Tutti i post della categoria: Riceviamo e pubblichiamo

Addio al Quoziente Parma

postato il 14 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Nella Parma guidata dal Movimento 5 Stelle non c’è più spazio per la famiglia. Il 26 novembre la giunta ha votato il Piano tariffario per l’esercizio 2013 in cui è contenuta la delibera 413/34 che sospende, a partite dall’anno prossimo, il “Fattore Famiglia”, un sistema ideato dalla precedente giunta di centrodestra e chiamato “Quoziente Parma” che consentiva alle famiglie agevolazioni  fiscali in base al numero dei figli.

Questo si legge sulle pagine dei quotidiani locali e nazionale, eppure non ci credo, i giornalisti , sapete, inventano sempre un sacco di storie.

Non aveva forse il sindaco Pizzaroti in campagna elettorale elogiato il Quoziente Parma come l’unico frutto buono dell’amministrazione corrotta che lo precedeva? E Pizzaroti è un uomo di parola.

 

Non aveva forse scritto nelle linee programmatiche 2012-2017 che i grillini si sarebbero impegnati a valorizzare il fattore famiglia? E Pizzaroti è  uomo di parola. Eppure su Avvenire Francesco Caltabianco, consigliere nazionale dell’associazione Famiglie numerose, accusa il Comune di Parma  di “aver smantellato l’Agenzia per la Famiglia, eliminato le agevolazioni per le famiglie numerose, abbandonato la Family Card ed eliminato tutta una serie di provvedimenti in favore delle famiglie. Contestualmente, invece, sono stati aumentati i fondi per alcune cooperative. Forse non si crede nella sussidiarietà della famiglia, ma nell’appalto di servizi a terzi».

Ma io sto ancora dalla parte di Pizzaroti. Forse il quoziente famiglia è vittima di una  carenza di fondi ed è stato abolito a malincuore in attesa di essere ripristinato con un maggior gettito comunale. Ma non è così perché è un sistema a costo zeroIl quoziente infatti si basa sulla modifica delle tradizionali fasce ISEE, acronimo che sta per Indicatore della Situazione Economica Equivalente, in base alle quali le famiglie pagano i diversi servizi pubblici quali asili nido, mensa e trasporto scolastico. I parametri infatti, a Parma  come ad altrove, non paiono più adeguati alle reali esigenze dei cittadini e spesso si verificano situazioni paradossali a tutto svantaggio della maggior parte delle persone che si appellano all’amministrazione comunale. Attraverso un  sistema di calcolo, che mirava a correggere le varie tariffe a seconda della effettiva composizione dei nuclei familiari, il quoziente cercava di  riportare un po’ di equità nella redistribuzione delle risorse a favore delle famiglie: il nuovo parametro, infatti, comportava per i nuclei con due o più figli l’aumento di contributi e la diminuzione dei costi dei vari servizi, con benefici in termini concreti anche di un centinaio di euro all’anno per ogni figlio.

No, non sto parlando per discutere l’operato di Pizzaroti o mostrare le contraddizioni dei grillini, son qui per dire quel poco che conosco del Quoziente Famiglia. E il Quoziente Parma meritava di esistere.

Commenti disabilitati su Addio al Quoziente Parma

Che cos’è lo Spread?

postato il 13 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Si parla spesso di spread, ma cosa è e perché influenza la nostra vita?

Lo spread è il differenziale tra il nostro tasso di interesse (che lo stato paga sui btp) e un altro tasso di interesse preso come “pietra di paragone” e che generalmente è pagato dagli investimenti ritenuti “sicuri”. In pratica, più rischioso è l’investimento, maggiore è l’interesse che vuole chi presta il denaro. Se la cosa vi sembra eticamente discutibile, provate a riflettere: voi prestereste denaro ad una persona inaffidabile con il rischio di non averlo restituito? E se prestate questo denaro, è chiaro che maggiore è il rischio, maggiore è il guadagno che chiedete per compensare il rischio corso.
Allo stesso modo dobbiamo ragionare con lo spread e il nostro debito pubblico:  lo spread è la differenza tra il tasso di interesse pagato dallo stato italiano e quello pagato dallo stato tedesco (reputato uno degli investimenti più sicuri). Supponiamo che abbiamo un tasso pari a 6%, se quello tedesco è del 2%, allora lo spread è del 4% (6-2=4).

