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Cattolici in politica: la lezione di Dossetti e Lazzati

postato il 30 Settembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Rocco Gumina

Periodicamente per via degli interventi del Papa, dei vescovi e dei cattolici impegnati in politica si riflette sul contributo che questi ultimi possono dare allo scenario politico, sociale ed economico dell’Italia dei nostri tempi. Spesso vengono fuori idee contrapposte come: la ricostituzione di un partito “cattolico” (in realtà d’ispirazione cristiana che è cosa ben diversa); la presenza dei cattolici nei diversi partiti dell’arco costituzionale.

La nascita e il lavoro del governo Monti, poi, hanno per certi versi avanzato nuovi punti tematici e operativi su questo argomento alla luce della presenza nell’esecutivo di ministri dichiaratamente cattolici e ben radicati nel mondo ecclesiale italiano e internazionale come Riccardi (fondatore della Comunità di Sant’Egidio e storico della Chiesa) e Ornaghi (Rettore dell’Università “Cattolica” di Milano). Le imminenti elezioni regionali in Sicilia, inoltre, ci propongono fra i diversi candidati alla Presidenza della Regione, un discendente di don Luigi Sturzo, storico fondatore del Partito Popolare Italiano, fine studioso, animatore della Democrazia Cristiana nel periodo post-bellico. Il pronipote di Sturzo con il movimento “Italiani Liberi e Forti”, intende alla luce di una robusta ispirazione cattolica, rinnovare lo scenario politico siciliano puntando sul cavallo di battaglia dell’unità e della riscossa dei cattolici, appunto, in politica.

Non possiamo dimenticare, infine, l’impegno delle associazioni cattoliche (ACLI, Azione Cattolica ecc.) per la realizzazione di un percorso di rinnovamento contenutistico e sostanziale della politica con gli incontri di “Todi” e con il loro impegno, anche in questo senso, di singole realtà ecclesiali o d’ispirazione cristiana. Tutti questi “dati” ci dicono, dunque, che il capitolo “cattolici in politica” è fra quelli più studiati, riflettuti, criticati, cliccati che possono essere presentati e discussi.

Certamente riflettere in maniera esaustiva sul tema è davvero impossibile, anzitutto perché il cattolico che desidera impegnarsi in politica vive in una “quasi” e “perenne” contraddizione: da un lato è membro dell’ecclesia universale, appunto cattolica; dall’altro è chiamato a militare in un partito, o movimento che dir si voglia, che è appunto una parte di un tutto che possiede in sé dei limiti non riscontrabili in un orizzonte di universalità basata sulla condivisione delle verità di fede, dell’annuncio dell’evangelo ecc. Però, una lezione (testimonianza), a mio parere ancora attualissima per i nostri giorni, è quella che ci hanno lasciato due cattolici in politica “atipici” come Dossetti e Lazzati.

Entrambi crebbero alla “Cattolica” di Milano; entrambi fecero parte di quel gruppo chiamato dei “professorini” che modellò molti articoli della nostra Costituzione e ambedue animarono quel gruppo di ricerca nato dalla pubblicazione della rivista “Cronache sociali”che per molti rappresentò la cosiddetta sinistra DC in opposizione a De Gasperi e al suo gruppo al potere nel partito. Dossetti e Lazzati, ancora, furono fra i protagonisti della Democrazia Cristiana in quel frangente storico del post guerra mondiale nel quale per evitare il prevalere del comunismo in Italia, l’Azione Cattolica con i “Comitati civici” di Gedda, avallati dal Vaticano, costituì un vero e proprio partito all’interno della stessa DC che cooperò al successo strepitoso delle elezioni politiche del 1948. Proprio alla luce di tale circostanza, Dossetti e Lazzati diedero vita ad una riflessione sui cattolici in politica.

Per i due “professorini” l’impegno nell’azione cattolica (da intendere in senso generale) e quello in politica è distinto, non separato. Infatti, la politica, anche quella partitica, è volta alla ricerca nell’ambito della realtà naturale, sociale ecc; l’azione cattolica, invece, ricerca il fine sovrannaturale e ad esso deve esclusivamente tendere. Poiché, per Dossetti e Lazzati “l’azione cattolica è destinata al servizio delle anime” e non può essere utilizzata, nemmeno per casi eccezionali, per altri fini inclusi quelli politici. Ma il politico, per i due costituenti, deve rimanere ancorato “nella luce maestra dell’insegnamento della Chiesa” testimoniando sempre la verità, convito del fatto che si può fare dell’apostolato anche tramite l’azione politica, senza che questa per se stessa sia apostolato.

Ecco il punto importante ancora oggi per la nostra riflessione: il cattolico impegnato in politica cosciente della distinzione delle due sfere con differenti finalità (azione cattolica – azione politica) vive nei termini dell’apostolato la propria vicenda politica. In un contesto in cui i cattolici impegnati in tutta quanta la società (non solo in politica) devono maggiormente contemplare il volto di Cristo, per dosare nella realtà la resistenza e la resa, la lezione di Dossetti e Lazzati ci invita, come credenti, a maturare ancor di più e ancora meglio il nostro slancio ideale, la nostra adesione a Cristo e alla Chiesa, il nostro impegno in politica, le difficoltà della storia persuasi del fatto che, qui ed ora, la città terrena non potrà mai divenire Gerusalemme celeste.

