Tutti i post della categoria: Media e tecnologia

Qui Radio Londra, quando per colpa di Ferrara la cena va di traverso

postato il 16 Marzo 2011

C’erano tutte le premesse per definire quella di stasera una buona cena: il pollo caldo, un contorno di patate ed un bicchiere di Coca cola. Ma sì, anche la tivù accesa in sottofondo con i deliri del Tg1. Solitamente il mio televisore è sintonizzato su La7, appuntamento fisso con l’ottimo tiggì di Mentana. Ma questa sera avevo proprio voglia di vedere Qui Radio Londra, il programma di Giuliano Ferrara. Apprezzo molto il Foglio, quotidiano che dirige e che acquisto con frequenza. Volevo quindi rivederlo nelle vesti di commentatore televisivo nel dopo tg1. Che mai l’avessi fatto.

La mia cena subisce un primo stop quando vengo a sapere dallo stesso Ferrara che stamattina qualcosa gli è andato storto. Si è alzato di buon umore, almeno così dice, ma un video su You Tube lo ha turbato. Quale? Questo. Si vedono le immagini della protesta che ha accolto Karima El Mahrou, ribattezzata “Ruby”, davanti ad un locale di Maglie. Ferrara è furibondo: “Nel mio paese – dice – c’è gente che ha scambiato il proprio cuore di carne con il cuore di pietra”. Il suo faccione immenso mi ipnotizza.

Mi dice che la povera Karima ha usato il proprio corpo, la sua bellezza, per farsi avanti. Ferrara mi ricorda “l’infanzia complicata” di Ruby, aggiungendo che se ne è “emancipata attraverso il proprio corpo”, come accade a molte ragazze che vogliono fare carriera nel mondo dello spettacolo.

Metto da parte il piatto con le patate. Prendo tra le mani il bicchiere con un po’ di Coca cola all’interno ed chino il capo. Il faccione di Ferrara diventa sempre più inquietante. Ma il cattivo gusto arriva alla fine. Ferrara, non sazio degli acrobatici parallelismi che vanno dall’Islam integralista che lapida le adultere all’America puritana del ‘600, quando si tatuava una lettera rossa sul corpo delle donne di strada, mi tira in ballo Gesù. Avete capito bene. Chiama in causa Gesù di Nazareth, il Cristo, l’unto. Per dirmi cosa? Che nel Vangelo c’è scritto che quel grande ebreo palestinese, Gesù, di fronte a una folla che voleva lapidare un’adultera disse: chi è senza peccato scagli la prima pietra.

E tutto questo per cosa? Per difendere Ruby e criticare chi quella sera le ha fischiato contro. Ma non solo. Giuliano Ferrara ce l’ha “con chi li eccita”, con chi fa appello alla morale, al puritanesimo.

Alzandomi da tavola ho posato il bicchiere mezzo vuoto. Il mio stomaco si era bevuto già davvero troppo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giovanni Villino

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La paura della verità che viene detta ridendo

postato il 10 Marzo 2011

Ogni martedì la trasmissione di Giovanni Floris “Ballarò” è aperta da Maurizio Crozza che con la sua satira pungente commenta l’attualità politica e puntualmente, mentre Crozza fa il suo monologo, la telecamere indugia sugli ospiti colpiti dalle sue battute. Tra questi si distinguono i rappresentanti della maggioranza, di volta in volta i vari Bondi, Ravetto, Cicchitto e Brambilla che non ridono e anzi guardano in cagnesco il comico genovese in attesa di chiedere a Floris di poter replicare alle battute. In tutto il mondo ci sono spettacoli di satira, ma da nessuna parte del globo ho visto politici chiedere di poter replicare alle battute. Anche perché mi sono sempre chiesto: ma come si replica ad una battuta? Forse facendone una più bella? Raccontando una barzelletta?