Da queste considerazioni discende che se uno stato, come ad esempio l’Italia, diventa sempre più inaffidabile a causa dell’andamento dell’economia o perché i governanti non fanno le riforme o si dimostrano incapaci, chiaramente il tasso di interesse che paga salirà e quindi salirà anche lo spread. Sotto questo punto di vista lo spread è un primo termometro di quanto è affidabile un debitore o una nazione che si indebita.

Ma che significa per le nostre tasche uno spread alto? Ogni mese scadono dei titoli di stato (BOT, BTP, CCT, CTZ) che in massima parte vengono rinnovati: se lo spread aumenta, aumenta anche il tasso di interesse che lo stato paga sui nuovi titoli emessi; quindi se prima pagava il 4%, poi paga il 5%. In soldoni, significa che la spesa per interessi passivi dello stato italiano, aumenta e se aumenta lo stato italiano in seguito avrà meno soldi per investimenti e avrà bisogno di maggiore liquidità e quindi dovrà tagliare servizi ai cittadini o aumentare le tasse. Il nostro debito è di 1900 miliardi di euro; aumentare di 1% il nostro spread su tutto il debito (fingendo per semplicità di rinnovarlo tutto in un colpo solo) significa che gli italiani dovranno pagare 19 miliardi di euro in più ogni anno. A questo dobbiamo aggiungere che la maggiore spesa per interessi ha un effetto depressivo sul PIL e quindi non solo paghiamo più soldi, ma con un PIL minore, diminuisce anche la nostra economia 8quindi siamo penalizzati due volte): è stato calcolato che un aumento dell’1% del tasso di interesse significa per l’Italia un aumento di spesa per interessi pari allo 0,2% del PIL il primo anno, dello 0,4 il secondo anno e dello 0,5 il terzo anno, rispetto agli stati più “sicuri” (come la Germania); se si fosse mantenuto una differenza del 4%, come ai tempi di Berlusconi, per lo stato italiano si sarebbe parlato di una spesa aggiuntiva di circa 100 miliardi di euro di interessi.

Inoltre alti tassi di interesse implicano per le banche, le imprese e le famiglie, maggiori difficoltà nel reperire i fondi necessari; in altre parole una famiglia pagherà di più come interessi per avere un prestito, ma anche le imprese pagheranno di più (due estati fa, con Berlusconi, i prestiti alle imprese erano saliti ad un tasso di interesse del 9%).

Commenti disabilitati su Che cos’è lo Spread?

Le responsabilità della politica

postato il 11 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gianluca

Non ho mai parlato ne scritto di politica non perché disprezzi i leader, ma perché non ho mai sopportato la forma mentis di molti “militanti” che seguono come capre il loro capi di partito anche se questi cambiano le loro scelte politiche in funzione di accordi e alleanze che non hanno nulla a che fare con le esigenze reali della collettività.

Ora però che vedo con i miei occhi la difficoltà economica del nostro Paese, delle nostre aziende e dei nostri lavoratori, comprendo quanto le decisioni di un Governo possano condizionare la ripresa, se non altro influenzando il morale, che è la molla principale su cui agire per ottenere il meglio da tutti anche nei momenti difficili.

Qualche mese fa la nostra politica ha alzato le mani rispetto ad una problematica molto più grande delle parole, degli slogan, dei contrasti in tv e di quella fedeltà caprina di cui sopra. Qualsiasi scelta per migliorare le cose sarebbe stata impopolare per ogni schieramento e forse nessuno dei leader avrebbe avuto la credibilità necessaria per richiedere i sacrifici straordinari a cui è stata chiamata la popolazione.

Per tutti, destra e sinistra, la scelta migliore è stata Monti per analizzare la situazione ed iniziare una reazione che a qualsiasi costo avrebbe dovuto portare il culo del paese lontano dai carboni ardenti di un baratro finanziario.

A tutti noi è stata chiesta fiducia incondizionata e grandi, grandi sacrifici. Oggi, la politica dormiente esce dai propri sarcofaghi per rivendicare la propria importanza vitale in un Paese democratico, e con un colpo di spugna cancella la stessa fiducia che ci è stata richiesta a gran voce solo qualche mese fa. Quello che proprio non capisco è come dovremmo interpretare questi avvenimenti, come un atto di ammissione di colpa della politica, nel aver sponsorizzato persone sbagliate? Che i sacrifici richiesti non erano dettati dalle strategie più giuste per il nostro Paese e si è ritenuto quindi necessario non dare seguito al percorso iniziato dal governo tecnico? Si? No? In ogni caso non ho sentito da nessun politico un’assunzione pubblica di responsabilità rispetto a questo presunto “madornale errore di valutazione”.

