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Giovani, formazione e lavoro: ciò che non dovrebbe accadere (ed invece accade) in Lombardia

postato il 3 Gennaio 2011

Nella grande “trottola” del mondo della formazione, fatta di slogan evanescenti, santuari della precarietà, attese infinite ai call center, propongo il caso della mia amica “Francesca” che ho intervistato nel corso del mio lavoro presso la CISL. Sarò prolisso ma ci tenevo a non tralasciare nulla, di modo che potrete scoprire una selva di regole poco chiare, fondi inesistenti, ascoltare il calvario di una ex interinale poco più che ventenne e trarre spunti di vita reale, non poi cosi distanti dal recente messaggio di auguri del Presidente Napolitano.

 

Per combattere la crisi la Regione Lombardia ha approntato nel 2009 una misura finanziaria a favore del reinserimento lavorativo dei lavoratori disoccupati, stanziando un fondo che viene erogato per decreto “almeno” una volta all’anno: il “Sistema Doti”.

Sul sito della Regione si legge:

Contattando un centro accreditato da Regione Lombardia per i servizi al lavoro si trova un aiuto concreto per scegliere il percorso più adeguato alle proprie esigenze”.

Chi sono questi centri accreditati? Gli “Enti di formazione accreditati dalla Regione” , sono agenzie private e Centri per l’impiego pubblici che aderiscono al programma di riqualificazione organizzando corsi di formazione e “servizi al lavoro” per le categorie di disoccupati e inoccupati in possesso dei requisiti previsti dal bando.

Christian: Ma quanto è efficace questa misura?

Francesca: In possesso dei requisiti, ad aprile mi sono recata presso un Ente accreditato di Monza in cui l’operatrice, dopo avermi registrata, mi ha consigliato di registrarmi anche presso un Ente di Milano, in quanto i fondi si esauriscono molto rapidamente (in circa una settimana l’intero stanziamento erogato per tutto il territorio della Regione) e “prima vanno su Milano, mentre alle altre province arrivano le briciole”). Previsione sullo “sblocco” delle prossime doti:  “da metà a fine maggio”.

Nella stessa settimana ho preso quindi un appuntamento con un Ente di Milano che offriva un corso di formazione nell’area di mio interesse: operatore di asilo nido. L’operatore mi ha detto che nella settimana successiva sarei stata contattata da una collega che mi avrebbe fissato un appuntamento per la presentazione dei documenti necessari e l’invio telematico della Domanda di dote.

Al venerdì successivo ancora nessuno mi aveva contattata, e alla mia richiesta di informazioni lo stesso operatore mi ha ribadito di attendere la chiamata della collega. Nelle 2 settimane seguenti di attesa ho ottenuto sempre la medesima risposta. La tanto sospirata chiamata è arrivata circa 15 giorni più tardi e solo per aggiungere una beffa al disservizio: lo scopo era solo quello di stabilire in quale delle loro sedi avrei tenuto il colloquio! Mi hanno assicurato che quando pronti, mi avrebbero chiamata per concordare l’appuntamento.

Per fortuna il colloquio mi è stato dato “solo” una settimana più tardi. Credevo a quel punto di avere finito il mio calvario e speravo di raggiungere in breve un concreto risultato, e invece… Il colloquio atteso per circa un mese (ormai era giugno), è durato cinque minuti esatti.

La prima cosa che mi è stata precisata è: “Non siamo un’agenzia interinale, quindi non mettiamo in comunicazione domanda e offerta, ma eroghiamo servizi al lavoro quali consulenze, aiuto nella compilazione del cv, possibilità di mandare fax e fare telefonate dall’ufficio anziché a spese proprie”. (Tutto ciò mi sarà poi smentito nei fatti…)

La ragazza mi ha poi spiegato l’iter: le doti attese per maggio non erano state erogate e quindi si pensava già a settembre. Dopo l’eventuale  ottenimento della dote avrebbero aperto le iscrizioni ai corsi e al raggiungimento del minimo numero di iscritti avrebbero dato il via alle lezioni.

Relativamente al corso, mi ha consigliato di scegliere un corso di costo non superiore ai 1.500 euro perché su 3.000 euro di dote il costo dei servizi al lavoro da loro erogati era di 1.470 euro (in altri termini, la metà dei fondi destinati al lavoratore in realtà foraggiavano l’ente).

Mi promette poi che mi avrebbe richiamato per compilare la domanda di dote, documenti alla mano.  Delusissima e anche notevolmente irritata per avere sprecato un mese di tempo per niente, e senza la minima intenzione di dare ulteriormente retta alla stessa agenzia, decido di rivolgermi ad altri. Mi trovo quindi un altro corso, e mi rivolgo quindi per l’ennesima volta ad un nuovo ente, il terzo.

Christian: Una ricerca da fare da soli?

Francesca: Sul corso “destinato agli interinali” ho chiesto maggiori info, infatti sul sito della Regione non veniva fatta alcuna distinzione, né tantomeno esisteva un elenco con filtri.

Mi è stato risposto, con un tono grottescamente serio, che il “consiglio” che mi poteva dare era di selezionare tutti i corsi di mio interesse ed iniziare a chiamare uno per uno i vari enti. (e qui mi ricollego ai famosi servizi:”fare le telefonate dal nostro ufficio anziché a spese proprie”: un corno!).

