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La gravità del fenomeno ‘derivati’

postato il 3 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Luca Guastini

Nel grande discorso programmatico con cui ha chiuso la festa di Chianciano 2012, Pier Ferdinando Casini ha evidenziato la necessità di agire con determinazione sul problema dei “titoli tossici” che pesano sui bilanci degli enti locali.

A cosa si riferiva? Prima di tutto e soprattutto ai contratti di finanza derivata, i famigerati “derivati”, che a partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso hanno iniziato ad ammorbare le finanze pubbliche.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza in una materia di estrema complessità tecnica, partendo da un esempio concreto che chi scrive ha avuto occasione di studiare in modo approfondito: il Comune di Torino.

Senza addentrarci troppo nei dettagli, merita sottolineare che negli anni a cavallo del 2000 l’amministrazione comunale ha sottoscritto molti contratti derivati su tassi di interessi, successivamente rinegoziati in parte nel 2006-2007, di cui ben 23 risultano tuttora in essere.

Sono interest rate swap, cioè contratti con i quali si dovrebbe gestire il rischio di innalzamento del tasso di interesse: se ho un debito a lunga scadenza (un mutuo) soggetto ad interessi al tasso variabile (Euribor), rischio che l’aumento del tasso di riferimento accresca il mio debito oltre la mia capacità di farvi fronte. Attraverso un derivato opportunamente configurato, posso recuperare dal prodotto finanziario una parte di quanto ho pagato in più di interessi sul mutuo.

Tuttavia, se il prodotto è mal configurato, per errore o per scelta, invece di avere un effetto di copertura dal rischio ottengo una vera e propria speculazione o, in altri casi, un finanziamento immediato (e mascherato) con ribaltamento degli oneri molto in là nel tempo, anche di un paio di generazioni.

Nel caso di Torino, alcuni contratti hanno quale tasso di riferimento il Libor Us$ (il tasso dell’area dollaro rilavato sulla piazza di Londra), nonostante il Comune non risulti affatto indebitato a quel tasso; altri, invece, sono congegnati in modo tale che il Comune ha incassato alcuni milioni di euro nei primi due anni, salvo poi restituirne cinque o sei volte di più nei successivi trent’anni, tra l’altro con “rate” di importo folle negli ultimi due.

La Corte dei Conti è intervenuta a più riprese, stigmatizzando l’aggravarsi della situazione e chiedendo che l’amministrazione prendesse provvedimenti seri ed immediati. Provvedimenti che, invece, non sono ancora stati assunti.

Le cifre in gioco sono impressionanti, tanto più in un momento di crisi economica e di tagli profondi ai servizi per i cittadini: oltre 150 milioni di euro nei prossimi vent’anni, con un impatto annuo attuale di circa 10 milioni, che il Comune di Torino dovrà pagare alle banche coinvolte. Ma se si considera l’intera vita dei prodotti derivati in essere, la somma supera i 250 milioni, a cui vanno aggiunti quelli pagati a fronte dei contratti estinti e di cui non vi è più traccia.

La gravità del fenomeno derivati è ancor più dirompente se si pensa che esso non riguarda soltanto le Regioni, le Province i grandi comuni come Torino o Milano, ma esso interessa anche comuni più piccoli come Aqui Terme (AL), e addirittura piccolissimi centri come Omegna (VB), Gozzano (NO), Valledoria (SS), solo per citarne alcuni.

Da qui l’iniziativa del nuovo Comitato regionale piemontese, guidato da Marco Balagna, che ha fatto propria la proposta del sottoscritto: i consiglieri provinciali e comunali dell’Udc in Piemonte presenteranno nelle prossime settimane presso i rispettivi consigli un’interpellanza con la quale si chiede se siano in essere contratti derivati e quale sia la relativa esposizione dell’ente.

Lo scopo è duplice: da un lato, realizzare una mappatura del fenomeno sul territorio e dall’altro offrire un supporto concreto alle amministrazioni che vorranno affrontare il problema.

Auspichiamo che l’iniziativa produca buoni risultati e che magari sia estesa ad altre Regioni.

 

 

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Diamo attuazione all’art. 49 della costituzione!

postato il 2 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carlo Folin

Presidente, Unisca al “Monti dopo Monti” la proposta di legge immediata de art.49 Costituzione (Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale). Daremmo all’Ordine Giudiziario il controllo della democraticità dei partiti ed il controllo contabile dei conti alla Corte dei Conti! Finalmente il M5S diventerebbe democratico, la corruzione verrebbe materia dei giudici ed i cittadini potrebbero entrare nei partiti a parlare di politica fatta di cose da fare.

Io non voglio credere che lei ometta questa via perchè si ritiene fuori legge perchè politico! Dopo 64 anni, la facciamo?

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Cattolici in politica: la lezione di Dossetti e Lazzati

postato il 30 Settembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Rocco Gumina

Periodicamente per via degli interventi del Papa, dei vescovi e dei cattolici impegnati in politica si riflette sul contributo che questi ultimi possono dare allo scenario politico, sociale ed economico dell’Italia dei nostri tempi. Spesso vengono fuori idee contrapposte come: la ricostituzione di un partito “cattolico” (in realtà d’ispirazione cristiana che è cosa ben diversa); la presenza dei cattolici nei diversi partiti dell’arco costituzionale.

La nascita e il lavoro del governo Monti, poi, hanno per certi versi avanzato nuovi punti tematici e operativi su questo argomento alla luce della presenza nell’esecutivo di ministri dichiaratamente cattolici e ben radicati nel mondo ecclesiale italiano e internazionale come Riccardi (fondatore della Comunità di Sant’Egidio e storico della Chiesa) e Ornaghi (Rettore dell’Università “Cattolica” di Milano). Le imminenti elezioni regionali in Sicilia, inoltre, ci propongono fra i diversi candidati alla Presidenza della Regione, un discendente di don Luigi Sturzo, storico fondatore del Partito Popolare Italiano, fine studioso, animatore della Democrazia Cristiana nel periodo post-bellico. Il pronipote di Sturzo con il movimento “Italiani Liberi e Forti”, intende alla luce di una robusta ispirazione cattolica, rinnovare lo scenario politico siciliano puntando sul cavallo di battaglia dell’unità e della riscossa dei cattolici, appunto, in politica.

Non possiamo dimenticare, infine, l’impegno delle associazioni cattoliche (ACLI, Azione Cattolica ecc.) per la realizzazione di un percorso di rinnovamento contenutistico e sostanziale della politica con gli incontri di “Todi” e con il loro impegno, anche in questo senso, di singole realtà ecclesiali o d’ispirazione cristiana. Tutti questi “dati” ci dicono, dunque, che il capitolo “cattolici in politica” è fra quelli più studiati, riflettuti, criticati, cliccati che possono essere presentati e discussi.