O forse questa frettolosa chiusura delle porte sul naso di Monti è solo l’ennesimo gioco di una politica orgogliosa e capricciosa che non riesce a fare a meno di incrociare le corna pubblicamente per duellare all’infinito e screditarsi a vicenda per aggiudicarsi il trofeo del “male minore”.

Io non so se Monti ha fatto bene o male, ma di una cosa sono certo che avrebbe continuato nel bene o nel male ad agire nell’interesse del Paese, se non altro per un etica professionale legata al suo ruolo “non politico”. Sarebbe stato così antidemocratico lasciarlo lavorare quantomeno per verificare il risultato del suo operato? Sarebbe stato così male per tutti noi continuare ad assaporare il piacere di una migliore considerazione politica dell’Italia in campo internazionale?

Siamo sicuri che gli stessi politici che hanno alzato le mani difronte alle difficoltà, oggi con i compromessi per le coalizioni e le promesse pre-elettorali, non rappresentino un altissimo rischio di catastrofe per il nostro Paese?

1 Commento

Per questo, Presidente Monti, questo cammino non può essere interrotto

postato il 10 Dicembre 2012

di Giuseppe Portonera

Caro presidente Monti, sapevamo che la boccata d’ossigeno rappresentata dal suo Governo non sarebbe durata per sempre. L’avere personalità competenti, serie, responsabili (con tutti i loro limiti e difetti) nei massimi posti di comando non poteva che essere una situazione transitoria: o almeno, così si pensava, quando, un anno fa, lei e i suoi ministri giuraste fedeltà alla Costituzione davanti al Presidente Napolitano (sempre sia lodata la sua lungimiranza). Chi scrive è sempre stato abbastanza realista (altri direbbero “pessimista”): ricordo che nelle ore – tormentate, difficili – in cui il suo predecessore aveva deciso di gettare la spugna, quando in tv passavano le immagini dei cori festanti e giubilanti e sui giornali e sulla Rete si sprecavano i commenti positivi sul suo arrivo al Governo, io commentavo (un po’ in solitario): “vedrete che la maggior parte di quelli, tra qualche settimana, organizzerà le manifestazioni contro Monti”. Anziché qualche settimana, trascorse qualche mese, ma alla fine successe: la sua ondata di riforme strutturali, di provvedimenti “lacrime e sangue”, le sue bordate (venate di humour e di sano polemista da commentatore) contro il nostro sistema Paese ingessato hanno avuto il pregio di fare chiarezza, di smontare quell’aura di “tutti-bravi-e-tutti-belli” che aveva accompagnato e salutato il suo arrivo. Nel Paese, provato duramente dai provvedimenti da lei fortemente voluti, si sono create delle macroaeree politiche: da una parte chi l’ha avversato in tutti i modi e in tutte le salse, e dall’altra chi, invece, comprendeva che quelle riforme lì non le chiedevano mica fantomatici poteri forti esteri o l’austera e arcigna Germania, ma le giovani generazioni di studenti e lavoratori che altrimenti sarebbero state costrette a sopportare un costo sociale immenso. La riforma delle pensioni, per citare il provvedimento bandiera del suo Governo, ha avuto il merito di creare il sistema previdenziale più virtuoso d’Europa e di mettere in sicurezza i conti dello Stato (a chi lamenta uno “scippo delle pensioni”: lo sapete che senza la tanto vituperata riforma Fornero, le pensioni non si sarebbero potute più pagare?). Certo, non si può negare che sia stato duro da sopportare: ma ci rendiamo conto che siamo in guerra? Mentre nel resto d’Europa e del mondo si facevano le Riforme (con la R maiuscola), in Italia cosa avevamo? Le accuse ai giudici di essere politicizzati, i ministri di alcuni governi che scendevano in piazza contro i loro stessi esecutivi, il conflitto di interessi, le sensazionali leggi sulla patente a punti e contro il fumo nei locali pubblici. La nave già mostrava i primi segni di cedimento, ma a bordo l’orchestra continua a suonare allegramente.

