Tutti i post della categoria: Riceviamo e pubblichiamo

E’ ora di tutelare chi non lo è

postato il 12 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Le dichiarazioni del Presidente Monti e poi del ministro Cancellieri sul “posto fisso” hanno scatenato un vespaio di polemiche che però ha oscurato i provvedimenti concreti messi in atto fino a questo momento dal governo. Il governo ha dato prova di volere spingere sull’occupazione giovanile e ha provveduto all’abbattimento dei costi per la costituzione delle srl da parte dei giovani e ai contributi per le imprese che assumono under 35. Ma a onor del vero bisogna dire che le parole di Monti e dei suoi ministri, più che ai precari, costretti da una situazione legislativamente ormai divenuta insostenibile a continui e drammatici spostamenti occupazionali, si rivolgevano alle caste che non consentono il naturale ricambio generazionale – con tutti i suoi vantaggi – e il necessario inserimento di forze fresche in grado di muovere letteralmente il paese verso i suoi obiettivi con rapidità ed efficienza, come ci chiede a più livelli l’Europa.

Monti, non a caso, nella parte finale della frase di alcuni giorni fa,ha  introdotto un elemento determinante parlando di “tutela”, ovvero la necessità di tutelare chi ad oggi non lo è (quindi precari et similia), e di colpire chi gode di privilegi eccessivi, bloccando realmente lo sviluppo del paese. Credo quindi che bisognerebbe focalizzarsi maggiormente sul reale senso di questa riflessione, e soprattutto sui suoi futuri esiti pratici, che fermarsi a ridere senza approfondire.

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Treni ed emergenza neve, ma in Finlandia come fanno?

postato il 11 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

Un aspetto di quest’emergenza neve (che notizia, d’inverno nevica!) mi ha particolarmente colpito: le centinaia di persone, in gran parte giovani studenti e lavoratori pendolari, bloccate per ore ed ore sui treni. Mi ha impressionato l’idea delle tonnellate di duro metallo messe in scacco da una soffice coltre bianca e da un nemico invisibile: il gelo. Almeno così dice l’amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti che ammette problemi per otto convogli, di cui tre bloccati da alberi caduti sulla linea elettrica e cinque fermati da “manicotti” di ghiaccio sulla linea di contatto.

Certo in questo quadro non ci sarebbe nulla da dire se non ci fossero le dichiarazioni in senso diametralmente opposto non del solito sindacalista rompiscatore ma di Giuseppe Biesuz, amministratore delegato di Trenitalia-Lenord (le Ferrovie Nord Milano), il quale afferma “Il ghiaccio non c’entra nulla, infatti i treni delle Nord circolano regolarmente ma non appena entrano in un nodo gestito da RFI si devono fermare».

A dimostrazione di come l’impegno del personale operante in linea non possa essere messo in discussione, vale la pena di leggere un bell’articolo che ci racconta come si possa in pratica combattere adeguatamente il problema del gelo sulle linee ferroviarie. Che la questione sia un poco più complessa e che in realtà riguardi più in generale lo stato delle manutenzioni sull’intera rete ferroviaria e sullo stesso materiale rotabile è ormai opinione molto diffusa, come pure che il problema si vada aggravando con il passare degli anni.

Vetustà del materiale circolante sulle linee regionali e servizi di manutenzione tagliati, quando non cancellati oppure esternalizzati e spesso non pagati, costituiscono una miscela esplosiva pronta a deflagrare al primo accenno di difficoltà, a dimostrazione ulteriore che le politiche fatte solo di tagli lineari sono pura miopia che danneggia il futuro di tutti noi. E pensare che un paio d’anni fa i problemi in discussione erano gli stessi, e le soluzioni suggerite le medesime.

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Trasformare il Partito per trasformare il Paese

postato il 10 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Oggi Pier Ferdinando Casini è intervenuto alla Winter School organizzata dai Giovani Udc siciliani a Cefalù. Incalzato dalle domande poste da diversi ragazzi – presenti in sala o intervenuti attraverso l’account twitter dei @giovaniudc – il nostro leader si è confrontato con tutti i temi caldi del momento, dalla scelte del Governo Monti, alle liberalizzazioni e alla riforma del mercato del lavoro, passando per la necessità di immaginare la nostra società italiana (e occidentale in genere) con canoni completamente diversi da quelli attuali. “Nessuno più di noi – ha detto – è stato così determinante nel creare questo passaggio politico: per questo dobbiamo intestarcelo e non dobbiamo averne vergogna. Altro che commissariamento della politica”.  È stato un discorso importante, che ha ben rimarcato un concetto che sosteniamo ormai da tempo e che però sembra ancora non essere chiaro a tutti: quello che sta accadendo con il Governo Monti non è una fase transitoria della nostra vita politica e chi pensa che dopo la conclusione di questo “esperimento” tutto possa tornare a com’era prima, si sbaglia di grosso.