Dopo avergli risposto che fino a quella soluzione ci arrivavo già benissimo da sola, la mia successiva domanda è stata: se loro per ipotesi il giorno seguente avessero ricevuto domanda per lo stesso corso da parte di un numero sufficiente di ex–interinali avrebbero fatto partire il corso? Risposta: SÌ.

La mia ultima osservazione è stata che come lo facevano loro, anche dagli altri enti sarebbe stata la stessa cosa.

Quello che ho ottenuto è stato un ultimatum, ossia che loro avrebbero tenuto in stand by la mia domanda per darmi la possibilità di trovare un nuovo ente, in caso contrario avrei potuto mantenerla da loro con l’unica speranza di poter fare il corso se si fossero iscritti altri ex interinali. Ultimatum ridicolmente stretto, infatti mi chiedeva di dargli la risposta il giorno dopo.

Il mio problema adesso era che entro il giorno dopo non avrei di sicuro avuto la risposta, perché mi dovevo cercare il corso, e l’indomani sarei partita per una settimana in Africa, non avrei certo fatto telefonate intercontinentali, specialmente avendo già saggiato la competenza degli interlocutori.

Adotto quindi l’unico sistema che mi consentiva di contattare a tappeto: le email. Dei vari enti contattati uno solo mi risponde positivamente, ossia che aveva corsi in partenza a cui potevano partecipare anche gli ex-interinali.  Tornata a casa, quindi, li contatto telefonicamente e spiego loro la mia situazione. A sentire che avevo in mano il foglio con il PIP, la ragazza si allarma e mi dice che se ho un foglio in mano significa che la domanda è stata inoltrata e che quindi non mi posso più iscrivere da loro.

Ormai decisamente irritata, ed a luglio, ho iniziato una serie di telefonate tra l’uno e l’altro ente (in quanto alle mie mail non ricevevo altra risposta se non la conferma di lettura), esattamente come il gioco dello “scemo in mezzo”.  Alla fine ho deciso di mettere un termine a questo rimbalzo di responsabilità dando credito all’ipotesi che meglio si adattava con la mia necessità. Prendo quindi per attendibile la campana dell’ente n. 3 – ossia domanda non inoltrata – e mi faccio dare un appuntamento definitivo dall’ente n. 4.

La signorina mi convoca per la settimana seguente, ripeto tutto l’iter che ormai conoscevo a memoria e finalmente vedo il momento cruciale dell’invio telematico della domanda.  Mi aspettavo che in quell’istante apparisse anche la Madonna, o perlomeno qualche Arcangelo, ma siccome tale miracolo non è successo evidentemente avrei dovuto intuire che non ero ancora alla fine del tunnel.

Mentre compila la pratica, l’operatrice mi rassicura dicendo che, anche se le richieste per il corso di mio interesse non raggiungevano ancora la soglia minima di certo sarebbero stati in grado di raccogliere il numero minimo di allievi per fare partire il corso a settembre, in quanto le doti per gli interinali erano aperte da novembre e “chissà per quanto tempo ancora andranno avanti”.

Mi comunica che ho diritto anche ad un’indennità di circa 600 euro, come calcolato dal terminale, poi improvvisamente ha un’espressione corrucciata. Dapprima mi chiede di aspettare un momento e chiede la consulenza di una collega per svelarmi quindi il motivo di tanta perplessità: il terminale ha comunicato che le doti sono esaurite!!!!!!!

La perplessità sta nel fatto che il calcolo dell’indennità viene fatto necessariamente dopo l’assegnazione della dote, stornando i costi del corso e dei servizi al lavoro.

Parte la telefonata alla Regione, con la solita attesa allietata dalla musica, e l’operatrice all’altro capo del cavo risponde che anche il giorno prima era capitata lo stesso problema ad un’altra persona e che poi era stato risolto. Avrebbero loro (Regione) informato l’ente circa la risoluzione.

L’operatrice quindi mi comunica che avrei dovuto tornare un altro giorno per la firma di un documento definitivo di cui tutt’ora ignoro la natura, e che mi avrebbe tempestivamente contattato non appena avesse avuto notizie dalla regione.

Mentre mi dirigo alla stazione sotto il solleone del luglio milanese mi suona il cellulare: è la stessa ragazza che mi comunica: “Le doti sono terminate questa mattina. Mi dispiace molto.”

Bisogna attendere il nuovo bando che dovrà uscire con le nuove doti, forse a settembre, e che fino a quel momento nessuno saprà nulla. Aggiunge anche che tutte le iscrizioni fatte presso tutti i vari enti non hanno alcun valore perché la mia domanda alla fine non è stata accolta e quindi è come se io non fossi mai passata né da loro né dagli altri.

RISULTATO:

Il sito della Regione sostiene che il sistema doti serve per favorire il reinserimento lavorativo dei disoccupati e inoccupati tramite la riqualificazione delle loro competenze.

Io ho iniziato ad iscrivermi presso gli enti accreditati ad aprile, ho trovato un’incompetenza totale che mi ha rimbalzato fino alla metà di luglio, quindi per tre mesi durante i quali non ho ricevuto il minimo servizio al lavoro, inteso perlomeno come le informazioni corrette e necessarie. Ho speso soldi miei in telefonate, biglietti del treno e del metrò. Solo per recarmi da ogni ente che ho visitato ho speso per ciascuno 8.20 euro in trasporti. Ho perso quattro pomeriggi presso le loro sedi, più un numero che non so quantificare a cercare informazioni e corsi sul sito della Regione.

