Libia e Migranti: Ospite di SkyTg24
postato il 12 Giugno 2015Nello spazio di approfondimento a cura di Federica De Santis
Nello spazio di approfondimento a cura di Federica De Santis
Il rapporto Jihad-barconi è acclarato, equiparare gli scafisti ai terroristi
L’intervista di Claudio Marincola a Pier Ferdinando Casini, pubblicata su “Il Messaggero”
Non c’è più un minuto da perdere. Le aggressioni in mare, l’esodo ininterrotto verso le nostre coste, destinato ad crescere con l’avvicinarsi della stagione estiva, impongono all’Italia interventi immediati. La contaminazione tra immigrazione e terrorismo è ormai un dato di fatto. Dinanzi al nuovo scenario e alle infiltrazioni jihadiste, i richiami all’Europa e al principio delle responsabilità condivise servono ma non bastano più. Il confronto con l’inviato dell’Onu Bernardino Leon e il tentativo di formare un governo libico deve proseguire. Ma se non si realizza va attuato un piano B, autorizzato dall’Onu, per predisporre un blocco navale in grado di arrestare il traffico criminale di esseri umani. Per Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione Affari esteri del Senato, il tempo del “buonismo” é finito.
L’Italia non può contare sull’Europa. Ma da sola ce la può fare?
«I viaggi si moltiplicheranno e noi rischiamo di rimanere impotenti davanti a un esodo di migliaia e migliaia di immigrati. Dobbiamo continuare a richiamare l’Europa alle sue responsabilità ma senza farci soverchie illusioni. Il rapporto tra il terrorismo jihadista e i barconi è acclarato. La Jihad riceve soldi, c’è un flusso finanziario, un business in cui probabilmente saranno coinvolti molti europei e qualcuno magari con la carta d’identità italiana. È un problema che si riversa su di noi ma riguarda l’Europa che è la destinazione finale. Gli scafisti lavorano perché i gruppi estremisti gli consentono di lavorare».
La saldatura tra terrorismo e “scafismo” è un dato di fatto. Come si contrasta?
«Dobbiamo usare verso i trafficanti di morte lo stesso pugno di ferro che la coalizione anti-Isis usa nei confronti dei terroristi e dello jihadismo. Non dobbiamo lasciarci intimorire dal loro gioco. Un gioco cinico, una speculazione orribile sulla disperazione di migliaia di persone che vengono imbarcate spesso in condizione avverse, su barche che possono fare solo qualche miglio. Cercano le disgrazie in mare. Vogliono giocare sullo spirito di compassione che il mondo civile ha per spingerci a provvedimenti che alla fine a loro possono far comodo. Mi spiego: sono fiero di Mare nostrum, sono convinto che è stata una operazione di cui essere orgogliosi ma anche che questi criminali l’hanno usata a loro fini per moltiplicare gli utili e gli sbarchi».
Se l’immigrazione si farà sempre più “aggressiva”, se si ripeteranno gli atti di pirateria le regole d’ingaggio risulteranno sempre più inadeguate.
«Dobbiamo fare due cose. Primo lavorare accanto a Bernardino Leon per arrivare ad un governo che ci dia la possibilità di interlocuire con uno Stato. Perché questo stato libico ora non c’è. Secondo, se questo non fosse possibile, avere un piano B pronto. Farsi autorizzare una blocco navale nelle acque territoriali libiche con una delibera dell’Onu che ci consenta di stroncare questo traffico sul nascere. E dirò di più: dobbiamo distruggere le barche anche in territorio libico. La vicende del peschereccio di Mazara del Vallo assaltato proprio l’altro giorno da una “strana” motovedetta dimostra che sono a corto di barche, che si fingono poliziotti libici e cercano di confiscarle per continuare le spedizioni».
Come valuta presidente l’incontro tra Renzi e Obama e la scelta di non parlare dell’utilizzo dei droni?
«Il feeling tra Renzi e Obama è molto importante per il nostro presidente del Consiglio e anche per il nostro Paese. Rafforza un legame tradizionale determinante per l’Italia. Il fatto che non si sia parlato dei droni e non si siano dati dettagli sull’intervento in Libia lo trovo più che naturale. I droni si mandano, non si annunciano! È chiaro che gli americani per questioni geopolitiche hanno un interesse molto minore rispetto a qualche decennio fa. E questo aumenta le nostre responsabilità».
Tanto più che l’Europa ci sta lasciando soli. E forse è arrivato il momento di prenderne atto piuttosto che ripeterlo all’infinito.