Certamente riflettere in maniera esaustiva sul tema è davvero impossibile, anzitutto perché il cattolico che desidera impegnarsi in politica vive in una “quasi” e “perenne” contraddizione: da un lato è membro dell’ecclesia universale, appunto cattolica; dall’altro è chiamato a militare in un partito, o movimento che dir si voglia, che è appunto una parte di un tutto che possiede in sé dei limiti non riscontrabili in un orizzonte di universalità basata sulla condivisione delle verità di fede, dell’annuncio dell’evangelo ecc. Però, una lezione (testimonianza), a mio parere ancora attualissima per i nostri giorni, è quella che ci hanno lasciato due cattolici in politica “atipici” come Dossetti e Lazzati.

Entrambi crebbero alla “Cattolica” di Milano; entrambi fecero parte di quel gruppo chiamato dei “professorini” che modellò molti articoli della nostra Costituzione e ambedue animarono quel gruppo di ricerca nato dalla pubblicazione della rivista “Cronache sociali”che per molti rappresentò la cosiddetta sinistra DC in opposizione a De Gasperi e al suo gruppo al potere nel partito. Dossetti e Lazzati, ancora, furono fra i protagonisti della Democrazia Cristiana in quel frangente storico del post guerra mondiale nel quale per evitare il prevalere del comunismo in Italia, l’Azione Cattolica con i “Comitati civici” di Gedda, avallati dal Vaticano, costituì un vero e proprio partito all’interno della stessa DC che cooperò al successo strepitoso delle elezioni politiche del 1948. Proprio alla luce di tale circostanza, Dossetti e Lazzati diedero vita ad una riflessione sui cattolici in politica.

Per i due “professorini” l’impegno nell’azione cattolica (da intendere in senso generale) e quello in politica è distinto, non separato. Infatti, la politica, anche quella partitica, è volta alla ricerca nell’ambito della realtà naturale, sociale ecc; l’azione cattolica, invece, ricerca il fine sovrannaturale e ad esso deve esclusivamente tendere. Poiché, per Dossetti e Lazzati “l’azione cattolica è destinata al servizio delle anime” e non può essere utilizzata, nemmeno per casi eccezionali, per altri fini inclusi quelli politici. Ma il politico, per i due costituenti, deve rimanere ancorato “nella luce maestra dell’insegnamento della Chiesa” testimoniando sempre la verità, convito del fatto che si può fare dell’apostolato anche tramite l’azione politica, senza che questa per se stessa sia apostolato.

Ecco il punto importante ancora oggi per la nostra riflessione: il cattolico impegnato in politica cosciente della distinzione delle due sfere con differenti finalità (azione cattolica – azione politica) vive nei termini dell’apostolato la propria vicenda politica. In un contesto in cui i cattolici impegnati in tutta quanta la società (non solo in politica) devono maggiormente contemplare il volto di Cristo, per dosare nella realtà la resistenza e la resa, la lezione di Dossetti e Lazzati ci invita, come credenti, a maturare ancor di più e ancora meglio il nostro slancio ideale, la nostra adesione a Cristo e alla Chiesa, il nostro impegno in politica, le difficoltà della storia persuasi del fatto che, qui ed ora, la città terrena non potrà mai divenire Gerusalemme celeste.

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Perché non si legifera sul conflitto d’interessi?

postato il 26 Settembre 2012

di Giuseppe Portonera

La polemica sul cosiddetto conflitto d’interessi è stata, per lungo tempo, uno dei fronti caldi della cronaca politica italiana: era una sorta di spartiacque, tra chi chiedeva una legge subito e tra chi invece lo riteneva uno strumento “punitivo” nei confronti di uno dei principali protagonisti della scena politica, Silvio Berlusconi. Basti ricordare il caso, emblematico, della Commissione Bicamerale per le Riforme, presieduta da Massimo D’Alema, che – naufragata per diversi motivi – fu presto accusata di essere nata col peccato originale di escludere dal suo campo d’azione proprio una legge sul conflitto d’interessi. Era il 1998, siamo arrivati al 2012 e di una legge che regolamenti (come dovrebbe essere regola in un Paese civile, in cui l’interesse privato è ben tenuto separato da quello collettivo) il conflitto d’interessi non c’è traccia. Perché? Abbiamo avuto governi sia di centrodestra che di centrosinistra, come è possibile che in nessuno dei due casi si sia arrivata a una soluzione, completa o pur anche di mera mediazione?

I governi presieduti da Silvio Berlusconi scontavano ovviamente la presenza del principale imputato in causa: proprietario del più grande polo televisivo privato nazionale e di un’importantissima squadra calcistica, a lungo uomo più ricco d’Italia. Ma davvero questo può essere un ostacolo, un freno per un per un uomo di Stato? Se pensiamo, per fare l’esempio più celebre, a uno dei più illustri predecessori di Berlusconi, Camillo Benso di Cavour, la risposta ovvia è no: il Conte, divenuto Presidente del Consiglio dei Ministri, vendette tutte le sue partecipazioni economiche in aziende e imprese varie, proprio perché non voleva che la sua azione governativa fosse in alcun modo influenzata da interessi o timori personali. Ma si sa, o tempora o mores! E i governi presieduti da Romano Prodi, allora? Loro non presentavano, almeno in modo così evidente, conflitti di interesse: eppure anche in questi casi non si è riusciti ad arrivare alla tanto agognata meta. Sembra una legge non scritta della nostra politica: più una riforma è importante, più è probabile che non sarà varata mai (o quasi) da nessuno.

Perché, tutto questo? Probabilmente, perché il conflitto d’interessi serviva più ai vari soggetti in campo per delimitare il loro spazio, il loro campo. Roberto Rao, intervenendo a tal proposito su L’Espresso, ha giustamente ricordato che è tutta una questione di incapacità a legiferare con lungimiranza: «ampi settori della politica invece di pensare all’interesse generale hanno preferito non risolvere mai il problema, per utilizzarlo come arma di ricatto minacciando a favore o contro il Cavaliere. Per questo il tema deve essere affrontato oggi che non si vive in una situazione di emergenza e si può intervenire senza pensare di colpire o salvare qualcuno. L’Italia è piena di conflitti di interesse che devono essere risolti una volta per tutte». L’appello è ovviamente, in prima istanza, al Parlamento, perché nel clima di strana maggioranza, possa riuscire a trovare almeno una soluzione di mediazione (come potrebbe essere il blind trust). Ma è esteso anche all’esecutivo, che con l’impegno diretto del Premier Monti e del Ministro Severino, ha dimostrato più volte di aver intenzione di riformare la giustizia partendo dai punti urgenti e non più rinviabili. E così, se all’anticorruzione, alle intercettazioni, alla responsabilità civile dei magistrati e alla situazione (vergognosa) delle carceri italiani, ci aggiungessimo pure la legge sul conflitto d’interessi, male non sarebbe.

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Trasparenza: unico antidoto agli scandali della politica

postato il 25 Settembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

Non c’è cosa più brutta che aprire il giornale e trovare le pagine dedicate alla politica piene di parole come scandali, truffe e malaffare. I soldi pubblici, i soldi dei cittadini italiani, usati per rimpinguare le casse personali di consiglieri, assessori o parlamentari, fatture false per arricchire le tasche di pochi furbi ai danni della collettività e soldi sprecati in feste e festini in cui sembra quasi lecito pensare al “bere comune”, piuttosto che al Bene comune.

