Tutti i post della categoria: Riceviamo e pubblichiamo

Chi ha paura delle preferenze?

postato il 9 Luglio 2012

di Adriano Frinchi

Sul Corriere della Sera di oggi Pino Pisicchio confessa amaramente: “io penso che nessuno le voglia più le preferenze”. E forse il deputato ex dc non ha tutti i torti, le preferenze non le vuole più nessuno perché fanno paura. Le preferenze sono lo spauracchio di una classe politica di nominati, di garantiti dal potente di turno.

In quest’ottica sono comprensibili le reticenze e le  alchimie dei partiti sulla legge elettorale: si prende tempo, si discute, si formulano le ipotesi più disparate. Si fa di tutto per non parlare di preferenze. Ma da un’assemblea di nominati è possibile aspettarsi altro? Evidentemente non si può chiedere a qualcuno di firmare la propria condanna a morte (politica).

E’ comprensibile allora che la presa di posizione di Casini sul tema delle preferenze abbia arroventato il clima politico. E’ un’affermazione netta che chiede un’altrettanto netta e chiara risposta. Non si capiscono perciò alcune posizioni come quelle del Pd, ed in particolare della senatrice Finocchiaro, che si dichiarano contemporaneamete contrari al ripristino delle preferenze ma anche per ridare il potere di scelta agli elettori.

Come si intende ridare il potere di scelta agli elettori senza le preferenze? Secondo i democratici la soluzione starebbe nei collegi uninominali, magari con delle primarie propedeutiche.

E’ evidente anche al meno avvezzo alla materia elettorale che nel sistema uninominale l’elettore è costretto a scegliere tra candidati che sovente sono imposti dalle segreterie di partito e nel peggiore dei casi sono anche totalmente estranei al collegio elettorale. E questa non è una congettura ma l’esperienza italiana di pochi anni fa quando votavamo con il Mattarellum, una legge elettorale che come ha scritto tempo fa Giovanni Sartori si è rivelata ampiamente fallimentare.

I detrattori delle preferenze, quando non sono mossi esclusivamente dal garantire la loro sopravvivenza politica,  dicono che le preferenze sono un meccanismo poco trasparente che favorisce il clientelismo. Indubbiamente nella Prima Repubblica il sistema delle multipreferenze ha visto  una degenerazione notevole, ma non pare che con il cambio di sistema elettorale la situazione sia migliorata. Il grado di corruzione nel nostro Paese è sempre notevole.

Corruzione, clientelismo, nepotismo non sono frutto di un sistema elettorale ma sono un problema culturale. In una battuta, se uno è disonesto lo è sia se è eletto in un collegio uninominale, sia se eletto con le preferenze o in una lista bloccata.

La vera questione in tema di riforma elettorale è: cosa vogliono le forze politiche? Se si vuole discutere seriamente di legge elettorale i partiti si devono chiedere solamente se vogliono realmente restituire ai cittadini il potere di scegliere, se vogliono ricostruire un rapporto serio tra eletti ed elettori. Se invece i partiti vogliono solamente studiare una legge elettorale per vincere le prossime elezioni o garantire amici e parenti allora lo dicano prima. In questo caso un sistema elettorale vale l’altro.

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Sanità e spending review, affrontiamola seriamente

postato il 9 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

Tempi di “spending review”, di tagli alle spese inutili e di gestione oculata delle risorse. Uno dei primi settori di cui si è parlato a riguardo è stato la sanità, già vittima in passato di tagli e relative polemiche, perchè quando si parla di riduzione delle risorse in campo sanitario le proteste fioccano da ogni dove; giustamente, perchè la salute è un diritto fondamentale che deve essere salvaguardato e per il quale non si dovrebbe “badare a spese”.

Ma siamo davvero sicuri che dei tagli alla spesa sanitaria, o meglio una revisione della stessa, sarebbe così dannosa? O forse, con una miglior gestione delle risorse si riuscirebbero ad avere servizi più efficienti a minor costo per la collettività?