A metà luglio mi vengono a dire che le doti sono terminate nella mattinata, quasi un rimprovero per essermi mossa tardi. Chi controlla l’operato di questi enti, visto che non ho un mezzo per dare un feedback negativo sull’attenzione che mi è stata rivolta? Probabilmente questi enti avranno un form di feedback sul corso erogato, ma sui loro servizi? O più specificamente si considerano solo i servizi che loro erogano a partire dal momento in cui il disoccupato ottiene la dote, alias loro vengono pagati?

Posto che nella dote non ci spero più, voglio deliziarvi con l’ultima perla: Per la cronaca, a me il corso serve per davvero e sebbene ne abbia cercato uno a pagamento di tasca mia i costi sono troppo elevati per le mie tasche (ma suppongo non solo per le mie, in pratica 120 ore mi costerebbero come un anno e mezzo di università pubblica). Visto che ormai l’unica cosa è aspettare il bando nuovo di settembre, in cui POTREBBE DARSI che venga abolita l’assurda discriminazione degli ex-interinali, ho contattato un quinto ente, tanto ormai avendo già perso tutto non ho più niente da perdere.

E qui la chicca: anziché essere loro a darmi info sui corsi, i bandi, le doti etc., ho dovuto dargliele io e… spiegargli pure cosa è un lavoratore interinale.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Christian Condemi

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Lavoro? in Liguria è il momento di agire

postato il 28 Dicembre 2010

Un mercoledì come un altro. 37 anni. 3 figli e 1 moglie. Un lavoro. Prima. Crisi, lavorativa e depressiva. Ora. Basta. Fine. Non ce la faccio più. Giù. Mi butto. Mi butto giù!

Ho provato a narrativizzare un tragico evento, accaduto mercoledì scorso nel Levante di Genova. E mi ha fatto pensare: “Che dramma, che disgrazia”. Vien spontaneo dire così, e ci mancherebbe!
Poi, però, ti fermi. Ti fermi a contare e a pensare: lui mercoledì, poi un altro venedì. Ma ce ne era già stato uno la settimana scorsa. E non era il primo! E poi, uno anche Sabato. Basta lo dico io e vorrei lo dicessero tutti. Ma voglio staccarmi dalla cronaca. Mera triste somma di singole tragiche vicende.

Via la cronaca. Si passi alla politica, ai fatti. O meglio, alle soluzioni che la politica deve dare ai problemi della società. Senno’, che ci sta a fare?!

Premessa: non si può prendere il tema sottogamba, non si scherza col Lavoro. E’ incastonato, scritto (con idealità, certo, ma ci sta scritto) nell’ Art.1 della Costituzione e in modo più specifico (seppur sempre generale, come si confa ad una Legge Fondamentale) agli Artt. 35 e 36.

“Siamo in un periodo di forte crisi economica”, “la crisi sta colpendo”, “tutto l’Occidente sta attraversando un’impressionante momento di crisi”, e tante altre espressioni di questo tipo. “Non ci sono più soldi”, “L’Italia ha il debito pubblico più grande dell’Europa, e non solo”, “Negli Anni ’80 ci si è indebitati oltre misura”, “il Welfare non potrà garantire nemmeno più chi già oggi lavora”, e tante altre espressioni di questo tipo. Io mi sono stufato e credo con me si sia stufato ancor di più chi se le sente “raccontare” da più tempo di me. Sono tutte parole che sappiamo a memoria dai Tg.

E’ ora di cambiare musica, di affrontare la crisi e le difficoltà. E’ ora di rimboccarsi le maniche, di prendere il coraggio a 2 mani e decidere “che fare”: Se c’è la crisi, va bene tirare le corde della borsa, va bene decidere di non spendere più, ma non può bastare. Ci vuole coraggio, il coraggio di fare Riforme -con la “R” maiuscola- e, magari, anche Riforme impopolari. Parlo di liberalizzazioni, pensioni, università e accesso al lavoro.

Tutti, rossi, neri, azzurri, verdi, bianchi e a pois, negli anni, si sono riempiti la bocca si slogan e buone intenzioni. Non basta più.
La crisi sta soffocando chi fino a ieri riusciva, magari barcamenandosi tra una rinuncia e 100 saldi di fine stagione, a tirare avanti, e invece oggi proprio non ce la fa, non solo economicamente, ma anche proprio moralmente. Sente che intorno a lui, fuori dalle mure di casa, non c’è una società, non c’è uno Stato, non un tessuto sociale, non c’è un Welfare State capace di accoglierlo e sostenerlo. E questo, comprensibilmente, “ti butta giù”…

E’ necessario, ora più che mai, che lo Stato si riappropri di quel ruolo che gli spetta di diritto. Non con politiche assistenzialiste incapaci di creare un vero cambiamento, ma investendo in modo mirato e ponderato dove riesce. Detto così sembra facile, ma non lo è, chiaramente. Però, non è certo con i tagli lineari e “il braccino corto” che si può cambiare veramente.