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Perché non si legifera sul conflitto d’interessi?

postato il 26 Settembre 2012

di Giuseppe Portonera

La polemica sul cosiddetto conflitto d’interessi è stata, per lungo tempo, uno dei fronti caldi della cronaca politica italiana: era una sorta di spartiacque, tra chi chiedeva una legge subito e tra chi invece lo riteneva uno strumento “punitivo” nei confronti di uno dei principali protagonisti della scena politica, Silvio Berlusconi. Basti ricordare il caso, emblematico, della Commissione Bicamerale per le Riforme, presieduta da Massimo D’Alema, che – naufragata per diversi motivi – fu presto accusata di essere nata col peccato originale di escludere dal suo campo d’azione proprio una legge sul conflitto d’interessi. Era il 1998, siamo arrivati al 2012 e di una legge che regolamenti (come dovrebbe essere regola in un Paese civile, in cui l’interesse privato è ben tenuto separato da quello collettivo) il conflitto d’interessi non c’è traccia. Perché? Abbiamo avuto governi sia di centrodestra che di centrosinistra, come è possibile che in nessuno dei due casi si sia arrivata a una soluzione, completa o pur anche di mera mediazione?

I governi presieduti da Silvio Berlusconi scontavano ovviamente la presenza del principale imputato in causa: proprietario del più grande polo televisivo privato nazionale e di un’importantissima squadra calcistica, a lungo uomo più ricco d’Italia. Ma davvero questo può essere un ostacolo, un freno per un per un uomo di Stato? Se pensiamo, per fare l’esempio più celebre, a uno dei più illustri predecessori di Berlusconi, Camillo Benso di Cavour, la risposta ovvia è no: il Conte, divenuto Presidente del Consiglio dei Ministri, vendette tutte le sue partecipazioni economiche in aziende e imprese varie, proprio perché non voleva che la sua azione governativa fosse in alcun modo influenzata da interessi o timori personali. Ma si sa, o tempora o mores! E i governi presieduti da Romano Prodi, allora? Loro non presentavano, almeno in modo così evidente, conflitti di interesse: eppure anche in questi casi non si è riusciti ad arrivare alla tanto agognata meta. Sembra una legge non scritta della nostra politica: più una riforma è importante, più è probabile che non sarà varata mai (o quasi) da nessuno.

Perché, tutto questo? Probabilmente, perché il conflitto d’interessi serviva più ai vari soggetti in campo per delimitare il loro spazio, il loro campo. Roberto Rao, intervenendo a tal proposito su L’Espresso, ha giustamente ricordato che è tutta una questione di incapacità a legiferare con lungimiranza: «ampi settori della politica invece di pensare all’interesse generale hanno preferito non risolvere mai il problema, per utilizzarlo come arma di ricatto minacciando a favore o contro il Cavaliere. Per questo il tema deve essere affrontato oggi che non si vive in una situazione di emergenza e si può intervenire senza pensare di colpire o salvare qualcuno. L’Italia è piena di conflitti di interesse che devono essere risolti una volta per tutte». L’appello è ovviamente, in prima istanza, al Parlamento, perché nel clima di strana maggioranza, possa riuscire a trovare almeno una soluzione di mediazione (come potrebbe essere il blind trust). Ma è esteso anche all’esecutivo, che con l’impegno diretto del Premier Monti e del Ministro Severino, ha dimostrato più volte di aver intenzione di riformare la giustizia partendo dai punti urgenti e non più rinviabili. E così, se all’anticorruzione, alle intercettazioni, alla responsabilità civile dei magistrati e alla situazione (vergognosa) delle carceri italiani, ci aggiungessimo pure la legge sul conflitto d’interessi, male non sarebbe.

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Chianciano, appunti al femminile

postato il 23 Settembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonella Russo

Siamo state in molte le donne della Sicilia e di tutte le regioni d’Italia alla Convention di Chianciano, che ha segnato una svolta storica nel partito dell’UDC di Casini, ora UDC-ITALIA, per scelta meditata operata da Casini, da Cesa e dai vertici nazionali e dagli eletti nelle istituzioni.
Il significato del cambiamento operato è stato colto, con tempestiva prontezza, dai partiti che si sentono esclusi o quasi dalla triade governativa, accanto alle testimonianze ed alle presenze, mai prima così significative, della società civile, delle professioni, del terzo settore, dei movimenti sindacali, sociali e imprenditoriali laici e di ispirazione cristiana, quasi a sancire la memoria e la storia positiva dei cattolici a servizio dell’Italia e dell’Europa nella rinnovata condivisione di una laicità della politica e di una forte volontà di concorrere con le presenze, le idee, i progetti al futuro della politica del Paese.

Alla vigilia della Convention avevo espresso al Presidente Casini, da presidente provinciale UDC di Palermo, assieme al Dipartimento Provinciale delle donne, (presenti a Cianciano con la responsabile Valentina Petralia), il nostro impegno nel Partito dell’Unione Democratico di Centro, testimonianza premiata ottenendo tra le donne delle liste UDC del nostro paese, ove si è votato a maggio, il più elevato numero di consensi tra le donne presenti come candidate per i consigli comunali, contribuendo così alla affermazione del partito in una Sicilia, dove gli amici-nemici ci davano in declino o perdenti.

Con questi risultati abbiamo superato ogni previsione a Palermo ed in quasi tutte le province ed il coordinatore regionale, il senatore Gianpiero D’Alia a cui bisogna riconoscere il merito, anche grazie all’apporto generoso dei parlamentari regionali UDC e l’impegno di nuovi aderenti, provenienti dal mondo sociale, sindacale e dalle rappresentanze nelle amministrazioni locali, di aver consentito al nostro partito di essere la terza forza politica della Sicilia.

Ora in Sicilia siamo alla pre-vigilia elettorale, per il dopo Lombardo, banco di prova per le prossime elezioni nazionali, di cui opportunamente non si è molto parlato nella Convention, per l’anticipo politicamente voluto, forse per calcoli nazionali o per la rovinosa situazione del bilancio della Regione, quale che sia la scadenza naturale o anticipata per dare al paese un Governo politico per il dopo Monti e possibilmente con Monti, come ha precisato Casini, con un osanna dell’assemblea dei presenti, e con l’invito alla più larga coalizione parlamentare, da eleggere, nei nostri auspici, con la proporzionale e le preferenze .

