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Costruire l’Agenda Monti, #rimontiamo2013!

postato il 20 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Scavone

Ideare e costruire una proposta elettorale non è roba di tutti i giorni, soprattutto se si ha l’intenzione di basarla su presupposti di serietà econcretezza, che rendono il tutto più complesso. E’ vero, in Italia siamo abituati ai contenitori vuoti che aggregano tutto e il contrario di tutto, ad armate eterogenee utili solo a racimolare voti, non progetti e prospettive di Governo. Immaginiamo quindi quanto possa essere arduo pensare ad un progetto che non si fermi alla mera competizione elettorale ma punti a modificare nel profondo il Paese e la politica italiana, una proposta non da archiviare al più presto, ma da conservare come memorandum e decalogo per il futuro. In questo clima soffocato dalla demagogia, c’è un’Italia che ancora crede in questo tipo di proposta, concreta, di contenuto e che si ritroverà domani a Roma a RiMontiamo l’Italia per segnare un’altra tappa di un percorso che va avanti da tempo.

Vogliamo costruire l’agenda Monti per il dopo Monti, con il contributo di tutti quelli che hanno buone idee su come riformare l’Italia.” “L’Italia può venir fuori dall’emergenza e noi lavoriamo per offrire contenuti e definire le priorità.” “Il Governo Monti ci ha insegnato che le riforme si possono fare e si possono fare bene, rinnoviamo l’agenda di questo Governo con nuove proposte.” Con queste parole qualche mese fa i promotori dell’iniziativa, rispettivamente Benedetto della Vedova (Fli), Linda Lanzillotta e Gian Luca Galletti (Udc), lanciavano il portale rimontiamolitalia2013.itproponendosi l’obiettivo di dare vigore e solidità alla proposta di Governo. Il filo conduttore, appunto, è stato quello dei contenuti, valore aggiunto per un’agenda che voglia proporsi come veramente riformista e innovativa.

Non sono mancate le proposte e le iniziative, divise per tematiche (crescita, Europa, istruzione, cultura, Welfare, Pubblica Amministrazione ecc.). In pratica ci si è chiesti come poter migliorare il Paese, attuando cambiamenti radicali, profondi, non di facciata. E cos’è, soprattutto negli ultimi tempi, al primo posto tra i sinonimi di modernità? Sicuramente internet e la digitalizzazione: via allora alle discussioni sull’incentivo delle start up, sulle modalità di predisposizione di una più efficiente e parsimoniosa amministrazione digitale, sul tanto lavoro fatto e da fare per l’Agenda Digitale. Uno sguardo attento non è mancato sulle lungaggini burocratiche che rischiano di ingessare ancor di più un’economia in affanno con legislazioni eccessivamente articolate, difficili da consultare e non sempre in sinergia con l’iter attuativo. Così come non sono state dimenticate le idee riguardanti la politica energetica: una nuovo piano di strategia energetica nazionale deve passare assolutamente attraverso maggiore competitività, attenzione all’ambiente connessa a quella per le fonti rinnovabili, progressivo abbandono delle fonti fossili (tramite efficienza e risparmio energetico, limitazione dell’uso dei carburanti).

La proposta di Governo, per essere credibile, non ha dimenticato di concentrarsi sulle modalità di approdo ad una società più giusta: maggiore partecipazione alla vita democratica, azione decisa contro il fenomeno della corruzione inteso come dramma culturale prima che economico, lotta all’evasione sul modello americano, che prevede l’ “espulsione sociale” dell’evasore. Si è parlato di smart cities, città del futuro che si aprano alle sfide della tecnologia per migliorare i servizi e la qualità di vita e ottimizzare le risorse e gli spazi urbani. Ma anche di crediti della Pubblica Amministrazione, velocizzazione della giustizia, produttività, fisco, Unione Europea.

Insomma, tante proposte per tornare a sperare e a credere nella buona politica. Tanti anni di  “immobilismo e populismo di una certa politica attenta ad interessi di parte e alle convenienze di breve periodo” – come si legge nelportale – sono già stati sufficienti come monito per l’avvenire. Non si possono ripetere errori già fatti e rifatti, anche perché l’occasione per cambiare è unica. Contrapposti alle nostalgie del passato ci sono “persone, associazioni, imprenditori, professionisti, ricercatori, innovatori” che hanno già iniziato ad impegnarsi e lo faranno con tanta più dedizione.

Quando un Paese, un popolo, una Nazione sono chiamati alla resa dei conti, c’è sempre una triste divisione tra chi nega la realtà e chi si impegna fino in fondo per cogliere l’occasione. Dove vogliamo schierarci? Io, domani a Roma, e poi in tutta Italia, sarò fieramente tra i secondi, convinto che riMontaresia a portata di mano.