Un esempio? Le prospettive nell’ambito Portuale Lgure. A chi piace leggere e seguire un poco le vicende, appare uno scenario molto interessante per il futuro: un futuristico“piano MiNova” (ossia un’alleanza strategica tra Genova e Milano, stile Parigi, caldeggiata dal Presidente dell’Autorità Portuale di Genova); 1500 nuovi posti di lavoro, in un futuro prossimo, tra il Porto di Genova e quello di Savona; “Terzo Valico” (si parla di dimezzare il tempo di percorrenza del tratto MI-GE!); il Boom dei Container a La Spezia, e tante altre. Ma anche una rinascita prospettata a Cornigliano (nel Ponente di Genova), e non solo. Solo veramente tante, tantissime le prospettive di una nuova ripresa, in tutta la Liguria.

Ma possiamo crederci?! Sono ottimista sul fatto che tutto ciò si verifichi, ma possiamo pensare che tutto accada lasciando al caso o (dando meriti a chi se li merita, appunto) per il merito e l’impegno di tanti singoli?! Perché non fare squadra?! Perché non coordinare il tutto, semplificando e velocizzando processi che potrebbero richiedere un periodo di realizzazione ancora troppo ampio?! Perché non assumersi la responsabilità di farsi primo motore della ripresa? Serve coraggio, tenacia, e un pizzico di audacia. Quella che ti permette di andare anche contro alcuni veti e perplessità (vedi Terzo Valico e Gronda, sia di Levante sia di Ponente), quella che ti permette di dire alla gente che scelte impopolari devono essere fatte, per stare meglio, veramente meglio, domani.

Ma poi, ovviamente, si è liberi di pensare che sia meglio andare avanti così, “tirare a campare”, pur di non rischiare di fare qualche piccolo sacrificio oggi, anche se porterebbe un benessere domani… Ma chi ci pensa al Domani? ciò che conta è solo l’Oggi!

I primi a pensare al Domani devono e sono i Veri Giovani! Non chi ad essere giovane si atteggia o, al limite, lo è anagraficamente.  Ma Giovane nello spirito e nel modo di pensare. Per cambiare veramente, bisogna cambiare molto, lasciarsi alle spalle alcune abitudini e anche, oso dire, alcune comodità e privilegi a cui si è abituati.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Edoardo Marangoni

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Per l’OCSE la pressione fiscale sale e per i giovani non ci sono buone notizie

postato il 16 Dicembre 2010

L’OCSE ha pubblicato uno studio dal quale si evince che la pressione fiscale in Italia è elevatissima, pari al 43,5% del PIL (l’anno precedente era al 43,3%), che ci colloca al terzo posto nel mondo. Questo rapporto contraddice palesemente quanto era stato promesso dal governo, ovvero diminuire la pressione fiscale.

A giugno di questo stesso anno, avevamo denunciato che la pressione fiscale in Italia andava aumentando e non certo diminuendo come vuole fare credere certa propaganda, e lo avevamo fatto citando fatti e non parole vuote. Già all’inizio dell’estate, infatti, avevamo dato grande attenzione agli studi del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, i quali avevano rilevato che eravamo primi per la pressione fiscale come affermava Claudio Siciliotti, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, andando ben oltre i valori rilevati dall’OCSE, infatti, se consideriamo la pressione fiscale sulla sola componente del Pil che le imposte le paga per davvero, ossia sulla componente depurata della quota stimata di economia sommersa, si vede chiaramente come la pressione fiscale ”reale” in Italia sia superiore: 51,6% nel 2009 rispetto al 50,8% nel 2008, e quindi ben al di sopra del risultato rilevato dall’OCSE (pari al 43,5%).

Come mai questa divergenza tra i dati dell’OCSE e i dati del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti?

Questa differenza è legata alla componente di economia sommersa stimata in Italia, che e’ percentualmente piu’ rilevante di quella di tutti gli altri Paesi europei, esclusa la sola Grecia; in concreto significa che a causa dell’evasione e del sommerso i lavoratori onesti pagano molto di più, e l’indice della pressione fiscale ”reale” cresce significativamente di piu’ di quello che accade con riferimento ad altri Paesi.

A conferma di quanto affermato, possiamo anche citare uno studio della CGIA di Mestre che affermava la stessa cosa e che quantificava il sommerso in Italia pari a 250 miliardi di euro nel 2009.

Quando abbiamo dato grande risalto a questi dati, all’inizio dell’estate, ci augurammo che il governo non li sottovalutasse, ma anzi intervenisse al più presto, purtroppo la nostra speranza è stata disattesa. Oggi non solo vediamo confermati i nostri timori dallo studio dell’OCSE, ma questo stesso studio getta una luce sinsitra sul futuro dell’Italia, perchè denuncia la situazione gravissima in cui versano i giovani e il mondo del lavoro: l’Italia è al penultimo posto tra i 33 Paesi membri per quanto riguarda il tasso dell’occupazione giovanile. Se guardiamo le cifre, osserviamo che in Italia solo il 21,7% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è occupato, contro una media Ocse del 40,2%.

E non è tutto, perchè l’Italia ha anche il minor tasso di occupati tra i giovani laureati e la maggior percentuale di giovani «falsi autonomi»: infatti nel 2008 circa il 10% dei giovani occupati italiani risultava autonomo ma senza dipendenti, contro una media del 3% nell’Ue. Che significa “falso autonomo”? Sostanzialmente che è sempre più diffuso il caso in cui aziende assumono giovani ma li costringono ad aprirsi la partita iva, in tal modo l’azienda non ha obblighi verso il giovane, ma anzi può scaricarlo in ogni momento. Tra gli occupati inoltre, riporta ancora lo studio, il 44,4% ha un impiego precario, e il 18,8% lavora part time.