I provvedimenti su competitività e concorrenza, l’innesto di maggiore flessibilità e sicurezza nel mondo del lavoro, la riforma delle pensioni, le semplificazioni: non si tratta solo di palliativi o di interventi per tamponare e ridurre la cavalcata impazzita dello spread; sono tutte tessere di un puzzle più grande, sono tutti passi che si compiono sul cammino della modernizzazione del nostro Paese. Tanto è stato fatto – in tempi strettissimi – ma tanto c’è ancora da fare. E il nostro Partito, che da tempo – vox clamantis in deserto – sosteneva che questa fosse l’unica via percorribile, non può non essere pronto a scommetterci su tutto quello che ha. E che è. Il coraggio non ci manca: nel 2008 abbiamo sfidato, forti solo della nostra cocciuta solitudine, due giganti che promettevano di guidare l’Italia nella Terza Repubblica. Sappiamo tutti come è andata a finire: quei due giganti si sono rivelati sì enormi, ma solo in quanto a debolezze e incoerenze, e non hanno impiegato molto nel dimostrarsi insufficienti di fronte alla sfida della novità e del cambiamento. Casini oggi ha detto che finora l’Udc ha sempre “vinto” andando con chi “perdeva”: ora, però, è il momento di “vincere” sostenendo fino in fondo chi per noi ha già “vinto”. E cioè il Presidente Monti. A cui, come ha già fatto ieri Pigi Battista, chiediamo di continuare sulla sua strada di riforme dolorose, ma necessarie, perché dopo una transizione infinita, si possano finalmente fare l’Italia e gli Italiani. E per farlo, noi dobbiamo essere disposti ad un altro grande sacrificio, quello di trasformare – radicalmente – il nostro Partito. L’Udc come lo abbiamo conosciuto finora è ormai insufficiente a raccogliere il testimone del cambiamento. Casini lo ha detto senza giri di parole: “il Terzo polo è soltanto un passaggio per creare un partito che si rivolga a tutti gli italiani, moderno e non vecchio, moderato e non populista, europeo e che non coltivi fobie europee. Un partito non costruito attorno a un leader, ma frutto di un lavoro di squadra, perché una certa visione del leaderismo é superata”. Non un partitino del 7, del 10 o del 15%. Ma un partito che diventi maggioranza relativa nel Paese e che si faccia interprete dei bisogni e delle richieste della vera maggioranza (che sono solito definire come “silenziosa”) degli Italiani.

Dobbiamo far sì che la Rivoluzione Monti diventi concreta, più di quanto non lo sia già. Dobbiamo aprirci a nuovi orizzonti, a nuovi contributi, a nuovi soggetti. Dobbiamo trasformare il Partito per poi trasformare il Paese.

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L’attivismo del governo si vede anche in Borsa

postato il 9 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In queste settimane a fronte dell’attivismo del governo Monti, vi sono state delle piacevoli novità a cominciare dallo Spread BTP-Bund.

Prima dell’insediamento di Monti, lo spread era arrivato poco sopra 600 punti (portando i tassi di interesse dei BTP oltre il 7%, ad un livello giudicato insostenibile), mentre oggi è sotto i 360 punti, e il rendimento del decennale si è riportato a poca distanza dal 5,5%, con una flessione di oltre un punto e mezzo dai massimi segnati nelle scorse settimane, con il risultato che anche il valore delle azioni degli istituti di credito italiani sono in rialzo rispetto ai minimi toccati nei primi giorni di Gennaio (basti pensare ad Unicredit).

Siamo sulla buona strada per dare una scossa al sistema Italia e risolvere i suoi problemi, ma il percorso è lungo e pieno di ostacoli come non mancano di ricordarci gli analisti stranieri; infatti Standard & Poor’s ha lanciato un allarme sulle condizioni del credito nel nostro Paese (per inciso, un analogo allarme è stato lanciato per la Francia), ignorando che proprio i nostri istituti di credito sono poco esposti verso la Grecia, hanno lanciato degli aumenti di capitale (o li stanno per lanciare) e hanno un patrimonio immobiliare in alcuni casi superiore al loro capitale sociale.