Non è questa la politica che mi piace e non è questa la politica di cui il nostro Paese ha bisogno. L’Italia ha bisogno di onestà: è l’unico antidoto per questo triste vortice in cui l’amministrazione pubblica sta precipitando.
Per questo motivo, è bene sottolineare la nascita di  iniziative che  vertono in questo senso, che promuovono la trasparenza nell’amministrazione pubblica:la nascita di un Anagrafe pubblica delle proprietà immobiliari della città capoluogo d’Italia, per esempio. Sarà una vera e propria “rivoluzione della trasparenza”, per utilizzare le parole del capogruppo UdC al Comune, Alessandro Onorato, autore della proposta di delibera, approvata all’unanimità lo scorso 20 settembre.
L’Anagrafe sarà pubblica e facilmente consultabile sul sito del comune (nella sezione “Trasparenza”, appunto), in modo che, con un semplice clic, tutti i cittadini potranno venire a conoscenza di tutte le caratteristiche dell’immobile di proprietà del Comune: l’indirizzo completo (compreso il piano) il valore catastale, i metri quadrati di superficie, la destinazione d’uso, il tipo di locatario (persona fisica o giuridica, associazione no profit, pubblica amministrazione), il canone mensile di affitto, le eventuali morosità.
Un passo avanti per avvicinare i cittadini alla politica, per renderli partecipi e più vicini all’amministrazione, ma anche per rendere più consapevoli  gli amministratori di Roma Capitale  dell’immenso patrimonio e delle immense potenzialità che questa grande città possiede. In più, un grande esempio di semplificazione amministrativa e sburocratizzazione.
Insomma, “Cambiare davvero si può”, come dice lo stesso Onorato. L’importante è volerlo fare, per riscrivere le pagine di giornali e riempirle di queste due parole: onestà e trasparenza. 
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Lavoro: i giovani la priorità per il futuro di tutti

postato il 23 Settembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Morello

L’appuntamento della presentazione del Rapporto sul mercato del lavoro 2011-2012, avvenuta martedì 18 settembre nel “Parlamentino” affollatissimo del CNEL, è occasione quanto mai utile per fermarci un attimo a riflettere sugli importanti e profondi cambiamenti in corso nella struttura produttiva e nelle norme che regolano gli assetti occupazionali nel nostro Paese.

Il rapporto tenta di soddisfare, a detta del Prof. Dell’Aringa direttore del gruppo di lavoro che ha curato lo studio, sia l’esigenza di illustrare una lettura prospettica delle variazioni intervenute durante l’ultimo periodo, che quella di offrire una previsione delle linee di tendenza per i prossimi anni.

Le condizioni critiche del mercato del lavoro hanno origine nei contesti macroeconomici di crisi di sviluppo e produttività. I dati sconfortanti forniti dall’Istat sull’occupazione, specie giovanile, diventano quindi il termometro della recessione che attanaglia l’Italia.

Già lo scorso luglio lo studio dell’OCSE, “:Employment Outlook 2012”, dal quale il Rapporto del CNEL muove le mosse, aveva evidenziato che a maggio erano circa 48 milioni i disoccupati nell’area dell’Ocse (con un tasso di disoccupazione del 7,9%): quasi 15 milioni in più rispetto all’inizio della crisi finanziaria iniziata alla fine del 2007.

Per ritornare ai livelli pre-crisi occupazionale servirebbe la creazione di circa 14 milioni di posti di lavoro. La creazione di posti di lavoro, sottolinea lo studio presentato a Parigi, “continuerà a restare debole in molti Paesi dell’Ocse” e il tasso di disoccupazione “potrebbe rimanere intorno all’8% anche nel 2013” (8% nel 2012 e 7,9% nel 2013) e la situazione occupazionale dei giovani e delle persone scarsamente qualificate “rimane particolarmente preoccupante”.

Sulla stessa scia lo studio condotto dall’ ILO, “World of Work Report 2012. Better jobs for a better economy” (aprile 2012) in cui, riguardo la situazione italiana, si rende noto che le categorie più colpite dalla crisi sono state quelle dei giovani e dei disoccupati di lunga durata. La ripresa economica viene frenata dalla contrazione del consumo privato (diversi studi statici di associazioni dei consumatori o dei commercianti hanno rilevato questo fattore) a causa delle politiche di austerità fiscale condotte per risanare il debito pubblico e adempiere ai patti europei sul fiscal compact.

Una delle cause principali della crisi nell’Eurozona, sottolineano Natasha Xingyuan e Antonio Spilimbergo è la differenza di reddito e produttività fra i paesi, con il ritardo di quelli più periferici. Le riforme strutturali possono essere un ottimo strumento per aiutare lo sviluppo delle regioni più arretrate di un paese.

Le politiche suggerite dall’ILO, anche nel Rapporto “Eurozone job crisi and policy responses”, di riduzione del debito pubblico senza danneggiare la crescita economica, di aumento degli investimenti per creare occupazione, di maggiore accesso al credito da parte delle imprese e di riforma del mercato del lavoro per migliorare i risultati dell’occupazione, richiedono uno sforzo notevole affinchè siano tradotte in misure concrete.

Quale ruolo possono assumere allora le politiche del lavoro per i giovani? Essenzialmente due: di accompagnare “>i processi di crescita e limitare i danni della recessione.

Infatti il rischio di far cadere il potere produttivo dell’Italia, in un lento processo di deindustrializzazione, è aumentato dalla disoccupazione di lunga durata che si trasforma in strutturale.

I Paesi che hanno meglio resistito alla crisi economica, in primis Cina e Germania, sono quelli che hanno puntato in via prioritaria su una crescita basata sulla competitività dell’industria manifatturiera, trainata dalle esportazioni e dagli investimenti in ricerca e innovazione.

Inoltre, i paesi che riescono a contenere la caduta del PIL sulla massa salariale e sulla disoccupazione sono quelli che hanno approntato buone relazioni industriali, e favorito il lavoro stabile e non temporaneo.

L’Italia dal 2008 ha perso più di un milione di posti di lavoro tra gli under 34 anche in considerazione del fatto che ha registrato una caduta del PIL maggiore che negli altri paesi dell’Eurozona.

L’Istat nell’ultima rilevazione riferita al terzo trimestre 2012 (i dati del Rapporto si riferiscono al primo semestre 2012) evidenzia che il tasso di disoccupazione (dati grezzi) è pari al 10,5%, in crescita di 2,7 punti percentuali rispetto a un anno prima; l’indicatore passa dal 6,9% del secondo trimestre 2011 al 9,8% per gli uomini e dal 9% all’11,4% per le donne. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni sale dal 27,4% del secondo trimestre 2011 al 33,9%, con un picco del 48% per le giovani donne del Mezzogiorno.” Bisogna notare che a fini statistici esistono diverse dimensioni della disoccupazione ovvero disoccupati (con altrettante definizioni alternative), scoraggiati, cassintegrati e par-time involontari che insieme costituiscono la forza lavoro.

