’esempio della famiglia romana di cui sopra, il trasporto marittimo con i traghetti Saremar (sempre andata e ritorno) viene a costare 394,62 €: circa la metà!

Viene da chiederci se la Saremar per caso non utilizzi lo stesso carburante utilizzato dalle navi delle altre compagnie, o se la Regione Sardegna per caso si possa permettere di pagare di tasca propria la differenza. Oppure, com’è più probabile, quei rincari non avevano una giustificazione plausibile. Questo, per lo meno, è quello che pensa l’Antitrust, che ha avviato un’indagine per verificare che non ci sia stato un accordo, cartello, fra le compagnie di navigazione per aumentare i prezzi e trarre in maniera sproporzionata profitto dai rincari che effettivamente ci sono stati.

Come previsto, le prenotazioni con Saremar sono già numerose (1500 solo il primo weekend), dando respiro alle numerose aziende sarde che devono la loro esistenza al turismo. La Regione, tuttavia, ha pensato anche a quei turisti che, prima della messa a punto delle nuove rotte Saremar, hanno pagato cifre esorbitanti per non rinunciare alle vacanze in Sardegna. Per loro la Regione ha deciso di destinare 2 milioni di euro al progetto ‘Bonus Sardo Vacanza’,  che si sostanzia nel riconoscimento di una sorta di rimborso delle spese di viaggio ai cittadini dell’Unione Europea che usufruiranno del trasporto navale per visitare la Sardegna. Il rimborso andrà da un minimo di 60 a un massimo di 90 euro, e potrà essere fruito da passeggeri, minimo due persone e massimo tre, che soggiornino almeno tre notti nell’Isola nel periodo compreso fra il 2 Maggio e il 3 Luglio prossimi.

Il tutto, pare, nel silenzio del Governo, al quale evidentemente non importava molto che un’intera regione, che vede nel turismo ormai quasi l’unica fonte di occupazione, rischiasse una stagione estiva disastrosa per via del comportamento francamente disonesto delle compagnie marittime.  Oppure il Ministro del Turismo è ancora convinta, come affermò anni fa, che il problema rilevante della Sardegna sia il randagismo. Scusate lo sfogo finale, ma credo che il sostegno di un governo (nel quale è presente un Ministero del Turismo, che quindi sarebbe incaricato per primo a occuparsi di tali problematiche) all’occupazione debba obbligatoriamente passare anche attraverso il prendersi seriamente carico di una vicenda che, senza l’intervento della Regione Sardegna, avrebbe rischiato di colpire profondamente l’economia di un’isola già profondamente in difficoltà.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

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Il suo nome era Giovanni

postato il 22 Maggio 2011

Il suo nome era Giovanni, non era mandato da Dio come il più illustre Battista, ma a muoverlo era la sua coscienza limpida e libera. Giovanni non fu un profeta, ma un fedele servitore dello Stato, eppure disse cose profetiche sulla Sicilia e sull’Italia, ne denunciò con forza il suo male oscuro e gli operatori di iniquità. Giovanni non visse nel deserto e non si cibò di locuste, ma fu costretto a vivere nel carcere dell’Asinara e a bere l’amaro calice della stagione dei veleni. Fu la speranza di molti, rimase solo e morì perché era entrato in un gioco troppo grande. Giovanni non è un santo, anche se qualcuno ne vuole fare un santino, ma è un martire, e il martire etimologicamente è colui che testimonia fino all’effusione del sangue. Giovanni testimoniò l’amore per la giustizia e la verità, la fedeltà e il servizio alle Istituzioni, la convinzione che una Sicilia e un’Italia diversa sono possibili, e la sua testimonianza non è rimasta sotto le macerie della strage di Capaci ma continua a camminare sulle gambe di tutti coloro che credono che un domani migliore è possibile se ciascuno fa qualcosa, se ciascuno fa il suo dovere.

Ricordare Giovanni, fuori dagli esercizi retorici, significa fare propria la sua testimonianza, impegnarsi perché le cose cambino, significa essere tutti Giovanni. Il suo nome era Giovanni, ma Giovanni è ora anche il nome di tutti gli italiani onesti e impegnati, di tutti coloro che il 23 maggio, non solo del 1992 ma di ogni anno che Dio ci manda sulla terra, hanno alzato la testa e detto basta alle barbarie e alla paura.

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La mediazione

postato il 22 Maggio 2011

Il decreto legislativo n°28 del 2010, entrato in vigore lo scorso 20 marzo, ha introdotto nel nostro ordinamento il procedimento di mediazione finalizzato alla conciliazione delle controversie civili e commerciali relative a diritti disponibili. L’introduzione di tale istituto, formalmente attuazione della direttiva 2008/52/Ce, in realtà non è altro che l’ennesimo espediente del legislatore per tentare di deflazionare il contenzioso civile, e dunque di ridurre il carico di lavoro dei giudici cercando, con la prospettiva di un procedimento più celere e soprattutto caratterizzato da notevoli esenzioni fiscali, di attirare i cittadini verso questa forma di risoluzione stragiudiziale delle controversie. Sappiamo tutti che uno fra i principali problemi che affliggono il nostro paese è da sempre la lentezza dei processi, specie quelli civili, con buona pace del principio, sancito al secondo comma dell’art.111 Cost., della ragionevole durata!