Caro Presidente Monti, non si può tornare indietro. La famosa Agenda che porta il suo nome non è una lista di buone intenzioni: è la concretizzazione di un cambio radicale di rotta. La sobrietà, in politica, deve corrispondere alla responsabilità e alla serietà. Il PDL berlusconiano pensa che la sua sia stata solo un’esperienza racchiudibile in una parentesi; a sinistra la definiscono “di transizione” e, dopo essere stati “leali” (?), ora preparano un governo di segno assolutamente opposto (asse Fassina-Vendola-Camusso: aiuto). Solo noi abbiamo avuto il coraggio e l’onestà di dire che il lavoro non è terminato e che questo suo governo non è stato un punto di chiusura, ma di apertura di nuova fase. In un Paese di ciarliere cicale, lei ci ha ricordato cosa voglia dire essere formiche laboriose.

Per questo, Presidente Monti, le chiedo di non permettere che i sacrifici di questo anno vadano persi. Per questo, Presidente Monti, le chiedo di rendere “ordinaria” la sua esperienza “straordinaria”: fuori dai Palazzi che lei ha rappresentato con orgoglio e dignità, c’è una fetta di Italia che non vuole sprecare il proprio voto e che pensa che chi è stato parte del problema, ora non può presentarsi come sua soluzione. Quella fetta di Italia è la nostra maggioranza silenziosa: produttori, lavoratori, imprenditori, studenti che hanno sopportato il carico dei sacrifici, sapendo che questo avrebbe cambiato le cose. Quella fetta di Italia aspetta una guida, una strada da seguire.

Per questo, Presidente Monti, le chiedo di candidarsi. Di mettersi a capo di una lista che si ispiri al PPE (e che quindi sia alternativa a chi chiede più spesa pubblica, più intervento statale, meno libertà economica) e che non si professi “moderata”. Noi vogliamo essere “radicali”. Noi vogliamo dire chiaramente cosa ci candidiamo a fare: trasformare il Paese (ed è per questo che il nostro sarà un programma di lungo raggio, non solo legato all’emergenza del momento).

Per questo, Presidente Monti, le chiedo di candidarsi. Perché la speranza, il sogno, di un’Italia più moderna, produttiva, europea (in una parola: normale) possa realizzarsi anche barrando un simbolo sulla scheda elettorale. È la nostra occasione.

Commenti disabilitati su Per questo, Presidente Monti, questo cammino non può essere interrotto

Noi e loro. Perché è necessaria l’alternativa a Berlusconi

postato il 10 Dicembre 2012

di Adriano Frinchi

Gli ultimi avvenimenti politici hanno tolto definitivamente ogni dubbio sulla necessità di aggregare un’area che sia distinta e distante dalla ridotta valtellinese di Berlusconi. L’annuncio del ritorno in campo del Cavaliere e il contestuale ritiro dell’appoggio del Pdl al governo Monti non sono solo il simbolo di una totale irresponsabilità politica, ma scrivono anche la parola fine a qualunque ricostituzione dell’area popolare.

La scelta di Berlusconi non è un ritorno al passato. Nel 1994, pur con tutti i difetti e i limiti, Berlusconi riuscì a recuperare il consenso di quei moderati orfani della Dc e del Pentapartito, oggi il Cavaliere con la sua sesta discesa in campo si accinge a creare sulle ceneri del Pdl un contenitore che non ha nulla a che fare con il Partito Popolare Europeo.

Berlusconi attorniato da pasdaran e amazzoni intende, ancora una volta, polarizzare lo scontro: da una parte i comunisti dall’altra i paladini della libertà. La verità però è ben diversa.

Intorno a Berlusconi, e ai suoi interessi politici ed economici, si sta coagulando un’area antieuropea e irresponsabile che si prepara ad una campagna elettorale fatta di populismo e demagogia, che è pronta a far crescere il proprio consenso elettorale sulle paure e le difficoltà degli italiani.

Dall’altra parte non c’è il Partito Comunista Italiano. C’è un’area progressista seria e responsabile che ha il suo perno nel Pd che è stato protagonista leale dell’esperienza governativa di Mario Monti. C’è anche la leadership credibile di Pier Luigi Bersani che ha preso le distanze dal populismo di Antonio Di Pietro e che si spera saprà arginare le intemperanze di Nichi Vendola.

Resta poi un’area da organizzare, un’area politica popolare, liberaldemocratica, europeista ed atlantista che possa misurarsi, ma anche dialogare, con i progressisti e che sia fermamente alternativa ai populismi di Berlusconi e di Grillo.

Il gesto coraggioso e serio di Mario Monti ha politicamente marcato questa differenza tra noi e loro, tra coloro che credono che il bene del Paese viene prima degli interessi di personali e di partito, tra coloro che credono che l’eredità del governo Monti non vada dispersa  e coloro che pensano di poter nuovamente giocare con vita di milioni di italiani.