Il Rapporto sull’andamento della domanda di lavoro sottolinea che a causa del forte deterioramento dei bilanci familiari è aumentata l’offerta di lavoro, ovvero i cd. “lavoratori aggiuntivi” coloro che prima della crisi non erano in cerca di occupazione.

Sono cresciuti i lavoratori part-time involontari, e si registra anche un sensibile aumento del ricorso alla CIG connessa, in parte ma non del tutto, alla riduzione degli orari di lavoro.
Per effetto delle riforme previdenziali che hanno alzato i requisiti di età, l’ultima in ordine di tempo quella cd. “Monti-Fornero”, è aumentato il numero di occupati anziani. Necessarie pertanto politiche che tengano conto dell’invecchiamento demografico e dell’aumento delle esigenze legate alla cura degli anziani.

La crescita modesta dell’occupazione nel 2011 si è interamente concentrata sulla componente immigrata (che svolge un lavoro regolare e quindi conoscibile dallo Stato) poiché indirizza la domanda verso un tipo di mansioni di basso profilo non ricoperte dai lavoratori italiani.

Sono cresciuti i giovani con un’occupazione a termine involontaria (ossia di coloro che non hanno trovato un lavoro a tempo pieno) così come i part-time involontari, perché il lavoro flessibile permette maggiori margini di manovra alle imprese in una fase di elevata incertezza.

Molto grave è la rilevazione dello scollamento tra i risultati del sistema formativo e la domanda di lavoro, che va ad incrementare il fenomeno noto come (lavoro a bassa specializzazione svolto da lavoratori con un livello di istruzione medio-alto) che si traduce spesso in uno scarso livello di valorizzazione del capitale umano.

Tale disfunzione è il prodotto di anni di politiche formative non rapportate ai fabbisogni del mercato del lavoro che crea un fra le caratteristiche settoriali della domanda e quelle dell’offerta di lavoro. Il contratto di apprendistato, nelle tre diverse articolazioni di cui al T.U. d.lgs. 167/2011, ha l’obiettivo di formare gli apprendisti, in assetto di lavoro, così da essere immediatamente utili e produttivi per l’azienda. Diventa pertanto una leva di placement che tenta di far convergere domanda e offerta di lavoro puntando sulla formazione di competenze e professionalità richieste dal mercato.

Garantire una occupazione permanente (la tipologia contrattuale del tempo indeterminato è considerata dalla Riforma come la principale, in linea con il documento delle tre grandi OO.SS. confederali sottoscritto a fine 2011) o stabile attraverso un sistema italiano e non di mera importazione di flexicurity, è tanto necessario quanto urgente.

Si è ulteriormente aggravato, evidenzia il Rapporto, il fenomeno dei (not in employment, education or training) circa il 24 % dei giovani tra i 15 e i 29 annie degli scoraggiati, ovvero chi ha smesso di cercare attivamente un lavoro.

In quest’ottica si propone la formazione come leva di sicurezza e stabilità occupazionale che deve essere continua e modulata in base alle diverse competenze e professionalità dei singoli lavoratori o aspiranti tali.

La formazione e quindi il saper fare un determinato lavoro, rappresenta la vera sicurezza nella flessibilità poiché, se un lavoratore è produttivo, sarà sempre ricercato dal mercato.

Tutti questi numeri, dati e diagrammi del Rapporto per essere davvero utili devono però essere messi al servizio di domande scomode. Domande che muovendo dal contesto attuale e cercano di comprendere in che modo poter modulare le opportune risposte.

Il Ministro Fornero nel suo intervento alla presentazione del Rapporto ha difeso la bontà della riforma dagli attacchi degli ultimi giorni di una parte politica che vorrebbe abrogarla tramite referendum. Ancora è presto per dire, dati alla mano, se la riforma raggiungerà l’obiettivo di orientare e rendere più inclusivo e dinamico il mercato del lavoro. Di certo come tutte le cose umane è perfettibile ma credo sia stato un buon inizio, quanto meno per dare un segnale forte di stabilità e coesione politico-sindacale ai mercati. Per tale ragione, sulla falsa riga di quanto già teorizzato dalla Legge Biagi del 2003, la fase del monitoraggio degli effetti delle nuove norme in tema di: tipologie contrattuali e di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore (Art.1), Ammortizzatori sociali (Art.2),Tutele in costanza di rapporto di lavoro (Art.3), sarà essenziale per comprendere quali correttivi approntare.

In effetti dopo alcuni giorni dall’entrata in vigore della riforma si è scelto, tramite il decreto sviluppo di Agosto di posticipare l’entrata a regime dell’ASPI.

Il Governo nell’ultimo Consiglio dei Ministri di fine agosto ha presentato l’agenda per la crescita con il fine di implementare la produttività aprendo a nuove opportunità di impresa e lavoro secondo gli obiettivi posti dalla Stategia Europea 2020 (Crescita intelligente, sostenibile e solidale). L’azione programmatica del Governo Monti necessita però, in via preliminare, di portare a compimento le riforme approvate in Parlamento tramite l’emanazione di più di 340 decreti attuativi anche in tema di incentivi e aiuti al lavoro giovanile. Di recente infatti sono stati approvati i decreti che prevedono uno sconto del 50%, grazie all’attivazione di 142 milioni del Fondo Sociale Europeo, sul costo del lavoro per chi assume al sud o i benefici fiscali, disciplinati dal cd. decreto “Salva italia” per chi assume gli under 34.

Per risanare il mercato del lavoro è necessario prima risanare la nostra economia con una solida riforma fiscale accompagnata da investimenti in tecnologia e innovazione. La semplificazione amministrativa insieme agli altri fattori di contesto, quali il miglioramento delle infrastrutture e l’abbattimento del costo energetico, saranno garanzie più forti per gli investitori che vogliono scommettere nel nostro Paese, anche più delle nuove norme sul licenziamento

E’ necessario allora aumentare la produttività, anche accogliendo la proposta della Cisl di detassazione del salario di produttività, non solo per ragioni di competitività internazionale, ma soprattutto per migliorare la qualità dell’ industria e riqualificare l’ apparato produttivo italiano.

Costo monetario del lavoro e produttività del lavoro devono andare allora di pari passo, così come in Germania, che raggiunge livelli ottimi di produttività grazie a innovazione e gestione partecipata con i lavoratori dei processi industriali (in Italia il cammino verso la partecipazione è ancora in salita).

L’implementazione di un sistema politico liberale, incentrato su regole condivise di libera concorrenza, e su una forte Unione Europea che sappia fronteggiare insieme le flessioni del mercato, è allora un compito non solo strettamente “economico”, ma soprattutto compito sociale al servizio della persona umana.