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Se la Rai dà il buon esempio…

postato il 18 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Nell’ambito pubblico, anche alla luce dei recenti scandali che hanno coinvolto intere giunte regionali, forse qualcosa si sta muovendo in direzione di una maggiore trasparenza e rigore.

In questi giorni i dipendenti RAI hanno ricevuto una lettere dal direttore generale della RAI, Luigi Gubitosi, il quale ha dato precise disposizioni e soprattutto una linea di grande chiarezza e trasparenza, oltre che di onestà.

Cosa è scritto in questa lettera? Gubitosi partendo dalla considerazione del particolare periodo economico sia per l’Italia che per la RAI, ha invitato i dipendenti a una maggiore morigeratezza nelle strenne natalizie, infatti scrive “il contesto generale non consente di sostenere spese per omaggi, regali o benefici, quand’anche contemplati dalle usanze o compatibili con i codici etici di tutti i soggetti interessati. Eventuali situazioni eccezionali dovranno quindi essere puntualmente segnalate ed argomentate alla direzione generale della capogruppo che, qualora ne ravvisi l’opportunità, potrà rilasciare una specifica autorizzazione”.

Questo per fare le strenne natalizie. E per riceverle? Anche qui l’invito è alla morigeratezza e soprattutto alla trasparenza e al rigore. Infatti la lettera dice chiaramente che, considerando l’art.79 del codice etico aziendale, è assolutamente vietato accettare per se o per altri doni, regali, inviti in misura tale da generare aspettative di trattamenti preferenziali o compromettere l’immagine aziendale. In ultima analisi i dipendenti possono ricevere regali per un controvalore di 150 euro, se si eccede tale soglia bisogna darne comunicazione all’azienda, e poi devolvere in beneficenza (secondo un percorso ben definito) la parte eccedente i 150 euro.

Sembra una sciocchezza, ma è un segnale importante di come, nell’ambito pubblico, ci si stia ponendo verso un comportamento che, anche se non illegale, è però sanzionabile da un punto di vista etico e morale.

Sicuramente è solo un primo passo, a cui ci auguriamo che ne seguano altri anche in altri settori della vita pubblica italiana.

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La più bella del mondo

postato il 18 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

Per chi l’avesse perso, offro un riepilogo e un’analisi sul programma mandato in onda stasera dalla Rai. Uno spettacolo, in tutti i sensi. Una performance di Benigni davvero strepitosa, da pelle d’oca: In più occasioni mi sono emozionata. Da brividi. Uno spettacolo di quasi due ore e mezza,senza alcuna pubblicità: una lezione di storia, di diritto e di vita.

Questo è il Servizio Pubblico che vogliamo!

Lo spettacolo di Benigni si apre con ironia: c’è un finto parallelismo col Medioevo (“periodo in cui c’erano corrotti, persone indagate, che facevano leggi terribili e votavano con una legge dal nome latino, il ‘Porcellum’! ”). Naturalmente, bersaglio dell’ironia è il mondo politico, con i suoi scandali, e in particolar modo Berlusconi; ma è tutto molto sobrio. Poche battute iniziali, perché presto il comico toscano entra nel merito del tema.

Benigni si sofferma a riflettere sull’importanza del voto e della partecipazione. Partecipare alla vita della Repubblica è fondamentale, così come votare. Non ci si può lavare le mani, non ci si può astenere dalla politica: altrimenti ci si comporta come Ponzio Pilato, si lascia la Repubblica nelle mani della folla. “E, si sa, la folla sceglie sempre Barabba.”

Dopo questi primi minuti, che già preannunciano una gran bella serata di Televisione (con la T maiuscola), Benigni invita a riflettere sulle istituzioni e sul loro ruolo. Invita a non generalizzare sui politici (“Se diciamo ‘Sono tutti uguali’ facciamo il gioco dei disonesti, dei corrotti. Perché così riescono a nascondersi, a farla franca!”), né a disprezzare le Istituzioni per colpa di chi le rappresenta (“Se un padre picchia ogni sera il proprio figlio, non diciamo che la paternità è una cosa crudele, brutta o sbagliata. Diciamo che quel padre non è un buon padre”).

Quindi, Benigni parla della Costituzione come legge fondamentale. Tuttavia, pensando al termine “legge” si tende a credere che sia accompagnata da divieti, da tanti “no”, un po’ come i 10 Comandamenti. Invece la Costituzione italiana “è la legge del desiderio, sprona a fare, a sognare. Il grande merito dei Padri Costituenti è stato quello di “rendere un sogno legge. E’ come se ti obbligassero a sognare, a desiderare”.