Anche Fitch ha recentemente tagliato il rating sovrano del nostro Paese da “A+” ad “A-”, con outlook negativo riducendo quello di breve periodo da “F1” a “F2”, motivando la bocciatura sia per la natura sistemica della crisi dell’area euro, sia per l’elevato debito pubblico e per il basso potenziale di crescita dell’Italia.

Sembrerebbe una debacle, eppure gli analisti hanno ammesso che una bocciatura più corposa è stata evitata grazie al forte impegno assunto dal Governo italiano in direzione di una riduzione del deficit di bilancio e della realizzazione delle riforme strutturali, cui si è aggiunto il venir meno di alcuni rischi di finanziamento a breve termine dopo quello a tre anni della BCE. Purtroppo i rischi non sono stati azzerati del tutto, in quanto per quest’anno si prevede una contrazione del PIL dell‘1,7% mentre per il 2013 si assisterà solo ad una modesta crescita dello 0,2%, mentre la disoccupazione quest’anno passerà dall‘8,2% del 2011 all‘8,8%.

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Quando la natura alza la voce

postato il 8 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

A voler ben guardare, si individua facilmente un comune filo rosso che collega i disagi di questi ultimi giorni con mezza Italia sotto la neve ed i terribili momenti delle alluvioni in Liguria e Toscana; anzi, seguendo quel filo comune si risale ancora indietro nel tempo passando di disastro in disastro fino ad attraversare tutta la nostra penisola in lungo ed il largo.

Il denominatore comune di quasi tutte le calamità naturali degli ultimi anni è sempre lo stesso: il progressivo abbandono del territorio e l’allentamento delle tutele una volta riservate ai terreni anche nelle aree a minor inurbamento. Persino in occasioni delle recenti copiose nevicate, non è fuori luogo considerare la questione della prevenzione sul territorio; logicamente non si può pensare di prevenire le nevicate, è pero del tutto legittimo pensare di prevenire catastrofi originate da una cattiva gestione dell’ambiente cittadino o rurale, affinché il malgoverno dei territori non finisca per peggiorare una situazione già critica.

D’altronde un collegamento simile era già stato evidenziato nell’editoriale pubblicato sul numero 6/2011 della rivista “Energia, Ambiente ed Innovazione”, bimestrale dell’ENEA, dal significativo titolo “Quando la natura alza la voce”; nell’articolo infatti si parlava profeticamente di “città resilienti, cioè in grado di resistere ad alluvioni, ondate di calore, nevicate eccezionali”. Anche in quell’editoriale si rilevava infine come l’imputato numero uno fosse sempre il cambiamento climatico pur se in realtà i dati ben indicassero nell’urbanizzazione spesso selvaggia, quando non abusiva, e nell’abbandono del territorio i veri responsabili dei disastri ambientali.

A dimostrazione di un comune sentire che pervade ambito molto diversi, un recentissimo comunicato di FedAgri – Emilia Romagna, emesso in seguito alle recenti nevicate, segnala lo stato di grande preoccupazione per le aziende agricole dei territori dell’Appennino Alto-Romagnolo individuate quali “indispensabile presidio territoriale e di tutela ambientale”, usando quindi quasi le stesse parole dell’articolo citato poc’anzi.

In molte parti del nostro Paese, territori che grazie all’agricoltura avevano visto in passato lunghe fasi di ricchezza hanno poi vissuto il decadimento ed il conseguente abbandono della gestione di corsi d’acqua, dei canali e delle strade silvo-pastorali, diventando quindi terreno ideale per frane ed eventi alluvionali; senza contare che la mancata manutenzione dei boschi e dei pascoli mette il territorio nelle condizioni di non essere in grado di sopportare eventi climatici improvvisi e violenti.

In questo panorama veramente preoccupante, piace però rilevare come finalmente pare di poter esprimere un cauto ottimismo di fronte alle recenti notizie che giungono dal nuovo Ministro dell’Ambiente Corrado Clini, che ha recentemente sbloccato una parte consistente di finanziamenti finalizzati proprio alla prevenzione del dissesto idrogeologico. Speriamo veramente che questa rinnovata attenzione anche da parte ministeriale segni un nuovo inizio nel modo di gestire il territorio e le sue problematiche; speriamo davvero che la natura, per farsi sentire, non debba alzare la voce un’altra volta.

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Il futuro di internet potrebbe parlare italiano

postato il 7 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Il prossimo motore di ricerca su Internet potrebbe parlare italiano

grazie a Massimo Marchiori che promette di rivoluzionare i motori di ricerca.