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Chianciano, appunti al femminile

postato il 23 Settembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonella Russo

Siamo state in molte le donne della Sicilia e di tutte le regioni d’Italia alla Convention di Chianciano, che ha segnato una svolta storica nel partito dell’UDC di Casini, ora UDC-ITALIA, per scelta meditata operata da Casini, da Cesa e dai vertici nazionali e dagli eletti nelle istituzioni.
Il significato del cambiamento operato è stato colto, con tempestiva prontezza, dai partiti che si sentono esclusi o quasi dalla triade governativa, accanto alle testimonianze ed alle presenze, mai prima così significative, della società civile, delle professioni, del terzo settore, dei movimenti sindacali, sociali e imprenditoriali laici e di ispirazione cristiana, quasi a sancire la memoria e la storia positiva dei cattolici a servizio dell’Italia e dell’Europa nella rinnovata condivisione di una laicità della politica e di una forte volontà di concorrere con le presenze, le idee, i progetti al futuro della politica del Paese.

Alla vigilia della Convention avevo espresso al Presidente Casini, da presidente provinciale UDC di Palermo, assieme al Dipartimento Provinciale delle donne, (presenti a Cianciano con la responsabile Valentina Petralia), il nostro impegno nel Partito dell’Unione Democratico di Centro, testimonianza premiata ottenendo tra le donne delle liste UDC del nostro paese, ove si è votato a maggio, il più elevato numero di consensi tra le donne presenti come candidate per i consigli comunali, contribuendo così alla affermazione del partito in una Sicilia, dove gli amici-nemici ci davano in declino o perdenti.

Con questi risultati abbiamo superato ogni previsione a Palermo ed in quasi tutte le province ed il coordinatore regionale, il senatore Gianpiero D’Alia a cui bisogna riconoscere il merito, anche grazie all’apporto generoso dei parlamentari regionali UDC e l’impegno di nuovi aderenti, provenienti dal mondo sociale, sindacale e dalle rappresentanze nelle amministrazioni locali, di aver consentito al nostro partito di essere la terza forza politica della Sicilia.

Ora in Sicilia siamo alla pre-vigilia elettorale, per il dopo Lombardo, banco di prova per le prossime elezioni nazionali, di cui opportunamente non si è molto parlato nella Convention, per l’anticipo politicamente voluto, forse per calcoli nazionali o per la rovinosa situazione del bilancio della Regione, quale che sia la scadenza naturale o anticipata per dare al paese un Governo politico per il dopo Monti e possibilmente con Monti, come ha precisato Casini, con un osanna dell’assemblea dei presenti, e con l’invito alla più larga coalizione parlamentare, da eleggere, nei nostri auspici, con la proporzionale e le preferenze .

Come donne di Palermo, nella citata lettera aperta, avevamo chiesto che ai temi delle alleanze elettorali,(in Regione e nel Paese, Montezemolo forse non se ne è accorto), si anteponessero nella Convention le voci, le idee, le proposte della base del Paese dei giovani, delle donne, dei disoccupati, delle famiglie, degli imprenditori per essere attenti ai progetti , alle proposte, alle intuizioni, ai valori che si desiderano interpretati dalla classe dirigente nel tempo che viviamo.

E la prima risposta è venuta dalla Convention aperta, sul piano della comunicazione, come il volto del nuovo partito all’Italia moderna, che ha potuto ascoltare gli interventi, in diretta, di Cesa, Casini, Pezzotta, Buttiglione, Adornato, Passera, Clini, Riccardi, Ornaghi, Martone, Catania, Capotosti, Vietti, Marcegaglia, Bonanni, Olivero, Marini, Guidi, Marino, Rossi, Melchiorre, Guerrini, Forlani, che ha potuto seguire e partecipare in internet, a “Le primarie delle Idee per la rinascita dell’Italia”.

Portare infatti, come partito, le voci reali del paese, dei giovani e delle donne , per contribuire a definire, con i partiti di buona volontà, nuove piattaforme di intesa e Patti nazionali e regionali sui problemi economici, sociali, culturali, valoriali delle famiglie, delle aziende, dei lavoratori e dei disoccupati, della crescente povertà delle famiglie, delle drammatiche situazioni delle città del mezzogiorno e tra queste Palermo e Napoli, non solo sulla base dei sondaggi ( talvolta manipolati), ma dall’ascolto diretto del popolo, che guarda spesso con diffidenza i luoghi, gli incontri, le proposte della classe politica, è uno dei tentativi sperimentati nella Convention, costituenti il piano relazionale dell’UDC- Italia e dei numerosissimi siti, blog, diffusi in tutta l’Italia.

Compito, non solo del nostro partito, è quello di riportare alla politica quanti si astengono o protestano contro le caste politiche, amministrative, aziendali, succubi di una antipolitica, o meglio di una antipartica esternazione , strisciante e perniciosa, che sfocia nelle liste elettorali, come in Sicilia, bizzarre e fantasiose, dai Forconi al nipote di Sturzo, ai sindaci, ai localismi territoriali, ai simboli del genere leghista, al partito del Sud e della Trinacria (depositati 47 simboli con tanti giochini), per contenere ,all’insegna di Berlusconi e delle future elezioni nazionali, quanti in ritirata (dai disastri incorsi), cercano riferimenti solo elettoralistici, per ridurre il consenso all’UDC –Italia (effetto laboratorio per futuri sondaggi nazionali e previsioni conseguenti alla preannunciata riforma elettorale).

Abbiamo pertanto potuto ascoltare nella Convention le voci e le aspirazioni di un futuro politico diverso per il Paese, di un rinnovamento dei partiti e della sua classe dirigente, ai quali chiede “voce e risposta” la base del paese, esternando le proprie idee, predisponendo, nel contempo, strumenti nuovi della comunicazione, per dare al consenso elettorale ed al controllo degli eletti quanto di meglio possano offrire i sistemi elettorali più consolidati.

Il tema della riforma elettorale e delle preferenze è stato, pertanto, al centro dei più significativi interventi e dell’incontro delle delegate delle Pari Opportunità donne d’Italia, presieduto a Chianciano, dalla Responsabile nazionale Pari Opportunità Maria Teresa Fagà, per ridare all’elettorato maggiori possibilità nella scelta della classe dirigente ed assicurare la presenza delle donne nei governi politici e in quelli delle Aziende e delle amministrazioni pubbliche.

L’argomento è stato opportunamente trattato, più che per calcoli partitici particolari, per dare una svolta al rapporto tra cittadini, parlamentari e classe dirigente politica, rapporto distrutto nell’ultimo ventennio e ancora monco per quanto riguarda la partecipazione femminile e quella del mondo intellettuale, dei sindacati, delle professioni, del terzo settore.

Nel 150° dell’Unità d’Italia, a Marsala ,dove sbarcò Garibaldi, abbiamo riconquistato con l’UDC della Sicilia il comune con una donna, Giulia Adamo, oggi sindaco della città, pure presente a Chianciano. Un segnale per le altre amministrative del 2013

Si spiega in questo contesto l’entusiasmo delle partecipanti alla Convention destato dall’intervento di Emma Marcegaglia, quasi regina degli applausi tributatile, estimatrice degli interventi politici dell’UDC-Italia, una delle aspettative politiche del Paese.

