Tutti i post della categoria: Immigrazione

E’ il momento del cordoglio, no a sciacallaggi

postato il 7 Febbraio 2011

Questo è il momento del cordoglio comune dell’intera comunità nazionale per la morte dei quattro bambini rom. Ed è anche il momento della riflessione per assumere decisioni conseguenti affinché questi fatti non si verifichino più. La speculazione di chi è abituato agli sciacallaggi non mi è mai piaciuta, né ieri contro Veltroni, né oggi contro Alemanno.

Pier Ferdinando

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Tramonti africani e timori italiani

postato il 15 Gennaio 2011

In arabo la parola “Maghreb” significa tramonto e indicava i paesi più occidentali dei domini islamici, oggi questo nome si addice di più alla sorte dei regimi che governano gli stati africani mediterranei. Le cronache di questi giorni ci hanno raccontato il tramonto del presidente tunisino Ben Ali e come ogni tramonto, purtroppo, anche questo si è colorato di rosso, il rosso del sangue di tanti giovani tunisini.

In Italia e in Europa ciò che accade in Tunisia, e che rischia di contagiare l’Algeria e gli altri paesi limitrofi, sembra non destare interesse, forse perchè si è troppo concentrati su un’altra tristemente famosa figlia del Maghreb. Eppure l’Occidente ha delle responsabilità dall’altra parte del Mediterraneo e soprattutto l’Italia ha da imparare qualcosa da quanto sta accadendo in quelle società. L’Occidente è stato a lungo complice del fuggitivo e disprezzato Ben Ali e di tutti gli altri pseudo presidenti nordafricani, un po’ per convenienza (i ricchi affari delle imprese occidentali) e un po’ per quel calcolo politico che preferisce dittatori dal pugno di ferro capaci di sbarrare la strada ai partiti islamici anti-occidentali.

L’ipocrisia occidentale del parlare nei consessi internazionali e davanti ai media di diritti e libertà per poi sottobanco trattare affari con i tiranni locali chiudendo gli occhi su alternanza politica, diritti delle donne e delle minoranze religiose è ben presente nella coscienza del popolo tunisino e in quella degli altri paesi. Questo elemento non è da sottovalutare perché la rivolta tunisina è una moto provocato anche dal risentimento per l’imbroglio e la sopraffazione. In pochi analisti hanno infatti rilevato che una delle gocce  che hanno fatto traboccare il vaso sono le rivelazioni della vituperata Wikileaks che hanno reso pubbliche la corruzione e l’insaziabile fame di potere e denaro della famiglia di  Leila Trabelsi, una parrucchiera che il presidente Ben Ali ha sposato in seconde nozze nel 1992 e che pian piano ha scalato le vette del potere economico e politico. E’ importante sottolineare che la rivolta tunisina è stata una rivolta giovanile ed una rivolta 2.0. Non si è trattato di poveri straccioni che si sono sollevati contro l’oppressore, ma di giovani istruiti che utilizzano con dimestichezza internet e i suoi social network. Quando il 4 gennaio muore il giovane diplomato Mohamed Bouzid, che si era dato fuoco il 17 dicembre perché non aveva altra prospettiva che il suo chiosco di frutta, la notizia della sua morte comincia a circolare rapidamente su Facebook e Twitter ed è l’input per l’inizio della rivolta.