Il suo algoritmo iniziale (che ideò circa 10 anni fa) è la base della struttura di Google: senza Marchiori, google non esisterebbe (fu Larry Page a vedere l’algoritmo e intuendone la genialità propose a Marchiori di poterlo usare). Dopo avere lavorato negli USA è tornato in Italia e ha provato a mettere su una sua iniziativa. Attualmente lavora per 2000 euro al mese per l’università di Padova, e ha fondato una sua piccola società, con la quale ha lanciato un nuovo motore di ricerca che rivoluzionerà (afferma) il mondo di internet e dei motori di ricerca.

Questo nuovo motore di ricerca consente di creare una mappa personalizzata del sito stesso in consultazione utilizzando gli elementi che ospita, inoltre permette un’immediata visualizzazione dei contenuti multimediali per effettuare rapidamente delle ricerche. Ma il punto più importante è la possibilità di vedere chi e quanti lo stanno consultando nello stesso momento, o lo hanno consultato, e entrare  in contatto con loro. «È questo un modo prezioso per fare amicizia con persone che hanno i nostri stessi interessi; è cioè una possibilità straordinaria di socializzazione».

Per realizzare tutto questo, Marchiori ha creato una società (www.volunia.com) che ha incontrato tantissimi problemi legati sia alla burocrazia (due mesi per avere l’allacciamento alla rete elettrica da parte dell’ENEL….) e legati all’arretratezza della rete informatica italiana; addirittura Telecom sostenne che non poteva connettergli i computer alla rete, come racconta lo stesso Marchiori: “Quando dovevo collegare i computer, Telecom mi informava che non poteva perché nel condotto non c’era spazio per un altro cavo. Sono stato costretto a installare una parabola e attivare una connessione radio con un fornitore remoto che supplisce ai disservizi delle reti normali.”

Se azzerassimo il famoso digital divide, se vi fosse stata la disponibilità della rete a banda larga e ultralarga, avrebbe avuto molti meno problemi (ci sono voluti 4 anni per metter in piedi la sua piccola società). E’ un italiano geniale, giovane, che lavora e genera sviluppo; e dobbiamo aiutarlo, e oltre a lui aiutare tutti gli italiani geniali, con voglia di lavorare e che sono “castrati” dalle carenze infrastrutturali italiane.

Per questo motivo, oltre a dettare i tempi dell’agenda digitale, bisogna dare certezza dei fondi; e siccome i fondi necessari sono circa 10-15 miliardi per abbattere il digital divide e potenziare al rete italiana, e i fondi pubblici stanziati in passato sono solo 800 milioni, io aggiungerei nella proposta, di usare una parte dei fondi FAS che, a vario titolo, giacciono inutilizzati (per mancanza di progetti e/o altro genere di problemi). Potenziare le infrastrutture informatiche, infondo, permetterebbe di sviluppare tutta l’Italia e soprattutto le aree più disagiate del nostro paese (è innegabile che le zone economicamente più svantaggiate sono anche quelle dove è maggiore la carenza di infrastrutture tecnologiche adeguate a cominciare dalle possibilità di connessione alla rete).

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Storie ordinarie di digital divide

postato il 6 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

Non ho mai disdegnato l’idea di vivere in un piccolo paesino di una altrettanto piccola regione come la Basilicata. Certo, le difficoltà sono molte, come la necessità dell’automobile, le scuole lontane, l’essere pendolare. Tuttavia, con l’ottimismo e con la convinzione di vivere in un paese dove persiste “l’aria buona”, ho sempre accettato queste difficoltà con spirito positivo. Tutte, tranne una: il non poter usufruire di internet veloce. Ebbene sì, faccio parte di quei 2,3 milioni di italiani del tutto privi di copertura internet, senza la possibilità di godere di una connessione internet davvero veloce, costretta a ripiegare su molto meno convenienti soluzioni. Dopo sfortunate esperienze con vari operatori telefonici per sopperire all’assenza della copertura della banda larga, sono giunta ad un’ovvia e sconsolata conclusione: ebbene sì, in Italia esiste ed è forte il problema del digital divide. Siamo alle solite, ad un’Italia che corre su due binari: l’uno prosegue spedito verso il progresso, l’altro retrocede verso l’oblio e approda nella stazione del mancato sviluppo.