Come donne di Palermo, nella citata lettera aperta, avevamo chiesto che ai temi delle alleanze elettorali,(in Regione e nel Paese, Montezemolo forse non se ne è accorto), si anteponessero nella Convention le voci, le idee, le proposte della base del Paese dei giovani, delle donne, dei disoccupati, delle famiglie, degli imprenditori per essere attenti ai progetti , alle proposte, alle intuizioni, ai valori che si desiderano interpretati dalla classe dirigente nel tempo che viviamo.

E la prima risposta è venuta dalla Convention aperta, sul piano della comunicazione, come il volto del nuovo partito all’Italia moderna, che ha potuto ascoltare gli interventi, in diretta, di Cesa, Casini, Pezzotta, Buttiglione, Adornato, Passera, Clini, Riccardi, Ornaghi, Martone, Catania, Capotosti, Vietti, Marcegaglia, Bonanni, Olivero, Marini, Guidi, Marino, Rossi, Melchiorre, Guerrini, Forlani, che ha potuto seguire e partecipare in internet, a “Le primarie delle Idee per la rinascita dell’Italia”.

Portare infatti, come partito, le voci reali del paese, dei giovani e delle donne , per contribuire a definire, con i partiti di buona volontà, nuove piattaforme di intesa e Patti nazionali e regionali sui problemi economici, sociali, culturali, valoriali delle famiglie, delle aziende, dei lavoratori e dei disoccupati, della crescente povertà delle famiglie, delle drammatiche situazioni delle città del mezzogiorno e tra queste Palermo e Napoli, non solo sulla base dei sondaggi ( talvolta manipolati), ma dall’ascolto diretto del popolo, che guarda spesso con diffidenza i luoghi, gli incontri, le proposte della classe politica, è uno dei tentativi sperimentati nella Convention, costituenti il piano relazionale dell’UDC- Italia e dei numerosissimi siti, blog, diffusi in tutta l’Italia.

Compito, non solo del nostro partito, è quello di riportare alla politica quanti si astengono o protestano contro le caste politiche, amministrative, aziendali, succubi di una antipolitica, o meglio di una antipartica esternazione , strisciante e perniciosa, che sfocia nelle liste elettorali, come in Sicilia, bizzarre e fantasiose, dai Forconi al nipote di Sturzo, ai sindaci, ai localismi territoriali, ai simboli del genere leghista, al partito del Sud e della Trinacria (depositati 47 simboli con tanti giochini), per contenere ,all’insegna di Berlusconi e delle future elezioni nazionali, quanti in ritirata (dai disastri incorsi), cercano riferimenti solo elettoralistici, per ridurre il consenso all’UDC –Italia (effetto laboratorio per futuri sondaggi nazionali e previsioni conseguenti alla preannunciata riforma elettorale).

Abbiamo pertanto potuto ascoltare nella Convention le voci e le aspirazioni di un futuro politico diverso per il Paese, di un rinnovamento dei partiti e della sua classe dirigente, ai quali chiede “voce e risposta” la base del paese, esternando le proprie idee, predisponendo, nel contempo, strumenti nuovi della comunicazione, per dare al consenso elettorale ed al controllo degli eletti quanto di meglio possano offrire i sistemi elettorali più consolidati.

Il tema della riforma elettorale e delle preferenze è stato, pertanto, al centro dei più significativi interventi e dell’incontro delle delegate delle Pari Opportunità donne d’Italia, presieduto a Chianciano, dalla Responsabile nazionale Pari Opportunità Maria Teresa Fagà, per ridare all’elettorato maggiori possibilità nella scelta della classe dirigente ed assicurare la presenza delle donne nei governi politici e in quelli delle Aziende e delle amministrazioni pubbliche.

L’argomento è stato opportunamente trattato, più che per calcoli partitici particolari, per dare una svolta al rapporto tra cittadini, parlamentari e classe dirigente politica, rapporto distrutto nell’ultimo ventennio e ancora monco per quanto riguarda la partecipazione femminile e quella del mondo intellettuale, dei sindacati, delle professioni, del terzo settore.

Nel 150° dell’Unità d’Italia, a Marsala ,dove sbarcò Garibaldi, abbiamo riconquistato con l’UDC della Sicilia il comune con una donna, Giulia Adamo, oggi sindaco della città, pure presente a Chianciano. Un segnale per le altre amministrative del 2013

Si spiega in questo contesto l’entusiasmo delle partecipanti alla Convention destato dall’intervento di Emma Marcegaglia, quasi regina degli applausi tributatile, estimatrice degli interventi politici dell’UDC-Italia, una delle aspettative politiche del Paese.

Ed a Passera è toccata la stessa sorte nel lungo intenso dialogo con i giovani speranzosi di un futuro diverso e possibile.

Come donne, si è detto nella Convention, aspiriamo al rinnovamento ed alla integrazione della classe dirigente del Paese, partendo dalla base, dal popolo d’Italia, dai giovani, dalle famiglie ,dagli intellettuali ,dagli imprenditori, da “ascoltare” ed a cui, nei giorni scorsi ci ha richiamato, ancora una volta , il cardinale Bagnasco, invitando le forze del Paese ed i singoli cittadini alle responsabilità, per operare “assieme”, come afferma il presidente della CEI, per superare le difficoltà del momento e convergere al bene comune.