Purtroppo, a parte il Presidente del Consiglio, non mi pare di vedere in giro grandi barzellettieri e quindi quell’aria seriosa e di sufficienza davanti alle battute del comico di turno mi sembra davvero ridicola e indice di scarsa intelligenza. Fortunatamente c’è anche chi come Pier Ferdinando Casini che pubblica sulla sua pagina Facebook una puntata del programma satirico “gli Sgommati” dove bonariamente viene preso in giro da un pupazzo di gommapiuma che ne riproduce le fattezze. Il leader dell’Udc si colloca in una consolidata tradizione italiana di politici amanti della satira: Giovanni Spadolini ad esempio non si arrabbiò mai con Giorgio Forattini che lo disegnava pachidermico e nudo, così come Amintore Fanfani per l’imitazione di Alighiero Noschese, e Giulio Andreotti andava addirittura al Teatro Margherita a godersi la sua imitazione fatta da Oreste Lionello. Saper ridere di sé non è solo una grande qualità umana, ma è anche un antidoto efficace contro i deliri di onnipotenza, al contrario, la serietà ostentata davanti ai lazzi dei comici, gli “editti bulgari” per combattere le barzellette e le querele per le vignette satiriche non sono solo riconducibili ad una pochezza intellettuale e culturale e ad una forma di violenza, ma sono anche il sintomo di una paura: la paura della verità che viene detta ridendo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Tanta voglia di futuro, ma a scuola i pc sono rotti

postato il 5 Marzo 2011

L’On. Roberto Rao è intervenuto, qualche settimana fa, al convengo organizzato da AgendaDigitale, spiegando la posizione che il nostro partito ha assunto sul delicato tema della libertà della Rete. In questi lunghi mesi, grazie a una proficua collaborazione tra la base e diversi parlamentari, l’Udc ha voluto entrare a pieno titolo nel dibattito sulla modernizzazione del nostro Paese: obiettivo, questo, da raggiungere attraverso la promozione di un Internet libero, finalmente, di svilupparsi come meglio crede.

La sfida di AgendaDigitale – da noi già accettata e rilanciata – sta proprio in questo, nel dare a questa nostra benedetta Italia una “strategia digitale”, che possa farci uscire dal gap tecnologico e informatico (in cui ci hanno cacciato anni e anni di politiche miopi) e restituirci a degli standard europei e moderni. Rao ha esemplificato questa brutta situazione, in modo chiaro, raccontando agli intervenuti del convegno il rapporto che hanno i suoi due figli con il mondo digitale: il figlio più piccolo, di un anno e 8 mesi, è nato con l’iPad e – come racconta Rao – sa già come utilizzarlo, mentre la figlia più grande, di 7 anni, si ritrova a non fare informatica a scuola perché mancano i computer o è assente la maestra. Ci sono solo 6 anni di differenza tra i due, eppure è evidente come la seconda – che pure vive in un contesto sociale perfettamente integrato qual è quello scolastico – si trova in difetto rispetto al primo. In sostanza, finché si è in famiglia la tecnologia è qualcosa di fondamentale e accessibile, ma non appena si esce dai confini della propria dimora, ecco che ci ritroviamo immersi in un mondo vecchio che non riesce a cambiare.

E la politica? A parole – sottolinea Rao – si dice subito pronta: è nei fatti che è assente, incapace di interpretare i reali bisogni della società e dei suoi cittadini. Quale differenza c’è tra le aule che frequento oggi io e quelle che frequentava un mio bisnonno decenni e decenni fa? Praticamente nessuna: a parte i calamai, le lavagne, i banchi e le cattedre sono sempre lì. E attenzione, non è generalizzare o banalizzare! Il fatto che la Scuola abbia rifiutato l’integrazione tecnologica, l’ha resa più povera e debole. Sarà un caso poi, che il nostro Senato promulghi una legge illiberale e retrograda che proibirà di fare sui libri sconti superiori al 15 per cento? E sapete perché? Per paura di Amazon e dell’e-commerce dei libri! Ha ragione Francesco Costa, che su questo punto ha scritto: “da sempre i cambiamenti aprono nuovi mercati e altri ne chiudono, creano nuove professioni e altre le cancellano: non c’è stato modo di salvare i maniscalchi quando sono state inventate le automobili”. Abbiamo voglia di Futuro.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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Talk show a targhe alterne

postato il 2 Marzo 2011

Se non fosse un documento ufficiale l’atto di indirizzo sul pluralismo presentato dal Pdl in commissione di Vigilanza Rai farebbe ridere. Purtroppo il documento è vero e prevede, in maniera surreale, di alternare, di settimana in settimana, conduttori di talk show “con diversa formazione culturale”, mandandoli in onda nelle fasce migliori del palinsesto. La dose è rincarata dal senatore Alessio Butti, relatore di maggioranza, che presentando la bozza ha  spiegato che occupare sempre le serate di martedì e il giovedì (il riferimento è chiaramente a Ballarò e ad Annozero ndr) “è diventata una rendita a vantaggio di alcuni conduttori”.