Ed a Passera è toccata la stessa sorte nel lungo intenso dialogo con i giovani speranzosi di un futuro diverso e possibile.

Come donne, si è detto nella Convention, aspiriamo al rinnovamento ed alla integrazione della classe dirigente del Paese, partendo dalla base, dal popolo d’Italia, dai giovani, dalle famiglie ,dagli intellettuali ,dagli imprenditori, da “ascoltare” ed a cui, nei giorni scorsi ci ha richiamato, ancora una volta , il cardinale Bagnasco, invitando le forze del Paese ed i singoli cittadini alle responsabilità, per operare “assieme”, come afferma il presidente della CEI, per superare le difficoltà del momento e convergere al bene comune.

La nostra tradizione laica e non confessionale, ci permette di ricordare, talvolta con insistenza, le indicazioni dei vescovi per formare e fare emergere una nuova classe dirigente ai massimi livelli politici nazionali e locali, espressione delle diverse realtà, culture e voci del Paese .

Ed ora ci prepariamo alle assemblee provinciali ed a quella regionale delle donne di Sicilia, in vista della Convention nazionale programmata per i prossimi mesi.

Vogliamo contribuire a dare al nuovo simbolo, UDC-Italia tutto il carattere di una ricca prospettiva partitica, aperta maggiormente alle donne, alla società articolata e propositiva, all’attenzione di tutte le aree geografiche, culturali e sociali d’Italia ed a quella del Mezzogiorno, in particolare, ove le richieste di una legalità diffusa, giustizia, pari opportunità, sono legate ad un possibile ritorno alla politica non separatista, ma unitaria ed europea.

Qui viviamo il dramma della crescente disoccupazione giovanile e delle donne al limite della tollerabilità, mentre assistiamo all’esplosione degli incendi dolosi, dei boschi e delle discariche, alle carenze infrastrutturali dei trasporti, alla occupazione delle Chiese, ultima speranza di solidarietà e di accoglienza dei precari dagli incerti salari, dei lavoratori dalla forzata, quanto possibile,cassa integrazione per la chiusura delle fabbriche, dei super mercati, dei cantieri ferroviari e stradali, (Fiat, Raffinerie, Aerotrasporti, industrie elettroniche, ),mentre i migliori cervelli emigrano in Germania e nel mondo, impoverendo le comunità rurali come le grandi città.

Ed i precari, i disoccupati, i disamorati dalla politica, gli intellettuali, cercano energie, fuori dei partiti, o dentro improvvisati contenitori partitici, privi di contenuti.

Come donne, in particolare, vorremo dare, con un supplemento di attivismo degli enti locali e delle loro risorse produttive, il nostro apporto ad una reale sussidiarietà dei servizi alle famiglie ed alla gioventù, attestarci a recuperare , i ragazzi e i giovani che abbandonano gli studi, attraverso il potenziamento delle strutture scolastiche e parascolastiche, universitarie, di ricerca, di formazione professionale, per le potenziali risorse umane e di lavoro che potremo offrire in un domani, per i servizi, così necessari per la competitività dell’economia della Sicilia, (nel commercio, nel turismo, nell’agricoltura di eccellenza, nell’agroalimentare ), nella sua strategica posizione per l’Europa e la cooperazione con tutti i paesi mediterranei e l’Africa .

Vorremmo, nella tradizione culturale di Sturzo, di Sciascia, di La Pira, di Nigro, Abbate, Mazzamuto, Rabbito, Lauricella, Consolo, Bufalino e per le virtù mostrate dei tanti eroi civili e religiosi della nostra terra (da Falcone a Borsellino,a don Pino Puglisi, a Diana,) che il pessimismo che traspira da letterati come Matteo Collura, venisse superato da una eroica testimonianza dei partiti e dall’UDC-Italia, tra questi .

Non vogliamo più leggere amare considerazioni, come quelle dell’editoriale di Collura: ” I politici, gli intellettuali, i preti, noi giornalisti non facciamo altrochè illuderci ed illudere che ancora vi sia spazio per correttivi e terapie in grado di allontanare dal baratro le regioni del Sud, mentre chi ha occhi per vedere e meningi per ragionare si rende conto che il limite è stato già superato e quella che appare come vita non è altro che la fermentazione di un cadavere”.

Noi siamo ancora tra coloro che credono nella capacità reattiva e creativa degli uomini e delle donne, senza dimenticare la memoria di chi ci ha preceduto nell’interesse del bene comune dell’Italia.

Non rinunciamo, pertanto, alla fatica del vivere e del partecipare, con le idee e le testimonianze, anche nei Partiti, con i contenuti ed il patrimonio che come cattolici portiamo, per dialogare, a servizio del paese ,”legittimamente senza complessi e autorevolmente, sia all’interno di tutte le famiglie politiche europeiste, democratiche, riformiste, non populiste e attente a unire più che a dividere, sia in nuovi soggetti politici ”, come ci pare orientata una recente nota della presidenza dell’Ac, senza con ciò subire, pur rinnovando, come alla Convention di Chianciano, simbolo e strategie dell’UDC-Italia per il futuro del Paese e dell’Europa, il fascino di nuovi soggetti improvvisati o contenitori senza storia e senza contenuti.

 

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Il futuro da scegliere

postato il 21 Settembre 2012

di Vincenzo Pezzuto

Decisamente in sintonia con l’esigenza di un futuro più sicuro e responsabile (più che di una politica responsabile) appare l’analisi di Fabbrini su “Il Sole 24 di Ore”. Parlare di scollamento tra l’establishment del Paese (che teme il ritorno ad una competizione politica irresponsabile) e la politica, significa parlare di due visioni che trasversalmente attraversano (come ha precisato il capogruppo Udc alla camera, Galletti) la società e la classe politica: chi considera Monti tecnocrazia e chi invece crede che stia lavorando per il bene dell’Italia.
Un quadro simile mal si concilia con la precaria situazione economica italiana (secondo debito pubblico di Europa e tra i più alti al mondo), che impone serietà e senso di protezione finanziaria.
La ricetta per risanare tali fratture potrebbe essere quella (come propone Fabbrini) di individuare quattro doveri che i partiti dovranno rispettare, con la consapevolezza che un clima di tensione e di politica urlata avrà pesanti ripercussioni sul Paese.
A farsi avanti per proporre la lista degli ingredienti è stato Pier Ferdinando Casini:

Si attendono i dettagli della proposta, ma possiamo affermare già di averli e sono frutto della politica responsabile di questi ultimi mesi. Perchè gli impegni e le proposte nei confronti del futuro di un Paese non si improvvisano dalla sera alla mattina, ma si elaborano con consapevolezza ed un pizzico di lungimiranza.