Sono cifre allarmanti, che ci fanno temere per il futuro dell’Italia: sia perchè i giovani sono il futuro, sia perchè se non si da una scossa al mondo del lavoro, sono a rischio anche i conti pubblici dell’Italia stessa. Serve quindi che il governo adesso agisca, proponendo delle riforme concrete e una seria e credibile politica economica e del lavoro.

Flessibilità e svecchiare il mondo del lavoro si, ma senza che questo diventi sfruttamento.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Caterina Catanese

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L’Edilizia, una via per “costruire” lo sviluppo in Italia

postato il 3 Dicembre 2010

Oltre alle proteste degli studenti per la riforma Gelmini, in questi giorni vi è stata un’altra protesta: quella promossa per la prima volta dall’ANCE (Associazione nazionale Costruttori Edili) per presentare un pacchetto di dieci punti per rilanciare il settore edile in Italia.

Questa protesta presenta una caratteristica “nuova” per l’Italia: ha visto sfilare assieme sia gli imprenditori del settore che i lavoratori, segno che entrambi gli “schieramenti” produttivi vogliono superare una sterile contrapposizione per cercare di risolvere i veri problemi che strozzano questo settore economico che registra numeri preoccupanti: 250.000 posti di lavoro persi, +300% di ricorso agli ammortizzatori sociali, oltre il 20% di riduzione delle produzioni di materiali da costruzione, -70 miliardi di valore complessivo delle produzioni, ritardati pagamenti della PA fino a 24 mesi.

Ma cosa chiede l’ANCE? Sostanzialmente l’associazione rileva che le amministrazioni pubbliche hanno il paradosso di non poter spendere, pur in possesso delle necessarie risorse finanziarie, pena la certezza di incorrere nelle sanzioni previste dal superamento del tetto imposto dal Patto di stabilità.

In altre parole, ed è questo il paradosso, regioni ed enti locali incorrono «nella perdita delle risorse comunitarie a seguito del mancato raggiungimento degli obiettivi di spesa previsti da Bruxelles».

Il costo di questo paradosso è semplicemente enorme: le risorse che rischiano di saltare per questa trappola ammontano in tutto a 15 miliardi di fondi Fesr e 27 di fondi Fas di ambito regionale.

Per superare questo problema diventa necessario procedere ad una accurata revisione delle regole del Patto interno di stabilità volte a salvaguardare gli investimenti per la competitività e lo sviluppo. Concretamente questo si può ottenere tramite una «nettizzazione completa» degli investimenti promossi attraverso i fondi comunitari (attualmente sono esclusi dal calcolo del patto solo per il 50%) e attraverso le risorse dei Fas regionali. Il risultato sarebbe che le spese di cofinanziamento dei fondi comunitari non vengano considerate fra le uscite e siano quindi escluse dai tetti di spesa stabiliti dal Patto di stabilità per le Regioni.

Altri provvedimenti utili per rilanciare il settore sarebbero la semplificazione delle procedure amministrative e rafforzare i controlli, attivare strumenti di lotta alla legalità, estendere all’edilizia gli ammortizzatori sociali definiti per l’industria.

La protesta di oggi, oltre al sostegno dei sindacati e di Confindustria, ha visto anche il sostegno dell’UDC nelle vesti degli onorevoli Libè, Galletti, Compagnon e De Poli che hanno dichiarato: “L’Udc chiede da tempo di fornire soluzioni ai problemi di un comparto vitale per il sistema-Italia, specialmente in un momento di profonda crisi economica come quello che stiamo vivendo. Senza un vero rilancio del settore edile, la ripresa della nostra economia sara’ molto piu’ difficile.”

Inoltre, i parlamentari dell’UDC hanno portato avanti alcune proposte per aiutare il settore: “lo sblocco dei crediti che le aziende vantano nei confronti degli enti locali, somme che gli imprenditori hanno diritto a vedersi liquidate e che per molti di loro rappresenterebbero una vera e propria boccata d’ossigeno. Allo stesso modo, siamo convinti che rispetto alle grandi opere si debba dare la precedenza a quelle immediatamente cantierabili, un volano che farebbe ripartire il settore”.
Mentre l’on.le De Poli ha dichiarato che la crisi del settore edilizio sta mordendo con particolare violenza il Veneto.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Caterina Catanese

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Fiat: Marchionne ha ragione e non va demonizzato

postato il 25 Ottobre 2010

Marchionne non va demonizzato, anche se la Fiat ha ricevuto ingenti contributi dallo Stato, ha cento ragioni, come quando parla di perdita della competitività in Italia o degli stranieri che non investono nel nostro Paese o della grande angoscia in cui versano i giovani costretti ad andare all’estero.
Dice cose sacrosante, non riesco a dargli torto. Bisogna guardare in faccia la realtà, non illudersi che sia diversa. Altrimenti l’alternativa per i lavoratori italiani e’ che si tiri giù la saracinesca delle aziende targate Fiat in Italia e si vada in Serbia.