Le ironie sono state facili e subito si è parlato di “conduzione a targhe alterne”, tuttavia non credo che sia la solita boutade di fantasiosi esponenti del Pdl, ma ci troviamo di fronte ad una proposta che ha nella sua essenza ha qualcosa che non va. L’atto di indirizzo sul pluralismo porta in sé una deteriore concezione del giornalismo, dove il giornalista è ridotto a voce del padrone ed è chiamato a somministrare ai lettori o al pubblico televisivo le verità di comodo del potente di turno.

Diciamocelo chiaramente: “diversa formazione culturale” è un modo educato, anzi politicamente corretto, per indicare giornalisti faziosi che dovrebbero alternarsi sugli schermi televisivi per garantire un presunto pluralismo. Sì, presunto pluralismo, perché, non se ne dispiaccia il senatore Butti, quello proposto non è pluralismo ma solo una forma di lottizzazione degli spazi televisivi a cui non aveva pensato nemmeno la vorace Prima Repubblica.

Davanti a queste assurdità allora sorgono delle domande che forse tanto scontante non sono: è così difficile immaginare un servizio pubblico che sia veramente servizio alla gente e non servizio al Governo in carica? E’ così difficile pensare a dei giornalisti che fanno inchiesta, approfondimento e dibattito e non conducono le loro personali o padronali battaglie politiche su stampa e televisione? Come si può intuire non è questione di difendere Santoro o Floris, ma si stanno confrontando idee diverse di servizio pubblico e di giornalismo. Personalmente ricordo con piacere un noto insegnamento di Indro Montanelli, che era un tipo sicuramente di “formazione culturale diversa”, ad aspiranti giornalisti:  “chi di voi vorrà fare il giornalista, si ricordi di scegliere il proprio padrone: il lettore”.

Adriano Frinchi

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Sì ai confronti tv

postato il 26 Febbraio 2011

La risposta di Casini, e quella di Berlusconi, alla proposta di Sky di effettuare i confronti tv fra i leader politici

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Oltre il triste cortile di casa nostra

postato il 25 Febbraio 2011

Sono lontanissimi i tempi della prima guerra del Golfo quando  Emilio Fede, non ancora consacrato alla causa berlusconiana, lanciava il suo “Studio Aperto” annunciando in diretta l’attacco della coalizione internazionale contro il regime di Saddam Hussein, e in tutte le tv era un susseguirsi di speciali e approfondimenti  per capire cosa stava accadendo nel Golfo Persico.

In quel momento cruciale per un attimo non si sentirono neanche i sinistri scricchiolii della prima Repubblica. Oggi la situazione è assai cambiata. Mentre dall’altra parte del Mediterraneo si sta chiudendo un’epoca e si sta scrivendo una pagina di storia del mondo, qui in Italia non si riesce ad andare oltre il triste cortile casalingo. Sarà anche colpa di un ministro degli esteri evanescente, di un Premier che non vuole disturbare Gheddafi e che ci informa che avrebbe voluto fare il carabiniere, ma tutto ciò non è sufficiente per giustificare il disinteresse e il provincialismo che sembrano regnare nella nostra informazione.

A parte qualche lodevole eccezione, specie nella carta stampata, per il resto nei telegiornali e ancora di più nei cosiddetti talk show la crisi libica è funzionale per parlare dei nostri problemi politici e per dare il via al solito carosello di dichiarazioni e di polemiche. Nei vari salotti televisivi non sono riuscito a sentire l’opinione di un esperto di geopolitica, di un militare o di un diplomatico ma le solite e inconcludenti parole degli habitué di questi palcoscenici che ripetono ossessivamente, quasi come un mantra, la frase “mi lasci finire di parlare”. E così dopo un poco di dibattito sulla Libia si torna a parlare di Berlusconi e dei suoi problemi, della fuga da Fli e dei responsabili e l’unica maghrebina di cui ci si occupa è la signorina Karima el Marhoug in arte Ruby, con buona pace dei poveri libici.

