Ospite di Otto e Mezzo
postato il 25 Febbraio 2015All’approfondimento politico di La7 condotto da Lilli Gruber
All’approfondimento politico di La7 condotto da Lilli Gruber
In una lettera aperta pubblicata su La Stampa di oggi, i presidenti delle Commissioni Esteri del Senato della Repubblica e della Commissione europea, Pier Ferdinando Casini ed Elmar Brok, l’ex presidente Parlamento Europeo, Enrique Barón Crespo e Michel Rocard, ex Primo Ministro della Francia, congiuntamente sottolineano l’importanza del negoziato sul nucleare iraniano.
Le quattro personalità, appartenenti alle due grandi famiglie politiche europee (Ppe e Pse), evidenziano il ruolo che Teheran, maggiormente integrato nella comunità internazionale, potrebbe giocare in Siria e in Iraq contro la minaccia del Daesh/Isis e, in termini di stabilità dell’area, in Afghanistan e in Nord Africa.
Caro Direttore,
nel negoziato sul nucleare iraniano si avvicina il momento delle scelte. Secondo il calendario concordato, infatti, la cornice politica dell’intesa deve essere definita in tempi stretti, in modo da poter chiudere l’accordo complessivo entro il mese di giugno.
I segnali che arrivano da Ginevra sono contrastanti. In Iran i nemici dell’accordo sono numerosi e potenti. Le componenti più conservatrici accusano il Presidente Rohani di aver concesso troppo, accettando il congelamento del programma nucleare senza avere ottenuto finora in cambio quasi nulla. Ma anche negli altri paesi che siedono al tavolo delle trattative, a cominciare dal Congresso degli Stati uniti, l’ostilità è diffusa, spesso solo per motivi di politica interna.
E’ dunque il momento di impegnarsi affinché queste tendenze non prevalgano. Al di là degli aspetti più tecnici, alcuni dei quali hanno peraltro assunto un rilievo più simbolico che reale, per chi ha responsabilità politiche si tratta di assicurare un contesto che favorisca il raggiungimento di un’intesa che sia soddisfacente per tutti. Da parte nostra, soprattutto di noi europei, occorre avere ben chiaro che il negoziato con Teheran è troppo importante per fallire. Un riavvicinamento dell’Iran avrebbe un grande rilievo strategico, sia dal punto di vista geopolitico che dal punto di vista economico. Il primo scenario è quello delle crisi regionali. Non è realistico pensare di risolvere la crisi drammatiche che insanguinano la Siria e l’Iraq, sconfiggendo la minaccia globale del Daesh/Isis e degli altri gruppi terroristi, senza la collaborazione iraniana. Lo stesso vale per l’Afghanistan, dove il disimpegno occidentale rischia di lasciare il paese in balia della guerriglia neo-talebana. E perfino in Israele, al di là delle posizioni ufficiali, sanno bene che un Iran emarginato dalla comunità internazionale è quanto di più pericoloso ci possa essere.
Poi ci sono le questioni economiche. L’isolamento occidentale e le sanzioni hanno negli ultimi anni orientato i flussi commerciali iraniani verso la Russia e, più di recente, la Cina. Grazie a questa condizione privilegiata Mosca e Pechino, i cui rapporti con l’Occidente sono sempre più complessi, sono riuscite a strappare condizioni di assoluto vantaggio nelle relazioni commerciali con Teheran. Noi invece abbiamo perso un mercato importante per le nostre imprese. Ancora più delicata la questione energetica, che ovviamente travalica di molto l’ambito strettamente economico. La crisi gravissima nei rapporti con la Russia e l’incertezza della situazione nel Nord Africa pongono l’Europa di fronte a scelte decisive per il suo futuro. Anche su questo versante Teheran può essere un partner importante, consentendo una diversificazione delle fonti di approvvigionamento e aumentando il nostro potere contrattuale verso i fornitori tradizionali.