C’è una parte consistente del Paese che si aspetta che tutti coloro che si riconoscono nel Ppe, nell’esperienza di serietà dell’esecutivo Monti si facciano promotori di una proposta politica di alto livello, nuova nei contenuti e nei metodi che si capace di raccogliere esperienze diverse e le tradizioni politiche che hanno fatto grande questo Paese.

Quest’area aspetta un segnale, un gesto di coraggio per dire che l’alternativa è possibile, che alle prossime elezioni ci saranno loro, ma soprattutto ci saremo noi.

3 Commenti

Falsi miti: avere figli non è un problema

postato il 9 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Michele Surace

Sono un giovane papà di ventotto anni con due figli che è rimasto sbalordito dal modo in cui vengono gestite e disincentivate le nascite nel nostro Paese. E’ sufficiente guardarsi intorno per capire come la nostra società veda i bambini come un “pericolo”, un peso. Non è la carriera o l’economia che stanno disincentivando (almeno in prima persona) le coppie a fare i figli, ma sapete cosa? La Pubblicità e le “tasse sui figli”.  Prendiamo in considerazione la prima: una pubblicità “regresso” che ci riempie dalla mattina alla sera con immagini  di uomini sorridenti che vanno a prendere a scuola la bella insegnante con le facce tristi di tutti i papà che invece di prendere l’insegnante prendo i loro figli. Falso: da padre vi posso assicurare che non è mai passato giorno in cui andando a prendere a scuola mio figlio ci sia andato triste o a pensare alle belle ragazze. Quando andrete a prendere vostro figlio, ogni giorno, rinnoverete la gioia di riabbracciarlo. Altro cosa: vi ricordate la pubblicità dei due fidanzatini dove lei si ferma davanti ad una vetrina chemostra vestiti da bambino e il suo fidanzato sbianca immaginandosi chissà che cosa? Tranquilli! La ragazza poi si scoprirà che stava guardando solo le scarpe della commessa con il sospiro di sollievo del fidanzato. E infine, la cosa ancora più inquietante: la pubblicità dello strumento che legge la fertilità per le donne. Una coppia che si allarma quando lo strumento diventa “rosso” che secondo la pubblicità è un “pericolo” perché potresti avere bambini. Bambini uguale pericolo?, ma in che mondo viviamo?

Questo è il clima in cui una coppia, come quella costituita da me e mia moglie, ha deciso a 23 anni di fare il primo figlio, sposarsi e a distanza di qualche anno fare il secondo figlio. Per i malpensanti voglio subito dire una cosa: non siamo figli di papà: io sono un precario, mia moglie studia all’università e quando abbiamo preso questa decisione siamo partiti da zero. Zero lavoro (facevo l’università), zero casa, zero esperienza. Quindi non credete a tutte quelle storielle inventate dai media che dicono che senza lavoro non potete avere figli, che questi vi rovineranno la vita, che non potrete finire gli studi se vi sposate ecc. Nulla di più falso.

Questo per quanto riguarda il “clima” prima di sposarsi. Alle giovani coppie andrebbe fatto un monumento solo per aver sfidato questo conformismo terroristico da parte di chi, evidentemente, non vede nei bambini un gran business per i propri affari: le famiglie se possono spendere, spendono meno in frivolezze e più per il concreto. E questo evidentemente è un male per questi signori.

Veniamo ora al post-parto: le tasse sui figli. Delle vere e proprie tasse indirette che al pari dell’IVA colpiscono le famiglie “perché hanno un figlio”: pensate solo ai costi esorbitanti che abbiamo in Italia di asili nido (anche comunali),   pannolini – in paesi come la Spagna si trovano le stesse marche a metà prezzo –  e latte artificiale, giusto per fare degli esempi. E forse non è un caso che il Ministro della Salute  ha denunciato all’Antitrust il prezzo eccessivo di pannolini e latte in polvere in Italia.