La cosa preoccupante è che quanto accade negli schermi televisivi sembra ripercuotersi nel Paese, anzi, forse addirittura riflette la situazione di un Paese che non riesce ad uscire dalle sue meschinità, non riesce a guardare oltre a quel muro quasi montaliano che lo separa dalla vita del mondo. E mentre il mondo cambia , mentre la storia fa il suo corso noi rimaniamo a guardare la commedia berlusconiana  dove inspiegabilmente il Cavaliere è sempre regista e protagonista e dove tutti sembrano fare a gara per avere una parte in commedia. Forse aveva ragione Giorgio Gaber quando diceva: “io non ho paura di Berlusconi in sé, ma di Berlusconi in me”.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Fibra ottica e banda larga, apripista il Trentino

postato il 24 Febbraio 2011

L’Italia è sempre stata nella storia  portatrice di innovazione e cultura. Purtroppo i tempi odierni ci raccontano di un’Italia scesa dal podio, sorpassata e, a volte, doppiata dalle altre potenze economiche mondiali.
Ma non sempre tutto il male vien per nuocere e, come spesso succede, le situazioni complicate si rivelano portatrici di straordinarie occasioni, come  la possibilità di una innovazione tecnologica e socio-culturale.
Ecco perchè in questi giorni si discute sempre più di agenda digitale per l’Italia e più in concreto degli investimenti ,pubblici e privati per portare la banda larga, cioè la connesione ultra rapida che può raggiungere i 100MBs circa in download, e il Wifi nel nostro territorio.
E se le grandi aziende qualche volta prendono sotto gamba il futuro di questo settore, ci sono regioni , come il Trentino, che investono denaro e risorse per portare, in un futuro prossimo, l’innovazione a casa propria.

La Provincia autonoma di Trento ha annunciato in questi giorni la creazione di una partnership pubblico-privato per portare nei prossimi dieci anni la fibra ottica in tutto il territorio, a prescindere dalla densità abitativa o dai possibili profitti economici. Bisogna però precisare che l’avanzamento di cablatura è gia a buon punto.
Portare la fibra ottica in un territorio come quello italiano  è un investimento che richiede capacità tecniche e risorse economiche non indifferenti.  Per questo la Provincia Autonoma di Trento ha deciso di creare un società mista  “ Trentino Ngn” aperta ad altre collaborazioni. Telecom è stata, per ovvie ragioni, la prima ad essere coinvolta e poi anche altre grandi società di telecomunicazione .

Portare la fibra ottica in un territorio ha un impatto paragonabile a quello di costruire una superstrada (senza inquinare o rovinare l’ambiete però), i benefici sono innumerevoli.
La banda larga sottoforma di fibra ottica, permetterebbe ai cittadini di usare servizi fino ad ora inacessibili ai più come E-Government, E-Learning , E-Banking , sanità elettronica ed altri ancora.
L’impatto non coinvolge solo  i singoli, ma anche il tessuto economico del territorio che ne trae beneficio e nuova linfa per creare nuovi commerci.

Siamo ancora lontani da tutto ciò, ma il progetto del Trentino, pioniere di una rivoluzione digitale in Italia, è un esempio da seguire, soprattutto se in questo modo si può risalire nella classifica di penetrazione della fibra ottica, dove l’Italia è davanti solo alla Turchia (che è appena entrata e in veloce ascesa).

L’esempio Trentino servirà da motore per il resto delle regioni? Oppure si preferiranno altre vie di sviluppo? Si convinceranno i privati ad investire di più nel turnover tecnologico italiano delle telecomunicazioni ?

“Riceviamo e pubblchiamo” di Michele Nocetti

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Agenda digitale, accettiamo la sfida!

postato il 19 Febbraio 2011

Quarantotto è la posizione dell’Italia nella classifica dei paesi capaci di innovazione stilata dal Global Competitiveness Index del World Economic Forum;

Tre sono i megabit della velocità reale media delle nostre connessioni;

Ventotto milioni sono, secondo le statistiche InternetWorldStats, gli italiani che ancora non hanno accesso ad internet (il 49% della popolazione);

L’1,21% sarebbe la crescita del Pil pro capite stimata dalla Banca Mondiale se ci fosse un aumento del 10% della banda larga.