Da quel giorno la rivolta corre in rete che diventa non solo luogo di denuncia ma un vero e proprio strumento di resistenza ai colpi di coda, anche virtuali, del regime agonizzante. I giovani tunisini non sono esecrabili perchè tentano di riprendersi la loro libertà per far sì che il loro futuro non sia un chiosco di frutta o un barcone nelle acque del canale di Sicilia, per mettere fine all’ingiusto e crescente divario tra ricchi e poveri. L’Occidente e l’Italia possono ignorare questa rivolta? Possono rifiutarsi di apprendere qualcosa da quanto successo in Tunisia? Evidentemente no e ciò per due ordini di motivi. Americani ed europei non possono lavarsi le mani della crisi del Maghreb, non solo perché hanno grandi responsabilità (il sostegno alla scalata del potere e al mantenimento di questo da parte dei dittatori) ma perché l’instabilità politica di questi paesi avrà delle intuibili conseguenze politiche, economiche e sociali sull’Europa. Per capirlo è necessario vedere comparire ogni tipo di imbarcazione carica di immigrati sulle nostre coste o aspettare il tracollo di qualche impresa che ha investito da quelle parti? In secondo luogo è necessario imparare qualcosa dalla gioventù tunisina e chiedersi se in paesi come l’Italia si può continuare a imbrogliare, speculare e sopraffare le giovani generazioni. Fino a quando abuseremo della loro pazienza? C’è da augurarsi che in Italia gli stati di Facebook e i messaggi di Twitter continuino a raccontare una tranquilla quotidianità e un futuro migliore.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Populismo è alimentare le paure degli italiani

postato il 6 Dicembre 2010

Non si strumentalizzi il tema dell’immigrazione per vantaggio politico
 
Il razzismo, la xenofobia sono sentimenti che ci sono sempre stati, ma in passato la classe politica ha cercato di governare questi fenomeni, parlando di accoglienza e anche di convenienza. Ma oggi questi temi li si strumentalizza per trarne qualche assurdo vantaggio politico. E’ solo populismo che si alimenta delle paure degli italiani e che rischia di creare una miscela esplosiva.
Noi, invece, abbiamo bisogno di essere quello che siamo: un Paese civile, che pratica l’accoglienza e che deve fare i conti con le sue contraddizioni a cominciare dal fatto che l’Italia è ormai un Paese a bassa natalità  e che non riesce a difendere il livello di vita che ha costruito negli ultimi decenni.
Io sono convinto che il multiculturalismo abbia fallito: noi siamo in grado di accogliere gli altri se siamo consapevoli delle differenze. Non dobbiamo smarrire il senso delle nostre tradizioni perché un conto è comportarsi come una società multirazziale e un conto è pensare che la nostra sia una società multiculturale.

Pier Ferdinando

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Caro Telese, è ora di buonsenso

postato il 13 Novembre 2010

Giovedì, come tanti, ho visto la puntata di Annozero e come tanti mi sono preoccupato e indignato per lo sfruttamento e le condizioni miserabili di quei poveri immigrati che protestano in cima alla gru. Mi sono perfino infervorato quando Luca Telese ha difeso con enfasi e con poesia la protesta degli immigrati rispetto alla presunta “tiepidezza” di don Mario Toffari, responsabile per la diocesi di Brescia della pastorale dei migranti, e del leader dell’Udc Pierferdinando Casini.

Questo entusiasmo per le parole di Telese si è però raffreddato il giorno successivo, quando dalle colonne de “il Fatto quotidiano” il buon Luca Telese ha riproposto, in un articolo dal sapore un po’ auto celebrativo, la sua invettiva contro i tiepidi, che per vigore faceva impallidire anche l’Apocalisse di San Giovanni, dove notoriamente i tiepidi non sono trattati proprio bene. Perché l’entusiasmo si è raffreddato? Perché gli immigrati sono ancora su quella gru e le parti sembrano sempre più irrigidite. Le parole di Telese, che stimo davvero, non hanno aiutato gli immigrati, hanno strappato applausi fragorosi e lodi sperticate e forse rinfrancato il fronte della protesta, ma, diciamocelo sinceramente, di applausi e di lodi quei poveri cristi in cima ad una gru non se ne fanno un bel niente.