Tutto questo non significa dimenticare il tema dei diritti umani o chiudere gli occhi su quello che accade in Iran. Significa esattamente il contrario, come dimostra la storia. L’apertura di Teheran alle relazioni con l’Europa e con l’Occidente non potrà che favorire il processo di riforme interne che, pur con molte difficoltà, è stato intrapreso. Sicuramente toglierebbe molti alibi al regime iraniano.
L’Europa su questo dossier ha una grande responsabilità. Deve fare la sua parte per favorire il rientro dell’Iran in un quadro di relazioni internazionali stabili e pacifiche. E così facendo coglierebbe anche una grande occasione: dimostrare la forza di una politica estera davvero comune, che opera per favorire la pace e la distensione globale.
Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Affari esteri del Senato della Repubblica
Enrique Barón Crespo, presidente emerito del Parlamento Europeo
Elmar Brok, presidente della commissione Affari esteri del Parlamento europeo
Michel Rocard, ex Primo Ministro della Francia
L’intervista di Daniele Rotondo ai microfoni del Tg2
Calma, suggerisco a tutti molta calma. E’ necessario che i Paesi limitrofi vengano coinvolti adeguatamente, poi l’Onu e infine eventualmente la Nato. L’Italia è giusto che si assuma le sue responsabilità, ma oggi un’azione unilaterale sarebbe assolutamente dissennata.
Ho parlato con il presidente Renzi e mi sembra che abbia le idee molto chiare. Gli errori fatti nel passato sono stati fatti dalla Comunità internazionale perchè gli italiani non sono stati adeguatamente ascoltati.
Oggi è necessario fare qualcosa di diverso, coltivare il dialogo politico tra i gruppi, stabilire il coinvolgimento dei paesi limitrofi e infine assumerci le nostre responsabilità.
Il momento di riflessione in ricordo del senatore ed europarlamentare Giovanni Bersani, scomparso il 24 dicembre 2014 all’età di cent’anni, presso l’Aula della Commissione Difesa del Senato.
All’iniziativa sono intervenuti il presidente emerito del Parlamento europeo Enrique Barón Crespo; Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Affari esteri del Senato; Mons. Tommaso Ghirelli, Vescovo di Imola e Pierluigi Castagnetti, presidente della Fondazione ‘Persona Comunità Democrazia’; a coordinare i lavori il Sen. Luigi Marino.
In apertura il messaggio del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
La lettera pubblicata su Il Messaggero
“Dobbiamo evitare un peccato di omissione che non potremmo mai farci perdonare: quello dell’indifferenza e del silenzio”
Arriva il Natale, ma in molte parti del mondo per i cristiani sarà un giorno di passione e di sofferenza come noi possiamo solo immaginare. Secondo recenti rapporti i cristiani perseguitati a vario titolo sono 150 milioni. Dal primo novembre 2012 al 31 marzo 2014 sono stati uccisi, a causa della loro fede, almeno 5.479 cristiani, ma la cifra è approssimativa per difetto e non tiene conto dell’avanzata dell’Isis. In quel lasso di tempo si sono verificati oltre 13 mila atti di violenza contro i cristiani e 3.641 edifici, tra luoghi di culto, negozi e abitazioni sono stati rasi al suolo
Nel 2013 nel nord dell’Iraq le comunità cristiane hanno festeggiato la nascita di Gesù come facevano ogni anno, da duemila anni. Ma quest’anno a festeggiare, tra Mosul e la piana di Ninive, saranno molti di meno. Chi è sopravvissuto alla furia dei terroristi passerà il Natale da profugo, in rifugi di fortuna , lontano da casa, tra mille disagi e mille preoccupazioni. Non potranno non pensare, infatti, a tanti congiunti caduti sotto i colpi dei jihadisti, in combattimento, durante una fuga precipitosa o in vere e proprie esecuzioni. Sempre per lo stesso motivo: per non aver voluto abiurare la loro fede.
Non so se quest’anno si potrà festeggiare il Natale a Maloula e nei villaggi vicini, in Siria, gli unici luoghi dove da duemila anni si continua a parlare aramaico, la lingua di Gesù, ma chissà per quanto ancora. Villaggi rimasti cristiani, con i loro monasteri, sopravvissuti a millenni di guerre e di conquiste persiane, arabe, turche, e oggi spopolati i per l’avanzata della follia qaedista. In Siria, del milione e 750 mila cristiani presenti nel 2011, ne sono rimasti solo 700 mila, e sono sotto assedio, bersagli inermi di ogni forma di violenza, non solo del cosiddetto Daesh.