Dunque, la disamina del termine stesso “Principi Fondamentali”: sono principi che non si possono toccare, sono le fondamenta della nostra Nazione. Sono quei principi che si scrivono quando si è sobri, che servono a prevenire eventuali futuri stravolgimenti. Infatti, spiega la “Clausola diUlisse”: La Costituzione si auto vincola con questi principi. E’ come la metafora di Ulisse, che chiede di essere legato per non morire, per non cadere negli inganni delle sirene. Lo stesso hanno fatto i Padri Costituenti, hanno posto questi vincoli per far sì che l’Italia non cedesse alle sirene, per auto vincolarsi anche per il futuro.

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Rimontiamo l’Italia, perché il lavoro continua

postato il 16 Dicembre 2012

di Giuseppe Portonera

Il lavoro di Mario Monti non è finito. Dodici mesi non possono essere sufficienti per sollevare un Paese dalla situazione in cui era finito. L’Italia, il Grande Paese che vogliamo costruire, ha ancora bisogno di essere rimontata, pezzo per pezzo. Per questo la vera partita da giocare e vincere è cominciata solo ora. Per farlo, però, la figura – salda, credibile, autorevole – di Mario Monti non è sufficiente: serve una forza politica che possa sostenerlo e supportarlo come si conviene. Serve, cioè, il Partito Monti, che in una prima fase può anche essere il Partito di Monti, ma che poi deve essere capace di restare come presenza forte nel Paese. Un partito che nasce nel solco del PPE e che come tale imiti i suoi corrispettivi e omologhi europei: alternativo a chi chiede più spesa pubblica, più intervento statale, meno libertà economica; liberale (socialmente e economicamente) e conservatore (che può sembrare un’offesa solo a chi confonde “progressista” con “comunista”); rigoroso e moderno.

Non abbiamo bisogno – come sostengono molti con alterità, spocchia e tanta, tanta fifa – di “aggrapparci” a Monti, perché in presunta assenza di “idee”, “valori”, “progetti”. Perché noi montiani lo siamo da prima che questo termine facesse capolino nella vita politica italiana. Perché le cose che Mario Monti ha fatto, le cose che avrebbe fatto ancora meglio se non avesse avuto vari impedimenti e ostacoli, le cose che non ha mancato di sottolineare come “necessarie” nei suoi vari interventi in Italia e all’estero, fanno parte del nostro DNA, da sempre. Per questo siamo consapevoli che questo è il momento di mettere ordine tra di noi: se la “Lista per l’Italia” deve essere un modo per superare meno dolorosamente possibile le prossime elezioni, allora è meglio salutarsi qui. L’assunto da cui bisogna partire, se non vogliamo commettere questo errore, è quello che ha fissato Pier Ferdinando Casini nella sua intervista al Corriere, ieri: «Il nostro progetto è limpido e va oltre le scelte personali di Monti. Offriremo agli italiani un programma che parta dal lavoro portato avanti dal suo governo. Per più di un anno è stato come il medico al capezzale di un malato grave. E per salvarlo ha somministrato la pesante medicina dei sacrifici. Sarebbe assurdo che dopo le elezioni questo malato, che è l’Italia, riprendesse la vita dissoluta di prima». Ecco a cosa serve la “Lista per l’Italia”. Ed è per questo che il 20 dicembre ci vedremo a Roma, all’evento “Rimontiamo l’Italia” – organizzato dagli ottimi Gianluca Galletti, Benedetto Della Vedova e Linda Lanzillotta. Perché, come ha scritto Carmelo Palma, la situazione dell’emergenza è passata ed è giunto il momento di rendere “ordinaria” l’esperienza “straordinaria” del Governo Monti: “una continuità di governo, sul piano dei contenuti, prima che degli uomini, non potrà risultare che dalla presenza e dall’affermazione di una forza elettorale che rivendichi i meriti e rinnovi le ambizioni dell’esecutivo chiamato dal novembre 2011 a ‘salvare l’Italia’. Nessuna continuità potrà essere assicurata se a prevalere sarà semplicemente una delle coalizioni in tutto o in parte ‘anti-montiane’”. Perché il lavoro continua. Con Mario Monti Premier.

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Addio al Quoziente Parma

postato il 14 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Nella Parma guidata dal Movimento 5 Stelle non c’è più spazio per la famiglia. Il 26 novembre la giunta ha votato il Piano tariffario per l’esercizio 2013 in cui è contenuta la delibera 413/34 che sospende, a partite dall’anno prossimo, il “Fattore Famiglia”, un sistema ideato dalla precedente giunta di centrodestra e chiamato “Quoziente Parma” che consentiva alle famiglie agevolazioni  fiscali in base al numero dei figli.