Sappiamo che ci troviamo davanti ad una ingiustizia, sappiamo anche che è giusto e doveroso protestare, ma dobbiamo anche ricordare che in una comunità civile e democratica in questi casi tutti gli sforzi devono convergere per trovare una soluzione che rispetti le persone e le leggi. La rabbia e lo sdegno per l’ingiustizia sono buoni nella misura in cui non ci fanno dimenticare il buonsenso, quel buonsenso che hanno tentato di esprimere don Toffari e Casini e che dovrebbe caratterizzare anche le istituzioni, quel buonsenso che ci ha ricordato  il senegalese Diaw Alboury, che ha convinto il figlio Papa ad abbandonare la gru con la sua struggente supplica e che nel suo appello al figlio e ai suoi compagni ha ricordato che «solo attraverso il rispetto delle leggi del paese ospitante ed il reciproco riconoscimento del valore di persona si possa avviare un percorso di vera integrazione».

Caro Telese anche io mi indigno e grido contro le ingiustizie e l’oppressione dei deboli, ma c’è un tempo per protestare e gridare e un tempo per ragionare e per trovare soluzioni. E’ giunto il tempo del buonsenso, per chi protesta e soprattutto per chi governa questo Paese e ha il compito di trovare soluzioni.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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I bambini? Per la Lega non sono tutti uguali

postato il 7 Settembre 2010

Con l’arroganza tipica di chi si sente vincitore e si sente potente, senza magari esserlo, la Lega inaugura il nuovo corso dei contributi alla famiglia, sommando ad un concetto positivo (l’aiuto alla famiglia), un concetto negativo, attuando una distinzione tra bambini “di razza italica” e bambini che non lo sono.
Ma andiamo con ordine.
Il Comune di Tradate (Varese) un paio di anni addietro, istituisce il cosiddetto “bonus bebè”, 500 euro per ogni bambino nato , con lo scopo dichiarato e condivisibile di incentivare le nascite e aiutare le famiglie.
Sembra una iniziativa bella, pura e lodevole.
Ma non è così, infatti andando a leggere i criteri di assegnazione si legge che il bonus è destinato solo a coppie dove i genitori sono cittadini italiani di nascita, escludendo le coppie miste e quelle straniere. Lo scorso 3 giugno il Tribunale di Milano, interessato della vicenda da un ricorso presentato dall’ACLI, emette una sentenza secondo la quale “i criteri di assegnazione del bonus bebè sono discriminatori” è ordina al comune di Tradate di correggere l’ordinanza.
Ed ecco il cambio di rotta della Lega. Prima avrebbe parlato di un fraintendimento, ma ora no.
Anzi, con decisa arroganza, il sindaco di Tradate (Lega -PDL, Stefano Candiani, afferma con una nota mezzo stampa che “il comune di Tradate rivendica il criterio di assegnazione in quanto il bonus bebè non si configura come un intervento rientrante fra i servizi sociali assistenziali obbligatori ma appartiene alla categoria degli incentivi collocata in ambito concettuale e giuridico tutt’affatto diverso ed altro rispetto ai servizi sociali obbligatori”.
Pensate che abbiamo toccato il fondo? Ma quando mai. Qui si riscrivono pagine di storia e di genetica. Qui si riesuma Goebbels, Hitler e quant’altri. Sono esagerato? Forse, ma giudicate voi.
Il sindaco Candiani, presenta ricorso alla sentenza del Tribunale di Milano, ricorso che verrà discusso la prossima settimana.
Quale è la motivazione di questo ricorso? Reggetevi forte e ricordatevi quanto ho detto su Goebbels e soci: secondo il comune di Tradate, il “bonus bebè” sarebbe stato istituito per “la salvaguardia del ceppo europeo”. Infatti, e cito testualmente: “Il fine perseguito non è nel modo più assoluto di garantire sostegno a un bisogno. Il fatto è che la popolazione europea mostra un forte tasso di calo demografico. E’ del tutto ovvio che alla morte dei popoli si accompagna la morte delle rispettive culture. Il bonus attiene al futuro della cultura europea indissolubilmente legata ai popoli dell’Europa medesima”.
Ancora più divertente, il manifesto che accompagna questa iniziativa, rappresentato da un bel bambino biondo e dalla carnagione lattea, ovvero per i leghisti il ceppo europeo è rappresentato solo da chi è biondo, con carnagione chiara, mentre tutti gli altri, evidentemente non lo sono.
Per i leghisti gli immigrati vanno bene se lavorano e li fanno arricchire, ma poi non devono avanzare neanche le più elementari pretese. Il sogno leghista sarebbe immigrati che lavorano e poi spariscono, diventando invisibili. Se poi non figliano, sarebbe anche meglio.
E qui, darei un premio per la faccia tosta e l’astuzia.
Astuzia perché, per giustificare un provvedimento palesemente razzista, parlano di “difesa della cultura europea”.
Faccia tosta, perché queste stesse parole, non le hanno mica gridate a Gheddafi che ha parlato di islamizzare l’Europa, o di dare il via libera e non fermare più gli immigrati clandestini. In quel caso, hanno abbozzato, e non hanno criticato, perché Gheddafi porta gli “sghèi” (o denaro per chi non conoscesse il dialetto lumbard) e perché la Lega è questa: un partito che si presenta in un certo modo, ma agisce in un altro: protesta, ma poi è la prima ad intascare privilegi.
Ricordiamoci di Alessandro Noventa, Assessore leghista, inquisito perché gestisce un giro di prostituzione; oppure pensiamo a Ballaman che recentemente ha dovuto rinunciare alla presidenza del Friuli perché sorpreso ad usare l’auto blu per scopi personali, appesantendo i conti dell’erario; certo la Lega lo ha scaricato, ma io mi chiedo se davvero fossero all’oscuro del comportamento del loro collega di partito.
Ma torniamo a Tradate.
Voi penserete che è un piccolo paesino e quindi non fa testo, e invece no: a Brescia, il sindaco del PDL, Adriano Paroli, ha stanziano 1 milione e 250 mila euro per dare 1000 euro di contributo ad ogni bebè nato nel 2008, purché sia bresciano o di genitori italiani. E quando il tribunale nel 2009 ha imposto di estendere questo contributo anche agli immigrati, ecco un’altra prova di faccia tosta: il contributo viene tolto a tutti, anche agli italiani, così alle prossime elezioni si potranno aizzare ancora di più gli animi contro gli immigrati e contro gli avversari politici che chiedono regole chiare per tutti.
Però nulla di tutto ciò, il PDL e la LEGA ha avuto il coraggio di dirlo a Gheddafi.
Forse prima che dei 5 punti, dovrebbero discutere del coraggio e della coerenza dei propri comportamenti.

‘Riceviamo e Pubblichiamo’

di Gaspare Compagno

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Rom: una terza via oltre i rimpatri ed i farraginosi progetti di inclusione sociale

postato il 5 Settembre 2010

ricordando il casilino 900 di Frammenti dal profondoLa decisione di rimpatriare i rom presa dal presidente Sarkozy ha fatto molto discutere in questi giorni. A partire da questa scelta e dalle politiche sul tema intraprese a Pisa, mi piacerebbe provare a discutere di questo argomento, così spinoso e complesso, anche per il variegato mondo che costituisce la minoranza etnica dei rom e sinti. Credo innanzitutto che quanto intrapreso da Sarkozy, condiviso verbalmente anche dal nostro ministro Maroni, sia un passo molto pericoloso che ci fa rivivere una storia di intolleranza che speravamo di non vedere mai più riproposta in Europa. Questo rischio di deriva culturale e politica non viene solo da destra ma, a livello locale, è stato intrapreso con azioni concrete anche da amministratori di sinistra: a Pisa infatti lo scorso anno, per limitare e contenere il crescente numero di rom presenti in città e il pericoloso proliferare di campi abusivi, diverse famiglie di rom sono state “aiutate” a lasciare il territorio del Comune con il viaggio pagato e un bonus di uscita di 1500 euro.