Purtroppo, questo mancato sviluppo lo si avverte nella vita quotidiana di un piccolo paese: disservizi e ritardi nelle operazioni alle poste, impossibilità di fruire di servizi internet per le piccole imprese, isolamento totale. Un isolamento che appare ironico e beffardo in un mondo globalizzato, capace di azzerare le distanze tra nazioni e continenti, e non tra paesi della stessa Italia. Questo per la miopia di una politica, incapace di intuire che nell’accessibilità ad internet veloce si Può nascondere una grandissima possibilità di sviluppo e investimento. Rendendo efficienti anche i territori più periferici (che costituiscono la vera Italia, fatta di piccoli centri, e non soltanto di grandi città), si potrebbero aprire nuove zone d’investimento, invogliare gli imprenditori ad investire in piccole imprese, anche in centri di modeste dimensioni, naturalmente con adeguate condizioni infrastrutturali.

E far sì che tutta l’Italia possa godere di un’adeguata copertura ADSL, significa fornire già il primo mattoncino per una nuova economia, per aprirsi al nuovo mondo e alle nuove tecnologie.


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La necessaria riforma dell’art. 49 della Costituzione

postato il 6 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Davanti alla penosa vicenda dell’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi ci sono due reazioni deprecabili tanto quanto il reato commesso: la prima è liquidare la vicenda con un tristemente famoso “è un mariuolo isolato” e continuare a far finta di niente, la seconda è buttarla nella solita cagnara populista con tanto di Banda Bassotti di contorno come fa il Fatto Quotidiano. Minimizzare e abbandonarsi  al furor giacobino sono due reazioni opposte ma che hanno il medesimo risultato: non cambiare niente. Il recente passato ne è una testimonianza: tanto baccano all’indomani di Tangentopoli e poi, fatto passare un po’ di tempo, si è tornati a rubare meglio e più di prima.

Cosa fare per evitare nuovi casi Lusi? E’ sufficiente intervenire nuovamente sul finanziamento pubblico ai partiti? E’ importante dire subito che non bastano piccole modifiche o soluzioni provvisorie, ma oggi più che mai occorre affrontare il problema della regolamentazione giuridica dei partiti. Per far ciò occorre mettere mano all’articolo 49 della Costituzione che risente ormai del mutato quadro storico-politico; in altri termini è necessario salvare i partiti o meglio restituirgli dignità. Restituire dignità ai partiti significa ridare a questi quel ruolo di raccordo fra i cittadini e le istituzioni, che è fondamentale in una democrazia pluralista e che, proprio per questo motivo, non può più essere sottratto ad una regolazione dei partiti in forme autenticamente democratiche ed aperte al controllo dell’opinione pubblica e della legge. I partiti devono rinunciare ad una parte del loro arbitrio, subordinandosi a regole certe e trasparenti, devono altresì tornare a svolgere la loro funzione nella democrazia italiana, ritornando ad essere autenticamente soggetti democratici subordinati a regole certe e trasparenti mediante la pubblicità dei loro statuti e soprattutto  dando reale potere ai loro iscritti ed elettori. Una operazione di questo genere oltre che necessaria è richiesta dall’Europa, infatti il diritto comunitario prevede che un partito politico a livello europeo per accedere ai finanziamenti debba avere personalità giuridica nello Stato membro in cui ha sede.

Già don Luigi Sturzo che della lotta alla partitocrazia, una delle tre «malebestie» che già allora inquinavano la democrazia italiana con lo statalismo e l’abuso del denaro pubblico, ne aveva fatto una battaglia e propose nel 1958 un disegno di legge per dare ai partiti, allora come oggi mere associazioni di fatto, una personalità giuridica attraverso il deposito dello statuto alla cancelleria del tribunale civile del luogo in cui hanno sede legale, ed obbligarli  ogni anno a presentare alla stessa il rendiconto delle entrate e delle uscite. Altra regolamentazione prevista da Sturzo era la rendicontazione delle spese elettorali dei candidati davanti al tribunale.

Ma non è necessario andare al 1958 per trovare qualche buona soluzione ai problemi della partitocrazia senza partiti, sarebbe sufficiente riprendere in mano, anche semplicemente per aprire un ragionamento, sul ddl n. 2416 presentato dal senatore Gianpiero D’Alia e dal senatore Marco Follini nell’ottobre 2010. Il disegno di legge del presidente del gruppo Udc-Autonomie e del senatore del Pd è articolato in 10 articoli che qualificano i partiti come associazioni riconosciute con personalità giuridica, definiscono i requisiti di “democraticità” e modalità per essere riconosciuti, stabiliscono non solo un tetto alle spese elettorali e la nominatività dei titoli appartenenti al partito ma anche una commissione ad hoc presso il Ministero dell’interno per il controllo di tali spese, con la possibilita` di controllare e di conoscere i bilanci dei partiti politici e le spese sostenute. C’è dunque abbastanza materiale per ragionare, per discutere ma soprattutto per intervenire in questa materia delicata non solo per evitare altri casi Lusi, ma anche per salvare i partiti. E i partiti si salvano soltanto se si rivitalizza il rapporto fra cittadini e partiti.

