Voci dalla convention. Dal mondo della ricerca per il Terzo Polo
postato il 22 Luglio 2011“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri
“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri
Anche i meno avvezzi all’economia e alla finanza avranno ormai capito che la manovra finanziaria del governo Berlusconi riguardante l’obiettivo di pareggiare il bilancio negli anni 2013-2014, sebbene presentata inizialmente come un semplice aggiustamento dei conti, è destinata invece a prendere i tratti meno piacevoli dell’aumento della pressione fiscale. L’Italia ha una pressione fiscale molto alta, tra le più alte in Europa. La manovra la farà crescere addirittura dell’1,2%, mettendo ancor più in difficoltà migliaia di italiani. L’incremento delle tasse colpirà un po’ tutti, ma quelli che se la vedranno peggio saranno le giovani coppie, le famiglie monoreddito e le famiglie con molti figli. Per i benestanti, comunque colpiti, le cose andranno un po’ meglio. Tremonti ha stabilito che il taglio lineare delle 480 agevolazioni fiscali e assistenziali sarà del 5% nel 2013 e del 20% nel 2014, anno che si preannuncerà parecchio duro.
Non è facilissimo capire come i tagli si abbatteranno sulle famiglie italiane, ma delle stime elaborate, ad esempio quelle dell’Ansa in collaborazione con i Caf della Cisl, c’è veramente da preoccuparsi. Su una famiglia monoreddito benestante senza figli il taglio voluto dal governo peserebbe rispettivamente per 136 euro nel 2013 e per 543 euro nel 2014. Simile, purtroppo solo nel pagamento delle tasse, è la situazione per una famiglia monoreddito il cui capofamiglia è una “tuta blu“: pagherà 140 euro in più nel 2013 e 556 euro nel 2014. Per quanto riguarda una giovane coppia con doppio reddito e un figlio a carico, oltre magari ad un mutuo da pagare, nel 2013 ci saranno 203 euro in più di tasse l’anno successivo 904 euro in più. Una famiglia di ceto medio e monoreddito, con un impiego da dipendente e due figli a carico, si vedrà aumentare le tasse di 169 euro nel 2013 e di 676 euro nel 2014. Un pensionato, vedovo, con con un reddito superiore alla pensione sociale (15.000 euro), si troverà a pagare 102 euro in più nel 2013 e 400 euro in più l’anno dopo. Situazione ancora più dura per una famiglia monoreddito con due figli maggiori di 3 anni a carico: con un reddito di 25.000 euro l’anno (è il caso delle famiglie in cui chi lavora fa il poliziotto) i tagli provocheranno un aumento di 226,5 euro nel 2013 e di 906 euro nel 2014 a livello di tasse da pagare. Aggiungendo l’arrivo del super-ticket sanitario, i dipendenti pubblici senza aumento degli stipendi per un altro anno e l’aumento dell’età pensionabile è evidente che il peso del risanamento dei conti pubblici riguarderà soprattutto le famiglie e i ceti medio-bassi.
La gravità della situazione per le famiglie italiane è testimoniata anche dalla posizione del sottosegretario alla Famiglia Carlo Giovanardi che ha giudicato negativamente la manovra e ha minacciato le dimissioni. L’imbarazzo di Giovanardi e di tutti quelli che nel governo e nella maggioranza hanno sempre parlato di politiche a favore della famiglia è evidente. Queste politiche tanto annunciate non sono mai arrivate, anzi le famiglie sono oggetto di un “massacro fiscale” senza precedenti che pone serie preoccupazioni. Tremonti presentando la manovra ha parlato del Paese usando la metafora del Titanic, il superbo transatlantico colato a picco nelle fredde acque dell’Atlantico del nord, e probabilmente mai immagine fu più azzeccata considerata la terribile fine che fecero le tante famiglie confinate nella terza classe della nave. Ieri sul Titanic l’orchestra suonava incurante, oggi il governo continua a far finta di niente. Troppe inquietanti similitudini.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi
La notizia è di quelle che lasciano basiti: pare che torni la tassazione sulla prima casa, solo che invece che pagare l’ICI adesso la inseriremo nell’IRPEF, ovvero la dichiarazione dei redditi, mentre le riduzioni per carichi familiari verranno tagliate.