1) Quale Europa sarà necessario avere in mente? Quale futuro per la moneta unica?
L’Europa che gli europei hanno in mente è la stessa che propone l’Udc: gli Stati Uniti d’Europa. Non si può prescindere dal rilancio della crescita e degli investimenti, dalla creazione di posti di lavoro, dalla sussidiarietà e dal mutualismo reciproco. A fare da collante dovrà esserci un elemento cardine, la maggiore unità politica. Questo è il quadro che dovrà interessare l’UE e chi lo rispetta (come l’Udc) ha votato con convinzione il pareggio di bilancio in Costituzione e il fiscal compact). Occorre stare alla larga da chi pone a repentaglio il futuro dell’assetto comunitario (e soprattutto dei cittadini e milioni di lavoratori europei) riproponendo vecchie trovate populistiche dagli effetti catastrofici.

2) Quali le priorità da soddisfare (con copertura finanziaria)?
Combattere il populismo significa essere chiari nei confronti degli elettori. Significa individuare delle priorità da soddisfare. Il fine ultimo non dovrà essere quello di riempire paginone di programmi utili solo al proprio tornaconto elettorale. Significa individuare dei punti realizzabili con mezzi e risorse finanziarie realmente disponibili e nel rispetto dei vincoli finanziari esterni. La differenza rispetto al passato consterà nella bravura di certa classe politica nella ricerca non di facili consensi (grazie alle solite furbizie) ma promettendo dei sacrifici e misure per la crescita (ma veramente realizzabili). Non è plausibile sentir parlare ancora di abolizione dell’Imu da chi non ha mai fornito giustificazioni finanziarie sull’abolizione dell’Ici (con i risultati che tutti sappiamo). Ai pacchetti (anzi “pacchi”) programmatici preconfezionati ad arte non crede più nessuno ed in particolar modo i mercati.

3) Posizione in merito a mercato del lavoro, pensioni, evasione fiscale?
La strada è in salita (e lo si sapeva) ma è già delineata e collaudata dai fatti (del resto l’Italia non ha fatto la fine di Grecia e Spagna): continuità con l’Agenda Monti e le riforme. Riforme che interessano il lavoro, le pensioni e i giovani non si votano perchè proposte da un Governo tecnico o perchè imposte dallo stato di emergenza. Si attuano perchè sono le uniche in grado di dare riposte alle prospettive dei giovani. In questi restanti mesi di Governo e dal 2013 è e sarà doveroso puntare: – alla riduzione dell’Irpef per le famiglie con redditi bassi ed in base al numero dei figli (compatibilmente con le coperture finanziarie); – alla sburocratizzazione del sistema amministrativo ed all’approvazione della riforma della Giustizia in modo da rendere appetibile il mercato italiano agli investitori nazionali ed esteri; a rendere operativa l’Agenda Digitale, che potrà dare un contributo del 5% alla crescita del Pil da qui al 2020; – alla redazione di un piano strategico per il rilancio del mezzogiorno (si badi: in netta antitesi con le disattese promesse del passato); – ad ulteriori fasi della spending review; – a combattere chi vive alle spalle della gente onesta che giornalmente contribuisce al mantenimento della cosa pubblica (e che potremmo definire “ladro” né più né meno di chi prende tangenti nella Pubblica amministrazione – come già dichiarato dal leader Udc).

4) Commissione esterna di esperti per la valutazione delle proposte?
Affinche la prossima competizione elettorale non si trasformi in un gioco al massacro dove a pagare saranno sempre i soliti, la commissione paventata da Fabbrini potrà svolgere un ruolo interessante. A patto che si tratti unicamente di una valutazione connessa alla disponibilità finanziaria delle proposte partitiche. Il giudizio di valore spetta ai cittadini e dovrà rispondere al grado di soddisfacimento del loro benessere.

Occorre, in definitiva, “ricucire” il Paese e l’Europa, puntare con forza alla crescita, continuare con forza sulla strada del Governo Monti per il bene dell’Italia. Occorre mettere da parte i personalismi, le furbizie, la demagogia e le trovate populistiche. Più senso di responsabilità. Più proposte efficaci. Più futuro. Più Italia.

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I democratici cristiani di tutto il mondo a Roma per una nuova azione politica

postato il 20 Settembre 2012

Tra domani e sabato si svolgerà a Roma la riunione dei leader dell’Internazionale Democratica di Centro (Idc-Cdi) presieduta da Pier Ferdinando Casini.

Alla riunione, che si tiene ogni due anni, partecipano oltre 150 delegati da tutto il mondo, presidenti, primi ministri, leader di partito tra cui: Mariano Rajoy, primo ministro della Spagna, Viktor Orban, primo ministro dell’Ungheria, Sali Berisha, primo ministro dell’Albania, Enda Kenny, primo ministro dell’Irlanda, Antonio Samaras, primo ministro della Grecia. Saranno presenti anche Wilfried Martens, presidente del Ppe, Antonio Lopez-Isturiz, segretario generale Ppe, George Sabra, membro e portavoce della segreteria generale del Consiglio nazionale siriano, l’organismo che riunisce le opposizioni impegnate nella lotta contro il regime di Bashar al Assad, Amine Jemayel, ex Presidente del Libano, Eduardo Frei, ex Presidente del Cile, Carlos, il fratello di Osvaldo Paya’, dissidente cubano e leader del Movimento Cristiano di Liberazione recentemente scomparso, Jevhenija Tymosenko figlia di Julija Tymosenko, ex primo ministro dell’Ucraina, attualmente detenuta in carcere. Porterà un suo saluto anche il Presidente del Consiglio Mario Monti.

Nel corso degli incontri si discuterà della situazione politica ed economica internazionale, con particolare attenzione al Medio Oriente, alla guerra civile in Siria, alla condizione dei cristiani nel mondo.

L’internazionale nasce a Santiago del Cile nel 1961 come Unione Democratica Cristiana Mondiale per creare in legame tra le varie organizzazioni democristiane internazionali alternative alle internazionali socialiste. Nel 1982 viene rinominata Internazionale Democratica Cristiana. Fino al 1999 viene detta Internazionale Democratica Cristiana e dei Partiti Popolari, per poi ridiventare Internazionale Democratica Cristiana e dal 2001 Internazionale Democratica Centrista, accogliendo partiti non solo democristiani ma anche solo centristi.

Conta poco più di 100 membri, provenienti soprattutto dall’Europa e dall’America meridionale. L’ala europea dell’IDC è il Partito Popolare Europeo, il principale partito politico europeo. Il corrispettivo latino-americano è l’Organizzazione Cristiano Democratica d’America.

Il messaggio di cui l’Idc è portatrice, è un messaggio coerente e integrante basato sulla temperanza, il dialogo e il consenso, rappresenta la grande speranza per trovare nuove vie di azione politica. L’IDC crede che gli esseri umani e i valori legati alla persona umana (libertà, solidarietà, responsabilita e giustizia) siano le stelle maestre e l’asse definitivo del suo progetto politico.