Ho espresso su queste politiche tutti i miei dubbi “etici”, così come avevo espresso critiche ancora prima alle decisioni portate avanti dalla precedente amministrazione (sempre di centro-sinistra), che aveva messo in piedi il progetto di inclusione sociale denominato “Città sottili”, che proprio in questi giorni si è concluso con la consegna ai rom delle case appositamente costruite. Tale progetto infatti, oltre al censimento dei rom presenti nel territorio e il tentativo di scolarizzazione dei ragazzi, prevedeva la costruzione di una serie di villette a schiera nel campo di Coltano, lo storico e più grande insediamento rom nel Comune di Pisa.

Questo progetto all’inizio così tanto decantato dalla sinistra pisana e non solo (il segretario dei Ds Piero Fassino in televisione a Porta a Porta lo citò come esempio riuscito (sic!) per risolvere il “problema” dei Rom), ha mostrato tutti i limiti di un processo troppo “burocratico”, che tra vari ritardi si sta per concludere oggi tra i malumori e le tensioni del mondo dei rom (molti infatti come era prevedibili rimarranno fuori dagli alloggi, perché il progetto era limitato a quelli presenti in quel campo diversi anni fa quando tale progetto prese avvio) e grossi malumori tra i pisani (è un classico sentire dire tra i cittadini pisani più in difficoltà, con un po’ di cinismo, “l’amministrazione aiuta gli zingari invece di pensare a noi!”). E comunque è un dato di fatto che il progetto Città sottili, come prevedibile, non risolve la questione dei molti altri rom presenti in città che vivono in altri insediamenti abusivi che nel frattempo si sono costituiti. Ma al di là delle questioni economiche a me di questo progetto lasciavano forti dubbi i tentativi di voler integrare e omologare alla nostra cultura quella di popoli ed etnie di così antiche tradizioni e culture che nascono e rimangono nel tempo molto diverse dalle nostre: culture con cui è giusto convivere, ma che non vanno cercate di omologare a quella nostra.

Per questo credo che potevano essere utilizzati quei tanti soldi avuti per il progetto città sottili (più di 900 mila euro sono costate soltanto le villette costruite a Pisa) per un patto diritti-doveri da mettere in piedi con il coinvolgimento dei Rom del territorio. Questo patto che il sindaco di Pisa doveva portare avanti, insieme naturalmente agli altri sindaci delle città dove esistono grossi insediamenti rom, doveva essere incentrato nell’individuazione di una o più aree per rom, da poi rendere vivibili da un punto di vista igienico-sanitario con roulotte, prefabbricati o costruzioni di legno; da un controllo periodico per la salvaguardia di tali aree e poi si doveva passare con l’aiuto e il coinvolgimento di mediatori culturali, associazioni e magari uno o più figure di riferimento-rappresentanza dei rom (a Roma il sindaco Alemanno ha deciso di delegare un Rom, come persona di propria fiducia per i rapporti con le comunità rom e sinte della Città) per un percorso di convivenza possibile. E questa convivenza passa nel riconoscere e rispettare una cultura come quella nomade, ma chiede allo stesso tempo con forza che in nome di una certa cultura non si sfruttino ad esempio i minori per l’accattonaggio e non si tollerino furti o borseggi che una parte di questi nomadi usano fare con troppa disinvoltura. E per quanta riguarda la doverosa istruzione e scolarizzazione, invece che costringerli a frequentare le nostre scuole, con costi e risultati insoddisfacenti, forse si poteva pensare a predisporre corsi scolastici da fare all’interno dei campi rom.

Costruire insomma un tipo di integrazione e di società più all’americana che alla francese o all’europea, tesa cioè a cercare di costruire una società dove le varie culture convivano esaltandone le differenze, piuttosto che cercare a tutti i costi l’uguaglianza e l’omologazione. Tra le due opzioni “estreme”, cioè le espulsioni alla Sarkozy (e alla Filippeschi) e il tentativo di inclusione sociale di progetti troppo dispendiosi e farraginosi come quello di Città sottili, mi pare questa una via possibile per coniugare il rispetto delle persone, delle culture e dei popoli con quella di una cittadinanza che chiede sempre di più maggiore sicurezza e il rigoroso rispetto delle regole.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carlo Lazzeroni