Questo si legge sulle pagine dei quotidiani locali e nazionale, eppure non ci credo, i giornalisti , sapete, inventano sempre un sacco di storie.

Non aveva forse il sindaco Pizzaroti in campagna elettorale elogiato il Quoziente Parma come l’unico frutto buono dell’amministrazione corrotta che lo precedeva? E Pizzaroti è un uomo di parola.

 

Non aveva forse scritto nelle linee programmatiche 2012-2017 che i grillini si sarebbero impegnati a valorizzare il fattore famiglia? E Pizzaroti è  uomo di parola. Eppure su Avvenire Francesco Caltabianco, consigliere nazionale dell’associazione Famiglie numerose, accusa il Comune di Parma  di “aver smantellato l’Agenzia per la Famiglia, eliminato le agevolazioni per le famiglie numerose, abbandonato la Family Card ed eliminato tutta una serie di provvedimenti in favore delle famiglie. Contestualmente, invece, sono stati aumentati i fondi per alcune cooperative. Forse non si crede nella sussidiarietà della famiglia, ma nell’appalto di servizi a terzi».

Ma io sto ancora dalla parte di Pizzaroti. Forse il quoziente famiglia è vittima di una  carenza di fondi ed è stato abolito a malincuore in attesa di essere ripristinato con un maggior gettito comunale. Ma non è così perché è un sistema a costo zeroIl quoziente infatti si basa sulla modifica delle tradizionali fasce ISEE, acronimo che sta per Indicatore della Situazione Economica Equivalente, in base alle quali le famiglie pagano i diversi servizi pubblici quali asili nido, mensa e trasporto scolastico. I parametri infatti, a Parma  come ad altrove, non paiono più adeguati alle reali esigenze dei cittadini e spesso si verificano situazioni paradossali a tutto svantaggio della maggior parte delle persone che si appellano all’amministrazione comunale. Attraverso un  sistema di calcolo, che mirava a correggere le varie tariffe a seconda della effettiva composizione dei nuclei familiari, il quoziente cercava di  riportare un po’ di equità nella redistribuzione delle risorse a favore delle famiglie: il nuovo parametro, infatti, comportava per i nuclei con due o più figli l’aumento di contributi e la diminuzione dei costi dei vari servizi, con benefici in termini concreti anche di un centinaio di euro all’anno per ogni figlio.

No, non sto parlando per discutere l’operato di Pizzaroti o mostrare le contraddizioni dei grillini, son qui per dire quel poco che conosco del Quoziente Famiglia. E il Quoziente Parma meritava di esistere.

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Che cos’è lo Spread?

postato il 13 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Si parla spesso di spread, ma cosa è e perché influenza la nostra vita?

Lo spread è il differenziale tra il nostro tasso di interesse (che lo stato paga sui btp) e un altro tasso di interesse preso come “pietra di paragone” e che generalmente è pagato dagli investimenti ritenuti “sicuri”. In pratica, più rischioso è l’investimento, maggiore è l’interesse che vuole chi presta il denaro. Se la cosa vi sembra eticamente discutibile, provate a riflettere: voi prestereste denaro ad una persona inaffidabile con il rischio di non averlo restituito? E se prestate questo denaro, è chiaro che maggiore è il rischio, maggiore è il guadagno che chiedete per compensare il rischio corso.
Allo stesso modo dobbiamo ragionare con lo spread e il nostro debito pubblico:  lo spread è la differenza tra il tasso di interesse pagato dallo stato italiano e quello pagato dallo stato tedesco (reputato uno degli investimenti più sicuri). Supponiamo che abbiamo un tasso pari a 6%, se quello tedesco è del 2%, allora lo spread è del 4% (6-2=4).

Da queste considerazioni discende che se uno stato, come ad esempio l’Italia, diventa sempre più inaffidabile a causa dell’andamento dell’economia o perché i governanti non fanno le riforme o si dimostrano incapaci, chiaramente il tasso di interesse che paga salirà e quindi salirà anche lo spread. Sotto questo punto di vista lo spread è un primo termometro di quanto è affidabile un debitore o una nazione che si indebita.