«Non c’è dubbio che l’Europa ci stia lasciando da soli. E sono curioso di vedere cosa succederà lunedì prossimo nel consiglio dei ministri degli esteri europei presieduto da Federica Mogherini. Temo però che non si vada oltre. Siamo soli, e proprio per questo dobbiamo avere le idee chiare e procedere con azioni mirate».
Sembra che lei non si aspetti molto dal vertice.
«Non mi aspetto molto perché ho partecipato a decine di incontri parlamentari in cui si parla molto dell’Ucraina e poco della Libia. Sembra quasi che se ne parli per fare una cortesia a noi. Dal Mediterraneo nei prossimi anni potranno venire grandi potenzialità di sviluppo economico per l’Europa o problemi irrisolvibili, esportazione dello jihadismo, se non addirittura insediamenti di stati terroristici. Sta a noi scegliere cosa vogliamo e intervenire in tempo».
L’intervista ai microfoni del Tg5 a cura di Guido del Turco
Le parole di Erdogan su Papa Francesco? Sono inaccettabili. Per noi è una cosa triste perchè siamo amici della Turchia, ma vogliamo che la verità non venga mai manomessa; la storia parla chiaro.
Per Salvini Istanbul è indegna di entrare in Europa? Dal suo punto di vista oggi è il momento giusto per fare questa affermazione e giocare sullo stato d’animo della gente. Ma noi dobbiamo guardare avanti e pensare agli interessi italiani e a quelli europei: la Turchia è un Paese membro della Nato ed è un bastione fondamentale contro l’estremismo islamico, a due passi dall’Isis. Da Berlusconi a Prodi, tenere le porte aperte per l’ingresso della Turchia nell’Ue è stata la linea comune del nostro Paese.
Allo spazio di approfondimento politico di Rai Parlamento parlo di emergenza sbarchi e di lotta al terrorismo.
L’intervista di Vincenzo Nigro a Pier Ferdinando Casini pubblicata su “Repubblica”
«L’ idea che Tobruk da sola sia in grado di pacificare, di controllare la Libia è una fuga dalla realtà, un sogno pericoloso. Fra l’altro i libici non accetteranno mai degli stranieri, come gli egiziani, come dominus del loro processo di pace. Per cui c’è una sola via d’uscita: con le buone o con le cattive i libici devono negoziare fra loro l’accordo politico che le Nazioni Unite stanno provando faticosamente a raggiungere».
Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato, è in partenza per il Vietnam. Ma il primo tema di cui si occupa in questi giorni è la crisi libica. «Quella che si sta svolgendo in Libia è una guerra per procura. Non ci sono due fronti definiti e individuabili, non c’è per esempio un fronte liberale, filo-occidentale, una alleanza da sostenere per la stabilizzazione del Paese. Così come non c’è un fronte unico integralista, unico portatore di terrorismo contro cui schierarsi. L’unico sostegno dobbiamo darlo alle forze che mirano all’accordo politico: il protrarsi degli scontri e dell’incertezza lascerebbe spazio a gruppi come l’Is o ad altre formazioni jihadiste».
I paesi arabi però armano e sostengono una o l’altra fazione.
«Egitto, sauditi ed Emirati sostengono Tobruk. La Turchia e il Qatar sono con il gruppo di Tripoli. L’Europa ha bisogno di allontanarsi da questa polarizzazione. Dobbiamo triangolare con gli Stati Uniti e la Russia per creare le condizioni per la stabilizzazione. Se non prosciugheremo a monte il flusso di armi e di destabilizzazione nessuno potrà intervenire a valle per stabilizzare il paese».
Che ruolo può avere l’Italia? Finora ci sono state dichiarazioni a favore del negoziato politico e segnali di sostegno al ruolo dell’Egitto.
«In questa partita sinceramente devo dire che ci stiamo comportando con equilibrio e giudizio. L’analisi della nostra dirigenza politica è che non c’è una soluzione militare, perché non c’è una sola armata che possa prendere il controllo del Paese, debellare il terrorismo, ricevere sostegno delle popolazioni della Libia. Per essere chiari: l’idea che Tobruk sia capace di stabilizzare il Paese è fuori dalla realtà. Tutti i segnali, assolutamente tutti, ci dicono che radicalizzeranno lo scontro e lo renderanno endemico, per anni».
Che via deve seguire la comunità internazionale?