Ma anche al di fuori del Medio oriente martoriato le cose non vanno meglio. Penso ai cristiani del nord della Nigeria, che ogni volta che vanno a Messa, anche la notte di Natale, sanno di esporsi al rischio di un attentato o di un attacco. Dal 2009 i miliziani islamisti di Boko Haram hanno già provocato più di 13 mila morti e un milione e mezzo di sfollati, senza contare tutte le giovani donne rapite e costrette alla conversione coatta all’islam matrimoni forzosi o alla vendita come schiave. E penso alle loro famiglie che, pur senza rinunciare alla speranza, passeranno un Natale straziato dal dolore.
Ricordo Asia Bibi, la madre di 44 anni che trascorrerà in carcere il suo sesto Natale, in Pakistan, condannata a morte per blasfemia, con l’accusa, mai provata, di aver insultato l’islam, il solito espediente per regolare i conti con le minoranze religiose.
E non è facile neanche per i cristiani d’Ucraina, cattolici e ortodossi, dall’una o dall’altra parte del fronte: tutti devono fare ogni giorno i conti con la violenza e la sofferenza che hanno invaso le loro vite.
Tutto questo capita quando arriva una festa che per tutti, e non solo per i cristiani, significa pace, speranza e serenità. Mai come oggi siamo chiamati all’assunzione di responsabilità nuove. Dobbiamo evitare un peccato di omissione che non potremmo mai farci perdonare: quello dell’indifferenza e del silenzio.
Nello spazio di approfondimento di Rai 1, si parla di tematiche internazionali: dall’intervento di Papa Francesco all’emiciclo di Strasburgo, ai rischi legati alla situazione libica
L’intervenento oggi alla conclusione dei lavori della seconda Conferenza internazionale sulla nutrizione (Icn2), presso la sede della Fao
Per sconfiggere la piaga della malnutrizione e dell’insicurezza alimentare occorre che i parlamenti e i legislatori di tutto il mondo sostengano risposte piu’ efficaci, garantendo nel contempo che le politiche pubbliche siano salvaguardate da conflitti di interessi. Il dialogo interparlamentare è di grande importanza per condividere le buone pratiche e le esperienze volte a garantire la sicurezza alimentare e una nutrizione adeguata: per questo occorre continuare a lavorare per rafforzare le istituzioni parlamentari.
Tra le conclusioni emerse dalla riunione interparlamentare organizzata alla vigilia della Icn 2, sulla base della Dichiarazione finale e del Quadro d’azione adottati dalla conferenza, vi sono l’adozione di una serie di obiettivi nazionali sulla nutrizione da raggiungere entro il 2025, ; l’adozione di politiche per promuovere l’allattamento al seno esclusivo per i primi sei mesi; l’adozione di politiche volte alla riduzione della poverta’ e alla creazione di occupazione e di protezione sociale. Inoltre, il sostegno all’empowerment delle donne; l’incremento degli stanziamenti di bilancio per affrontare la malnutrizione e l’insicurezza alimentare; la promozione di accordi di collaborazione in seno ai parlamenti per una migliore nutrizione, incentivando la cooperazione Sud-Sud e la cooperazione triangolare.
Alla conferenza “Parliaments for better nutrition”, organizzata dall’Unione Interparlamentare (UIP) in collaborazione con la FAO e l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), presso la Sala della Protomoteca del Comune di Roma, preparatoria dei lavori della seconda Conferenza internazionale (ICN2) contro fame e denutrizione.
Al Senato della Repubblica, dal 5 al 7 novembre, i lavori della Conferenza Interparlamentare delle Commissione Esteri e Difesa dei 28 Stati membri dell’Ue, e dei Paesi candidati, sulla Politica Estera e di Sicurezza comune (PESC) e la Politica di Sicurezza e Difesa comune (PSDC)