Tutti i post della categoria: Riceviamo e pubblichiamo

Che noia perdere l’aereo (in Italia)!

postato il 25 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marco Da Rin

A quanti viaggiano, per lavoro o per diletto, prima o poi immancabilmente succede: ritrovarsi con il naso all’insù contemplando il soffitto dell’aeroporto o peggio passeggiando davanti a vetrine di improbabili souvenir per colmare le ore di attesa dell’aereo in ritardo.

Fortunatamente anche in questo la tecnologia ci viene in aiuto: da alcuni anni tutti i pc portatili, gli smartphone, ma anche ebook reader o addirittura macchine fotografiche escono dalle fabbriche predisposti per accedere alle reti senza fili wi-fi.

E così arriva il lieto fine, in cui il viaggiatore può alleviare le sue pene lavorando direttamente dall’hub o rilassandosi navigando i suoi siti preferiti. Se non si trova in Italia!

Eh si perché nel nostro paese lo “spread digitale” non manca di affliggere anche la rete aeroportuale, dove è impossibile accedere gratuitamente a internet o ricaricare la batteria dei nostri dispositivi. E il paragone non è con i soliti Stati Uniti, dove compagnie come Google garantiscono la connettività anche negli scali minori, ma con quasi tutto il mondo conosciuto: in Asia, Sud America, Australia il wi-fi free è la regola, non l’eccezione.

Fanalino di coda il vecchio continente, dove internet spesso è considerata un lusso da far pagare a caro prezzo, che può raggiungere i 10€ all’ora. Un panorama sconfortante che non trova giustificazioni se non in una sottovalutazione culturale dell’importanza della rete nel presente e nel futuro.

Ah, se perdete l’aereo in Italia fatelo a Fiumicino, sembra ci sia un barlume di wi-fi gratuito. Ovviamente al gate della British Airways.

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Se la Grecia diventa un monito

postato il 24 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi giorni i mercati finanziari europei sono scossi da impetuosi venti ribassisti che hanno molteplici radici accomunate tutte da un palese nervosismo motivato da una paura verso il fallimento della Spagna. I recenti sviluppi, alla luce di alcuni fatti riportati in passato, impongono una riflessione molto seria.

Se la Spagna cadesse, la prossima a rischiare potrebbe essere la Germania a causa della fragilità del sistema bancario tedesco, inoltre ho affermato che se la Grecia dovesse dichiarare fallimento, le perdite per il sistema industriale tedesco si aggirerebbero intorno ai 200 miliardi di euro (circa il 10% del PIL tedesco); la Cina sta rallentando pesantemente e questo apre un possibile scenario di crisi anche in Asia; questi sono fatti oggettivi. In questi giorni, tra altro,  l’agenzia Moody’s ha abbassato a “negative” le prospettive future per l’economia tedesca.

I recenti sviluppi sono legati ad alcune dichiarazioni: pochi giorni fa il ministro spagnolo Montoro ha dichiarato che, se la BCE non avesse comprato i titoli di stato spagnoli (Bonos), il paese iberico non avrebbe avuto la liquidità (ovvero i soldi in cassa) per pagare i servizi.

E’ una dichiarazione pesante, resa al parlamento spagnolo, quindi un contesto ufficiale e nel quale le parole vengono scelte accuratamente e pesate e sono state dette per motivare le pesantissime misure prese dal governo spagnolo. A questo aggiungiamo le recenti richieste da parte di alcune regioni spagnole (Valencia e soprattutto la Catalogna, che, per importanza economica, è la seconda regione del paese iberico). Domenica, invece, il ministro tedesco Rosler ha affermato che l’eventualità del default della Grecia è una ipotesi concreta e che non preoccupa. Ipotesi che anche l’FMI sembra che stia considerando.

Detto ciò, cosa possiamo concludere? E’ possibile che la Germania accetti tranquillamente il costo che comporta il default greco per il suo sistema industriale?