Ma che significa per le nostre tasche uno spread alto? Ogni mese scadono dei titoli di stato (BOT, BTP, CCT, CTZ) che in massima parte vengono rinnovati: se lo spread aumenta, aumenta anche il tasso di interesse che lo stato paga sui nuovi titoli emessi; quindi se prima pagava il 4%, poi paga il 5%. In soldoni, significa che la spesa per interessi passivi dello stato italiano, aumenta e se aumenta lo stato italiano in seguito avrà meno soldi per investimenti e avrà bisogno di maggiore liquidità e quindi dovrà tagliare servizi ai cittadini o aumentare le tasse. Il nostro debito è di 1900 miliardi di euro; aumentare di 1% il nostro spread su tutto il debito (fingendo per semplicità di rinnovarlo tutto in un colpo solo) significa che gli italiani dovranno pagare 19 miliardi di euro in più ogni anno. A questo dobbiamo aggiungere che la maggiore spesa per interessi ha un effetto depressivo sul PIL e quindi non solo paghiamo più soldi, ma con un PIL minore, diminuisce anche la nostra economia 8quindi siamo penalizzati due volte): è stato calcolato che un aumento dell’1% del tasso di interesse significa per l’Italia un aumento di spesa per interessi pari allo 0,2% del PIL il primo anno, dello 0,4 il secondo anno e dello 0,5 il terzo anno, rispetto agli stati più “sicuri” (come la Germania); se si fosse mantenuto una differenza del 4%, come ai tempi di Berlusconi, per lo stato italiano si sarebbe parlato di una spesa aggiuntiva di circa 100 miliardi di euro di interessi.

Inoltre alti tassi di interesse implicano per le banche, le imprese e le famiglie, maggiori difficoltà nel reperire i fondi necessari; in altre parole una famiglia pagherà di più come interessi per avere un prestito, ma anche le imprese pagheranno di più (due estati fa, con Berlusconi, i prestiti alle imprese erano saliti ad un tasso di interesse del 9%).

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Le responsabilità della politica

postato il 11 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gianluca

Non ho mai parlato ne scritto di politica non perché disprezzi i leader, ma perché non ho mai sopportato la forma mentis di molti “militanti” che seguono come capre il loro capi di partito anche se questi cambiano le loro scelte politiche in funzione di accordi e alleanze che non hanno nulla a che fare con le esigenze reali della collettività.

Ora però che vedo con i miei occhi la difficoltà economica del nostro Paese, delle nostre aziende e dei nostri lavoratori, comprendo quanto le decisioni di un Governo possano condizionare la ripresa, se non altro influenzando il morale, che è la molla principale su cui agire per ottenere il meglio da tutti anche nei momenti difficili.

Qualche mese fa la nostra politica ha alzato le mani rispetto ad una problematica molto più grande delle parole, degli slogan, dei contrasti in tv e di quella fedeltà caprina di cui sopra. Qualsiasi scelta per migliorare le cose sarebbe stata impopolare per ogni schieramento e forse nessuno dei leader avrebbe avuto la credibilità necessaria per richiedere i sacrifici straordinari a cui è stata chiamata la popolazione.

Per tutti, destra e sinistra, la scelta migliore è stata Monti per analizzare la situazione ed iniziare una reazione che a qualsiasi costo avrebbe dovuto portare il culo del paese lontano dai carboni ardenti di un baratro finanziario.

A tutti noi è stata chiesta fiducia incondizionata e grandi, grandi sacrifici. Oggi, la politica dormiente esce dai propri sarcofaghi per rivendicare la propria importanza vitale in un Paese democratico, e con un colpo di spugna cancella la stessa fiducia che ci è stata richiesta a gran voce solo qualche mese fa. Quello che proprio non capisco è come dovremmo interpretare questi avvenimenti, come un atto di ammissione di colpa della politica, nel aver sponsorizzato persone sbagliate? Che i sacrifici richiesti non erano dettati dalle strategie più giuste per il nostro Paese e si è ritenuto quindi necessario non dare seguito al percorso iniziato dal governo tecnico? Si? No? In ogni caso non ho sentito da nessun politico un’assunzione pubblica di responsabilità rispetto a questo presunto “madornale errore di valutazione”.

O forse questa frettolosa chiusura delle porte sul naso di Monti è solo l’ennesimo gioco di una politica orgogliosa e capricciosa che non riesce a fare a meno di incrociare le corna pubblicamente per duellare all’infinito e screditarsi a vicenda per aggiudicarsi il trofeo del “male minore”.

Io non so se Monti ha fatto bene o male, ma di una cosa sono certo che avrebbe continuato nel bene o nel male ad agire nell’interesse del Paese, se non altro per un etica professionale legata al suo ruolo “non politico”. Sarebbe stato così antidemocratico lasciarlo lavorare quantomeno per verificare il risultato del suo operato? Sarebbe stato così male per tutti noi continuare ad assaporare il piacere di una migliore considerazione politica dell’Italia in campo internazionale?

Siamo sicuri che gli stessi politici che hanno alzato le mani difronte alle difficoltà, oggi con i compromessi per le coalizioni e le promesse pre-elettorali, non rappresentino un altissimo rischio di catastrofe per il nostro Paese?