Pier Ferdinando

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La riforma del mondo del lavoro: coniugare tutela del lavoratore e flessibilità

postato il 20 Ottobre 2010

lavoro di ilcapofficina(semanticamente uno stronzo)Il parlamento ha votato a favore del DDL lavoro, un provvedimento che comprende 50 articoli per 140 commi e che è la conclusione di un dibattito lungo due anni.

Questo provvedimento è stato giudicato con favore anche da buona parte del mondo sindacale che lo considera equilibrato, e in questo senso è stato importante il lavoro svolto dall’UDC, come ha riconosciuto lo stesso Sacconi che ha affermato: “Ringrazio in particolare il gruppo dell’Udc: i colleghi hanno svolto interventi che hanno sollecitato la definitiva approvazione del provvedimento, pur mantenendo riserve, legittimamente espresse, che mi sono sembrate di ordine generale”. E affermando che i parlamentari dell’UDC sono stati espressione di una “forza politica di opposizione responsabile che ha sempre guardato al concreto dei singoli provvedimenti”.

Di contro l’on.le Nedo Poli (UDC), Capogruppo in Commissione Lavoro, ha affermato: “Abbiamo voluto sostenere una riforma delle controversie di lavoro che garantisse minore conflittualità e maggiore responsabilità a tutti i protagonisti. L’Udc è per una giustizia del lavoro più rapida e più certa. In questo senso, il ddl lavoro apre la strada a nuove sfide. Non ci uniamo al coro di chi lo ritiene contrario agli interessi dei lavoratori. Auspichiamo che il Governo elabori al più presto le deleghe secondo le ragionevoli indicazioni che il ministro Sacconi ha più volte illustrato”.

Il punto fondamentale è stato quello di volere aumentare gli ambiti di scelta per i lavoratori per comporre le controversie nel rapporto di lavoro.

Ma cosa prevede sostanzialmente questo DDL e come cambierà il mondo del lavoro?

Il lavoratore può scegliere se ricorrere al giudice ordinario o ad un arbitro per dirimere le controversie lavorative, ma la scelta di ricorrere all’arbitrato (attraverso la sottoscrizione della cosidetta ‘clausola compromissoria’) deve essere effettuata dal lavoratore prima che intervenga la controversia stessa e dopo la conclusione del periodo di prova (quando si presume che il lavoratore sia più debole nei confronti del datore di lavoro), oppure prima del trascorrere di 30 giorni dalla stipula del contratto di lavoro. 
L’arbitro dovrà tenere conto non solo dei principi generali dell’ordinamento giuridico italiano ma anche i principi regolatori derivanti da obblighi comunitari (cosiddetto arbitrato per equità).

Una notazione molto importante riguarda invece i licenziamenti che sono esclusi dalle procedure di arbitrato, ma devono essere giudicati dal giudice ordinario (il licenziamento deve essere impugnato entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione scritta del licenziamento medesimo).

Per combattere il lavoro nero e il lavoro sommerso, sono state stabilite sanzioni molto più pesanti, proprio per rendere meno conveniente il ricorso a simili pratiche: le sanzioni andranno da 1.500 euro a 12.000 euro, più 150 euro per ogni giorno di lavoro nero e saranno comminate ai datori di lavoro che non trasmettono la comunicazione preventiva di assunzione. 
Le novità più importanti però riguardano l’apprendistato e i lavori usuranti.
E’ stato stabilito che l’anno di apprendistato a 16 anni, potrà sostituire l’anno scolastico, mentre per i lavori usuranti il governo adotterà una normativa per introdurre il pensionamento anticipato stabilendo l’eta minima a 57 anni, con 35 anni di contributi. 
Infine, una buona notizia per i lavoratori co.co.co e a progetto: omettere di versare le ritenute previdenziali operate dai committenti sui compensi dei lavoratori a progetto o co.co.co., iscritti alla gestione separata Inps, diventa reato.

L’impressione che si ricava da questi punti (che sono solo i principali) è che si sia cercato di snellire la burocrazia, sancendo una tutela per i lavoratori e svecchiando un ordinamento giuridico che iniziava a non essere più al passo con i tempi.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Fincantieri e Tirrenia, due vittime del Ministero per lo Sviluppo Economico

postato il 21 Settembre 2010

Fincantieri Shipyard - Rivatrigoso di Ciccio PizzettaroQuando si parla dell’assenza del Ministro per lo Sviluppo Economico (assenza che dura da 5 mesi), noi parliamo di un gravissimo problema per tutti noi italiani.

E basta considerare due fatti di cronaca per rendersene conto. Il primo riguarda la Fincantieri che in questi giorni sta vivendo un periodo di scioperi e tensioni che vedono protagonisti i lavoratori di tutta Italia, che protestano contro il nuovo piano industriale che prevede oltre 2000 licenziamenti, oltre a ripercusissioni per tutte le aziende dell’indotto (le quali dovrebbero licenziare almeno altri 1500 lavoratori).

Andando più nello specifico, il nuovo piano industriale di Fincantieri prevederebbe la possibilità di chiudere il sito di Riva e Castellammare di Stabia, nonché di ridimensionare quello di Sestri Ponente e di Palermo.

Di contro il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, dichiara di non conoscere l’esistenza di questo piano industriale, ma resta un fatto, il massiccio ricorso alla Cassa Integrazione da parte dell’azienda, mentre sabato scorso, circolava la notizia che la Fincantieri intende chiudere il sito industriale di Riva Trigoso e ridimensionare pesantemente quello di Sestri, mentre Castellammare di Stabia verrebbe chiusa.