Una volta il latte artificiale veniva passato dallo Stato alle famiglie. Oggi mediamente 900 grammi di latte in polvere costano 20 euro, e viene consumato questo quantitativo in circa 5/6 giorni, senza considerare la scorta di emergenza che ogni famiglia dovrebbe tenere. In un mese questo costo può rappresentare per una famiglia una spesa pari a  120 euro, al quale vanno aggiunte poi tutte le spese che ho citato precedentemente. Più volte le società produttrici di latte in polvere sono state multate dallo Stato (ad esempio nel 2004 furono multate in quanto accusate di un vero e proprio “cartello”), e il solo pensare che c’è gente che specula sulla nutrizione dei bambini dovrebbe far pensare molto sul tipo di società che vogliamo, proprio per i nostri figli. Non solo: sono venuto a scoprire informandomi sui giornali che le società produttrici di latte in polvere spesso fanno donazioni agli Ospedali ed organizzano corsi di formazione molto importanti, gratuiti per i responsabili dei reparti di neonatologia: tutto nobile, se non fosse che questa prassi è stata spesso criticata in quanto porta alla “fidelizzazione” da parte di queste ditte dei singoli ospedali sulla marca da dare ai bambini che hanno bisogno di questo tipo di latte. Il tutto alla faccia della concorrenza, a prescindere dal prezzo o dalla disponibilità nelle farmacie locali.

Detto questo, perdonate lo sfogo da ingenuo papà, volevo solo farvi riflettere sulla situazione dei giovani in Italia, proprio a causa della “moda” del non fare figli:  nel 2030 secondo l’Istat, e confermato dagli scenari inquietanti non però fuori dalla realtà dell’interessantissimo libro di Piero Angela “Perché dobbiamo fare più figli” , i giovani tra i 18 e i 21 anni (appena acquisito il diritto di voto) rappresenteranno solo il 3% della popolazione: questo vuol dire che i giovani conteranno sempre di meno nella società, nelle scelte politiche ed economiche di questo Paese. Ma il bello delle previsioni sulle tendenze statistiche è che si è ancora in tempo per migliorarle. Per questo occorre invertire la tendenza: credo che una seria politica di tutela della Famiglia e di incentivazione delle nascite debba essere, dopo il Lavoro, al primo posto dell’agenda di un Governo responsabile della Terza Repubblica che voglia puntare sul futuro del nostro Paese.

Commenti disabilitati su Falsi miti: avere figli non è un problema

Se la spending review si può fare grazie ad Internet

postato il 8 Dicembre 2012

di Giuseppe Portonera

La spending review dovrebbe essere un metodo permanente dell’azione di governo e il taglio dei costi, collegato all’aumento dell’efficienza e della velocità dei servizi offerti, andrebbe programmato annualmente. Grazie al Governo Monti questa strada sembra essere stata intrapresa: i ministri Giarda e Patroni Griffi, che hanno combattuto una battaglia dura contro gli immensi sprechi che si nascondono nei meandri della Pubblica Amministrazione, si sono dovuti scontrare con un moloch pesante e da più parti inattaccabile, finendo con l’incidere tagli col bisturi, anziché con l’accetta, come sarebbe servito. Questo per una molteplicità di motivi: ma quello che più mi sembra primario, è il non aver usato i giusti strumenti operativi. Il Governo Monti è il Governo dell’Agenda Digitale, che più di altro può rappresentare uno stimolo alla crescita: perché, allora, in sede di programmazione della spending review non si è pensato a tagliare i costi delle PA puntando sulla trasformazione digitale? Cosa può avere più successo della smaterializzazione delle procedure, dei documenti, dei tempi d’attesa, in materia di riduzione dei costi burocratici e maggiore efficienza del servizio?