«Dobbiamo chiedere a un leader politico come il presidente Al Sisi di adoperare la sua influenza per portare Tobruk a collaborare pienamente con il piano per un governo condiviso. Aggiungo: Italia ed Europa non accetteranno mai una spartizione di fatto o in qualunque modo della Libia».
L’intervista di Matteo Massi a Pier Ferdinando Casini pubblicata su Quotidiano nazionale
“E’ inutile fare leggi nuove, per colpire anche più duramente i reati, se poi la macchina burocratica fa acqua da tutte le parti. Risultato: i tribunali finiscono con l’ingolfarsi”.
Si parte da Terni per arrivare alla Libia. L’ultimo caso di cronaca – l’omicidio di un giovane da parte di un marocchino che aveva fatto ricorso contro il no alla richiesta di asilo politico e quindi era rimasto in Italia, in attesa dell’ultimo pronunciamento – tira in ballo trattati europei, quello di Dublino, e aule giudiziarie. Ne è convinto Pier Ferdinando Casini, Presidente della Commissione Esteri al Senato.
Che idea si è fatto di tutta questa vicenda?
“Che serve efficienza e tempestività dell’autorità giudiziaria. Qui ci troviamo di fronte a uno sbandato, un disadattato. Aveva chiesto asilo politico e glielo hanno negato”.
E lui ha fatto ricorso?
“O passa il principio che una volta respinta la richiesta di asilo politico, si procede all’espulsione, in attesa dell’esito del ricorso o altrimenti il pronunciamento dell’autorità giudiziaria deve avere dei tempi congrui”.
Torna ad aleggiare lo spettro del trattato di Dublino? L’Italia deve fare mea culpa per quell’intesa?
“Noi siamo un Paese di prima accoglienza e credo che sbadatamente abbiamo firmato quei trattati che ci hanno messo in una condizione drammatica rispetto agli altri Paesi europei”.
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Al programma di approfondimento mattutino di Rai1 rispondo alla domande di Franco Di Mare.
L’intervista di Marco Ventura a Pier Ferdinando Casini pubblicata sul Il Messaggero
«Il blocco navale alla Libia sotto l’egida dell’Onu va fatto, è necessario. E bisogna pensare pure al blocco delle importazioni di petrolio come spinta verso una soluzione politica». Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato, invita a non confondere «blocco navale e missione Mare Nostrum o Frontex. Il blocco servirebbe contro l’afflusso di altre armi leggere e pesanti in Libia. Solo l’arsenale dei gruppi di Misurata è stimato in 800 carri armati per 40mila uomini, più le forze islamiste di Tripoli e quelle di Tobruk: una “bomba atomica” nel deserto, davanti alle nostre coste».
C’è ancora spazio per una soluzione politica?
«La nostra strategia dev’essere il dialogo politico con una mano e il blocco navale con l’altra, a supporto del dialogo. Bisogna poi far leva su tutte le parti in guerra che ricevono denaro dalla vendita di petrolio attraverso la Banca centrale libica. Quanto meno, dovremmo minacciare di bloccare le importazioni. Il petrolio libico non è indispensabile come prima. I blocchi, navale ed energetico, possono contribuire a far camminare la mediazione».
Errori da evitare?
«Guai se il Parlamento “legittimo” di Tobruk nutrisse l’illusione pericolosa di poter normalizzare da solo il Paese. Né le potenze coinvolte, dal Qatar alla Turchia, né il popolo libico potranno mai accettare un governo sotto l’influenza diretta dell’Egitto».
I nostri partner Ue sono consapevoli della situazione?
«Sono reduce da un incontro tra membri delle Commissioni Esteri e Difesa dei Parlamenti Ue a Riga e ho constatato con amarezza che molti nostri colleghi vedono l’Europa proiettata solo sullo scacchiere nord-orientale, non su quello meridionale, mentre le opportunità ma anche le insidie maggiori per l’Europa vengono dal Mediterraneo.»
Sembra difficile addirittura far parlare tra loro i libici…
«Questa difficoltà non deve scandalizzarci. L’Onu e il suo inviato Bernardino Leon stanno facendo un buon lavoro».
Il suo mandato sta scadendo. Romano Prodi potrebbe succedergli?
«Si farà un bilancio in sede Onu. Le Nazioni Unite potrebbero avvalersi di personalità come Prodi, ma vanno evitate polemiche domestiche che sanno di provincialismo».
Intanto si moltiplicano i barconi verso l’Italia. Che fare?