L’azienda nega l’esistenza di qeusto piano industriale, ma è chiaro che in questa situazione manca la figura del Ministro per lo Sviluppo Economico che dovrebbe chiamare l’azienda e le parti sociali, verificare quanto c’è di vero nelle notizie riportate dalla stampa e soprattutto lavorare per dare un indirizzo economico, visto che l’azienda lamenta anche la carenza nelle infrastrutture, causa principale, secondo la Fincantieri, della riduzione delle commesse.

Ovviamente si parla di investimenti di varie diecine di milioni di euro, ad esempio a Palermo la ristrutturazione dei bacini di carenaggio da 19mila e 52mila tonnellate prevedono investimenti, da parte della sola Regione Sicilia, di circa 44 milioni di euro (investimenti promessi l’inverno scorso, ma ancora fermi) a cui si vanno ad aggiungere altri investimenti da parte dello Stato e degli enti locali dove i bacini sono situati.

Ci si aspetterebbe una certa disponibilità da parte dell’azienda a sentire le parti sociali, ma, osserviamo con grande stupore, che a Riva Trigoso la direzione Fincantieri ha impedito l’accesso alla fabbrica all’assessore regionale alle Infrastrutture della Liguria Ezio Chiesa che ha dichiarato: “Sono sbigottito e preoccupato per un comportamento senza precedenti. Neanche ai tempi di Piaggio, negli anni Sessanta, non si consentiva ad un esponente istituzionale di entrare”. Chiesa voleva entrare nello stabilimento per assistere all’assemblea dei lavoratori.

Mi chiedo: è accettabile questo comportamento da parte dell’azienda?

Su questa situazione pesa, ovviamente, l’assenza del Ministro per lo Sviluppo Economico, figura deputata a trattare con le aziende e pianificare gli investimenti nelle infrastrutture (ossatura di un moderno sistema produttivo che voglia crescere nel tempo).

Ma se non basta l’esempio di Fincantieri, basti considerare la vicenda della Tirrenia.

La società è in vendita da alcuni mesi, ma a parte la Mediterranea Holding, nessuno si è fatto avanti. Come mai? Perchè la società ha gravissimi problemi di bilancio, le rotte non sono profittevoli e anzi in passato ha fatto investimenti sbagliati (ad esempio comprare 6 navi per un totale di 300 milioni di euro, che però non possono prendere il mare e quindi da anni sono tenute ferme nei porti).

La Mediterranea Holding aveva offerto 20 milioni di euro, l’unica offerta giunta al governo durante l’asta, ma la vendita era stata bloccata a fine agosto. Perchè? Non si sa, ma la cosa curiosa è che la società deve essere venduta entro la data del 30 settembre, altrimenti il governo italiano, ovvero noi cittadini, dovremo pagare una multa astronomica all’Unione Europea.

Stranamente la procedura di vendita è stata riaperta 5 giorni fa, anzi, il commissario Giancarlo D’Andrea con un annuncio a pagamento sui giornali rivolge un invito a “chiunque sia in grado di garantire la continuità del servizio pubblico di trasporto marittimo” a presentare manifestazioni di interesse per l’acquisto del ramo di azienda di Tirrenia di Navigazione Spa. Le manifestazioni dovranno pervenire presso l’adivisor Rothschild entro il 29 settembre e finora l’unica offerta sul tavolo è quella di Mediterrania Holding presentata nelle scorse settimane. La procedura, viene precisato nell’annuncio, prevede una vendita separata fra Tirrenia e Siremar, la controllata siciliana, finita in amministrazione controllata per insolvenza.

Anche in questo caso l’assenza del Ministro per lo Sviluppo Economico si fa sentire, perchè sarebbe suo compito sovrintendere alla procedura di vendita e controllare i piani di sviluppo presentati dalle varie cordate di acquirenti (se ci saranno), la sua assenza è un peso che grava sui conti degli italiani.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Mentana intervista Pier Ferdinando Casini

postato il 12 Settembre 2010

Chianciano Terme 12 settembre 2010

Casini, abbiamo visto affluenze, adesioni, amici che sono diventati più amici, c’è un alone positivo, ovviamente. Abbiamo visto anche quali sono gli umori della vostra base, gli umori, gli amori, i disamori. Io sono venuto qui due anni fa, lei aveva appena vinto  la gara per la sopravvivenza in una campagna elettorale fortissima se non sbaglio baciata nel finale anche da un lieto evento familiare! Era riuscito però a superare quella che era stata la morsa che le avevano fatto due ex alleati che si erano dimenticati di essere stati alleati. Avete corso da soli, avete vinto. Allora, due anni fa, l’ha pagata essendo l’unico partito, il leader dell’unico partito che è stato all’opposizione dal 2006 al 2008 e poi ha continuato ad essere un partito di opposizione. Io credo che vi abbia fatto bene stare all’opposizione perché ci si rafforza da un punto di vista di coesione politica.  Adesso la situazione sta cambiando però tutti si chiedono: dove va questo nuovo partito?  Sta lì ad aspettare sulla riva del fiume ma prima o poi dovrà fare delle scelte.  E allora di fronte a tutto questo, innanzitutto come ci si pone?  Ci si pone nell’idea di dire aspettiamo e vediamo oppure prima di tutto i nostri valori? Oppure ci sono delle pietre angolari che sono la legalità, la giustizia, i valori cristiani, che cosa?
Come prima domanda è uno scibile umano! [Continua a leggere]

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Il Decreto incentivi e il caso Mondadori

postato il 21 Agosto 2010

Il decreto legge n. 40 del 25 marzo, e convertito in legge dal parlamento in data 22 maggio, ha già un soprannome: legge salva-Mondadori.