A mio avviso, la sanità italiana è soggetta a un forte handicap: è strettamente connessa alla politica. E’ la politica, infatti, che sceglie i vertici delle aziende sanitarie, e questo (e non solo) ha fatto si che le strutture sanitarie fosse uno dei maggiori bacini di clientele e di voti di scambio, assumendo indiscriminatamente amici e parenti, e tutele sindacali altissime, per cui chi sbaglia raramente paga. Il risultato è un alto numero di dipendenti, spessissimo sovranumerario, dove non serve, a dispetto di reparti caratterizzati da un alto carico di lavoro dove il personale è carente.

Altro annoso problema è la concezione che in Italia abbiamo avuto finora di “degenza”. Spesso si sentono pazienti che si lamentano perchè devono svolgere degli accertamenti in regime ambulatoriale quando vorrebbero farlo da ricoverati: in realtà non bisogna scordare che i posti letto sono da riservare a pazienti che hanno una patologia acuta (insorta nel giro di poco tempo) che per essere curata ha bisogno di un monitoraggio quotidiano o di farmaci che devono essere somministrati endovena; le patologie croniche, una volta instaurata una terapia efficace, possono essere tranquillamente gestite dal medico di famiglia attraverso un sistema di assistenza domiciliare: altro spinoso problema, visto che in Italia tra tempi burocratici e scarsità delle risorse non si ha un sistema di assistenza domiciliare efficiente, cosa che consentirebbe di ridurre la necessità di posto in casa di riposo, RSA e altri sistemi di degenza non ospedaliera, spesso esosi sia per il cittadino che per lo stato, togliendo oltretutto il diritto del paziente di restare nella sua casa e fra i suoi cari.

I ricoveri impropri, tuttavia, sono una brutta realtà e, oltre a rappresentare uno spreco di risorse pubbliche, sono la causa principale dei pazienti ricoverati in barella protagonisti di tante vergognose situazioni. Un malato ha diritto ad avere un letto, ma ogni letto deve essere assegnato solo a chi ne ha veramente bisogno e soltanto per il tempo necessario. Incentivare l’assistenza ambulatoriale e domiciliare può aiutare molto a decongestionare i pronto soccorso e i reparti ospedalieri, facendo in modo che solo chi ne ha davvero bisogno ne usufruisca.

Come vedete, la sanità non è così povera come appare al cittadino, vittima di liste d’attesa chilometriche e disservizi di ogni tipo: è malgestita. Occorre un controllo oculato sulla spesa, andando a premiare le aziende che tagliano gli sprechi offrendo un buon livello di assistenza ai cittadini: si può e si deve fare, tagliando i rami secchi, sanzionando i dipendenti negligenti e spendendo solo il necessario. Ne risulterebbe di certo un risparmio di risorse ma un servizio sanitario migliore per i cittadini.

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Expo 2015: il tempo passa, ma a che punto siamo con i lavori?

postato il 7 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In passato ho scritto dell’expo in varie occasioni e ho sempre sollevato dei dubbi in merito alla tempistica e ai costi dei lavori, senza contare i problemi e le vicissitudini dei vertici della società che gestisce tutto l’affare “Expo”.

Oggi i miei dubbi permangono.

Il 30 settembre scorso il consiglio generale di Fondazione Fiera Milano, dopo avere recepito la volontà degli enti locali (Regione Lombardia e Comune di Milano), di comprare i terreni che ospiteranno l’Expo 2015 attraverso la società per azioni Arexpo, aveva deciso di entrare nella suddetta società con una quota del 27,7% del capitale (il Comune di Milano e la Regione Lombardia hanno circa il 69% della società) tramite il conferimento ad Arexpo di una parte, (circa 158 mila metri quadri), delle aree di sua proprietà necessarie alla realizzazione del sito Expo, a un valore pari a 26 milioni di euro. In pratica, la Fondazione Fiera Milano, entra nell’affare fornendo una parte dei terreni (che aveva di proprietà) conferendoli ad una società di cui acquista una parte della proprietà. Sembra uno scioglilingua, ma, questo escamotage assolutamente legale (tengo a precisarlo), di fatto permette alla Fondazione Fiera Milano di entrare nell’affare con un esborso minimo.