Certo ora voglio vedere, se la notizia è confermata, come il governo giustificherà una simile mossa dopo che per anni aveva strombazzato “urbi et orbi” che non metteva le mani nelle tasche dei cittadini, e che anzi aveva tolto l’ICI sulla prima casa. Ricordate? Era uno dei punti fondamentali del programma elettorale del 2008. Purtroppo per Berlusconi, noi abbiamo una memoria di ferro e cosa ancora peggiore, sappiamo usare la calcolatrice, per vedere dove, come e quanto ci costano le “idee” di questo governo.
Andiamo alla norma e facciamo un paio di conti. Cosa dice la legge? Sostanzialmente il maxiemendamento introdotto in sede di conversione del dl 98/2011 (ovvero la finanziaria approvata la scorsa settimana) prevede una riduzione “lineare” del 5 per cento nel 2013 e del 20 per cento dal 2014 dei regimi di esenzione, esclusioni e agevolazioni fiscali rilevati dalla commissione sulle “tax expenditures”. In soldoni, il taglio “lineare” ripristina la tassazione ai fini Irpef della prima casa (abolita nel 2000 dal governo Amato).
Una bella botta, vero? Attualmente, in base all’art.10 comma3 bis tuir, vi è la deduzione integrale della rendita catastale dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e delle relative pertinenze. In pratica, con la legislazione attuale la rendita catastale della prima casa non compare nell’IRPEF, mentre con le nuove norme, la riduzione “lineare” della deduzione per l’abitazione principale del 5% nel 2013 e del 20% dal 2014, è prevista la tassazione dell’unità abitativa su una base imponibile pari al venti per cento della rendita catastale.
In pratica si dovrà mettere nella dichiarazione dei redditi il 20% della rendita catastale della prima casa. Ma cosa è la rendita catastale? Con tale termine si intende la rendita ipotetica di un immobile che si ottiene moltiplicando le sue grandezze fisiche (numero di vani, volumetria, estensione) e una tariffa (tariffa d’estimo) che si determina in base al comune, alla zona dove sorge l’immobile e alla destinazione d’uso dell’immobile medesimo. Essa viene usata come valore di riferimento per le successioni, donazioni e appunto per l’IRPEF; solo che fino ad oggi la prima casa non compariva nella dichiarazione dei redditi, da domani si.
Ovviamente questo riguarderà anche le deduzioni che attualmente vigono sui mutui fatti per l’acquisto di una casa: nello specifico si considerano in calo sia i benefici per la deduzione della prima casa sia quella relativa agli interessi del mutuo; nel primo caso si registra una diminuzione da 126,8 euro a 100 euro nel 2014, mentre per gli interessi si passerebbe dai 328 euro all’anno attuali a 264 euro.
Questa norma, va ad aggiungersi ad un’altra norma ancora più ingiusta, ovvero il taglio relativo alle detrazioni per carichi di famiglia. Attualmente la legislazione prevede che le detrazioni relative al coniuge e figli a carico sono tanto maggiori quanto più basso è il reddito del contribuente. Ovviamente, se il taglio della riduzione è uguale per tutti, chi ne soffre di più è la famiglia con meno soldi.
Nel campo delle deduzioni familiari, è ragguardevole il dato in base al quale emerge che 11,8 milioni di italiani ne sono beneficiari e in media queste raggiungono gli 829 euro, ma con il taglio del 20% il lavoratore con figli e coniuge a carico avrà una deduzione di circa 665 euro.