Del resto, le idee in campo non mancano. Specie da parte nostra. Sulla scia di quanto proposto da Stefano Quintarelli, per esempio, noi pensiamo sia necessario imporre, per legge: alle PA, che qualsiasi atto o procedura non digitale sia vietato a patto che non si dimostri essere più conveniente del digitale; ai ministeri, di produrre annualmente un piano di innovazione tecnologica. È un diritto per il cittadino-utente ricevere notifiche e certificati via mail; mentre per lo Stato investire su sanità elettronica e giustizia digitale significherebbe un risparmio notevole (pensate ai faldoni di carta che occupano spazio e che per essere trasportati da un ufficio a un altro succhiano via moltissime risorse). Già in questi campi si possono attivare iniziative a costo zero: con lo switch-off nelle PA, il lavoro di trenta camminatori siciliani, per dire, sarebbe svolto da una, massimo due persone (con un risparmio di soldi pubblici e una notevole riduzione dei tempi di attesa). Una trasformazione digitale, poi, non gioverebbe solo sul fronte economico, ma anche e soprattutto su quello della trasparenza delle PA: bisogna puntare, infatti, sull’OpenData e sul FOIA. Ogni atto delle pubbliche amministrazioni (dal governo ai comuni, alle istituzioni tutte) appartiene alla comunità e deve essere conosciuto dalla comunità. Il cittadino deve poter conoscere, in ogni momento, l’attività dei suoi rappresentanti politici o amministrativi (quindi leggi, bandi, bilanci per chi gode di finanziamenti pubblici). In questo modo l’efficienza delle PA sarebbe evidente e conoscibile a tutti, e questo obbligherebbe la burocrazia a conformarsi a standard molto più elevati, rispetto a quelli di oggi. Più trasparenza, infatti, vuol dire prima di tutto meno corruzione (e quindi meno costi). Secondo la Corte dei Conti, la corruzione costa all’Italia circa 60 miliardi all’anno: negli Stati Uniti, dove la legge sul diritto all’informazione è utilizzatissima dai cittadini, il costo totale annuale per l’applicazione della legge è di circa $ 416 milioni annui, cioè di meno di $1,4 per ogni cittadino. Mentre a noi italiani la corruzione pubblico-privata costa 1.000 euro a testa all’anno. Anche una piccola diminuzione della corruzione ripagherebbe ampiamente i costi di applicazione della legge: e questa sì che sarebbe spending review!

Al prossimo governo spetta quindi questa eredità: capire che la riduzione (necessaria, profonda) dei costi della PA deve passare soprattutto attraverso l’innovazione digitale. Ecco perché sul progetto di un’Italia più trasparente, efficiente e always connected incentreremo la nostra campagna elettorale.

Commenti disabilitati su Se la spending review si può fare grazie ad Internet

Chi paga, veramente, l’Imu?

postato il 6 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi gironi i giornali titolano “stangata IMU”, e si lanciano in calcoli apocalittici affermando che “la città più cara sarà Roma con picchi di 470 euro. Il valore della tassa per la seconda casa, invece, sarà mediamente di 372 euro ma potrà arrivare fino ai 1.200 euro nelle grandi città. Mediamente quindi tra acconto e saldo, l’importo complessivo sarà di 278 euro per la prima casa e 745 euro per la seconda”.

E non solo, altri affermano ancora calcoli peggiori, perché infatti scrivono che “per le seconde case, l’Imu peserà mediamente 745 euro, con punte di 1.885 euro a Roma; di 1.793 euro a Milano; di 1.747 euro a Bologna; di 1.526 euro a Firenze”. Altri affermano che le “grandi città del Centro-Nord che dovrebbero far registrare un aumento complessivo fino a circa 700 euro rispetto al 2011, e in quelle del Sud intorno ai 250 euro”.

Numeri apocalittici, completati con la,ormai consueta, affermazione che le tredicesime serviranno per pagare l’IMU. E’ giustificato questo allarme o si tratta di terrorismo psicologico supportato da dati “grezzi”? Scopriamolo insieme.

Intanto specifico subito che, se le stime saranno rispettate, il gettito IMU sarà di 23 miliardi di euro, di cui 15 destinati ai comuni, mentre solo 8 miliardi andranno allo Stato. Ma al di là di questa precisazione, osserviamo che l’IMU è una tassa meno ingiusta e meno esosa di quanto affermano certi giornalisti che riportano sempre cifre medie. IN pratica prendono l’introito stimato e lo dividono per il numero di contribuenti, con il risultato che, nei loro calcoli dozzinali, ricchi e poveri pagano la stessa cifra. Ma non è così. Infatti se si va a studiare meglio i dati, si scopre che rispetto all’Ici che esisteva sulle prime case, l’Imu ha un profilo più progressivo, colpisce cioè più duramente chi guadagna di più. E in moltissimi casi la nuova imposta si rivela, grazie anche al gioco delle detrazioni, più leggera. Fatti i calcoli con le aliquote standard (il 4 per mille per l’Imu, il 5 per l’Ici), e considerate le relative detrazioni, secondo il ministero dell’Economia la nuova Ici è più leggera, rispetto alla vecchia Ici, per tutte le unità immobiliari che hanno una rendita catastale inferiore ai 660 euro. Che sono il 74% di tutte le abitazioni censite, e rappresentano il 50% in termini di rendita complessiva. Ma la vera sorpresa è scoprire chi paga davvero l’IMU. Ovvero chi è più ricco paga, giustamente, molto di più di chi ha poco.