Anche il governo sta valutando il suo ruolo, dato che contribuisce alla realizzazione del sito con 823 milioni. Tra le ipotesi c’è anche l’ingresso del ministero delle Finanze dentro Arexpo, oppure la possibilità di uno sconto per lo Stato sulle opere di smantellamento a fine rassegna. A tal proposito riporto la dichiarazione rilasciata qualche giorno fa da Mario Catania, ministro dell’agricoltura, che ha affermato: ”Per l’Expo di Milano faremo tutto il possibile e tu e la tua organizzazione, come l’intero settore agricolo ci darete una mano”. Catania ha ribadito un convinto sostegno all’Expo del 2015 che servirà a ”dare un messaggio e un’immagine del sistema complessivo dell’agroalimentare italiano”.

Ma a che punto siamo con i lavori? Intanto premetto subito che si può rinunciare all’EXPO 2015, infatti, il regolamento del Bie (Bureau International des Expositions, ovvero l’ente supremo che gestisce i vari EXPO) prevede la possibilità di ritirarsi. Il ritiro, a partire da maggio 2012 e fino ad aprile 2013, comporterebbe una penale di 51,6 milioni di euro.

Se invece si continua sull’EXPO 2015, è bene dire che gli interventi previsti costeranno, in base alle ultime stime, fino a 25 miliardi tra opere e costi diretti, cioè creazione degli spazi espositivi di gestione. Questa cifra immane comporta la necessità, per il Comune di Milano, di ottenere una deroga al patto di stabilità interno. Per evitare tale deroga, l’alternativa sono gli investimenti dei privati che coprirebbero tali spese, ma al di là degli impegni verbali, l’intervento dei privati latita. Il Comune meneghino ha preparato un pacchetto di undici progetti obbligatori e di sette qualificanti che, per la maggior parte, dovranno essere finanziati da Palazzo Marino. Il problema, però, è che il Comune non può indebitarsi a causa dei vincoli imposti dal Patto di Stabilità. E il rischio è la paralisi.
Proprio per questo motivo, a Milano è divenuta concreta l’ipotesi che i lavori per la Pedemontana, le nuove linee metro e la bretella di raccordo tra Fiera di Rho e Malpensa, non vengano conclusi per il 2015. A questi problemi aggiungiamo anche il giudizio espresso nel dossier sui sistemi infrastrutturali dell’Osservatorio del Nord Ovest di Assolombarda, stilato lo scorso dicembre che afferma: “dal punto di vista procedurale, si segnala che diverse opere essenziali e connesse non hanno ancora un progetto preliminare approvato, con possibili ripercussioni sulla possibilità di realizzare gli interventi in tempo per l’Expo”.

A fronte di queste spese, quali sono i possibili ricavi (che, sono solo preventivati e ipotizzati, quindi assolutamente non certi)? Questi i numeri previsti: 20 milioni di visitatori di cui un terzo stranieri, settemila eventi in sei mesi, 181 paesi partecipanti, 61 mila posti di lavoro l’anno nel decennio 2011-2020, 3,5 miliardi di euro per la spesa turistica indotta e una produzione nel secondo decennio del secolo di 69 miliardi di euro, il tutto per una crescita del Pil dello 0,18 per cento. Sono numeri credibili? Sui posti di lavoro è lecito sollevare dei dubbi, visti i ritardi nei lavori, ma quel che più preoccupa è che ad oggi, solo 81 nazioni abbiano dato per certa la loro partecipazione firmando i relativi documenti. Vi sono poi una diecina di nazioni tra cui USA, Brasile e Cina che hanno espresso il loro interesse a partecipare, ma solo verbalmente e senza avere sottoscritto alcun impegno vincolante.

Da quanto detto è chiaro che siamo di fronte ad un opera faraonica, ma che, proprio per questo motivo, richiede celerità e massima attenzione per evitare che si facciano “cattedrali nel deserto” come fu per “Italia 90”.

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Una nuova Scuola per i nativi digitali

postato il 4 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Scavone

Le nuove tecnologie ed internet, sempre più spesso, sembrano essere sinonimi di futuro. Un futuro che, proprio partendo dalle ottime opportunità che pc, ipad, cellulari offrono, possa sfruttarle al massimo per creare nuove prospettive di crescita e sviluppo.

Sono gli stessi cardini sui quali è stata incentrata la ricerca del Censis in Calabria sui Nativi Digitali, i giovani studenti nati dopo il 1980 che fin dall’infanzia hanno interagito, si sono formati e comunicano attraverso le nuove tecnologie. L’indagine, che si e’ svolta nei mesi scorsi ed ha riguardato 2300 studenti e 1800 genitori, si è soffermata sull’uso del tempo di studio e del tempo mediato da questi strumenti, sugli effetti delle tecnologie digitali nella relazione con gli altri, sulle modalita’ di apprendimento, nel rapporto con la scuola.