Se sommiamo i provvedimenti sulla casa e la riduzione delle detrazioni per i familiari a carico una famiglia media si troverà a pagare circa 1000 euro in più. Una bella batosta decisa da chi afferma di non mettere nuove tasse…. Si e magari Babbo Natale esiste…
“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati
L’ISTAT allarma l’Italia: nel 2010 risulta povera o quasi povera circa una famiglia su cinque. Nel 2010 l’incidenza di povertà assoluta e relativa ha toccato quote altissime. Il fenomeno, come purtroppo prevedibile, è particolarmente evidente nel Mezzogiorno, dove é povera quasi la metà (il 47,3%) delle famiglie con tre o più figli minori e, tra le regioni più povere d’Italia, la Basilicata si aggiudica questo triste primato: è la regione dove la povertà relativa ha l’incidenza maggiore (28,3 %), seguita da Sicilia (27 %) e Calabria (26 %) .
A quanto pare, in Basilicata non va proprio tutto così bene come sembra. I problemi sono molti e hanno radici ben profonde: sappiamo quanti giovani abbandonano la Basilicata (in gran parte laureati) e sappiamo per quale motivo: la mancanza di lavoro.
Eppure, la nostra Terra non è certamente povera di risorse, anzi! Abbiamo risorse energetiche (il petrolio), ambientali (l’acqua) e culturali (Melfi, Venosa, Matera..). Terra ricca, patria di gente una volta fiera e combattiva, costretta ora a vivere dell’elemosina dei petrolieri che abusano delle nostre ricchezze e dei politici che, abbindolando la popolazione lucana, hanno costruito un impero di clientelismo di estensione incalcolabile.
Siamo schiavi di un sistema che abbiamo creato noi stessi, noi che abbiamo riposto la nostra fiducia in persone incapaci, inadeguate e immeritevoli di ricoprire cariche importanti. La mala-politica ha distrutto tutto, anche la nostra voglia di ribellarci. Siamo abituati a tutto e, ormai, ogni bruttura sembra scivolarci addosso, senza provocare reazione.
Siamo poveri, nelle tasche e nello spirito. Ci hanno tolto le forze e i mezzi per rialzarci, hanno fatto scappare i ragazzi: figli, fratelli, sorelle, cugini. Sono andati via, hanno offerto la loro intelligenza a chi ha saputo sfruttare le doti dei giovani per il bene collettivo.
Io, però, spero ancora. Spero che un giorno, i lucani possano svegliarsi da questo torpore.
Purtroppo non c’è più molto tempo per tergiversare: ognuno deve metterci la propria faccia, il proprio impegno: ragazzi, anziani, padri, madri. Tutti. Soltanto se non permetteremo di toglierci anche questo briciolo di speranza che ci è rimasto, qualcosa forse potrà cambiare.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano
Sono cominciati da qualche giorno i lavori alla Villa Reale di Monza per insediare alcuni uffici periferici dei Ministeri della Repubblica Italiana con a capo i leghisti Calderoli e Bossi.
Mentre il Senatur mostrava il dito medio al tricolore alla festa padana di Besozzo, Calderoli annunciava: “Il 23 luglio alle 11.30 apriremo il mio ministero, quello di Bossi e di Tremonti a Monza, che piaccia o no a Roma. Vi aspettiamo tutti”. E non importa se la maggior parte degli spazi della Villa sono in condizioni precari, non importa se Comune e Regione da tempo si sono impegnati per il restauro del complesso nonostante le ristrettezze finanziarie del momento, a nulla serve che Formigoni, con un bando da 20 milioni di euro per il restauro, abbia già detto che a Monza non c’è spazio per questo tipo di operazioni, il “trasloco padano” s’ha da fare. È semplicemente vergognoso che, mentre le borse toccano il fondo, mentre ci si accinge ad approvare una manovra di lacrime e sangue, il sanguisuga Calderoli utilizzi denaro pubblico per concentrare alcuni uffici periferici facendo arrivare la mobilia da Catania, a 1.300 km di distanza da Monza, schiaffeggiando ulteriormente i brianzoli, maestri del mobile, senza aver nessuno rispetto per loro e per la Villa stessa.