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Per questo, Presidente Monti, questo cammino non può essere interrotto

postato il 10 Dicembre 2012

di Giuseppe Portonera

Caro presidente Monti, sapevamo che la boccata d’ossigeno rappresentata dal suo Governo non sarebbe durata per sempre. L’avere personalità competenti, serie, responsabili (con tutti i loro limiti e difetti) nei massimi posti di comando non poteva che essere una situazione transitoria: o almeno, così si pensava, quando, un anno fa, lei e i suoi ministri giuraste fedeltà alla Costituzione davanti al Presidente Napolitano (sempre sia lodata la sua lungimiranza). Chi scrive è sempre stato abbastanza realista (altri direbbero “pessimista”): ricordo che nelle ore – tormentate, difficili – in cui il suo predecessore aveva deciso di gettare la spugna, quando in tv passavano le immagini dei cori festanti e giubilanti e sui giornali e sulla Rete si sprecavano i commenti positivi sul suo arrivo al Governo, io commentavo (un po’ in solitario): “vedrete che la maggior parte di quelli, tra qualche settimana, organizzerà le manifestazioni contro Monti”. Anziché qualche settimana, trascorse qualche mese, ma alla fine successe: la sua ondata di riforme strutturali, di provvedimenti “lacrime e sangue”, le sue bordate (venate di humour e di sano polemista da commentatore) contro il nostro sistema Paese ingessato hanno avuto il pregio di fare chiarezza, di smontare quell’aura di “tutti-bravi-e-tutti-belli” che aveva accompagnato e salutato il suo arrivo. Nel Paese, provato duramente dai provvedimenti da lei fortemente voluti, si sono create delle macroaeree politiche: da una parte chi l’ha avversato in tutti i modi e in tutte le salse, e dall’altra chi, invece, comprendeva che quelle riforme lì non le chiedevano mica fantomatici poteri forti esteri o l’austera e arcigna Germania, ma le giovani generazioni di studenti e lavoratori che altrimenti sarebbero state costrette a sopportare un costo sociale immenso. La riforma delle pensioni, per citare il provvedimento bandiera del suo Governo, ha avuto il merito di creare il sistema previdenziale più virtuoso d’Europa e di mettere in sicurezza i conti dello Stato (a chi lamenta uno “scippo delle pensioni”: lo sapete che senza la tanto vituperata riforma Fornero, le pensioni non si sarebbero potute più pagare?). Certo, non si può negare che sia stato duro da sopportare: ma ci rendiamo conto che siamo in guerra? Mentre nel resto d’Europa e del mondo si facevano le Riforme (con la R maiuscola), in Italia cosa avevamo? Le accuse ai giudici di essere politicizzati, i ministri di alcuni governi che scendevano in piazza contro i loro stessi esecutivi, il conflitto di interessi, le sensazionali leggi sulla patente a punti e contro il fumo nei locali pubblici. La nave già mostrava i primi segni di cedimento, ma a bordo l’orchestra continua a suonare allegramente.

Caro Presidente Monti, non si può tornare indietro. La famosa Agenda che porta il suo nome non è una lista di buone intenzioni: è la concretizzazione di un cambio radicale di rotta. La sobrietà, in politica, deve corrispondere alla responsabilità e alla serietà. Il PDL berlusconiano pensa che la sua sia stata solo un’esperienza racchiudibile in una parentesi; a sinistra la definiscono “di transizione” e, dopo essere stati “leali” (?), ora preparano un governo di segno assolutamente opposto (asse Fassina-Vendola-Camusso: aiuto). Solo noi abbiamo avuto il coraggio e l’onestà di dire che il lavoro non è terminato e che questo suo governo non è stato un punto di chiusura, ma di apertura di nuova fase. In un Paese di ciarliere cicale, lei ci ha ricordato cosa voglia dire essere formiche laboriose.

Per questo, Presidente Monti, le chiedo di non permettere che i sacrifici di questo anno vadano persi. Per questo, Presidente Monti, le chiedo di rendere “ordinaria” la sua esperienza “straordinaria”: fuori dai Palazzi che lei ha rappresentato con orgoglio e dignità, c’è una fetta di Italia che non vuole sprecare il proprio voto e che pensa che chi è stato parte del problema, ora non può presentarsi come sua soluzione. Quella fetta di Italia è la nostra maggioranza silenziosa: produttori, lavoratori, imprenditori, studenti che hanno sopportato il carico dei sacrifici, sapendo che questo avrebbe cambiato le cose. Quella fetta di Italia aspetta una guida, una strada da seguire.