Cos’è la mediazione? Secondo l’art.1 del decreto la mediazione è <<l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa>>. La norma distingue la mediazione dalla conciliazione, a sua volta definita come <<la composizione della controversia a seguito dello svolgimento della mediazione>>. La conciliazione sarà dunque l’esito finale positivo della mediazione. Il mediatore non è un giudice o un arbitro, ma un soggetto terzo e imparziale che deve accompagnare le parti nella ricerca di una composizione amichevole della vicenda; l’accordo raggiunto non sarà un atto del mediatore, ma un vero e proprio atto negoziale delle parti.

A ben vedere, il nostro ordinamento non era del tutto estraneo a procedimenti del genere, infatti tentativi obbligatori di conciliazione sono già previsti in alcuni casi particolari quali, per fare alcuni esempi, le controversie di lavoro (per le quali la l.183/2010 ha trasformato il tentativo di conciliazione da obbligatorio in facoltativo… forse il nostro legislatore è un po’ contraddittorio?), le controversie commerciali tra imprese e tra imprese e consumatori nonché quelle che riguardano il settore delle telecomunicazioni o la materia di diritto d’autore, né bisogna dimenticare che nei procedimenti davanti al giudice di pace costui è tenuto in primis a valutare la possibilità di una soluzione condivisa della causa.

Ma adesso ci si è spinti ben oltre. La nuova normativa ha infatti introdotto la mediazione obbligatoria per tutte le controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. In tutti questi casi la procedura di mediazione costituisce una condizione di procedibilità della domanda. Ciò significa che un qualsiasi cittadino che voglia far valere in giudizio un proprio diritto o una propria pretesa attinente tali materie dovrà preventivamente rivolgersi a un organismo abilitato per la mediazione, e solo in un secondo momento potrà agire in giudizio. Per tutte le altre materie è riconosciuta alle parti la facoltà di proporre domanda di mediazione prima di adire gli organi giurisdizionali, purché la controversia riguardi diritti disponibili. Per tale ragione è previsto a carico dell’avvocato l’onere di informare chiaramente e per iscritto il cliente della obbligatorietà o della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione (e dei relativi vantaggi fiscali), e la violazione di tale obbligo di informativa da parte dell’avvocato comporta l’annullabilità del contratto tra quest’ultimo e il suo assistito. Il documento contenente l’informativa dovrà essere sottoscritto dal cliente e allegato agli atti introduttivi del giudizio.

Pertanto nelle materie sopra elencate l’esercizio della giurisdizione è condizionato dal previo esperimento di un procedimento di natura non ben identificata (non ha né natura giurisdizionale, né amministrativa) per il quale non è prevista a favore delle parti l’assistenza dell’avvocato. Anche se sembra che proprio in questi giorni il Ministro Alfano, dopo numerose pressione da parte degli avvocati, si sia accordato con i rappresentanti del Consiglio Nazionale Forense nel senso di disporre l’assistenza obbligatoria dell’avvocato durante la mediazione per controversie che abbiano un valore superiore a una soglia di 7/10 mila euro. È innegabile che l’avvocato potrebbe avere un ruolo importantissimo nel procedimento di mediazione, preparando le parti all’incontro e affiancandole durante la stesura dell’accordo finale.

Organismi di mediazione possono essere tutti gli enti pubblici o privati che ottengono l’iscrizione nell’apposito registro istituito presso il Ministero della Giustizia, che diano garanzia di professionalità e indipendenza e siano stabilmente destinati a tale attività. Ogni organismo di mediazione deve essere composto da almeno cinque mediatori. Il mediatore è un soggetto terzo e imparziale, il cui compito è affiancare le parti nella composizione della controversia, ovvero proporre egli stesso una soluzione che le parti potranno accettare o meno. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, data la delicatezza del compito che è chiamato a svolgere, per rivestire la funzione di mediatore non sono previsti particolari requisiti di qualificazione, essendo sufficiente un diploma di laurea (anche triennale) o l’iscrizione a un collegio od ordine professionale, accompagnati da un percorso formativo, della durata minima di sole 50 ore, oggetto del quale saranno non soltanto le normative ma anche le tecniche e le procedure di mediazione. Desta non poche perplessità dunque che non sia richiesta una preparazione strictu sensu giuridica, sebbene i soggetti in questione dovranno affrontare problemi giuridici di una certa rilevanza!

Il mediatore ha l’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento di mediazione; egli inoltre deve essere imparziale, perciò dovrà sottoscrivere una dichiarazione di imparzialità (a seconda di quanto previsto dal regolamento di procedura applicabile) e dare immediata comunicazione all’organismo e alle parti delle ragioni di un eventuale pregiudizio all’imparzialità nel corso del singolo procedimento di mediazione.