I presupposti sono semplici. Le giovani generazioni sono sempre più parte di una “società digitale”; si informano, comunicano, interagiscono con i nuovi mezzi sul web: queste trasformazioni investono inevitabilmente i processi di apprendimento e di istruzione. Da qui nascono diverse questioni: possiamo considerare come risorse per l’apprendimento le tecnologie digitali? Possono essere uno stimolo sincero per la curiosità e lo spirito di iniziativa dello studente? E ancora, possono migliorare le capacità di concentrazione e riflessione, generando risvolti didattici positivi?

Molti rispondono in modo affermativo a questi interrogativi, con la consapevolezza che le nuove tecnologie sono imprescindibili per cercare un dialogo con i ragazzi e per svolgere al meglio la funzione didattica. Così la riflessione si sposta altrove, interessando un altro aspetto preoccupante: il divario esistente tra la scuola dei nostri giorni e le nuove generazioni. E Il campione geografico che è stato oggetto della rilevazione non ha certamente aiutato a disegnare un quadro migliore.

Il ministro Profumo, stamane, ha cercato di interpretare questo gap, prospettando margini di soluzione e innovazione. “Guardate i ragazzi in classe, guardateli negli occhi, vedrete quanto si annoiano con noi” – ha detto, osservando anche mestamente “sono sorpreso che in questa sala non ci siano ragazzi, noi siamo un altro mondo.” Insomma, il ministro ha confermato tutto il suo impegno per raggiungere nuovi obiettivi. Il problema non sono i nativi digitali ma il divario di cultura digitale. Ancora, gli insegnanti devono essere il nodo dell’inserimento delle tecnologie digitali nella scuola e saperle padroneggiare. Come per dire: inutile riempire le classi di pc e tablet se poi gli insegnanti non sanno che farci nella didattica. Un discorso condivisibile, che ovviamente non passa per la totale rottamazione della scuola tradizionale: la scuola pensata e disegnata dai nostri padri – lo dico da studente – è una risorsa, ma va ripensata e ridisegnata al passo con i tempi. I giovani d’oggi possiedono le competenze per interagire con diversi strumenti, attingono informazioni in maniera diversa da come avveniva prima che la rivoluzione digitale prendesse piede. E la scuola deve tenere presente i cambiamenti che stanno avvenendo.

Il ministro ha poi continuato: “Dobbiamo rinnovare profondamente la scuola. Pensiamo alle aule e ai corridoi: fanno parte di un altro mondo, le nuove scuole dovranno essere progettate in modo diverso.” Affermazioni importanti, se unite anche a quelle di un mese fa: ”Questo Governo e il mio ministero hanno un obiettivo: migliorare il livello medio del paese. Solidarieta’ e merito devono stare insieme. Dare un riconoscimento a chi eccelle vuol dire mettere i meritevoli al traino dell’intera classe e innalzare il livello medio.

Una dichiarazioni di intenti da non trascurare. C’è tanto da fare, e dovrà essere fatto bene. Chissà se, dopo anni di disattenzione per il settore dell’istruzione, si possa davvero iniziare a sperare. Dopotutto il solo titolo della conferenza, che conteneva l’espressione “emergenza educativa”, riassumeva in sintesi la situazione italiana.

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La vera sfiga di questo Paese

postato il 2 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Ieri sera ho scelto vedere la partita in piazza perché pensavo potesse essere, indipendentemente dal risultato, un bel momento per stare insieme ad altre persone e condividere passione sportiva ma anche amore per il nostro Paese. Purtroppo mi son dovuto ricredere già al momento dell’inno nazionale quando le telecamere hanno inquadrato il premier Mario Monti ed è partito dal pubblico presente qualche fischio e qualche contestazione. Alla fine della partita ho avuto ulteriori conferme vedendo gente che fino a qualche giorno fa celebrava Prandelli e gli azzurri manco fossero i 300 delle Termopili, insultarli e criticarli manco fossero stati i responsabili della rotta di Caporetto. Ciliegina sulla torta alcuni commenti diffusi in rete e prontamente ripresi da giornali come Libero su un presunto ruolo da iettatore di Mario Monti.