Per questo, Presidente Monti, le chiedo di candidarsi. Di mettersi a capo di una lista che si ispiri al PPE (e che quindi sia alternativa a chi chiede più spesa pubblica, più intervento statale, meno libertà economica) e che non si professi “moderata”. Noi vogliamo essere “radicali”. Noi vogliamo dire chiaramente cosa ci candidiamo a fare: trasformare il Paese (ed è per questo che il nostro sarà un programma di lungo raggio, non solo legato all’emergenza del momento).

Per questo, Presidente Monti, le chiedo di candidarsi. Perché la speranza, il sogno, di un’Italia più moderna, produttiva, europea (in una parola: normale) possa realizzarsi anche barrando un simbolo sulla scheda elettorale. È la nostra occasione.

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Noi e loro. Perché è necessaria l’alternativa a Berlusconi

postato il 10 Dicembre 2012

di Adriano Frinchi

Gli ultimi avvenimenti politici hanno tolto definitivamente ogni dubbio sulla necessità di aggregare un’area che sia distinta e distante dalla ridotta valtellinese di Berlusconi. L’annuncio del ritorno in campo del Cavaliere e il contestuale ritiro dell’appoggio del Pdl al governo Monti non sono solo il simbolo di una totale irresponsabilità politica, ma scrivono anche la parola fine a qualunque ricostituzione dell’area popolare.

La scelta di Berlusconi non è un ritorno al passato. Nel 1994, pur con tutti i difetti e i limiti, Berlusconi riuscì a recuperare il consenso di quei moderati orfani della Dc e del Pentapartito, oggi il Cavaliere con la sua sesta discesa in campo si accinge a creare sulle ceneri del Pdl un contenitore che non ha nulla a che fare con il Partito Popolare Europeo.

Berlusconi attorniato da pasdaran e amazzoni intende, ancora una volta, polarizzare lo scontro: da una parte i comunisti dall’altra i paladini della libertà. La verità però è ben diversa.

Intorno a Berlusconi, e ai suoi interessi politici ed economici, si sta coagulando un’area antieuropea e irresponsabile che si prepara ad una campagna elettorale fatta di populismo e demagogia, che è pronta a far crescere il proprio consenso elettorale sulle paure e le difficoltà degli italiani.

Dall’altra parte non c’è il Partito Comunista Italiano. C’è un’area progressista seria e responsabile che ha il suo perno nel Pd che è stato protagonista leale dell’esperienza governativa di Mario Monti. C’è anche la leadership credibile di Pier Luigi Bersani che ha preso le distanze dal populismo di Antonio Di Pietro e che si spera saprà arginare le intemperanze di Nichi Vendola.

Resta poi un’area da organizzare, un’area politica popolare, liberaldemocratica, europeista ed atlantista che possa misurarsi, ma anche dialogare, con i progressisti e che sia fermamente alternativa ai populismi di Berlusconi e di Grillo.

Il gesto coraggioso e serio di Mario Monti ha politicamente marcato questa differenza tra noi e loro, tra coloro che credono che il bene del Paese viene prima degli interessi di personali e di partito, tra coloro che credono che l’eredità del governo Monti non vada dispersa  e coloro che pensano di poter nuovamente giocare con vita di milioni di italiani.

C’è una parte consistente del Paese che si aspetta che tutti coloro che si riconoscono nel Ppe, nell’esperienza di serietà dell’esecutivo Monti si facciano promotori di una proposta politica di alto livello, nuova nei contenuti e nei metodi che si capace di raccogliere esperienze diverse e le tradizioni politiche che hanno fatto grande questo Paese.

Quest’area aspetta un segnale, un gesto di coraggio per dire che l’alternativa è possibile, che alle prossime elezioni ci saranno loro, ma soprattutto ci saremo noi.

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Falsi miti: avere figli non è un problema

postato il 9 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Michele Surace

Sono un giovane papà di ventotto anni con due figli che è rimasto sbalordito dal modo in cui vengono gestite e disincentivate le nascite nel nostro Paese. E’ sufficiente guardarsi intorno per capire come la nostra società veda i bambini come un “pericolo”, un peso. Non è la carriera o l’economia che stanno disincentivando (almeno in prima persona) le coppie a fare i figli, ma sapete cosa? La Pubblicità e le “tasse sui figli”.  Prendiamo in considerazione la prima: una pubblicità “regresso” che ci riempie dalla mattina alla sera con immagini  di uomini sorridenti che vanno a prendere a scuola la bella insegnante con le facce tristi di tutti i papà che invece di prendere l’insegnante prendo i loro figli. Falso: da padre vi posso assicurare che non è mai passato giorno in cui andando a prendere a scuola mio figlio ci sia andato triste o a pensare alle belle ragazze. Quando andrete a prendere vostro figlio, ogni giorno, rinnoverete la gioia di riabbracciarlo. Altro cosa: vi ricordate la pubblicità dei due fidanzatini dove lei si ferma davanti ad una vetrina chemostra vestiti da bambino e il suo fidanzato sbianca immaginandosi chissà che cosa? Tranquilli! La ragazza poi si scoprirà che stava guardando solo le scarpe della commessa con il sospiro di sollievo del fidanzato. E infine, la cosa ancora più inquietante: la pubblicità dello strumento che legge la fertilità per le donne. Una coppia che si allarma quando lo strumento diventa “rosso” che secondo la pubblicità è un “pericolo” perché potresti avere bambini. Bambini uguale pericolo?, ma in che mondo viviamo?