L’internazionale Democratico Cristiana/Internazionale Democratico Centrista si affaccia a questo tempo nuovo che si apre con un progetto di maggior prosperità e pace, con un nuovo stile di azione politica che risponda ai nuovi bisogni ed alle aspirazioni dei popoli, promuovendo società efficienti, competitive e solidali sulla base del dialogo sociale. Dove la nozione di uguaglianza incrocia tutte le politiche pubbliche ed include sia il il dovere etico che l’imperativo politico, la lotta contro la povertà, per eguali opportunità. Miglioramento nella distribuzione del reddito e nella qualità della vita della popolazione. Un nuovo stile di azione politica che essendo fondato sui valori dell’umanesimo che ispirano il progetto dei democratici cristiani, è adatto alla nuova realtà dei tempi presenti al fine di anticipare un comune e incoraggiante futuro. Un nuovo stile di azione politica che offra soluzioni perché tutti gli individui raggiungano il loro destino materiale, intellettuale e spirituale.

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I finanziamenti pubblici ci sono, ma gli italiani non sanno usarli

postato il 19 Settembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Se dico “Liberi Tutti” pensate al gioco del nascondino. Sbagliato. Se pensiamo che l’Italia è in crisi, diciamo “non ci sono investimenti pubblici”. Sbagliato. Cosa hanno in comune i due punti sopra riportati? Tutto. Perché “Liberi Tutti” è un progetto finanziato con soldi pubblici nel comune di Cortemilia (comune che ha finanziato anche il progetto definito “alla Rinsfusa”, nessun errore è proprio così) in provincia di Cuneo con lo scopo di “sviluppare politiche e servizi per l’anticipazione e gestione dei cambiamenti, promuovere la competitività e l’imprenditorialità”.

Ma non è finita qui. Il giornalista Marco Esposito, in un suo lungo articolo intitolato “Bici e orchestre, l’Italia dei Bonus” pubblicato sul mensile Linus, ci fornisce un interessante visuale sui progetti finanziati con fondi pubblici, dopo avere spulciato tutti i numeri, che sono ufficiali e resi pubblici dal ministro Barca sul sito: http://opencoesione.gov.it/.

E così ho saputo che la Scuola agraria del Parco di Monza ha ottenuto fondi per il verde pensile.

Siete stupiti?

Non stupitevi, perché Esposito ci informa con puntualità che: un paesello in provincia di Genova, chiamato Rondandina, che ha 78 abitanti, ha procurato 90.000 euro per abitante tramite finanziamenti pubblici spesi quasi tutti per la ristrutturazione della villa Sauli Podestà del Parco del Basilico. Siete stupiti? Coraggio, ora si ride. Come possiamo prendere la notizia che le tecniche di tatuaggio artistico sono state finanziate con fondi pubblici? Sono costate 1483 euro alla UE, 1953 euro allo stato italiano e 498 euro al Friuli Venezia Giulia. Io ho appreso questa notizia con una risata.

In provincia di Verona, nel comune di Dolcè hanno costruito una pista ciclabile per collegare i percorsi ciclabili già esistenti tra Dolcè e Avio. Costo del progetto? Uno sproposito, più di un milione di euro, suddivisi così: 622.000 euro di soldi UE, 650.000 euro di soldi dello stato e 80.000 euro di soldi della regione veneta

La motivazione? Qui siamo al Nobel della fantasia: “aumento della collaborazione, della condivisione e della cooperazione tra gli enti locali al fine di armonizzare le aspettative di sviluppo e di eliminare i fenomeni di disgregazione sociale”.

Tutto questo per dire “facciamo una pista ciclabile”.

L’obiezione è: ma i lavori non sono stati appaltati con una gara? Certo. Il punto, però, è che questi progetti che impatto hanno sul PIL? Nullo.

Che impatto ha un progetto sui tatuaggi artistici? Cosa produrrà in seguito questo progetto?

Un progetto, per impattare sull’economia, deve dare vita ad una attività che perduri autonomamente nel tempo; il finanziamento pubblico deve agevolare o fungere da avvio, ma poi ci uvole un progetto che vada avanti da solo: una start up; una azienda, una strada che agevoli il commercio.

Inoltre, molti di questi progetti hanno un importo talmente basso che sfuggono ai controlli della Corte dei Conti e così abbiamo “lo studio personale in funzione dell’esecusione orchestrale”, che è costato 4.839 di fondi ue, più 8070 di fondi nazionali, più 80 euro della regione liguria e 3000 euro di un soggetto privato. Totale 16.000 euro, dati per un progetto iniziato il 27 dicembre 2011 e finito il 31 dicembre 2011, ovvero 4 giorni, per 16.000 euro.

E a Caino, in provincia di brescia, hanno finanziato con 9675 euro il “tirocinio di un individuo”. Che tirocinio era? Chi lo ha fatto? E dopo è stato assunto? Non si sa. Intanto a Bologna hanno creato un progetto (30 milioni dei quali 11 della UE e 19 dello stato), per erogare assegni formativi e nell’operoso Trentino gli assegni formativi sono erogati per “lavori di abbellimento” a Storo e Briolo. Tutti questi progetti sono stati finanziati con i fondi UE stanziati per il periodo che va dal 2007 al 2013. Siamo quasi alla fine di questo periodo, e io vorrei sapere, quante attività produttive che hanno un impatto sull’economia sono state finanziate e quanti sono i progetti inutili. Il totale dei progetti finanziati è astronomico: 467.257 progetti, di cui 339.167 sono tutti nel Nord Italia. Il bello è che questi fondi dovevano servire per le politiche europee di coesione e dovevano riguardare soprattutto il Sud e le aree svantaggiate dell’Italia. Invece, contrariamente a quello che hano affermato i leghisti per anni, chi se ne è avvantaggiato e se ne avvantaggia è prorpio il nord che mette in campo progetti “ridicoli”. La Lombardia è la regione con il maggior umero di progetti finanziati. Voi pensate all’operosità lombarda, vero? Sbagliato. Perch+è tra il 2007 e il 2013, la Lombardia ha messo in campo 194.420 progetti per un importo medio di meno di 5000 euro. Quale attività produttiva fai con 5000 euro? Allora ammettiamolo. I fondi ci sono, ma noi italiani siamo malati di assistenzialismo, preferiamo chiedere pochi soldi per un progettino con una motivazione ridicola, prendere poche migliaia di euro sapendo che non avremo controlli, visto l’importo e stop. Non pensiamo a chiedere magari più soldi per realizzare progetti che creino davvero economia e lavoro.

Di contro, esiste anche una realtà di italiani che scelgono di impegnarsi: a Mussomeli, paesino quasi al centro della Sicilia, sono fiorite moltissime attività produttive come aziende produttrici di pannelli fotovoltaici e di energie verdi; a Brolo sono sorte molte piccole realtà dell’agroalimentare; Napoli finanzia per metà con i propri fondi, la metropolitana di prossima costruzione (importo totale 1,4 miliardi di euro) e solo in minima parte con fondi UE e statali.

E altri esempi troviamo anche nel Nord Italia e nel centro. Questo per dire che forse la realtà italiana è più complessa di quello che certi slogan semplicistici vorrebbero farci credere, e che, se vogliamo uscire dalla crisi, la prima cosa da fare è che noi italiani ci impegniamo per primi, senza aspettare interventi dall’alto o scorciatoie.

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