Premessa una cosa lapalissiana come quella che nello sport vince il più forte,  e francamente da una squadra che racimola 2 pareggi, 1 vittoria contro una squadra materasso, 1 vittoria ai rigori, 1 vittoria vera (di misura) e 1 sconfitta non mi aspettavo così tanto, provo un certo fastidio per  quel difetto tutto italiano di essere sempre pronti a celebrare vittorie, anche immeritate, e di avere la medesima prontezza di abbandonare il campo nel tempo della sconfitta.

Diceva Jason Leonard, un grande rugbista britannico, che “chi non sa rimanere umile nella vittoria e cortese nella sconfitta, non merita di giocare a rugby“, figuriamoci a calcio. La vera sfiga di questo Paese, non è certo Mario Monti, ma questa mancata solidarietà nella sconfitta e nella difficoltà. E’ sempre colpa di qualcun altro, una cosa così lontana da quel buonsenso espresso da Enzo Biagi con il suo “giusto o sbagliato è il mio Paese”.

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Serve una fase ri-costituente, un polo del buon senso

postato il 2 Luglio 2012

Riceviamo e pubblichiamo, di Valentina

Nessuno sente la mancanza dell’Ulivo. Nè dell’arcobaleno, nè dell’unione. Inoltre, i tempi permettono unicamente di portare avanti con saggezza la gestione corrente e mi sembra inutile invocare la necessità di avere una coalizione plurale e ampia. Io non avrei mai neanche immaginato di scrivermi con un democristiano ma, da cittadina che vuole essere libera, non posso che invocare una fase ri-costituente. Benvenuti a coloro che hanno voglia di cedere sulle proprie posizioni piuttosto che negoziare per portare avanti i propri interessi. IDV punta solo a rimanere in parlamento e SEL a rientrarvi. Non c’è nessun progetto civile o politico che li accomuni. Le quote che vantano nei sondaggi tengono conto della situazione attuale. Ma una volta isolati saranno annientati dal polo “saggio” (PD-UDC) dai liberali e dagli antagonisti. Grillo andrà da solo perchè non seguirà la parabola dipietrista.

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La vittoria di Monti per le imprese e per le famiglie

postato il 1 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carmelo Cutrufello

Monti vince la battaglia sul firewall anti speculazione e le borse ieri reagiscono in modo quasi scomposto: Milano, la migliore, guadagna più del 6 per cento (circa 15 mld di euro di capitalizzazione), ma Atene, Madrid, Parigi e Francoforte non sono da meno.

Perché la guerra allo spread è così importante e perché se lo spread cala le imprese aumentano il loro valore? Intanto vediamo cos’è lo spread. In parole povere è la differenza di rendimento tra due titoli finanziari (nel nostro caso il Bund tedesco a 10 anni e il Btp italiano a 10 anni) di pari durata. In valore assoluto il tasso di interesse rappresenta il costo al quale un Paese può contrarre (quindi vendere il proprio) debito, nello specifico lo spread rappresenta la differenza tra il rendimento dei titoli tedeschi e italiani. Ma quanto vale questo spread? Un sacco di soldi. Considerate che il nostro debito pubblico è di circa 1966 miliardi di euro (e Monti non ne ha causato nemmeno un euro) quindi ogni 100 bp (basis point) di rendimento (il famoso 1%) vale la bellezza di 19,66 miliardi di euro. Per capirci l’aumento di un punto percentuale dell’iva previsto per ottobre vale 4,5 miliardi. Ieri, dopo la conferenza di Monti, lo spread è sceso del 10% facendo scendere a sua volta il costo del nostro debito futuro dello 0,5% il che si traduce in un risparmio di circa 8 miliardi di euro sul costo del debito. L’obiettivo del Governo è tirare fuori dal pantano del debito il Paese riportando lo spread a circa 130 bp sul tedesco. Se succedesse questo si tradurrebbe in un risparmio sul costo del debito di quasi 60 mld di euro. Non solo, a quel tasso di interesse il nostro debito sarebbe assolutamente sostenibile nel lungo periodo e potremmo permetterci di far scendere la pressione fiscale.

Ma perché Monti ha alzato le imposte? Le imposte sono state l’agnello sacrificale sull’altare dello spread. Ma se alzi le imposte le imprese e le famiglie si impoveriscono, che senso ha? Rendere sostenibile il debito, contribuisce a diminuire lo spread e quindi ad abbassare il tasso di interesse dei titoli di Stato. Poiché questo rendimento è un parametro di riferimento per le banche, rispetto al quale stabiliscono il costo del denaro per imprese e famiglie. Minore è il costo per lo Stato, minore è il costo per famiglie e imprese. Del calo dello spread quindi ne beneficiano anche famiglie e imprese. In diversa proporzione. Sul fronte del costo del debito ne beneficiano soprattutto le imprese. Facciamo finta che voi siate un magnate internazionale e voleste investire in Italia 10 milioni di euro. Quanto peserà il costo del denaro nella vostra scelta? Con un tasso al 9% per le imprese private (più o meno quello attuale) il denaro vi costerà 900mila euro l’anno; con un tasso al 5,5% il costo sarà di 550mila euro. La differenza? 350 mila euro l’anno! Voi dove investireste? Il costo del denaro è per le imprese un parametro molto importante, insieme alla stabilità politica, sul quale basare le scelte di investimento del lungo periodo perché ne determina la capacità competitiva. Le multinazionali sono andate via in massa dall’Italia a causa di questo mix mortale: Governo incapace di risolvere i problemi, costo del denaro crescente, marginalità in discesa.

E le famiglie? Beh le famiglie hanno altri benefici. Sul fronte delle imposte, con l’Imu, si ridistribuisce ricchezza: chi ha 10 case paga, chi ne ha una nella stragrande maggioranza dei casi non versa nulla. Del costo della benzina non parlo: il Governo ha costretto Eni a fare il super sconto di 20 centesimi nei week end, Eni non fallisce, e i prezzi sono tornati quelli dell’anno scorso. Era un problema di cartello, non di accise. Peccato che il governo precedente non si sia reso conto della situazione. Sul fronte dello spread le famiglie hanno benefici diretti in due casi. Primo, il mutuo a tasso variabile costa meno perché i tassi di riferimento scendono. Tre punti e mezzo in meno sul tasso di riferimento fanno scendere la rata (su 100mila euro di mutuo) di 3500 euro l’anno. Secondo, possono prendere a prestito il denaro ad un costo inferiore. Terzo, ma più importante, il basso costo del denaro costituisce un vantaggio competitivo per le imprese che possono così investire di più, e di conseguenza, assumere di più.

Ecco perché il Governo Monti, dopo aver salvato lo stipendio e le pensioni dei dipendenti pubblici Italiani, ieri ha salvato anche il sistema Paese e la sua impresa. Gli effetti benefici di questo processo finanziario si vedranno nei prossimi mesi. Nel frattempo non dobbiamo fermarci: occorre abolire le provincie, accorpare i piccoli comuni, chiudere i 3127 enti strumentali inutili individuati da Giarda, rendere trasparenti gli appalti. Alla fine sarebbe un’altra Italia, più giusta, più equa e più meritocratica. Noi ci crediamo.

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L’accordo raggiunto permette di rilanciare l’Europa

postato il 29 Giugno 2012

“Riceviamo e pubblichiamo ” di Mario Pezzati

L’accordo raggiunto ha galvanizzato le borse europee, soprattutto perché dopo le diatribe degli ultimi giorni quasi nessuno si aspettava un simile risultato. Evidente anche l’impatto sul fronte obbligazionario, tanto che lo spread BTP-Bund ha subito un forte ridimensionamento e dopo essere sceso al di sotto dei 410 punti base, ha risalito la china. Ora il differenziale tra il decennale tedesco e quello spagnolo viene fotografato poco oltre i 441 punti base, con una secca contrazione di quasi il 5,5%. In forte recupero i prezzi del petrolio che dopo l’affondo di ieri recuperano posizioni e si riportano a ridosso dei 79,5 dollari con un rialzo del 2,33%. A riattivare lo shopping sul greggio contribuisce anche l’indebolimento del dollaro, nei confronti del quale l’euro sta recuperando posizioni, scambiando a 1,257.

Sostanzialmente l’accordo raggiunto nella notte ha dato vita al meccanismo anti-spread proposto dal Presidente del Consiglio Mario Monti ed è prevista l’adozione di un sistema che permetta di tenere sotto controllo l’andamento degli spread, oltre ad un piano che consenta l’uso dei fondi europei di salvataggio volto a stabilizzare i mercati del debito e ricapitalizzare direttamente le banche rompendo, di fatto, il circolo vizioso banche/debito sovrano.

Cosa accadeva infatti? Che i problemi delle banche emergevano tardi (quando erano veramente enormi), e venivano scaricati sui bilanci degli stati, indebolendo questi ultimi e generando ulteriori problemi e costi, in un circolo vizioso. Con un intervento diretto sulle banche, invece, e soprattutto con la vigilanza preventiva (altro punto emerso dagli accordi di questa notte), gli interventi saranno tempestivi e con costi più limitati, permettendo la rottura del circolo vizioso di cui sopra, nell’ottica di uscita dalla crisi.

Si può pensare di essere nella fase finale della crisi che ha avuto inizio nella primavera del 2010? Al momento è prematuro per affermare una cosa del genere, ma gli esperti prevedono che, se si procederà ad una attenta analisi costi/benefici, l’unica conclusione sarà una soluzione basata su tre pilastri: Unione Bancaria, European Redemption Fund e cessione parziale di sovranità all’Unione europea.

L’accordo, oltre ai due fondi citati, riguarda anche altre iniziative che dovrebbero rilanciare l’economia europea, tra cui anche il pacchetto da 120 miliardi di euro da destinare agli investimenti produttivi.

La possibilità di ricapitalizzare direttamente le banche servirà non solo a rassicurare i mercati, ma permetterà interventi e controlli “prima” e non, come accade ora, dopo che i problemi diventino troppo gravi. In altre parole, con dei controlli preventivi e con le conseguenti azioni si vuole evitare che i costi degli interventi siano eccessivi e pesino eccessivamente sulle spalle dei cittadini e degli Stati.

Se andiamo ad analizzare il meccanismo anti spread, fortemente voluto da Mario Monti che aveva minacciato di non firmare le altre iniziative europee, facendo pesare i sacrifici che gli italiani avevano fatto per l’Europa, osserviamo che verrà attivato su richiesta dei Paesi che lo riterranno opportuno, ma non implicherà nuove condizioni oltre a quelle stabilite dal Patto di stabilità e crescita rafforzato, e la sua attivazione non sarà monitorata dalle istituzioni europee come nel caso dei programmi di aiuto per i paesi in bancarotta.

“Con questo accordo si capovolge il concetto di vigilanza e di condizionalità: finora la logica all’interno del patto di stabilità era impostata su verifiche ex-post dei conti pubblici e delle adeguate misure”, commenta Felice De Novellis, economista di Ref Ricerche. “Ora il controllo e la condizionalità sono spostati ex-ante: quindi la vigilanza, che certamente andrà rafforzata, dovrà verificare ex-ante se un Paese è nelle condizioni di poter avere tale tipo di sostegno”.
“Sposta la logica e ciò è un’ottima idea: un Paese sarà anche incentivato a essere e a rimanere in un sentiero virtuoso perché ciò gli consentirà di garantirsi livelli di rendimenti e politiche fiscali prevedibili. E di conseguenza un Paese diventa così anche più credibile. E’ uno strumento decisamente migliore rispetto a quello degli eurobond”, aggiunge De Novellis.

Lo stesso presidente della BCE, Mario Draghi, si è detto “molto contento” delle discussioni di ieri durante il Consiglio Ue di Bruxelles e incalza i leader a continuare oggi le trattative. “Sono stati raggiunti risultati nel breve termine. La deroga dello status di creditore privilegiato per la Spagna è uno di questi risultati”, ha aggiunto. “La futura possibilità di usare l’Esm per ricapitalizzare direttamente le banche, qualcosa che la Bce chiede da un po’ di tempo, è anche un buon risultato. E dobbiamo tenere in mente che tutte queste cose, per essere credibili, dovrebbero essere accompagnate da stretta condizionalità. Questo è essenziale”. “La Commissione europea – ha detto poi Draghi – presenterà una proposta sulla base dell’articolo 136 del Trattato per la creazione di un meccanismo di vigilanza unico, all’interno del quale la Bce assumerà il ruolo di supervisore per l’eurozona”. Per il presidente della Commissione Jose Manuel Barroso il vertice ha rappresentato un passo verso un’autentica unione monetaria della Eurozona. Sempre secondo Barroso, “i leader Ue sono stati capaci di prendere misure di breve e medio termine impensabili solo fino a pochi mesi fa”.