La nostra tradizione laica e non confessionale, ci permette di ricordare, talvolta con insistenza, le indicazioni dei vescovi per formare e fare emergere una nuova classe dirigente ai massimi livelli politici nazionali e locali, espressione delle diverse realtà, culture e voci del Paese .

Ed ora ci prepariamo alle assemblee provinciali ed a quella regionale delle donne di Sicilia, in vista della Convention nazionale programmata per i prossimi mesi.

Vogliamo contribuire a dare al nuovo simbolo, UDC-Italia tutto il carattere di una ricca prospettiva partitica, aperta maggiormente alle donne, alla società articolata e propositiva, all’attenzione di tutte le aree geografiche, culturali e sociali d’Italia ed a quella del Mezzogiorno, in particolare, ove le richieste di una legalità diffusa, giustizia, pari opportunità, sono legate ad un possibile ritorno alla politica non separatista, ma unitaria ed europea.

Qui viviamo il dramma della crescente disoccupazione giovanile e delle donne al limite della tollerabilità, mentre assistiamo all’esplosione degli incendi dolosi, dei boschi e delle discariche, alle carenze infrastrutturali dei trasporti, alla occupazione delle Chiese, ultima speranza di solidarietà e di accoglienza dei precari dagli incerti salari, dei lavoratori dalla forzata, quanto possibile,cassa integrazione per la chiusura delle fabbriche, dei super mercati, dei cantieri ferroviari e stradali, (Fiat, Raffinerie, Aerotrasporti, industrie elettroniche, ),mentre i migliori cervelli emigrano in Germania e nel mondo, impoverendo le comunità rurali come le grandi città.

Ed i precari, i disoccupati, i disamorati dalla politica, gli intellettuali, cercano energie, fuori dei partiti, o dentro improvvisati contenitori partitici, privi di contenuti.

Come donne, in particolare, vorremo dare, con un supplemento di attivismo degli enti locali e delle loro risorse produttive, il nostro apporto ad una reale sussidiarietà dei servizi alle famiglie ed alla gioventù, attestarci a recuperare , i ragazzi e i giovani che abbandonano gli studi, attraverso il potenziamento delle strutture scolastiche e parascolastiche, universitarie, di ricerca, di formazione professionale, per le potenziali risorse umane e di lavoro che potremo offrire in un domani, per i servizi, così necessari per la competitività dell’economia della Sicilia, (nel commercio, nel turismo, nell’agricoltura di eccellenza, nell’agroalimentare ), nella sua strategica posizione per l’Europa e la cooperazione con tutti i paesi mediterranei e l’Africa .

Vorremmo, nella tradizione culturale di Sturzo, di Sciascia, di La Pira, di Nigro, Abbate, Mazzamuto, Rabbito, Lauricella, Consolo, Bufalino e per le virtù mostrate dei tanti eroi civili e religiosi della nostra terra (da Falcone a Borsellino,a don Pino Puglisi, a Diana,) che il pessimismo che traspira da letterati come Matteo Collura, venisse superato da una eroica testimonianza dei partiti e dall’UDC-Italia, tra questi .

Non vogliamo più leggere amare considerazioni, come quelle dell’editoriale di Collura: ” I politici, gli intellettuali, i preti, noi giornalisti non facciamo altrochè illuderci ed illudere che ancora vi sia spazio per correttivi e terapie in grado di allontanare dal baratro le regioni del Sud, mentre chi ha occhi per vedere e meningi per ragionare si rende conto che il limite è stato già superato e quella che appare come vita non è altro che la fermentazione di un cadavere”.

Noi siamo ancora tra coloro che credono nella capacità reattiva e creativa degli uomini e delle donne, senza dimenticare la memoria di chi ci ha preceduto nell’interesse del bene comune dell’Italia.

Non rinunciamo, pertanto, alla fatica del vivere e del partecipare, con le idee e le testimonianze, anche nei Partiti, con i contenuti ed il patrimonio che come cattolici portiamo, per dialogare, a servizio del paese ,”legittimamente senza complessi e autorevolmente, sia all’interno di tutte le famiglie politiche europeiste, democratiche, riformiste, non populiste e attente a unire più che a dividere, sia in nuovi soggetti politici ”, come ci pare orientata una recente nota della presidenza dell’Ac, senza con ciò subire, pur rinnovando, come alla Convention di Chianciano, simbolo e strategie dell’UDC-Italia per il futuro del Paese e dell’Europa, il fascino di nuovi soggetti improvvisati o contenitori senza storia e senza contenuti.

 

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Centri e centrini

postato il 13 Settembre 2012

di Adriano Frinchi

E’ in questi giorni a disposizione una interessante indagine demoscopica condotta da Ipsos e commissionata dalle Acli sugli orientamenti politici dell’elettorato cattolico. La fotografia scattata da Ipsos è molto interessante: crollano le preferenze per il centrodestra, si passa dal 51,7% del 2008 all’attuale 31,2%, che viene superato dal centrosinistra (33,8%). L’area dell’ex Terzo Polo si ferma al 16,4% tallonata a sorpresa dal Movimento 5 Stelle che raccoglierebbe tra i cattolici il 13,7%. Ma il dato più rilevante è che il 43,1% dei cattolici non andrebbe alle urne. Secondo Ipsos questa diserzione delle urne è dovuta alla mancanza di una offerta politica convincente che, sempre secondo l’indagine, dovrebbe essere una lista civica nazionale non catalogabile come “partito cattolico”.

Fin qui l’indagine Ipsos-Acli che a dire il vero non fa che confermare un dato che, se così si può dire, era nell’aria. Non sembra però, almeno fino a questo momento, si muova qualcosa di significativo in questo senso. Ad eccezione di Pier Ferdinando Casini e dell’Udc sembrano infatti prevalere nell’area moderata veti e protagonismi e sullo sfondo rimane un Pdl paralizzato dalla paura e sempre più in crisi di identità. Nessun centro dunque ma tanti aspiranti ‘centri’.

In tutta onestà, e non per il semplice fatto di essere ospitato dal blog di Casini, sembra che gli unici ad aver capito urgenza e metodo di una nuova proposta politica siano proprio i centristi dell’Udc che a Chianciano hanno spalancato le porte ai protagonisti dell’esperienza del governo Monti e al mondo dell’associazionismo e dell’impresa, dimostrandosi anche disposti a fare un passo indietro rispetto alla consolidata realtà dell’Udc.

L’iniziativa di Casini tuttavia non è stata accolta con favore da altri due aspiranti protagonisti dell’area moderata, Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo e Fermare il declino di Oscar Giannino, che sono stati piuttosto velenosi con Casini e i suoi. Ora, non voglio fare la difesa d’ufficio di Casini, non penso ne abbia bisogno, ma ritengo che le posizioni di Montezemolo e Giannino, anche se in alcune parti condivisibili, non diano un contributo importante alla costruzione di quella proposta politica che gli italiani chiedono.

E’ il momento, anche per Montezemolo e Giannino, di dire cosa vogliono fare da grandi, di dire se vogliono o meno partecipare alla costruzione di una nuova area politica che raccolga l’eredità riformista del governo Monti. Per far ciò è necessario mettere da parte protagonismi e rispettive diffidenze perché se i moderati italiani pensano di costruire qualcosa cominciando a dire che Casini è troppo vecchio, Montezemolo troppo ricco e Giannino si veste male, non si andrà troppo lontano.

E’ necessario dunque che i ‘centri’ si incontrino, si confrontino e comincino a costruire la nuova proposta politica. Dietro l’angolo c’è il rischio dei ‘centrini’ di una galassia moderata pulviscolare che inevitabilmente farà vincere altri mandando in fumo il lavoro di Mario Monti. Gli anni recenti ci hanno insegnato che i ‘centrini’ danneggiano solo l’area moderata: è sufficiente pensare alle elezioni politiche del 2001 quando Forza Italia sfiorava il 30% e i centristi rimasero sotto il 5% perché divisi tra il tandem Ccd-Cdu (3,2%) e Democrazia Europea di Sergio D’Antoni (2,3%). Nella storia politica italiana ci sono poi altre esperienze politiche che per quanto di qualità e con eccellenti protagonisti rimasero sempre marginali perché incapaci  di incontrare altre tradizioni politiche.

La scelta a cui sono chiamati gli attuali protagonisti dell’area moderata è dunque tra una grande forza politica e l’ennesimo partitino con grandi aspirazioni e pochi voti. Il primo serve all’Italia il secondo è buono solamente per far aggiungere un’altra colonnina ai sondaggisti.

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T’insulteranno a gran voce e tu ridi, ti chiuderanno la bocca e tu scrivi

postato il 11 Settembre 2012

di Giuseppe Portonera

Luca Sofri, giornalista e autore del blog Wittgenstein, ha scritto domenica scorsa un post molto duro, a tratti gratuitamente cattivo, sicuramente disinformato, sul nostro partito. Lo ha scritto partendo da uno dei luoghi comuni più abusati della politica italiana: quello che vuole che l’Udc non abbia una linea politica, non parli di contenuti, si limiti a interessarsi solo di accordi e alleanze. Come ogni luogo comune, è sempre facile da usare: quando hai un buco da riempire, un post che non sai a chi dedicare, ecco che ti ricordi che c’è quel partito che tutti si ostinano a definire ininfluente, piccolo, ma che poi è sempre commentatissimo, qualsiasi cosa decida di fare. Ma, come ogni luogo comune, è anche facilmente smontabile. Andiamo con ordine.

Sofri esordisce andando sul sicuro (e stuzzicando le intelligenze migliori del suo pubblico):

“L’UdC è un non partito, che deve una sua considerevole forza elettorale alla raccolta degli avanzi degli altri partiti”

ma non contento, si procede:

“vota UdC chi non si riconosce in nessuna delle identità diverse incarnate dagli altri partiti, ed è infine rassicurato da un partito che non ha identità”.

e poi spara la bordata finale, accuratamente studiata:

“Conoscete una posizione dell’UdC sulla Giustizia? Sulla Scuola? Sull’articolo 18? Sul precariato? Sulle riforme costituzionali? Sulla ricostruzione della Rai? Sulle liberalizzazioni? Eccetera, grandi e piccole. Due sole posizioni sono chiare, dell’UdC: quelle retrograde e filoclericali sui temi etici e quelle sulla riforma elettorale”

Ora, appena letto questo post, ho immediatamente deciso di rispondere. L’ho fatto alle 22:01 del 9 settembre 2012: solo che il commento, stranamente, è rimasto in attesa di essere moderato fino all’indomani mattina. Dopo aver aspettato invano, ho deciso di farlo notare direttamente a Sofri, tramite un tweet: cinque minuti dopo era stato sbloccato, con relativa risposta dell’autore. Il mio commento è questo:

“Questo post è una delle cose più ridicole che abbia mai letto. E le spiego subito perché (ah, sono in conflitto di interessi, “milito” per l’Udc): si lamenta di non conoscere nessuna posizione chiara dell’Udc; ma mi risulta che lei faccia il giornalista, ha provato a informarsi, a documentarsi?

Andiamo per rapidi punti, non voglio certo svilire il dibattito di qualità che si è sviluppato tra i commenti.

  1. Sulla Giustizia: abbiamo ripetuto più e più volte che il nostro sistema giustizia ha grosse criticità e vanno risolte con quattro provvedimenti che riteniamo irrinunciabili e non rinviabili: anticorruzione, intercettazioni, responsabilità civile dei magistrati, situazioni delle carceri. Abbiamo ripetuto più e più volte che la Riforma della Giustizia è la prima riforma economica che serve a questo Paese (lo ha ripetuto anche Casini dal palco di Chianciano, oggi), perché la mala giustizia (intesa come somma dei tempi biblici delle cause, dei livelli di corruzione, dell’assenza della certezza del diritto e della legge) ci fa perdere moltissimo in competitività e sviluppo economico. Qui, per esempio, ne ho scritto (ma wow, dirà lei: questi sanno pure scrivere, non si limitano a dire rosari). 
  2. Sull’Art 18: sempre pensato fosse un “non problema”: la riforma del mercato del lavoro deve tutelare i più deboli. Quelli che l’Art 18 non ce l’hanno e non lo avranno mai.
  3. Sulle riforme costituzionali: su questo le posizioni all’interno del partito sono variegate (mannò, dirà lei: questi qui c’hanno pure le posizioni variegate! mica pensava esistesse solo Giovanardi, nevvero?). Su una cosa concordiamo però: se si vogliono fare davvero queste benedette (e a mio avviso, necessarie) riforme costituzionali, non si possono usare gli ultimi mesi di questa legislatura. Ne serve, di legislatura, una nuova e che sia costituente, fin dal principio.
  4. Sulla ricostruzione della Rai: abbiamo apprezzato le mosse del Governo e dei nuovi vertici Rai. Il nostro capogruppo in Vigilanza, Roberto Rao, ha sempre ripetuto che l’urgenza è rimettere in sesto i conti dell’azienda e dopo si potrà pensare anche ad aprire al Mercato l’azienda (perché vale il principio del “un servizio pubblico non è necessariamente statale”).
  5. Sulle liberalizzazioni: mi scusi, ma qui ho riso. Cioè, se lo ricorda chi ha mandato in vacca le liberalizzazioni del Governo Monti? E davvero non si ricorda di cosa dicemmo noi all’epoca? Era per caso in vacanza, aveva il pc spento? Le do una notizia: noi vogliamo un piano serio, organico e vasto di liberalizzazioni e privatizzazioni. (ummaronna!!! un altro post, le giuro che non la importuno più, poi).

Ora, avrà notato che le ho linkato diversi pezzi che ho scritto (il conflitto d’interessi l’ho dichiarato su). Non so se lei, oberato com’è di lavoro e impegnato a scrivere certi post deliziosi, aveva mai buttato prima l’occhio sul sito di Pier Ferdinando Casini (immagino di sì: il lavoro del giornalista è quello di informarsi e informare, no?). Se non l’avesse mai fatto, ci provi: scoprirà che non abbiamo “intellettuali” vicini all’Udc, è vero (?), ma le idee ce le abbiamo lo stesso. Certo, per dire: queste idee le sintetizziamo e le argomentiamo in post che scriviamo noi, semplici ragazzi, che non abbiamo mai pubblicato un libro, insegnato in un’Università prestigiosa, scritto sui grandi giornali nazionali (io però ho diretto il giornale scolastico del mio liceo, ci tengo che si sappia). Semplici ragazzi, ok, ma che non permettono certo di farsi trattare così, con sufficienza e altezzosità (e non dica che è così, mi ha appena detto che sono come il traffico dopato che si compra su Google, gesùmio).

Ultima cosa: il partito cresce per gli scarti che ruba agli altri? Lo vada a dire ai volontari e ai militanti che sono stati a Chianciano, quest’anno. Lo vada a dire ai protagonisti di questo articolo (scritto da un giornalista che aveva prima messo in dubbio l’esistenza dei militanti Udc, poi è venuto qui a Chianciano e ha cambiato idea: chissàcomemai) http://www.repubblica.it/politica/2012/09/08/news/udc-42190931/. Buone cose”.

La controrisposta di Sofri, invece, è questa:

Rispondo a “Portos” (nomi e cognomi da adulti, neanche nell’UdC):
1. Non vedo una sola posizione sulla giustizia in quello che scrive: “riforma della giustizia” la vogliono tutti.
2. E quindi nessuna posizione neanche su questo.
3. posizioni “variegate” e quindi nessuna posizione del partito.
4. “rimettere in sesto i conti”: come, non si sa. Privatizzare? Vendere due reti? Una? Una rete senza pubblicità? Una fondazione? Boh.
Mantengo la mia opinione (informata), mi spiace se ne sia offeso: sui “militanti” e sull’efficienza della macchina non ho mai avuto dubbi, come ho scritto.

In sostanza, a ogni rilievo mossogli il nostro Sofri ha risposto che “io continuo a non vedere nulla”. Perfetto. Facciamo allora che mentre molti giornalisti passano il loro tempo a criticare l’attività politica di un partito, senza neanche conoscerla, noi continuiamo a lavorare, a mettere su idee, a trovare il modo di renderle concrete. E facciamo pure che da ora in poi ce ne freghiamo di chi ci offende e ci tratta con così tanta sufficienza e altezzosità.

(il titolo è preso in prestito dalla canzone degli Articolo 31, I consigli di un pirla)

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L’intervento a Chianciano

postato il 9 Settembre 2012
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L’arcobaleno del cardinale Martini

postato il 3 Settembre 2012

di Adriano Frinchi

Si è scritto tanto in questi giorni sul cardinale Carlo Maria Martini, credenti e non si sono cimentanti in un ricordo, in un commento, in un messaggio di addio, ma probabilmente il messaggio più bello e significativo non è stato vergato da mano umana ed è stato felicemente notato dall’assessore alla cultura di Milano Stefano Boeri su Twitter:

 L’arcobaleno nella Sacra Scrittura è il segno dell’alleanza di Dio con l’uomo è il segno visibile della sua benedizione. A tanti è piaciuto pensare a questo arcobaleno nelle stesse ore della nascita al cielo del vescovo Carlo Maria come una delicatezza del Padre celeste per questo suo figlio innamorato della Parola divina.

L’arcobaleno sul cielo grigio di Milano è segno di speranza, di consolazione per tutti noi pellegrino su questa terra, ma è anche la chiave per comprendere la figura e il messaggio di Carlo Maria Martini che è vissuto nella e per la centralità della Parola di Dio.

Scriveva Martini nella sua ultima lettera pastorale alla diocesi ambrosiana:

Sulla tua parola getterò le reti : le getterò continuando a nutrirmi di ogni parola che esce dalla tua bocca e offrendola a coloro a cui mi hai inviato. Le getteremo insieme, rilanciando con entusiasmo l’impegno dell’ascolto, della meditazione perseverante e amorosa, dell’annuncio della Parola di vita. Le getterò nei mari calmi della fede accogliente, come in quelli tempestosi del dubbio e della tentazione di non credere. Le getterò a tempo e fuori tempo, perché sempre e solo dalla tua Parola nasca ogni mia parola, e perché in ogni sua scelta la Chiesa da te affidatami sia la creatura docile e fedele del tuo Verbo di vita.

Forse in queste poche righe c’è tutta la vita e il messaggio del cardinale Martini e quell’arcobaleno è segno del compimento di quanto scritto dall’arcivescovo emerito di Milano.

Ci sarà tempo per riflettere e scrivere sull’opera di Martini, ma per adesso ci basta questo arcobaleno che interroga, proprio come fece il vescovo Carlo Maria, credenti e non credenti.

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#Meritiamolo

postato il 30 Agosto 2012

Siamo un gruppo di appassionati di politica, principalmente giovani, pieni di entusiasmo e di voglia di darsi fare e consapevoli che, a questo, deve aggiungersi una grande forza di volontà e la capacità di concretizzare le belle idee. Aspiriamo ad essere quella forza in grado di portare un reale cambiamento nella politica italiana, senza aver paura di mettersi al timone ma senza fare i finti-ammutinati che in realtà vogliono farsi solo pubblicità. L’1 settembre 2012, dalle 9 di mattina fino alle 18 di pomeriggio, ci ritroveremo a Forte Marghera (Mestre) e sarà: “#Meritiamolo”.

Abbiamo deciso di lanciare un’iniziativa diversa dal solito. Di questi tempi in politica si parla molto di ricambio della classe dirigente dei partiti. Molti giovani (e meno giovani) impostano questa battaglia sul concetto di età: c’è chi parla di rottamazione, chi di ricambio generazionale, chi di formattazione.
Riempire il Parlamento, i Consigli Regionali (etc. etc.) di Renzo “Trota”, Minetti e via dicendo, solo perché giovani, sarebbe un errore: non basta essere giovani per essere svegli, capaci, onesti.
Che vi sia bisogno di un ricambio è indubbio. Il punto vero è quale sia il mezzo giusto per operarlo. La valutazione secondo noi deve basarsi sulla capacità (politica, ovviamente). Lo spazio ai giovani dev’essere dato abolendo le rendite di posizione e lasciandoli competere alla pari: non regalandolo. Per questo abbiamo deciso di portare avanti iniziative che si basino sul concetto di capacità, di impegno, in sostanza di “merito”.

Il nome della nostra prima iniziativa è quindi MERITIAMOLO. Al nome anteponiamo un #, per qualificarlo come evento social e wired. #Meritiamolo sarà impostato sui contenuti.

Abbiamo costruito un sito internet in cui proporre e discutere idee e punti programmatici su “Il Paese che vorrei” e su “Il partito che vorrei“. Vi invitiamo a darci un’occhiata e a partecipare con le vostre idee.
Il futuro della nostra generazione, il futuro dell’Italia e il cambiamento che vogliamo vedere nelle cose, non arriveranno come doni dal cielo: dobbiamo guadagnarceli, dobbiamo meritarli.

La raccolta delle idee culminerà nella giornata di SABATO 1 SETTEMBRE nell’ex polveriera austriaca di Forte Marghera, a Mestre. Un luogo spartano, dove ci troveremo all’insegna della semplicità e del confronto. L’evento sarà diverso dalle solite convention politiche: niente fronzoli, niente giacche e cravatte, interventi liberi (di 5 minuti, onde evitare il parlarsi addosso), interruzioni e domande dal pubblico, niente palchi o poltroncine da auditorium; il palco sarà una cassetta della frutta e le poltroncine degli scatoloni su cui sedersi. Se verrà qualcuno di importante, sarà messo sullo stesso piano degli altri.

Ci divideremo in due gruppi che lavoreranno tutto il giorno alle proposte presentate via internet e direttamente all’evento. Alla fine sintetizzeremo le proposte migliori e le proporremo al partito. La struttura dell’evento spiega da sé ciò che vogliamo: una politica più povera e più orizzontale, a contatto con la realtà dei cittadini. Niente sale convegni di hotel chic, niente tavole rotonde con giornalisti stra-fighi, niente illustri relatori a pagamento. Solo persone che discutono liberamente di come fare a cambiare questo Paese.

L’organizzazione spartana ci ha anche permesso di contenere al massimo i costi (quasi nulli, pur senza avere alcuno sponsor). I partecipanti pagheranno solo il pranzo (14 euro a testa per un menù fisso nel ristorante del Forte).

Crediamo che l’iniziativa possa essere interessante. Se desiderate partecipare potete farlo da subito sul sito internet (www.meritiamolo.it), via Facebook o via Twitter e infine venire l’1 settembre (qui il programma completo). Unica richiesta per motivi organizzativi: la registrazione anticipata per permetterci di sapere quanti saremo (clicca qui).

I nomi di fondatori e promotori sono sul nostro sito.

Per maggiori informazioni, contattateci tramite

sito internet
meritiamolo su fb
meritiamolo su twitter

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Per crescere non bastano le infrastrutture fisiche. Ripartiamo da Agenda Digitale e Giustizia

postato il 23 Agosto 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Forse ci siamo. Domani, il CDM tornerà a riunirsi dopo la breve pausa estiva e il tema all’ordine del giorno sarà solo uno: trovare, inventare, rendere fattibili le misure necessarie alla crescita. Dopo una lunga, forse troppo, fase 1 dedicata al rigore e all’austerità (costellata di alcune riforme riuscite bene, le pensioni, altre riuscite meno, il lavoro, altre ancora da far riuscire, la spending review) è giunto il momento della tanto attesa fase 2, quella dedicata alla crescita e allo sviluppo. Dopo l’intervista del Presidente Monti a Tempi, e gli interventi dei ministri Passera e Fornero e del viceministro Ciaccia, comincia a delinearsi la strategia che il Governo ha deciso di mettere in campo: defiscalizzare i cantieri delle nuove opere pubbliche, per invogliare gli imprenditori a impegnarsi, tagliare le tasse (ormai insostenibili) sul lavoro, ridurre ancora la spesa pubblica. Si è scelto quindi di intraprendere un cammino vecchio stampo, con la messa in opere di nuovi cantieri, che – secondo le stime dei tecnici del ministero dello Sviluppo – dovrebbero portare ad aumentare il nostro PIL di almeno 5 punti entro il 2020.

È una via solida per tornare a crescere. Eppure, forse, insufficiente. La fase 1 del Governo Monti ci ha insegnato infatti che lo sviluppo si insegue, prima di tutto, rimettendo in piedi i fondamentali della nostra economia: le riforme strutturali, infatti, hanno avuto il compito – spesso ingrato, forse addirittura truce per la rapidità dei tempi – di correggere le profonde storture e distorsioni del nostro sistema Paese. Su questa strada noi dobbiamo continuare: ok ai nuovi cantieri, ma non si può pensare che altri ponti, strade o tunnel possano bastare al nostro PIL. Più che di altre infrastrutture fisiche, noi abbiamo bisogno di un altro tipo di infrastrutture, che sono quelle che riguardano – in primis – lo spread digitale che ci separa dal resto d’Europa e la riforma della Giustizia (che come abbiamo detto e ripetuto, è la prima grande riforma economica di cui necessitiamo).

Ieri, Massimo Sideri sul Corriere, ha messo in luce il grave e colpevole ritardo del nostro Paese su Agenda Digitale, che sembra non capire che un provvedimento del genere non è un semplice palliativo ma è “una politica economica che dovrebbe fare da collante a tutto il resto” e pertanto non va approvata “«dopo» la crescita, la spending review e le politiche per l’occupazione, ma di pari passo”. Questo viene però osteggiato da due fattori: il primo, il nostro elefantiaco Stato-Moloch difficilmente accetta qualche cambiamento che potrebbe rivoluzionarlo; il secondo, il radicato pregiudizio nostro e nei nostri confronti, che ci porta a credere poco nella possibilità di usare Agenda Digitale come strategia per la crescita e che allontana da noi la possibilità di investimenti esteri. Su questo il Governo deve intervenire, con decisione, perché un’Italia veramente 2.0 garantirebbe la creazione di migliaia di posti di lavoro nel futuro, riattivando le energie migliori del nostro tessuto imprenditoriale (fatto storicamente da PMI: sarà un caso che stiano nascendo sempre più start up?).

E due. Trasporti più veloci e efficienti servono sicuramente a garantire un commercio più veloce e redditizio: ma risparmiare una, due ore di strada ci servirà sul serio, quando però un’impresa deve aspettare diversi anni per la risoluzione di una causa civile e la corruzione divora metà dei nostri fondi? Ovviamente no, e non è un caso che nell’Indice di libertà economica l’Italia si collochi solo al 92°, tra i paesi mostly unfree. Ecco perché la riforma della Giustizia è più urgente che mai, perché se non riformiamo le nostre infrastrutture giudiziarie, a ben poco varranno nuove colate di cemento: snelliamo i tempi del sistema giudiziario, riorganizziamo e razionalizziamo sul territorio le sedi giudiziarie, assicuriamo la certezza del diritto e della legge.

Perché per crescere le infrastrutture fisiche non bastano: se contiamo solo su queste, potremmo anzi ottenere un effetto contrario a quello sperato, con un aumento ingiustificato e inutile del debito pubblico. Se invece, insieme a queste, sceglieremo di intraprendere finalmente misure alternative e nuove, potremo dire di aver davvero dato il via a una “fase 2”. Non solo del Governo attuale, ma della storia del Paese.

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Sisma: Governo proroghi scadenze fiscali

postato il 23 Agosto 2012

È indispensabile che il Governo proroghi al 30 novembre le scadenze fiscali per le popolazioni delle zone colpite dal terremoto sin dal Consiglio dei Ministri di domani e si impegni ad una ulteriore proroga per coloro che a quella data non avranno a disposizione le abitazioni agibili o per quelle imprese che non avranno ancora ripreso l’attività.
In questi mesi sindaci, amministratori e cittadini delle zone colpite dal sisma hanno dato dimostrazione di efficienza e virtuosità che debbono essere di insegnamento per tutti.

Pier Ferdinando

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