La risposta è si. Nonostante le recenti dichiarazioni da parte del Presidente dell’Eurogruppo Juncker. Evidentemente la riflessione della Germania parte dal presupposto che ormai per la Grecia non ci siano più speranze, ma questo non basterebbe a giustificare l’uscita del ministro.

A mio avviso, la dichiarazione tedesca fa eco a quella del ministro Monitoro e ha un duplice scopo: da un lato spingere affinché Madrid approvi il prima possibile il piano stabilito dal governo, e dall’altro lato usare la Grecia (e le conseguenze che avrebbe il popolo greco uscendo dalla UE) come monito e come esempio verso quelle persone che non accettano il piano di tagli e risanamento varato dai vari governi.

Insomma, si può ipotizzare che la Grecia venga usata come esempio (in negativo) di quel che può accadere se non si rispetta un piano di austerity e si va in default.

Se questa mia personale riflessione è corretta, nel giro di poche settimane vedremo l’uscita della Grecia dalla UE e la sua contestuale dichiarazione di default, con tutto quello che comporterà (aumento dell’inflazione, della disoccupazione e, potenzialmente, disordini).

In ogni caso, nei prossimi giorni vedremo un aumento della volatilità sui mercati finanziari e altri ribassi, come avevo affermato in passato, ma ribadisco che se la Spagna cade, la prossima a seguirla potrebbe essere il sistema bancario tedesco.

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Cosa è il fiscal compact

postato il 21 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Nell’era della globalizzazione fa figo parlare in inglese e così sappiamo che in questi giorni il parlamento ha approvato il “Fiscal Compact”. Stupendo. Ma cosa è?
Per dirla in “politichese” è stato ratificato il Trattato di stabilità sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria, che detto così fa ancora più impressione, ma non c’è nulla di strano in quanto il fiscal compact è semplicemente un accordo di diritto internazionale, stipulato al di fuori del diritto comunitario. L’accordo riprende le norme del Six-pack, ovvero il nuovo Patto di stabilità e crescita, e impone di inserire nella costituzione il principio del pareggio di bilancio e la correzione automatica in caso di sforamento. La convergenza verso gli obiettivi di medio termine potrà avere uno scostamento massimo per il deficit strutturale pari allo 0,5% del Pil, salvo in caso delle circostanze eccezionali considerate nel Six-pack. In caso di sforamenti o deviazioni dai target stabiliti, vi saranno dei meccanismi automatici di correzione, mentre è confermato l’obbiettivo di ridurre, a partire dal 2015, di un ventesimo l’anno del debito eccedente il 60% del Pil, salvo periodi di congiuntura particolarmente sfavorevole.
Con l’approvazione del fiscal compact abbiamo dimostrato responsabilità e soprattutto svincoliamo la finanza pubblica dagli interessi individuali, in quanto non potrà più essere usata per ottenere voti e per sprechi, perché per attuare questa norma vi dovrà essere non solo maggiore rigore, ma soprattutto dei controlli oggettivi sui conti pubblici, svincolandoli dalle beghe dei partiti e dall’utilizzo improprio (ad esempio approvare progetti inutili che hanno lo scopo di cercare facile consenso).
Ora abbiamo una tabella da rispettare, in soldoni si tratta di trovare 50 miliardi di euro l’anno e come possiamo trovarli? La risposta è molto semplice: dalla lotta all’evasione che sta venendo attuata, finalmente, in forma dura. Ogni settimana sui giornali leggiamo di indagini della guardia di finanza che trovano irregolarità, d’altronde secondo l’Agenzia delle Entrate sarebbero circa 120 miliardi i capitali sfuggiti alle casse dello Stato e in base ai dati raccolti dall’Istat, il valore dell’economia sommersa e dell’evasione in Italia, sarebbe quantificabile tra i 250 e i 275 miliardi di euro. Per intenderci tra il 16 e il 18% circa del Pil. Secondo Confcommercio questo significa circa 154 miliardi di tasse non pagate. Basterebbe fare emergere questa massa di denaro per avere i soldi necessari per rilanciare la crescita e diminuire il debito pubblico, riuscendo anche ad abbassare le tasse.
Indubbiamente il fiscal compact si può prestare a critiche, ma è indubbio che fosse necessario ed è un passo verso l’integrazione fiscale europea, obbiettivo divenuto imprescindibile alla luce degli ultimi sviluppi in Spagna, dove, pur essendo in crisi da un anno, solo ora si stanno prendendo misure urgenti e pesanti (diminuite le tredicesime, blocco delle assunzioni nel settore pubblico, privatizzazioni, aumento dell’iva). D’altronde questo era un passo necessario, soprattutto alla luce di quanto affermato dal ministro delle finanze spagnolo, Cristobal Montoro, il quale ha detto che senza l’intervento della BCE, la Spagna non avrebbe avuto i soldi per pagare i servizi. In pratica il paese iberico sarebbe stato ad un passo dal default.
Ovviamente la situazione spagnola, unita all’annuncio che la regione di Valencia chiederà un intervento statale per ripianare i suoi debiti, mentre come se non bastasse l’esecutivo spagnolo ha rivisto al ribasso le stime del pil per il 2013 e la Bce, con un tempismo davvero fatale, ha fatto sapere che i titoli di Stato della Grecia non saranno più idonei come collaterali. Questo mix di notizie ha generato pessimismo e ha spaventato gli operatori finanziari, facendo partire vendite a raffica e consegnando un venerdì nerissimo per la borsa, ulteriore riprova che vi è un diffuso clima di sfiducia sulla tenuta dei conti.
Proprio per questo dobbiamo continuare sulla strada tracciata di rigore e di attenti interventi nel taglio delle spese improduttive.

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Bene torrada Rossella, “femina” dei giorni nostri

postato il 20 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

“Ciao Rossella, e bene torrada,
faghimus festa pro custos congruos,
gosadi in paghe sos afetos tuos,
s’isula intrea fit tota ispantada,
como seguru ca l’as alligrada
a Simugheo, e a sos fizos suos,
fin totus in anneu e in oriolu,
preighende donzi die, in su dolu.”

(Tonino Cau, Tenores di Neoneli)

La Sardegna è donna, è madre. Lo è sempre stata, dalla notte dei tempi. In una società agropastorale l’uomo stava per settimane o mesi lontano da casa con le greggi, e chi teneva le redini della casa era la donna, gestendo l’economia domestica e la vita familiare. Ciò ha temprato il carattere delle “feminas” sarde, forti, fiere e decise, ma capaci di grande generosità e amore verso il prossimo, fosse un figlio o un perfetto estraneo.

Rossella non è diversa. Una donna piccola ed esile, ma che ha dimostrato generosità e coraggio, andando ad aiutare sconosciuti in difficoltà in aree geografiche pericolose. Al punto da sperimentare sulla sua pelle il male che vorrebbe che questi angeli non svolgessero il loro lavoro. Per 286 giorni è stata rapita e tenuta prigioniera. 286 giorni in cui la sua terra non ha mai smesso di aspettarla e chiedere con forza la sua liberazione, come fa una mamma per una figlia. La Sardegna è questo per i suoi figli: una madre.

Oggi Rossella è libera, e riabbraccerà la sua terra domani. Ma per poco. Nonostante abbia sperimentato sulla sua pelle il pericolo ha espresso il desiderio di tornare in quella terra ostile dove tante persone hanno bisogno di lei. Coraggiosa e testarda, ma nella generosità. Da brava “femina”.

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Numeri chiusi, trasparenza e giustizia

postato il 17 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Ruggero Valori

Le università fino ad un recente passato hanno dato l’impressione di “trattenere” il più possibile e di attrarre i giovani con promozioni agli esami un po’ agevolate ( così le famiglie erano disposte più benevolmente a pagare rette ed a rinsaldare l’economia sommersa o quasi degli affitti universitari dei cd. fuori sede); i professori,ideatori o vittime di questo trend socio economico, si trovarono nella situazione ideale ( contenti o scontenti, volenti o nolenti, coscienti o incoscienti) per poter gonfiare i testi di esame di teorie, di“teorie di teorie”, di” teorie oblique”, di “contro teorie” spesso confusionarie, cervellotiche, lontane dalla realtà ( come per definizione è generalmente astratto dalla realtà l’insegnamento cattedratico) e spesso poco utili per l’inserimento nel mondo del lavoro .Il risultato fu il prolungamento a dismisura dei tempi per concludere gli studi ed anche l’aumento del numero dei laureati che ai giorni nostri si devono confrontare con il fenomeno deprecabile della disoccupazione/sottoccupazione intellettuale e con l’altro effetto indesiderato del lavoro non corrispondente al titolo di studio conseguito.

Le giovani generazioni- oltre a dover subire anni di politiche inadeguate sull’università e sulla cultura in generale- da qualche anno devono fronteggiare su tutti i piani ( economico , psicologico, culturale, nozionistico) la politica restrittiva sull’accesso a molti corsi universitari ( specialmente con le facoltà scientifiche con Medicina in testa). Le università si sono rese conto della deriva dei decenni precedenti e sono corse al riparo ( o almeno lo credono in modo troppo ottimistico) introducendo il numero chiuso ( o programmato) in molte facoltà, una risposta estrema e dannosa alla cultura e per il progresso della Nazione perché ovviamente diminuisce il numero dei soggetti che possono accedere ai saperi strategici, riproduce infelici elìte intellettuali conformate ai meccanismi perversi della corruzione propria dei tempi edonistici che si trasforma in decadente barbarie nonché alimenta nuove asimmetrie culturali ben più pericolose per la vita democratica delle iniquità economiche, le quali ovviamente si possono riparare in poche battute con attenta redistribuzione dei redditi o della ricchezza .

Non possiamo impedire ad un giovane di studiare medicina per un anno perché ha sbagliato un test!

E’ terribile, in chiave di crescita anche solo economica, questa situazione ( chiusura dell’accesso agli studi universitari, politica del numero chiuso ) che tra l’altro potrebbe divenire terreno di proliferazione della corruzione o di traffici di influenze ( forse semplici telefonate!?) da parte di professionisti affermati in determinate branche del sapere e che senza dubbio costituisce ormai da alcuni anni una fraudolenta e insidiosa barriera, di natura elitaria e antidemocratica, contro lo sviluppo economico, culturale e politico del Paese.

Come sarebbe bello che gli studenti potessero conoscere in maniera dettagliatissima – quando si iscrivono all’università- tutte le informazioni più importanti compreso il dato dei laureati che si inseriscono nel mondo del lavoro con quella determinata laurea dopo 1 anno, dopo 2 anni, e così via; costantemente tenuti al corrente sugli sbocchi professionali futuri ed attuali con quel determinato sapere.

Quindi questi problemi dovrebbero essere risolti da un lato con la” dovuta trasparenza” nei confronti degli studenti e delle famiglie e dall’altro con la libertà di iscrizione alla facoltà preferita escludendo così all’origine i tentativi di discriminazione parte delle famiglie più influenti spesso contaminate da un antiumano neotribalismo che postula l’aggregazione di nuove consorterie per combattere coloro che stanno al di fuori di esse .

Sul fronte molto particolare invece dell’ accesso alla professione forense che si connette con” la vocazione al potere del ceto avvocatizio” si assiste ad un aumento in progressione geometrica del numero degli avvocati rispetto al periodo fascista. Comunque non è tanto il numero ” il problemone” ma da un lato ( per le elìte avvocatizie) il desiderio di tutelare in maniera egoistica i proventi del proprio lavoro e dall’altro ( per” il proletariato forense”) di essere in grado di rispondere alle istanze nazionali e internazionali di “ rimodulare la giustizia italiana” che si è inaridita a causa della lentezza dei processi ( si veda la recentissima missione in Italia dal 3 al 6 luglio uu.ss. del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks ).