Infatti, considerando solo le proprietà delle persone fisiche, il 10% delle unità con le rendite catastali più elevate paga il 44,7% dell’Imu complessiva, con un importo medio di 2.693 euro, mentre il 10% dei contribuenti i cui immobili sono caratterizzati dalle rendite più basse versa appena il 2,8% del totale.

Prendendo come parametro la ricchezza personale, e non il valore dell’abitazione, il discorso non cambia moltissimo. Si scopre, infatti, che il 10% dei contribuenti con i redditi maggiori (tutti quelli che dichiarano oltre 55 mila euro annui lordi), pagano circa il 20% dell’Imu complessiva. Mentre il 50% dei redditi più bassi arriva al 10% dell’imposta complessiva.

Dai dati sopra riportati, si vede che l’IMU è una tassa molto meno ingiusta e molto meno invasiva di quello che si può pensare e che anzi fa pagare di più chi ha di più, dando vita ad un effetto redistributivo.

9 Commenti

Lavoriamo per un’Italia più giusta, per un futuro migliore

postato il 4 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo”, di Manuela

Buongiorno Presidente, ho seguito oggi l’intervista avvenuta all’Arena. Desidero complimentarmi con Lei per la chiarezza che finalmente ha potuto esprimere parlando delle Sue idee che forse, fino ad oggi, erano un po’ offuscate da tutto l’andamento politico, dove in effetti non si capiva la Sua posizione.

Io ritengo che il nostro sia un grande Paese, costruito a fatica da nostri padri, lavoratori ed onesti: poi la grande enorme corruzione ovunque. All’oscuro di tutti gli Italiani.

Auspico che l’Italia, popolo grande e intelligente, possa essere guidato dalla democrazia, da leggi giuste, da regole che permettano agli Italiani di avere tutto ciò che un cittadino si merita, forte di ciò che porta con il lavoro, la correttezza e il senso di responsabilità.

E’ la prima volta che scrivo ad un uomo politico. Ho 56 anni e ho visto tutto fino alla ns decadenza: conosco la sofferenza di chi ha voluto nel passato una democrazia ed un futuro per i figli. Questa democrazia che è stata fortemente minata dal potere di uomini senza scrupolo che poi alla fine ne pagheranno le conseguenze, allo stesso modo in cui stiamo pagando noi.

Sono una cittadina italiana di ceto sociale medio ora senza un lavoro e un figlio a carico. In passato una piccola imprenditrice che non ha lucrato, che ha rispettato le leggi e che è stata sopraffatta dal sistema dei potenti.

Dico sempre a mio figlio di andare avanti, continuare a studiare che il mondo non è fatto solo di squali ma anche di persone oneste e corrette che lottano quotidianamente per la legalità. Oggi mi sento felice perché anche da Lei ho avuto la conferma che qualcosa cambierà, in meglio, per un futuro da lasciare ai nostri figli sicuramente migliore.

La ringrazio per l’esaustiva spiegazione della liberalizzazione dell’acqua, che nessuno ci aveva mai spiegato in modo così chiaro. La ringrazio perchè é Lei ha dimostrato di non schierarsi mai a destra o a sinistra ma solamente continuare a portare aventi obiettivi nel rispetto totale della democrazia. Questa democrazia che non tutti ricordano rosi dalla rabbia e dalla voglia di potere. La auguro buon lavoro su tutti i fronti.

3 Commenti

Se il prossimo governo cambia rotta, l’Italia andrà in tilt.

postato il 3 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo”, di cittadino

Fino a prova contraria, mi sembra che le pensioni non siano ancora state dimezzate e che gli stipendi dei dipendenti pubblici (a loro volta non ancora dimezzati) vengano ancora pagati, mentre il Servizio Sanitario Nazionale,pur con tutti i suoi difetti, sia ancora in funzione.

Se Napolitano e Monti non fossero intervenuti, oggi questa situazione ce la saremmo sognata in quanto avremmo fatto la fine della Grecia! E se passerà in campo internazionale il messaggio che il prossimo governo prenderà una strada diversa da quella indicata da Monti, lo spread ricomincerà a salire a dismisura ed i nostri conti finiranno a tilt.

Questa è la realtà, tutto il resto sono solo elucubrazioni e narrazioni astratte che vorrebbero riportarci al punto di partenza di 20 anni fa per finire di nuovo sull’orlo del burrone (dove naturalmente, come ci insegna la storia, ci finiranno le classi medio basse che sono il 95% della popolazione).

Commenti disabilitati su Se il prossimo governo cambia rotta, l’Italia andrà in tilt.


Twitter


Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram