Tutti i post della categoria: Spunti di riflessione

Perché abbiamo bisogno di un nuovo degasperismo

postato il 19 Agosto 2012

di Giuseppe Portonera

Il 19 agosto 1954, moriva Alcide De Gasperi, primo Presidente del Consiglio dell’Italia repubblicana e uno dei pochi statisti che la nostra storia politica e amministrativa abbia mai conosciuto. Fu una morte improvvisa: solo un anno prima, De Gasperi si era ritirato dalla scena politica, e il suo ricordo era ancora tanto vivo tra il popolo, che il trasporto della sua salma verso Roma fu rallentato più e più volte, per via delle masse che vollero tributargli un ultimo saluto.

Con oggi, sono 58 gli anni trascorsi dalla morte di De Gasperi. E in tutti questi 58 anni l’assenza di De Gasperi – o meglio, di una politica che fosse ispirata ai valori del degasperismo – è stata pesante: tanti sono stati gli uomini che hanno avuto l’ardire di professarsi eredi di De Gasperi; pochi sono stati quelli che hanno avuto la forza e il coraggio di seguire il suo esempio. Casini stesso, sul Corriere di ieri, ha scritto che “tutta la classe politica, e vorrei aggiungere anche gran parte della classe dirigente italiana, dovrebbe chiedere scusa a De Gasperi. In questi anni abbiamo pensato tutti troppo alle elezioni, agli interessi di partito, di categoria e di corporazione, e poco, o niente, alle prossime generazioni”. Il monito dello statista trentino a salvaguardare il futuro delle prossime generazioni, piuttosto che il proprio tornaconto elettorale, è stato puntualmente disatteso: faceva comodo citarlo nei comizi, ma guai a tradurlo poi in azione politica.

Nei suoi 8 anni di governo, De Gasperi riuscì a rimettere in piedi l’economia del Paese, scongiurando al contempo una sua disgregazione dopo la guerra, e una sua piena accettazione nel novero delle democrazie occidentali. De Gasperi capì, in anticipo sui tempi, che la grande polarizzazione verso cui il mondo stava andando (USA-URSS) non poteva vedere l’Italia neutrale: bisogna fare una scelta di campo, e la si doveva fare a sostegno del modello liberale e democratico incarnato dagli Stati Uniti; senza che questo, però, si traducesse in un grigio appiattimento. Fu proprio De Gasperi, infatti, insieme ad altri grandi uomini come Schuman, Adenauer e Spinelli, a capire che dall’orrore e dalle macerie della seconda guerra mondiale si usciva solo edificando la comune casa europea: lui, che era nato sotto la dominazione dell’Impero Asburgico, aveva compreso che il futuro non apparteneva agli Stati nazionali, prede di facili e pericolosi egoismi, ma a un’Unione Europea che sapesse farsi garante e interprete della nostra storia millenaria. Anche la sua azione politica appare attualissima: egli chiamò presso i dicasteri più delicati – quelli economici – gente del calibro di Einaudi, Vanoni e Pella, che seppero risollevare il Paese grazie all’apertura convinta al libero mercato, al liberismo e alla scelta di contrastare gli interessi corporativi e liquidare i residui dello Stato imprenditore fascista (operazioni queste vanificate, purtroppo, negli anni successivi alla scomparsa dello statista).

De Gasperi è stato unico e irripetibile, inutile negarlo. Ma il suo modello di leadership è quella a cui ci dovremmo ispirare: come ogni leader degno di questo nome, De Gasperi aveva ideali e convincimenti forti e un modello di società, nettamente opposto sia a quello fascista che a quello comunista, da applicare e rendere reale. Il suo impegno politico non si traduceva semplicemente nell’amministrazione d’ufficio del Paese, ma nella sua espressa volontà di riformarlo, di trasformarlo in profondità. Il suo essere cattolico impegnato non diventò quindi un limite, un tratto divisore: anzi! Proprio perché cattolico impegnato, egli si sforzò (e riuscì) ad essere quanto più inclusivo possibile, perfino quando – nel 1948 – avrebbe potuto benissimo governare l’Italia da solo e scelse invece di allearsi con altri partiti minori. E come dimenticare il suo rifiuto dell’”Operazione Sturzo”? Quando la Santa Sede voleva imporgli di allearsi perfino con i neofascisti, pur di vincere i comunisti, e lui “un povero cattolico della Valsugana” disse di no al Papa, scegliendo in autonomia la linea politica del proprio partito. Questa è la più grande lezione di laicità che un cattolico impegnato in politica dovrebbe tenere bene in mente, piuttosto che prodigarsi a ottenere il consenso di questa o di quella parte della gerarchia.

Più che di un nuovo De Gasperi, only the free can choose (come scrisse il Times), avremmo quindi bisogno di un nuovo degasperismo. Che poi, altro non è che l’espressione più autentica e vera della buona politica. Della Politica che ci serve.

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Monti e quella lezione di De Gasperi da proiettare nella nuova legislatura

postato il 18 Agosto 2012

Pubblichiamo la lettera di Pier Ferdinando Casini al Corriere della Sera

Caro direttore,
nemmeno un mese fa il presidente del Consiglio Monti, alla domanda di un giornalista russo sulla via d’uscita migliore dalla crisi, ha risposto con le parole di Alcide De Gasperi: “Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”.
Naturalmente non so se la scelta di rievocare quella celebre frase proprio in Russia, un Paese dai tratti fortemente populisti, sia stata casuale. Quello che so è che tutta la classe politica, e vorrei aggiungere anche gran parte della classe dirigente italiana, dovrebbe chiedere scusa a De Gasperi. In questi anni abbiamo pensato tutti troppo alle elezioni, agli interessi di partito, di categoria e di corporazione, e poco, o niente, alle prossime generazioni. Dimenticando una lezione che De Gasperi, peraltro, non aveva predicato nel deserto. Perché il testimone lasciato dallo statista trentino di cui ricorre il 58°anniversario della scomparsa, nel tempo è stato raccolto da uomini come Fanfani, La Malfa o Moro. Personalità capaci di guidare il Paese, attraverso scelte anche impopolari, fino a risultati straordinari, con tassi di crescita che oggi definiremmo “cinesi”, un Pil pro capite da quarta-quinta potenza economica mondiale, un’industria manifatturiera seconda solo alla Germania. Poi ci siamo seduti. [Continua a leggere]

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Sulle tasse basta prendere in giro gli italiani

postato il 16 Agosto 2012

Davanti a una pressione fiscale eccessiva, abbassare le tasse è un obiettivo comune, ma non si possono nuovamente prendere in giro gli italiani con promesse che rischiano di rimanere sulla carta.
Pier Ferdinando

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Il buio della disinformazione

postato il 10 Agosto 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Scavone (lettera inoltrata alla redazione del Tg1)

Egregi giornalisti e redattori del Tg1,

più volte nel nostro Paese si torna a discutere (e a dividersi) sulla libertà e l’obiettività dell’informazione. Un tema senza dubbio cruciale, che non dovrebbe di norma presentarsi nella vita di un paese civile. Soprattutto se le riflessioni nascono in riferimento al telegiornale di punta del servizio pubblico.

Parlo di me e della mia esperienza personale. Credevo finita l’era Minzolini, l’era di telegiornali sfacciatamente di parte, con servizi monocolore ed editoriali da far accapponare la pelle (perdonate la sincerità). Ma, forse e purtroppo, mi sbagliavo. E ne ho avuto la triste prova negli ultimi giorni, quando il dibattito politico – seguendo la scia delle temperature agostane – si è fatto più rovente ed infuocato. Dibattito che ha visto il Popolo della Libertà accanirsi su Casini, reo di aver dichiarato di essere disponibile nel 2013 ad una convergenza con i riformisti, per dare continuità al lavoro iniziato da Monti. Non sono intenzionato ad entrare nel merito del dibattito, pur riservandomi di notare con stupore l’esagerata rabbia che ha contornato tutte le dichiarazioni degli esponenti del Pdl (cito emblematicamente Lupi “Chiederemo sua espulsione dal PPE” ). Rabbia a cui sono state contrapposte risposte nel merito, ultima fra tutte la lettera di Casini al Corriere della Sera .

Peccato che spesso i media siano ciechi, non si sa per quale ragione, di fronte a questi scambi di battute, preferendo riportare notizie monche e distorte. E’ il caso dell’edizione del TG1 di ieri sera, nella quale è apparso un servizio sull’argomento. Guardandolo, ho notato un evidentissimo sbilanciamento dalla parte delle dichiarazioni degli esponenti Pdl, riservando a Cesa una misera e non conclusiva replica. Proporre al telespettatore un servizio incompleto nell’edizione principale, quella delle ore 20, è già discutibile. Ma è ancor più deprecabile che ciò si ripeta nelle edizioni successive, dimostrando che quell’incompletezza d’informazione era voluta e non derivante da fretta o ritardo nell’aggiornamento.

Allora ho ritenuto tanto doveroso quanto spontaneo scrivere ai vertici del partito, non tanto per portarli a conoscenza dell’accaduto, bensì per sentire il loro parere a riguardo. La risposta del capo della segreteria politica, Antonio de Poli, è stata chiara e precisa. “È chiaro che in un momento delicato per la politica e per l’informazione ci sarebbe bisogno di credibilità e professionalità.

Rivolgo a voi questa breve riflessione, unitamente alla mia disapprovazione. Monti pochi giorni fa ha parlato di una luce che si incomincia a vedere in fondo al tunnel della crisi. Il Paese  ha bisogno di quella luce, non offuschiamola o danneggiamola con il buio della disinformazione.

Cordialmente,

Francesco Scavone

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Noi a carte scoperte. L’unica via anti crisi è una grande coalizione

postato il 7 Agosto 2012

Pubblichiamo dal “Corriere della Sera” la lettera di Pier Ferdinando Casini al Direttore, Ferruccio De Bortoli

Caro direttore,

il professor Angelo Panebianco con il suo fondo «Il dilemma dei centristi» e l’onorevole Angelino Alfano nella sua intervista al «Corriere» affrontano da angolature diverse il tema dell’Italia, del suo futuro e del ruolo dei centristi. Mi permetta alcune considerazioni.
Noto una gran voglia da parte di tutti i protagonisti della politica italiana di affrettarsi a tornare al passato, di archiviare il governo Monti e questa stagione come se fosse un incidente della storia, un ingombro da cui liberarsi al più presto per tornare alle meraviglie già viste. A sinistra affiorano nostalgie diffuse per alcuni governi come quello di Prodi che non hanno certo lasciato un gran ricordo negli italiani. A destra la cosa è ancora più visibile: dopo 20 anni si ripropone Berlusconi rimuovendo qualsiasi autocritica sul fallimento della cosiddetta rivoluzione liberale troppe volte annunciata e avanzando le solite promesse di abbassamento della pressione fiscale, abolizione dell’Imu e via cantando come se chi le propone in questi 20 anni fosse stato sulla luna.
A Bersani va dato atto di aver capito che è necessario introdurre qualche elemento di novità e non a caso parla di patto tra progressisti e moderati; nel Pdl nulla che non sta il ritorno a un passato già sperimentato e le stesse problematiche dell’Italia di oggi servono ad accreditare l’idea che Berlusconi sia stato solo vittima di una congiuntura europea sfavorevole.

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Combattere la malasanità

postato il 1 Agosto 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Ancora un caso di “malasanità” denunciato dal “Mattino”: diciannovenne diabetico muore dopo infusione di una flebo di cortisone. Leggere queste notizie, come il bambino morto per la trasfusione di latte, mette addosso un’ enorme rabbia e tristezza; i responsabili, spesso a causa di negligenza o di mancato rispetto delle pratiche di prevenzione sanitaria, meritano di presentarsi davanti alla giustizia.

Tuttavia penso che a volte dovremmo fare anche trasmissioni in cui parlare delle buone notizie, delle vite salvate, dei trapianti e delle operazioni riuscite, dei centinaia di successi che avvengono ogni giorno in tanti ospedali italiani e che sono il 99% della sanità.

Mi raccontava un neurochirurgo di un paziente che l’aveva citato in giudizio per una cicatrice lasciatagli 15 anni prima in un’operazione in cui gli aveva salvato la vita, gli aveva chiesto i danni morali.

Sento un clima di generale sfiducia verso la sanità, dai casi più piccoli, come la signora anziana in pullman che confessa all’amica di far finta prendere i medicinali per la pressione che gli ha dato il medico di famiglia perché “vuole fare esperimenti sulla mia pelle”, ai casi gravi, come quelle persone che pensano che l’Aids sia solo un’invenzione della cause farmaceutiche o pensano di curare un tumore con parole magiche e infusi di erbe.

Combattiamo duramente la malasanità e  il sentimento di disagio e di disprezzo che in tanti, in troppi, hanno verso la medicina.

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Se Orbán torna alla carica e pensa a sostituire la democrazia

postato il 30 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Della difficile e controversa situazione ungherese mi sono già occupato precedentemente, quando il premier di centrodestra del Paese, Viktor Orbán, aveva dato avvio a una preoccupante “svolta a destra”, smettendo i panni dell’uomo di governo moderato e liberale e indossando quelli dell’uomo forte, presunto artefice della rinascita nazionalista della “Grande Ungheria”. Avevo già all’epoca espresso profonda preoccupazione per come gli avvenimenti stavano precipitando (anche dal punto di vista economico, visto che l’Ungheria risente pesantemente della crisi) e avevo avanzato l’idea che l’Europa – a riprova del fatto che è comunità democratica, prima che sede di scelte tecniche – non potesse restare inerme mentre in uno dei suoi Paesi membri la Democrazia veniva messa a dura prova.

Ora, la situazione – che sembrava inizialmente rientrata nei binari – è tornata in una fase critica. Due giorni fa, Orbán, intervenendo a un meeting dell’associazione degli imprenditori magiari, ha addirittura evocato la possibilità di dover inventare un “nuovo sistema” che sostituisca quello democratico, perché il suo popolo, “semi-asiatico”, “capisce soltanto la forza”: “noi speriamo che non sia necessario introdurre un nuovo sistema che rimpiazzi la democrazia, ma noi abbiamo comunque bisogno di nuovi sistemi economici e di nuove idee”; mentre a un raduno studentesco nella città di Baile Tusnad ha attaccato duramente la UE, accusandola di perdere tempo dietro “ai giocattoli per maiali e allo stato d’animo delle oche, mentre centinaia di migliaia di cittadini stanno perdendo il lavoro e la moneta unica sta collassando”. Due attacchi, speculari e complementari, che chiariscono il modello di azione politica che Orbán sembra ormai deciso a portare fino in fondo: rafforzamento del potere centrale in patria (non escludendo svolte veramente autoritarie) e progressivo sganciamento dalle istituzioni comunitarie, approfittando del malcontento popolare e delle difficoltà del momento.

Già in Ungheria le reazioni sono state di sdegno diffuso. Népszava, quotidiano di sinistra sottolinea che “se qualcuno dubitava ancora che Orbán fosse un partigiano dei regimi autoritari e non della democrazia ci ha pensato lui stesso a dimostrarlo. Il suo discorso non è stato un lapsus, ma un’espressione dei suoi pensieri più reconditi. Ora sappiamo cosa pensa dell’Europa, dell’Ungheria e della democrazia”. Persino Magyar Nemzet, il quotidiano tradizionalmente più vicino al primo ministro, fa fatica a difenderlo. Secondo il quotidiano “la diagnosi sull’Unione è abbastanza pertinente: il problema è trovare il giusto mezzo tra interesse nazionale e interesse comune. Quello che abbiamo ascoltato da Orbán è un monologo, e non un dialogo. Questo non è un buon segno”. Ma le parole più nette arrivano dal settimanale liberale Magyar Narancs, che scrive: “se daremo una nuova chance a Orbán nel 2014 gli daremo ragione, perché dimostreremo che siamo veramente un popolo semi-asiatico”.

Appare chiaro, quindi, come le prese di posizioni di Orbán siano ben oltre il livello di guardia consentito. È qui che entriamo in gioco noi, con l’UE: se vogliamo mantenere l’Ungheria di Orbán all’interno dei limiti di una democrazia veramente tale, dobbiamo agire, scegliendo accuratamente i nostri obiettivi e il metodo da seguire (distinguendo le scelte politiche non condivisibili ma legittime, dal resto) e ribadendo la difesa dei nostri principi democratici e costituzionali. Contro ogni involuzione reazionaria e autoritaria. Contro il ritorno di spettri che questa crisi economica rischia di rendere più consistenti.

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L’identikit del leader

postato il 30 Luglio 2012

di Michele Salvati

«Das Madchen», la ragazza, così Helmut Kohl chiamava Angela Merkel, con affetto e condiscendenza. E che dire del confronto tra Hollande e il grande «florentin», François Mitterrand? O, ancora più schiacciante, tra Sarkozy e de Gaulle? O tra Tony Blair e Ed Miliband? Carità di patria mi trattiene dal paragonare i nostri attuali leader politici con i padri della Repubblica e questi pochi riferimenti servono solo a ricordare quanto siano comuni tali confronti, non solo in Europa. E quanto siano unanimi nel doppio giudizio che esprimono: non ci sono più i grandi leader democratici del passato e questo è insieme causa ed effetto del decadimento delle nostre democrazie. Quanto c’è di vero in questo doppio giudizio?

Prima di rispondere, chiediamoci chi sono i grandi leader democratici. Sono leader democratici coloro che non sovvertono le istituzioni fondamentali di una democrazia liberale: per un grande leader, per chi è profondamente convinto della necessità storica del proprio progetto, la tentazione di liberarsi degli impacci dei partiti, della rappresentanza e del parlamentarismo può essere molto forte. Essi sono dunque un sottoinsieme dei grandi leader, di coloro che cambiano il corso della storia, del loro Paese o di aree più vaste: Napoleone, Mussolini o Lenin sono stati grandi leader, grandi capi carismatici, ma non leader democratici. Cavour o Gladstone o de Gaulle lo sono stati. Questo precisato, chiediamoci ancora quali sono i caratteri essenziali e storicamente accertabili di un grande leader democratico, oltre a quello di porre come vincolo alla propria azione innovatrice le istituzioni di base di una democrazia liberale. Volendo molto semplificare, a mio avviso i caratteri essenziali sono due.

Il primo ha a che fare con la natura del progetto politico al quale essi dedicano la loro vita. Deve trattarsi di un progetto storicamente progressivo, che apre nuovi orizzonti di sviluppo economico, sociale e culturale al Paese di cui hanno la responsabilità politica e al contesto internazionale in cui è inserito. Di solito si tratta di rompere una situazione di stallo o di ristagno, prodotta da tenaci forze di conservazione che tenderebbero a perpetuarla. Il secondo carattere ha a che fare con la difficoltà del progetto, con la resistenza delle forze nazionali e internazionali, economiche, sociali e politiche, che devono essere piegate per realizzarlo. Più grande e innovativo il progetto, più tenaci le forze di conservazione, maggiore è la grandezza del leader, se riesce ad attuarlo e a mantenersi nei confini della democrazia. Ma chi valuta se il progetto era un grande progetto, un progetto che era giusto perseguire, e quanto fossero elevati gli ostacoli che vi si frapponevano? Valuta la storia, naturalmente, e la storia — ovvero il consenso delle principali correnti di studi storici — non è un giudice perfetto: giudizi dissidenti, a volte vere inversioni nel consenso dominante, sono comuni tra gli studiosi seri. E più veniamo a leader vicini nel tempo, meno distanti dai problemi politici che ancor oggi affrontiamo, maggiori sono ovviamente i dissidi.

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In memoria di Rocco Chinnici

postato il 29 Luglio 2012

Il 29 luglio 1983 la Mafia uccideva con una Fiat 127 imbottita di esplosivo il giudice Rocco Chinnici, gli addetti alla sua sicurezza, maresciallo Mario Trapassi e appuntato Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile dove abitava Chinnici, Stefano Li Sacchi.

Nel marzo 1983, quattro mesi prima di essere ucciso, il consigliere istruttore di Palermo Rocco Chinnici rilasciò un’intervista al giornale degli universitari della Fgci, Mobydick. A porgli le domande, sulla nuova legge riguardante la confisca dei beni ai mafiosi, era una giovane studentessa, Franca Imbergamo, oggi sostituto procuratore generale a Caltanissetta.

 

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Buon compleanno a Giovanni Bersani, eroe del nostro tempo

postato il 22 Luglio 2012

Buon compleanno a Giovanni Bersani, un giovane nato nel 1914!
Dall’Africa all’Europa, dalle campagne alle fabbriche: cent’anni sono dietro l’angolo per un eroe del nostro tempo.

Pier Ferdinando

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