E’ evidente di per sé che si può affermare : “ben vengano molti avvocati di qualità, personalità e soprattutto diligenti servitori degli “interessi della giustizia”, dove “giustizia” (secondo la nostra tradizione giuridica) vuol dire: ricerca instancabile del vero (l’attuale criterio della miglior scienza esperienza), il rispetto del principio di inoffensività e la capacità di attribuire a ciascuno il suo ( il rispetto della vita dal suo inizio naturale alla sua fine reale, il rispetto degli altri principi non negoziabili consequenziali e di tutti i diritti che rampollano dall’interiorizzazione della norma morale ); invece ora- in ossequio ad un’ arbitraria e anfibolica “doppia fedeltà” alla legge e al cliente- l’avvocatura sembra voler invertire anzi svilire la giustizia e i suoi interessi; invece non c’è interesse del cliente ( e della legge) che sia titolo valido per annichilire la giustizia perché la giustizia e l’interesse del cliente procedono per uno stesso cammino; l’interesse del cliente è e deve essere ricompreso nell’interesse della giustizia( verità, principio di inoffensività e capacità di attribuire a ciascuno il suo)!!!

Quindi il numero è uno sviamento della controversia culturale nel mondo forense, lancinato dallo strapotere della gerontocrazia forense(vera piaga democratica) che come Giano bifronte postula la doppia fedeltà e intanto persegue strategie di avvicinamento al potere politico e di condizionamento del sistema democratico, perché l’unico tema utile e attuale da affrontare è la corrispondenza dell’attività giudiziario- forense agli interessi della giustizia in relazione ai nuovi contesti sovranazionali.

 

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Una casa per i moderati

postato il 15 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Scavone

I moderati sono sotto un cumulo di macerie” commentava Casini ai cronisti lo scorso maggio, venuto a conoscenza dei dati definitivi della tornata delle elezioni amministrative. Tutti ci saremmo aspettati, dopo la catastrofe, pompieri e volontari che, uniti e solidali, avessero lavorato duramente per la ricostruzione. La ricostruzione di una casa per i moderati che nel nostro Paese, soffocato da egoismi di parte e predellini, manca da tempo. I presupposti sembravano buoni: Berlusconi, principale responsabile delle tante divisioni createsi negli anni, fuori di scena; Alfano ben intenzionato a discutere di programmi e progetti, nella veste di responsabile sostenitore di Monti; la Lega disorientata tra inchieste, amnesie e tentativi di rimonte elettorali, pronta a rispolverare la veste populista e incoerentemente antiromana.

Oggi, con il senno di poi, possiamo dire che quei presupposti non solo non hanno portato a scenari migliori, ma sono addirittura peggiorati. Forse non tutti consideravano che, tra i generali consensi alla riunificazione dei moderati, stava segretamente riemergendo Berlusconi. Agli attenti osservatori non è sicuramente risultata inaspettata la notizia di qualche giorno fa della sua possibile ridiscesa in campo. E’ infatti caldeggiata e preparata da tempo, se pensiamo alle dichiarazioni e alle vesti che l’ex-premier ha indossato nei mesi passati: prima di padre nobile del Pdl, pronto a favorire da lontano il progetto del PPE italiano, poi di aspirante candidato alla Presidenza della Repubblica con l’emendamento per il semi-presidenzialismo, poi ancora di esperto statista, pronto ad accettare l’incarico di Ministro dell’Economia in un futuro governo di centro-destra.

Ed intanto il Pdl camminava spedito, mettendo in minoranza i falchi antimontiani e premiando la linea di responsabilità impersonificata dal segretario Alfano. Una linea che venne lanciata con buoni propositi nel luglio scorso, con l’elezione per acclamazione dell’ex guardasigilli alla segreteria, e fu premiata dallo stesso Berlusconi quando, poco prima delle sue dimissioni, disse: “Per la candidatura a leader del centrodestra per le prossime elezioni, Alfano è in pole position. (09/11/11)” Ma si sa, non sono questi gli atteggiamenti che piacciono al Cavaliere, sempre pronto a ritornare in prima linea, convinto di possedere un “quid” che manca ad altri, e a disattendere gli inviti lanciati ai moderati italiani.

Dobbiamo quindi proprio convincerci che quelle macerie resteranno lì? Che il progetto, seppur ambizioso, resterà intentato? Pare proprio di sì, per ora, con un Pdl in evidente sofferenza e senza ancora una direzione. Il ritorno del Cavaliere ha infatti riacceso gli animi e le polemiche, per buona parte messe a tacere, e riaperto scenari e possibilità. E’ Stracquadanio a fare il punto, non nascondendo le perplessità a riguardo: con Berlusconi candidato, o si dovrà puntare alla larga coalizione oppure ci si dovrà adeguare al grillismo, sposando battaglie antieuropeiste e antimontiane. Di fronte a dichiarazioni del genere, non resta che rimanere allibiti. Si torna a pensare al successo elettorale e non al Paese? Non si è imparato nulla dall’esperienza del Governo dei tecnici? E affiorerebbero anche dei dubbi sul reale spirito moderato della formazione di centro destra. Come può un partito che aderisce alpopolarismo europeo avanzare dubbi di tale portata sull’atteggiamento da adottare in campagna elettorale? Se così fosse, si dovrebbero fare serie riflessioni, che porterebbero alla conclusione che per molti il moderatismo è solo questione di facciata, solo una formalità da riproporre all’occorrenza.

E a Lupi, che commenta gli ultimi avvenimenti dicendo: “Bene la candidatura di Berlusconi, con lui si possono ricompattare i moderati.”, vorrei ricordare qualcosa. Quel Berlusconi è lo stesso che giorni fa indeboliva Monti, poco prima di un cruciale vertice europeo, ponendo l’attenzione su un ritorno alla lira. Quel Berlusconi è lo stesso che, pur di ritornare a giocare in attacco, archivia le primarie programmate solo un mese fa e scatena le reazioni indignate della base, come dimostrano i commenti rilasciati su diversi blog di area. Quel Berlusconi è lo stesso che, ricandidandosi, suscita preoccupazione in Europa, come espresso dal portavoce della Merkel, perché – per citare Fini – con lui ritornerebbe “il tempo di promesse solenni, di impegni disattesi dicendo poi che la responsabilità è di qualcun’altro e di palesi conflitti di interessi“.

Insomma, la situazione è complessa. E, se l’unione fa la forza, bisogna essere uniti e non lavorare per la divisione. Magari prendendo anche atto degli ostacoli che non permettono ai moderati italiani di ricompattarsi e affrontare insieme questo difficile momento per il Paese. Altrimenti, dovremo cominciare a pensare di impiegare quei pompieri e quei volontari non alla ricostruzione della casa dei moderati, bensì alla ricostruzione del Paese.

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Cosa serve (davvero) alla Sicilia

postato il 14 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera di oggi, ha scritto un articolo durissimo – fin dal titolo, “Il Festival degli sprechi” – sul recente stop di 600 milioni di euro di fondi dall’Ue alla Regione Sicilia. L’analisi è impietosa: dal 2000 al 2006, la Sicilia ha ricevuto 16,88 miliardi di fondi europei (il quintuplo dei fondi destinati a tutte le regioni del nord); di questi il 30-40% pare sia gestito dalle mafie. Di 2177 (duemilacentosettasette) progetti finanziati, ne sono stati completati solo 186 (centoottansei): l’8,6% (otto virgola 6 percento). Più di uno spreco, uno scandalo. Per anni in Sicilia sono piovuti miliardi, che invece di trasformare l’Isola in positivo, hanno solo aggravato, peggiorato, portato alla cancrena la situazione. Il centro studi Svimez ha calcolato che il Pil pro capite delle regioni del Sud dal 1951 al 2009, anziché crescere, ha subito rispetto al Nord un netto arretramento, passando – in modo constante – dal 65,3% al 58,8%.

Cos’è che quindi serve davvero alla Sicilia, per invertire la vergognosa tendenza? Di sicuro, meno soldi. Basta rubinetti aperti che servono solo a ingrassare clientele e a offrire una succulenta moneta di scambio a una classe politica parassita e parassitaria. Serve, poi, meno spesa pubblica, tagli netti alla pletorica e non funzionale macchina amministrativa/burocratica della regione. Serve avere il coraggio di dire basta alle infornate per stabilizzare migliaia di precari ogni anno (perché non è così che si crea lavoro!). Serve, quindi, un netto cambio di rotta: innanzitutto serve – paradossalmente – meno politica: serve cioè più spazio per l’iniziativa privata; in Sicilia i livelli di penetrazione industriali sono bassissimi e le varie aziende che nascono sopravvivono spesso solo grazie a incentivi vari, mentre proprio la stessa burocrazia regionale le strangola lentamente (del resto, ce lo insegnò Hayek: chi possiede tutti i mezzi, stabilisce anche tutti i fini). Viva la concorrenza, viva la libertà di investire, vincere (o fallire) quindi! Bisogna poi recedere in profondità i canali di collegamento tra i politici che spartiscono fondi pubblici per interessi privati. Perché, facendo questo, si assesta anche un colpo mortale alla corruzione e ai mille tentacoli delle piovre mafiose: l’Ue ha bloccato la tranche di 600 milioni di euro, perché non condivideva la sua divisione in mille rivoli – una marea di “misure” e “sottomisure” (gli ambiti di intervento) – tali da rendere sempre più piccoli gli importi ma anche più difficili i controlli.

Qualche tempo fa, il ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca spiegava che il dato che più impensieriva gli organismi internazionali non era il pur spropositato livello della nostra spesa pubblica nazionale, quanto l’improduttività di gran parte dei suoi capitoli: in parole più semplici, l’incapacità della spesa pubblica (che è uno strumento utilissimo, da gestire con molta attenzione) di creare ricchezza. E, provate a indovinare, quali sono le regione che più appesantiscono con le loro cattive performance questo già triste bilancio. In Sicilia, per esempio, la spesa pubblica per le infrastrutture è altissima, ma le infrastrutture non esistono. E i soldi stanziati, che fine fanno? Eh.

Se, come è vero, a Ottobre si tornerà a votare per le elezioni regionali, questi saranno i temi che diventeranno ineludibili. Perché, in un momento di stringente crisi come questo, i rubinetti sono destinati a chiudersi, bruscamente. Questo vuol dire che se arriveremo impreparati a quel momento, continuando magari allegramente a spartire posti e incarichi di sottogoverno, il default sarà assicurato.  La scelta sta a noi. Diciamo basta alla Sicilia-Crono che divora i suoi figli e agli interventi palliativi per pony: diamo avvio a una seria cura da cavallo, per rimettere in sesto la nostra terra.

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Napolitano e Monti ci hanno salvato dalla bancarotta

postato il 14 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Cittadino

Buongiorno, Presidente
la sua linea di appoggio convinto al Governo Monti è sacrosanta in quanto tutti i cittadini di buon senso capiscono che se ci siamo fino ad oggi salvati e non abbiamo fatto la fine della Grecia lo dobbiamo a Napolitano ed a Monti, nonostante gli errori fatti (nessuno è infallibile). E’ giustissimo anche che i partiti si impegnino per il futuro a seguire le linee dell’attuale governo altrimenti torneremo ad avere all’estero credibilià pari a zero. Poi, dato che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, se gli Italiani torneranno a scegliere di essere rappresentati o dai vari venditori di tappeti-bunga bunga o dai no tav, no rigassificatori, no autostrade etc. anzichè da persone preparate e credibili, allora chi è causa del suo mal pianga se stesso. Un cittadino.

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Se in Spagna si taglia più che in Italia…

postato il 11 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Accade spesso di sentire lamentele sull’operato del governo Monti, e sovente le critiche sono accompagnate dall’affermazione che all’estero le cose vanno meglio. E’ vera quest’ultima affermazione? La risposta è sui giornali di oggi: il premier spagnolo Rajoy ha chiesto di approvare misure da fare tremare i polsi: in pratica si vogliono ottenere risparmi per 65 miliardi nella spesa pubblica entro il 2014.