Sono dati quelli appena snocciolati che fanno saltare agli occhi la necessità di imprimere all’Italia una grande svolta digitale per rendere la nostra economia realmente competitiva. Nonostante l’abbondanza di dati che indicano la necessità e l’urgenza di una strategia digitale un recente rapporto dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (ITU) ci informa che tra i 161 paesi che attualmente stanno lavorando ad una strategia digitale non c’è ancora l’Italia. In questo quadro appare assolutamente condivisibile l’appello dei sottoscrittori del manifesto di Agenda digitale che chiedono alla politica italiana di portare questo tema al centro del dibattito politico nella consapevolezza che si tratta di una straordinaria opportunità di sviluppo per il Paese. L’Udc è convinta che questo appello ad una rivoluzione digitale italiana non vada lasciato cadere nel vuoto e che sull’esempio dell’Europa bisogna delineare una agenda digitale italiana per indicare le strategie per i prossimi cruciali anni: per questo insieme a professionisti, blogger, volontari web e tutti che coloro che vorranno contribuire, l’UDC sta redigendo una propria proposta di agenda digitale.

L’agenda digitale non è solo una necessità di sviluppo ma è anche l’occasione per far uscire l’Italia dall’immobilismo politico, sociale ed economico; ecco perché questo progetto necessità dell’impegno di tutte le forze politiche, ma anche di tutti coloro che hanno a cuore il futuro di questo Paese. Facciamo allora appello all’ingegno, alla fantasia e alla creatività di tutti i nostri amici per contribuire attraverso le pagine del nostro sito a questo grande battaglia per l’innovazione. Aspettiamo i vostri contributi per far divenire l’agenda digitale italiana una realtà.

La Redazione

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Milleproroghe, mille delusioni per la banda larga

postato il 17 Febbraio 2011

Il decreto milleproroghe, approvato ieri in Senato, contiene varie novità, ma la cosa più importante è che si continua nella tradizione del “gioco delle tre carte”, che ha animato la politica economica di questo governo. Il gioco è semplice: si fa una promessa, che costa soldi, e si dice che non si aumentano le tasse o che i soldi verranno da risparmi; poi inevitabilmente spunta o qualche ritocco di tasse (o la creazione di una nuova tassa, come la “tassa di scopo”), o i soldi vengono prelevati da fondi già destinati. In quest’ultimo caso, la cosa divertente è che questi fondi, iniziano a fare una girandola infinita: prima vengono destinati per un determinato obbiettivo, poi per un altro, poi per un altro ancora, e così via, finchè alla fine non si fa nulla, salvo tanti spot.

Sono pessimista? Non direi, semmai realista.

Prendiamo l’esempio del “digital divide”, ovvero del gap che separa l’Italia dal resto del Mondo civilizzato nel campo della banda larga: da tempo immemore il CIPE ha 800 milioni di euro congelati, che dovrebbero servire per sviluppare la banda larga, ma che non vengono spesi, a questi soldi il governo ne aveva aggiunti altri 100 milioni. I lavori però ad oggi non sono nemmeno iniziati, ma, anzi, siamo ancora nella fase progettuale senza che però ancora si sappia quanto costerà lo sviluppo della banda larga, quanto dovrà contribuire lo Stato e quanto i privati.

E così abbiamo 800 milioni già nei conti del CIPE, a cui si aggiungono 100 milioni di fondi FAS, per fare qualcosa che si sta ancora progettando e di cui nessuno conosce i costi. Ma la cosa interessante è che pochi giorni fa il ministro Romani affermava che nel milleproroghe ci sarebbe stato spazio per sviluppare il “digitale”: tutti pensavano si riferisse alla banda larga di internet, e invece lui si riferiva al passaggio alla televisione digitale. Infatti ha dichiarato: “nel Milleproroghe ci sono 30 mln dedicati allo switch-off, che corrispondono ai fondi che avevamo richiesto per completare il passaggio alla digitalizzazione entro la fine dell’anno o all’inizio del prossimo”.

Quindi, per portarci il digitale, il governo ha destinato altri 30 milioni, ma da dove spuntano? Da risparmi di spese inutili? Da maggiori entrate? Semplicemente li tolgono ai fondi destinati alla banda larga (ecco quindi il gioco di spostare sempre le risorse e fare sempre nuove promesse), come si evince dal comunicato che dice: “ Sono prorogati per l’anno 2011 gli interventi di cui all’articolo 1, commi 927, 928 e 929 della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Per le finalità di cui al periodo precedente è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per l’anno 2011, da destinare al rifinanziamento del Fondo per il passaggio al digitale di cui all’articolo 1, comma 927, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Ai relativi oneri, pari a 30 milioni di euro per l’anno 2011, si provvede nell’ambito delle risorse finalizzate ad interventi per la banda larga dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, nell’importo complessivo deliberato dal CIPE in data 11 gennaio 2011”.