«In Albania i nostri servizi segreti bonificarono i porti affondando le carrette del mare e installammo presidi di terra. Ma c’era un governo albanese con cui fare questo accordo. Intanto, dobbiamo evitare scelte sull’onda dell’emotività».
In che senso?
«Mare Nostrum è stata un’azione meravigliosa, che però ha avuto anche l’effetto di facilitare la criminalità organizzata che tiene le fila di questo traffico umano. Addirittura nel kit dei naviganti c’è il telefono del centro operativo di Roma per i salvataggi…»
Frontex parla però di un milione di migranti pronti a partire…
«Numeri tutti da verificare e che in Commissione Esteri ci sono stati forniti dai funzionari del Ministero dell’Interno mesi fa. La strategia dev’essere quella di restaurare in Libia una qualche statualità per poi passare alla fase “albanese”.»
In che modo avremmo fatto anche il gioco dei criminali?
«Ci sono testimonianze plurime sul fatto che bambini e famiglie vengono costretti a imbarcarsi col mare in burrasca su carrette che non possono che fare qualche miglio. Quella gente mira a provocare e usare le tragedie del mare per spingere le opinioni pubbliche europee ad assumere determinati comportamenti.»
In Ucraina la situazione è migliorata rispetto a qualche settimana fa…
«Sì, ma poi? Ho verificato di persona nei Paesi Baltici e in certi settori del Nord Europa un isterismo riguardo alla Russia che non aiuta a risolvere la situazione. L’errore è che molti ritengono di poter trattare con Putin come con Eltsin o Gorbaciov. Ma Putin è un leader politico che ha consenso nel paese e cerca di tutelare gli interessi nazionali russi. Non sono a costo zero affermazioni come quelle di chi dice che bisogna portare il partenariato Ue e la Nato ai confini con la Russia.
Condivide l’approccio di Matteo Renzi?
«Sì. Da Prodi a Berlusconi a Renzi c’è una continuità nella politica verso la Russia. Sappiamo tutti che lo Stato di diritto in Russia fa acqua, ma noi dobbiamo ritrovare lo spirito che portò all’associazione della Russia alla Nato a Pratica di Mare. È facile per l’America ipotizzare sanzioni quando a pagarne il prezzo siamo soprattutto noi europei. Occorre una politica estera e di difesa comune in Europa. Abbiamo visto troppa confusione anche sul riconoscimento dello Stato palestinese. In ordine sparso siamo tutti marginali. Fa parte di una strategia anche associare l’Iran a questa sistemazione nuova del mondo.»
C’è pure la guerra ai siti archeologici da parte dell’Isis…
«Lo sfregio alla cultura è la dimostrazione che si vuole sfregiare l’umanità.»
Alla Conferenza interparlamentare per la Politica estera e di sicurezza comune (PESC) e la Politica comune di sicurezza e difesa (PSDC) organizzata a Riga
In alcuni momenti come questi l’ottimismo è un dovere istituzionale, anche se non possiamo ignorare che la realtà è diversa. Manca una politica estera europea: a Mosca sono andati Hollande e Merkel e, per fortuna, l’Europa ha evitato che gli Stati Uniti imponessero la loro visione, distante dalla nostra sensibilità .Ma manca soprattutto la strategia per il Mediterraneo, da dove posso venire grandi opportunità ma anche grandi rischi e i Paesi del Sud, in primo luogo l’Italia, sono lasciati soli ad affrontarli.
Manca una strategia europea verso la Turchia; gli stop and go sulle prospettive di adesione hanno dato l’alibi alla classe dirigente di quel Paese di compiere scelte discutibili e allontanarsi dall’Europa. Così come manca una capacità di incidere sulla questione palestinese con i Parlamenti nazionali che affrontano in ordine sparso questo tema senza riuscire a coordinare le rispettive posizioni. Il Mediterraneo rappresenta un tema centrale per l’Europa, che deve essere affrontato da tutti i Paesi, anche quelli che dal punto di vista geografico sono più lontani: dal nostro mare possono venire grandi problemi o grandi opportunità e un cambio di passo è necessario e urgente. A cominciare dalla Libia dove, da un lato, dobbiamo spingere le parti a un dialogo politico, dall’altro occorre valutare l’ipotesi del blocco navale per evitare l’afflusso di ulteriori armamenti in un’area già sovraffollata di bande estremiste e di gruppi terroristici.
Bilaterale a margine “UN/PAM Regional Seminar for Parliamentarians of the Maghreb Region”