Premesso che la Spagna ha una percentuale di disoccupati molto più alta che in Italia, le misure che vuole varare Rajoy sono: un aumento dell’IVA dal 18% al 21%; tagli e riforme delle amministrazioni pubbliche per risparmiare 65 miliardi di euro in 2 anni e mezzo con nel 2013 un taglio di 600 milioni di euro alle dotazioni dei ministeri; ma soprattutto il taglio delle tredicesime per il 2012 di parlamentari, impiegati e alte cariche dell’amministrazione pubblica. A questo taglio vi è da aggiungere anche la riduzione dei giorni di ferie dei permessi sindacali.

A questo si aggiungano la riduzione del numero dei consiglieri delle società pubbliche e delle indennità per i sindaci, una imminente riforma delle pensioni e la privatizzazione di aeroporti, ferrovie e porti.

Se guardiamo il recente provvedimento di Monti sulla Spending Review, possiamo dire che in Italia ce la siamo cavata meglio e anzi si è iniziata una cura dimagrante per la Pubblica Amministrazione tramite il dimezzamento delle province e la partecipazione delle aziende farmaceutiche nel coprire gli sforamenti dei tetti alla spesa sanitaria, che evita ulteriori costi ai cittadini.

Da altre parti poi le cose sembrano non andare proprio bene: l’economia cinese sta vistosamente rallentando , gli Usa sono visti stazionari e il resto d’Europa non sta meglio. In particolare vanno ricordati gli ultimi annunci di due colossi come Nokia, che taglierà 10.000 dipendenti a cui aggiungere anche i tagli operati dalla jv Nokia-Siemens, e dalla casa automobilistica Peugeot che addirittura ha annunciato il taglio di 10.000 operai in Francia, nonostante solo 3 anni fa avesse ottenuto prestiti dal governo francese per 3 miliardi di euro (assicurando che non avrebbe licenziato). Tra i provvedimenti di Peugeot vi dovrebbe essere la chiusura dello stabilimento d’Aulnay-Sous-Bois, che occupa 3mila persone, e il ridimensionamento di quello di Rennes, che dovrebbe riguardare la soppressione di un migliaio di posti di lavoro, in pratica come se la Fiat chiudesse Cassino e riducesse di un terzo Pomigliano.

Guardare a quanto accade all’estero non significa sminuire i nostri problemi, ma è assolutamente utile per capire che i provvedimenti del Governo Monti, per quanto spesso duri e rigorosi, sono preziosi e ci hanno allontanato dal ciglio di un temibilissimo baratro.

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Non ci sono scuse contro le preferenze

postato il 11 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Raffaele Reina

Le dichiarazioni di Pier Ferdinando Casini a proposito della legge elettorale esprimono con nettezza la volontà dell’UDC di introdurre il sistema delle preferenze nella riforma in discussione. Chi è contro le preferenze non può avanzare alcuna scusa plausibile. Clientelismo,voto di scambio,corruzione, ecc. sono frutto della disonestà di esponenti poilitici spregiudicati, che possono verificarsi con qualsiasi tipo di legge elettorale.

Nei ricordi storici vi è il pensiero di Sturzo (PPI) che volle la proporzionale con preferenze nelle elezioni del 1919, perchè il sistema uninominale dei collegi era diventato fonte di corruttele e di demoralizzazione della vita pubblica, conniventi i governi giolittiani. Lo storico esponente politico lottò per l’introduzione della proporzionale anche perchè, dopo il primo conflitto mondiale, bisognava fronteggiare l’avanzare dei movimenti nazionalistici e allargare la base democratica del Paese, favorendo la partecipazione dei cittadini alla vita politica.

Questa fu la grande intuizione di don Luigi Sturzo che ebbe anche l’intelligenza e la capacità di introdurre ufficialmente i cattolici italiani,dopo il non expedit, nella vita pubblica. Sistema elettorale proporzionale con preferenze, partecipazione politica, autonomie locali rappresentavano un unicum per rafforzare la democrazia come sistema della libertà. Una intuizione quella sturziana ancora valida oggi? Per molti aspetti ritengo di sì.

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