In linea teorica il procedimento di mediazione dovrebbe concludersi entro quattro mesi dalla presentazione della domanda di mediazione o dalla data fissata dal giudice per il deposito della stessa (ciò avviene quando il giudice rinvia l’udienza a seguito di dichiarazione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento della mediazione nelle materie in cui è obbligatoria, ovvero nell’ipotesi di mediazione delegata, cioè quando egli stesso invita le parti a procedere alla mediazione). La legge non precisa quali siano le conseguenze dell’infruttuoso decorso di tale termine, che non è qualificato come perentorio e al quale non è collegata alcuna decadenza. In teoria dovrebbe potersi proporre domanda giudiziale senza correre il rischio che questa venga dichiarata improcedibile.

L’unica escamotage che resta alle parti per evitare la procedura di mediazione ed esercitare l’azione giudiziale è quella di non presentarsi all’incontro fissato per la mediazione; in tal caso infatti il procedimento si concluderà per mancata adesione della parte invitata.

La mediazione ha pur sempre dei costi, infatti la legge dispone che gli organismi ad essa deputati abbiano diritto ad un’indennità, e il “costo” della singola mediazione è legato al valore della controversia. Le spese sono dovute in solido dalle parti, e comprendono anche la parcella del mediatore. La mediazione tuttavia è gratuita per i soggetti ai quali nel processo sarebbe riconosciuto il gratuito patrocinio.

Se, in seguito all’esito negativo della mediazione, la sentenza sulla medesima questione rispecchia la conciliazione proposta dal mediatore, ma rifiutata dalla parte, essa sarà condannata al pagamento delle spese processuali alla controparte successive alla formulazione della proposta e al versamento di una somma a favore dello Stato. È dubbia dunque anche la proclamata economicità del procedimento in questione, dato che la parte che intende rifiutare la proposta di conciliazione e proporre domanda giudiziale, e quindi esercitare un diritto che le è garantito dalla Costituzione (art.24), corre il rischio di doversi sobbarcare le spese processuali!

È doveroso chiedersi se l’obbligatorietà della mediazione contrasti con l’art.24 della Costituzione, in forza del quale <<tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi>>. La Corte Costituzionale si è in passato espressa più volte sull’ammissibilità di forme di giurisdizione condizionata, distinguendo tra condizioni di proponibilità e condizioni di procedibilità della domanda, e considerando le prime incostituzionali poiché, comminando la sanzione della decadenza, impediscono l’esercizio del diritto di azione. Ha invece considerato costituzionalmente legittime le condizioni di procedibilità, le quali hanno il solo effetto di ritardare il momento in cui sarà esercitata l’azione giudiziale, senza però impedirla. Ora poiché la normativa in esame prescrive la mediazione quale condizione di procedibilità (e non di proponibilità) della domanda giudiziale sembrerebbe doversi considerare non contrastante con l’art.24 della Costituzione. Il problema sarà affrontato prossimamente dalla Corte Costituzionale, infatti il Tar del Lazio ha recentemente sollevato questione di legittimità costituzionale su alcune parti del regolamento emanato dal Ministero della Giustizia per introdurre la mediazione. Tra le questioni di legittimità che il giudice amministrativo ha considerato rilevanti e non manifestamente infondate ve ne è una che riguarda la parte del regolamento che obbliga il soggetto a rivolgersi previamente agli organismi di mediazione, e solo in caso di esito negativo di tale procedura alla magistratura. Attendiamo con ansia la pronuncia della Corte!

È troppo presto per fare un bilancio su questo istituto, solo il tempo potrà dirci se effettivamente funziona. Certamente è riduttivo giustificarne l’utilizzo per il solo fine di diminuire il carico di lavoro dei giudici. La mediazione dovrebbe al contrario essere uno strumento che consenta alle parti di ottenere una tutela qualitativamente migliore dei propri diritti.

Stupisce, e non poco, che il legislatore dopo aver introdotto la mediazione obbligatoria per le controversie civili e commerciali, qualche mese dopo abbia trasformato in facoltativo il tentativo di conciliazione previsto per le controversie di lavoro. I più maliziosi pensano che in realtà la riforma avesse un obiettivo celato, vale a dire la creazione di una nuova figura professionale, quella del mediatore, visto il particolare periodo di crisi occupazionale che il nostro paese sta attraversando. È pacifico che gli organi di mediazione sono proliferati negli ultimi mesi, organizzando corsi di formazione che fanno pagare fiorfior di quattrini! Insomma attorno a questo istituto si è creato un vero e proprio business, il che ci porta a pensare che, se anche gli esiti delle prime applicazioni di esso non saranno positivi, non si potrà tornare indietro e cancellare tutto con un colpo di spugna.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Chiara D’Angelo


 

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