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Immigrati di seconda generazione, italiani come noi

postato il 4 Settembre 2010

Esiste un’immigrazione silenziosa, che non fa scalpore, integrata, che non va sui media nazionali ma che ogni giorno convive con i nostri figli nelle scuole e nelle università italiane. Sono gli italiani di seconda generazione, figli di immigrati, per lo più nati in Italia o arrivati qui molto piccoli. Giovani che hanno studiato la lingua, l’arte, la storia, la cultura italiana ma che nonostante questo sentono di essere italiani a metà perché privati di diritti legittimi. Non possiamo consentire che lì dove l’ integrazione ha superato ogni diversità e ne ha fatto elemento di arricchimento umano e culturale per i nostri figli, sia la burocrazia ad alzare le barriere.
Ad Amine, e a quelli come lui che vogliono vivere nella libertà e che hanno fatto propri i valori della nostra Costituzione, l’italianità non può essere negata.

Pier Ferdinando

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Casini incontra gli studenti della Rui

postato il 4 Giugno 2010

Casini al Rui“La politica deve rinnovarsi e avere il coraggio di scelte impopolari”

Rinnovamento della classe dirigente, legge elettorale, riforme istituzionali, disegno di legge sulle intercettazioni, manovra economica. E ancora, giovani, lavoro, riforma della scuola e dell’università. Sono alcuni dei temi affrontati da Pier Ferdinando Casini nell’incontro con gli studenti della Rui, la residenza universitaria internazionale di Roma in via Sierra Nevada, nel quartiere Eur.

Ad accogliere il leader dell’Udc una cinquantina di studenti di diverse facoltà. Prima un pranzo nella mensa della residenza, poi un colloquio informale nel soggiorno, dove gli studenti hanno potuto porre i loro interrogativi su temi di strettissima attualità.

I giovani. “Abbiamo tanti giovani che fanno cose straordinarie, che sono impegnati ad esempio nel volontariato, nella ricerca. Ne abbiamo pochi in politica. Il problema è la selezione: dobbiamo innestare criteri di meritocrazia nella selezione della classe politica”. La perdita di peso del Parlamento è anche figlia del meccanismo di selezione attuale perché, spiega Casini, “quando non bisogna più cercare il consenso della gente, ma di un leader, si è di fronte a una distorsione”. Di qui la necessità di un ritorno alle preferenze, in mancanza delle quali sono preferibili i collegi uninominali. [Continua a leggere]

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Senza gli immigrati non sapremmo cosa fare

postato il 20 Febbraio 2010

Se non ci fossero gli immigrati non sapremmo cosa fare, anche i conti previdenziali sono in ordine grazie a chi viene a lavorare seriamente nel nostro Paese. A queste persone devono essere riconosciuti i nostri stessi diritti. Naturalmente ci vuole il pugno duro verso l’illegalità, che alimenta i racket della prostituzione e della droga e favorisce la criminalita. Ma in questo caso si tratta di reati che vanno perseguiti dalla legge, e questi reati li commettono anche gli italiani.

Pier Ferdinando

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A Rosarno lo stato è morto

postato il 9 Gennaio 2010

A Rosarno lo Stato non c’è, lo Stato è morto. E’ la ‘ndrangheta che regola i rapporti sociali. La Lega ha parlato delle ronde, ma la verità è che a Rosarno aspettavano le forze dell’ordine e non le ronde, che non risolvono nessun problema. E le forze dell’ordine non sono arrivate prima di 24-48 ore.
Bisogna che ci facciamo naturalmente carico dell’indignazione della gente, pero’ bisogna anche ricordare che ci sono degli italiani che sfruttano questi poveracci e li fanno vivere come delle bestie. Se un italiano affitta una casa a 50 poveracci è giusto che l’appartamento venga sequestrato, la legge c’e’ ed è sacrosanta. Non dobbiamo guardare la realtà solo dalla parte che ci fa comodo.

Pier Ferdinando

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