Questo è il clima in cui una coppia, come quella costituita da me e mia moglie, ha deciso a 23 anni di fare il primo figlio, sposarsi e a distanza di qualche anno fare il secondo figlio. Per i malpensanti voglio subito dire una cosa: non siamo figli di papà: io sono un precario, mia moglie studia all’università e quando abbiamo preso questa decisione siamo partiti da zero. Zero lavoro (facevo l’università), zero casa, zero esperienza. Quindi non credete a tutte quelle storielle inventate dai media che dicono che senza lavoro non potete avere figli, che questi vi rovineranno la vita, che non potrete finire gli studi se vi sposate ecc. Nulla di più falso.

Questo per quanto riguarda il “clima” prima di sposarsi. Alle giovani coppie andrebbe fatto un monumento solo per aver sfidato questo conformismo terroristico da parte di chi, evidentemente, non vede nei bambini un gran business per i propri affari: le famiglie se possono spendere, spendono meno in frivolezze e più per il concreto. E questo evidentemente è un male per questi signori.

Veniamo ora al post-parto: le tasse sui figli. Delle vere e proprie tasse indirette che al pari dell’IVA colpiscono le famiglie “perché hanno un figlio”: pensate solo ai costi esorbitanti che abbiamo in Italia di asili nido (anche comunali),   pannolini – in paesi come la Spagna si trovano le stesse marche a metà prezzo –  e latte artificiale, giusto per fare degli esempi. E forse non è un caso che il Ministro della Salute  ha denunciato all’Antitrust il prezzo eccessivo di pannolini e latte in polvere in Italia.

Una volta il latte artificiale veniva passato dallo Stato alle famiglie. Oggi mediamente 900 grammi di latte in polvere costano 20 euro, e viene consumato questo quantitativo in circa 5/6 giorni, senza considerare la scorta di emergenza che ogni famiglia dovrebbe tenere. In un mese questo costo può rappresentare per una famiglia una spesa pari a  120 euro, al quale vanno aggiunte poi tutte le spese che ho citato precedentemente. Più volte le società produttrici di latte in polvere sono state multate dallo Stato (ad esempio nel 2004 furono multate in quanto accusate di un vero e proprio “cartello”), e il solo pensare che c’è gente che specula sulla nutrizione dei bambini dovrebbe far pensare molto sul tipo di società che vogliamo, proprio per i nostri figli. Non solo: sono venuto a scoprire informandomi sui giornali che le società produttrici di latte in polvere spesso fanno donazioni agli Ospedali ed organizzano corsi di formazione molto importanti, gratuiti per i responsabili dei reparti di neonatologia: tutto nobile, se non fosse che questa prassi è stata spesso criticata in quanto porta alla “fidelizzazione” da parte di queste ditte dei singoli ospedali sulla marca da dare ai bambini che hanno bisogno di questo tipo di latte. Il tutto alla faccia della concorrenza, a prescindere dal prezzo o dalla disponibilità nelle farmacie locali.

Detto questo, perdonate lo sfogo da ingenuo papà, volevo solo farvi riflettere sulla situazione dei giovani in Italia, proprio a causa della “moda” del non fare figli:  nel 2030 secondo l’Istat, e confermato dagli scenari inquietanti non però fuori dalla realtà dell’interessantissimo libro di Piero Angela “Perché dobbiamo fare più figli” , i giovani tra i 18 e i 21 anni (appena acquisito il diritto di voto) rappresenteranno solo il 3% della popolazione: questo vuol dire che i giovani conteranno sempre di meno nella società, nelle scelte politiche ed economiche di questo Paese. Ma il bello delle previsioni sulle tendenze statistiche è che si è ancora in tempo per migliorarle. Per questo occorre invertire la tendenza: credo che una seria politica di tutela della Famiglia e di incentivazione delle nascite debba essere, dopo il Lavoro, al primo posto dell’agenda di un Governo responsabile della Terza Repubblica che voglia puntare sul futuro del nostro Paese.

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