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Siria, un doppio no che complica le cose

postato il 5 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

“Ci stanno bombardando! ci stanno bombardando” è la voce spezzata di un uomo nella notte mentre si odono  boati e detonazioni che giungono fino al Krak dei Cavalieri, il più potente baluardo degli antichi Crociati sul limite della frontiera libanese.  Alcuni cadaveri a terra adagiati in pozze di sangue o su letti di quello che sembra una rudimentale clinica o un ospedale. Immagini che scuotono Homs, l’antica Emesa teatro del più grande scontro tra l’Imperatore Aureliano e Zenobia la regina di Palmira.  Immagini non confermate dalla tv di stato ma scaricate su youtube dai residenti e pubblicate da Al Arabya. E’ tutto questo mentre la risoluzione Onu sulla Siria è stata bocciata con i veti di Cina e Russia. Avevamo atteso con Tigella su twitter la speranza che l’ultima versione emendata della risoluzione potesse placare le preoccupazioni russe.  Ad esse si è aggiunto anche il veto della Cina, un doppio “No” che il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki Moon ha definito una “delusione per il popolo siriano e per tutti i difensori della democrazia e dei diritti umani”.

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Quella violenza inflitta due volte

postato il 4 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

La corte di Cassazione ieri ha sentenziato che gli indagati per stupro eseguito in gruppo possono beneficiare di misure cautelari alternative alla detenzione. Questo in barba alla legge di contrasto alla violenza sessuale approvata dal Parlamento nel 2009, la quale sanciva chiaramente che per i rei di violenza sessuale l’unica misura cautelare applicabile è il carcere. Già per la Corte Costituzionale tale norma contrastava con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (libertà personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione. Tale interpretazione è stata recepita dai giudici della Corte di Cassazione nel caso balzato alla ribalta in questi giorni.

Unanime il coro di critiche verso una decisione definita “lacerante” a sinistra e “impossibile da condividere” a destra; la Cassazione si è difesa precisando che era l’unica interpretazione possibile verso la sentenza della Consulta, perché  in alternativa si sarebbe dovuto sollevare una questione di incostituzionalità, la quale avrebbe portato alla scarcerazione degli imputati per decorrenza dei termini.

Questo è ciò che dice la legge. Ciò che dicono i giudici. Ma può un paese civile fermarsi dietro sterili interpretazioni di norme e ignorare ciò che realmente è la tragedia dello stupro? La violenza sulle donne è un dramma che in italia si ripete ogni giorno. Una donna vittima di violenza subisce una ferita che nessuno di noi può lontanamente immaginare. Una donna vittima di violenza deve superare enormi resistenze per denunciare i propri aggressori: c’è la vergogna, la paura di far sapere a tutti cosa si è state costrette a subire, il terrore di ritorsioni da parte dei parenti degli aguzzini o da loro stessi, se lasciati in libertà. Il rimorso e il senso di colpa di essere state loro, in qualche modo, responsabili di ciò che si è subito, come se se lo fossero meritate in qualche assurdo modo. Ecco, pensate a quelle donne che, nonostante tutto, trovano il coraggio di denunciare, e sanno che i loro aguzzini sono liberi, una volta ricevuta la notifica della denuncia, di tornare da loro e farle pagare quel gesto di coraggio. Come reagireste? Parlereste ancora di principio di uguaglianza? E loro, non hanno diritto di tornare a essere uguali alle altre donne, senza doversi guardare le spalle di continuo? Il principio di libertà personale non varrebbe anche per loro, non più libere di condurre una vita normale, ammesso che trovino la forza di tornare a vivere? E per quanto riguarda la funzione della pena? La pena che si porteranno dentro per tutta la loro vita che funzione avrà?

Io mi auguro che un giorno le mie figlie vivranno in un paese che mette al centro la persona, e le restituisca davvero il diritto alla giustizia che, spesso, resta solo sulla carta. Altrimenti le donne continueranno a subire violenza due volte: la prima dai loro aggressori, la seconda dallo Stato.

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