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E’ arrivato il tempo di volare. Non solo sui campi di calcio.

postato il 29 Giugno 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

Stamattina a svegliarmi è stato un sms, che mi annunciava un’importante vittoria ottenuta dal Premier Monti riguardo allo scudo anti-spread, che ha ottenuto il risultato di far crollare il famigerato differenziale di ben 40 punti e di far volare i mercati. Grande soddisfazione da parte del nostro Presidente del Consiglio il quale porta a casa una vittoria importante nel senso della stabilità dell’euro e della sua credibilità sul fronte dei mercati internazionali, con un grosso freno alla speculazione.

La cosa più bella di questo risultato è stata il sentimento che ha suscitato in me, qualcosa che, confesso, non provavo più da tempo: la speranza. Dentro di me ho pensato: ora si può, anzi, si deve crescere!

Questi campionati Euro2012 credo che abbiano avuto un ruolo non indifferente sullo stato d’animo degli italiani: hanno restituito loro il sentimento di speranza. Abbattuti da decenni di mala politica, uccisi da troppe tasse, senza spiragli di crescita, gli italiani avevano smesso di sperare ma anche di reagire, erano diventati apatici; ma agli abitanti del Bel Paese basta un campo di calcio e un pallone per restituire loro la speranza di poter riconquistare l’Europa. E credo non solo in campo calcistico.

Dopo tante giornate buie, abbiamo bisogno di spalancare le finestre per far entrare il sole nella vita pubblica e nel quotidiano di ciascuno di noi.

E allora via con le riforme, la crescita, il taglio degli sprechi inutili che ci portiamo da troppo tempo e la concentrazione delle risorse in ciò che può produrre ricchezza. Abbiamo troppi rami secchi, in politica e nella società: dobbiamo avere il coraggio di tagliarli! Investiamo sul merito, diamo fiducia ai giovani che vogliono far crescere l’Italia, ai piccoli imprenditori che costituiscono la maggior pare della nostra realtà imprenditoriale, alle donne che hanno diritto a dare il loro contributo nella società senza rinunciare al dono più prezioso che possono dare al nostro paese, la maternità.

L’Italia ha bisogno di un nuovo miracolo economico, ed è arrivato il momento. Questo è il tempo della crescita, della speranza, del nuovo miracolo economico. Ringrazio le forze che con coerenza e determinazione hanno sostenuto il Premier anche quando nessuno capiva perchè lo facessero (in questo l’UdC ha dato una profonda lezione di coerenza), e chiedo loro di impegnarsi ancora di più affinchè l’Italia torni a volare, perchè adesso ce lo meritiamo!

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La cittadinanza negata al Dalai Lama

postato il 27 Giugno 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Ieri il Dalai Lama, dopo aver visitato le popolazioni terremotate dell’Emilia, ha incontrato al Teatro Dal Verme di Milano un migliaio di studenti liceali e universitari. Un messaggio di pace e di speranza, un invito a non cedere a una crisi economica che si erge a morale trasformando i nostri sogni in un’epoca di passioni tristi, la necessità di porre sempre più un accento etico nella nostra società mettendo al centro la libertà religiosa, che comprende anche la libertà di essere a-religiosi. Il sindaco Giuliano Pisapia ha poi donato al Dalai Lama i sigilli della città.

Troppo facile. Troppo comodo sbrigarsela così.

Che tristezza vedere il Consiglio Comunale di Milano negare la cittadinanza onoraria al Dalai Lama. Un gesto vile. L’ideale che si piega alla realpolitik, alle minacce della Cina di non partecipare ad Expo 2015. O si era davvero determinati ad andare fino in fondo oppure dovevamo pensarci prima e non proporgli la cittadinanza, così abbiamo fatto una pessima figura doppia, davanti al Tibet e davanti alla Cina a calarci così le braghe. Ahi serva Italia di dolore ostello!

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