Tutto chiaro? Devono fare qualcosa? Invece di fare i tagli alle spese inutili (a proposito: ma che fine hanno fatto i tagli alle auto blu che Brunetta aveva promesso??), decidono di togliere i soldi per progetti che avevano già promesso di realizzare. Se poi, proprio i soldi non bastano, allora si inserisce una nuova tassa (ma dicendo che non si aumentano le tasse, ovviamente) come quella sui biglietti del cinema. Da Luglio 2011, il biglietto del cinema costerà 1 euro in più, e i fondi così ottenuti serviranno a finanziare la produzione di film italiani e rifinanziare il FUS (Fondo Unico Spettacoli) e questo, lo si chiami come si vuole, è un balzello in più che graverà sulle tasche degli italiani.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Libero WiFi sì o no? Cerchiamo di capire

postato il 2 Febbraio 2011

Allora, la notizia è questa: dopo un tira e molla estenuante, il Governo si è deciso ad abolire il medievale Decreto Pisanu, il più grande freno allo sviluppo libero della Rete in Italia. Ora, dati i tempi biblici che ci contraddistinguono, gli effetti di questa abolizione tardano ad arrivare, ok: abbiamo pazientato tanto, pazienteremo un altro po’. Il problema è un altro, ed è stato sollevato da Massimo Mantellini, che sul suo blog si è reso conto di alcuni emendamenti presentati dal senatore del Pdl, Lucio Malan, al quanto preoccupanti; scrive infatti Mantellini: “Come qualcuno aveva immaginato la liberazione del wi-fi contenuta nel decreto Milleproroghe, attualmente in discussione, sarà subordinata ad un decreto del Viminale che stabilirà quando e come si dovranno identificare gli accessi alle reti senza fili. La modifica che affida al Ministro Maroni ampia facoltà in materia, è stata proposta in Commissione Affari costituzionali dal senatore del PdL Lucio Malan”. Sulla questione è tornato anche Guido Scorza, che spiega come solo “in primavera l’Italia potrebbe scoprire cosa il gestore di un bar che voglia condividere le proprie risorse Wifi con i propri clienti debba fare per mettersi in regola. Il problema non è di contenuti, ma di metodo: dopo cinque anni non si abroga una norma che, invece, si intende sostituire e, soprattutto, dopo che la si è abrogata, non si propone di sostituirla attraverso ulteriori norme, la definizione del contenuto delle quali si rinvia ad un momento successivo”.

Il tutto è stato condito da una semi-smentita (o replica, fate voi) del senatore chiamato in causa, Malan, il quale sostiene, in un commento pubblicato sul blog di Mantellini, che “il testo del decreto proroghe che liberalizza il Wi Fi, per quanto sta a me, che sono il relatore del provvedimento al Senato, resterà così com’è. Perciò, niente decreto del ministro, niente braghettoni. Sarebbe giusto ricordare che quella fatta dal governo – e già in vigore perché è un decreto legge – è l’unica modifica al decreto Pisanu in cinque anni e mezzo dalla sua emanazione. E non abbiamo governato soltanto noi. Gli emendamenti presentati a mia firmati li ho ritirati ed erano stati concepiti come da applicare alla legge in vigore prima del 29 dicembre: in quel caso si sarebbe trattato di un superamento parziale del decreto Pisanu. Oggi costituirebbero un passo indietro: per questo li ho ritirati”. Una posizione ragionevole, per carità. Eppure un po’ ambigua.

Pare quindi che il rischio dell’ennesimo stop alla libertà del Wi-fi sia stato scongiurato. Eppure è chiaro a tutti che qui c’è qualcosa che non quadra: l’incertezza, la confusione e la titubanza con cui si stanno affrontando questo momento, rischiano di essere la pietra tombale sulla strada del progresso e dell’innovazione e, di questo passo, prima che il nostro Paese si metta in linea con il resto d’Europa passeranno decenni. Se non intere generazioni.

 

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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