Perchè?

La norma in realtà, è generica, ma sembra essere tagliata sulle esigenze di Mondadori.

Se andiamo a studiare la Legge, osserviamo che questa inizia bene, si prefigge di combattere attivamente l’evasione e l’elusione fiscale attuata tramite le cosiddette “cartiere” e i “caroselli”, ovvero la creazione di società fittizie e di comodo, poi però presenta all’art. 3 comma 2 bis il seguente dispositivo: “le controversie tributarie pendenti che originano da ricorsi iscritti a ruolo nel primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, da oltre dieci anni, per le quali risulti soccombente l’Amministrazione finanziaria dello Stato nei primi due gradi di giudizio, sono definite con le seguenti modalita’: (…) b) le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di cassazione possono essere estinte con il pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia (…)”.

Che significa?

Che se una azienda ha un contenzioso con l’amministrazione finanziaria per avere evaso tasse, o per reati similari, e la vertenza dura da almeno dieci anni con due gradi di giudizio già conclusi positivamente per l’azienda, quest’ultima paga solamente il 5% di quanto dovuto e la vertenza si chiude.

E qui entra in pieno la Mondadori: nel 1991 la guardia di finanza commina una multa di 200 miliardi di imposte da versare (circa 100 milioni di euro), a cui la Mondadori oppone immediato ricorso che, tra alterne vicende, si trascina fino ai gironi nostri, quando sta per concludersi il terzo grado di giudizio.

Nel frattempo la multa, comprensiva di interessi, spese giudiziali e altro, è lievitata fino a 350 milioni di euro, ma, grazie alla nuova la legge, tutto il procedimento si chiuderà con una multa di soli 8,6 milioni di euro (il famoso 5%, che viene calcolato non sulla cifra totale, 350 milioni appunto, ma su una cifra molto inferiore, ovvero 180 milioni di euro, togliendo interessi maturati e altre spese).

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Morti bianche: Si può morire di lavoro?

postato il 23 Luglio 2010

di Gaspare Compagno

Questo è un argomento vitale, anche se tratta di morte: si parla di morti bianche, che sono quelle che accadono nei posti di lavoro.

Il rapporto INAIL pubblicato oggi attesta che sono in diminuzione, addirittura ai minimi dal 1993. Ma questa riduzione, purtroppo non è legata a maggiore sicurezza sul lavoro, bensì alla diminuzione dei lavoratori.

Nonostante ciò, i numeri restano da infarto: gli infortuni sono stati 790mila, 85mila in meno rispetto al 2008. Per una riduzione del 9,7 per cento, mentre i casi mortali sono calati del 6,3 per cento. I lavoratori che hanno perso la vita sul posto sono stati 1050, 70 in meno rispetto all`anno precedente; gli infortuni dei lavoratori stranieri passano da 143mila del 2008 a 119mila, con una flessione del 17%.

Dobbiamo rallegrarci per questa flessione?

Assolutamente no, è legata solo al minore numero di lavoratori.

E non possiamo rallegrarci di questa notizia, perché ogni morte, ogni vita spezzata, è motivo di dolore, e proprio per questo dobbiamo batterci per aumentare la sicurezza sul posto di lavoro.

Ma non basta questo.

Spesso sui giornali leggiamo di proteste eclatanti, come quella dei lavoratori alla Scala di Milano, o come quella dei lavoratori della Playtex a Roma, ma troppo spesso ci dimentichiamo di chi ci lascia prematuramente, come del tecnico a Milano, o come l’operaio a Taggia, o dell’operaio a Siracusa, e potrei continuare perché l’elenco è tristemente lungo.

Ma oltre a questi dobbiamo pensare anche a chi muore perchè non ha il lavoro o lo ha perduto e sfugge alle statistiche dell’Inail: ad esempio a Brembate muore un operaio che aveva perso il lavoro; in Campania due operai si sono suicidati perché senza lavoro e potrei continuare.

L’ultimo suicidio, frutto dell’abbandono della speranza, è avvenuto sabato scorso dalle parti di Salemi in Sicilia, dove un ex dipendente, Francesco Gucciardi, della Telecom Sicilia srl, società dichiarata fallita nel 2000, dopo che per 10 anni è stato prima ignorato, poi illuso, poi di nuovo ignorato, ha deciso di suicidarsi.

E queste morti, magari ci colpiscono, ma poi finiscono nel dimenticatoio per tutti, tranne che per le famiglie che anche a distanza di anni piangono i loro cari, come nel caso dello scoppio del Molino Cordero, dove dopo soli tre anni, alla cerimonia di commemorazione c’erano solo i parenti.

Non è giusto che in un paese che si definisce civile e all’avanguardia, ancora oggi, il lavoro o l’assenza dello stesso, sia una delle prime cause di morte violenta. Occorrono risposte e soluzioni.

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