La Villa è un complesso di enorme valore costruita in meno di tre anni dall’architetto Piermarini che ha visto al suo interno teste coronate e che è tutt’ora sede di vari eventi culturali. L’arrivo degli uffici ministeriali e dei suoi inquilini costringerà, purtroppo, a rivedere il progetto del Museo della Villa: la Soprintendenza alle Belle Arti aveva già previsto l’ingresso dei visitatori presso il Cortile della Cavallerizza ma ad Umberto Bossi poco importa, bisognava farlo. Logico pensare che una mossa del genere è stata fatta solo ed esclusivamente per gettare fumo negli occhi a quegli elettori, ultimamente molti, che non vedono più nelle mosse leghiste i propri ideali. Questi personaggi che in settimana giacciono serafici a “Roma poltrona” e il sabato e la domenica presenziano alle feste della Lega offendendo la bandiera e il popolo italiano.
I giovani dell’UDC non ci stanno ed è per questo che siamo pronti a raccogliere le firme in tutta la Lombardia contro questo superfluo trasferimento e spreco di denaro pubblico. Confido nel popolo italiano e sono sicuro che in questo momento di sacrifici ci sia in Brianza, al Nord e in tutta Italia una sola voce che si levi a denunciare questa vergogna affinché vengano ritirati i decreti che permettono l’apertura degli uffici nella Villa Reale di Monza e faccio un appello al Sindaco Mariani e gli chiedo di tornare in sé, di abbandonare l’atteggiamento servile e di non appoggiare questo scempio che si viene a creare in un gioiello architettonico di cui andare orgogliosi.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Michele Trabacchino
Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nella sua ultima intervista, rilasciata nell’agosto 1982 a Giorgio Bocca per la Repubblica, sottolineava che “la mafia non è soltanto una questione criminale fine a se stessa, ma anche economica e sociale”, così dicendo pose le premesse di una lotta alla mafia che colpisse anche gli interessi economici e le ricchezze accumulate con i traffici illegali. Da allora tanto si è fatto e grazie ad una legislazione ad hoc e al lavoro congiunto della magistratura e delle forze dell’ordine si è potuto colpire ripetutamente gli interessi economici mafiosi e, soprattutto, è iniziata una preziosa opera di confisca e reimpiego di beni e di denaro sottratti alla criminalità. Le somme di denaro e dei proventi derivanti dai beni confiscati attualmente affluiscono al Fondo Unico Giustizia, che va distinto dal Fondo Unico di Amministrazione, ed è disciplinato dall’art.61, commi 23 e 24, del D.L. 25.6.2008 n. 112 (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 6 agosto 2008 n. 133) e dall’art. 2 del D.L. 16 settembre 2008 n. 143 (convertito don modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181). Nel Fondo Unico Giustizia arrivano le somme sequestrate nell’ambito di procedimenti penali o per l’applicazione di misure di prevenzione (ordinarie o antimafia) o di irrogazione di sanzioni amministrative ed i proventi derivanti dai beni confiscati nell’ambito di procedimenti penali, amministrativi o per l’applicazione di misure di prevenzione.
L’art. 2 del D.L. 16 settembre 2008 n. 143, convertito in legge con modifiche il 5.11.2008, ha ampliato il contenuto del Fondo in quanto ha stabilito che in esso confluiscono anche:
La gestione del Fondo Unico Giustizia è affidata ad Equitalia Giustizia S.p.A.ed ha la finalità di finanziare: a) il Ministero dell’Interno per le attività di tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico; b) il Ministero della Giustizia per il funzionamento ed il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali; c) il bilancio dello Stato. In particolare il testo emendato dell’art.2 del DL143/08 specifica che le risorse del Fondo unico Giustizia, anche frutto di utili della loro gestione finanziaria, vanno destinate in misura non inferiore ad un terzo al Ministero dell’Interno ed in misura non inferiore ad un terzo al Ministero della Giustizia. Le quote di assegnazione saranno indicate ogni anno con DPCM, di concerto con i Ministri dell’interno e della Giustizia. E’ facile comprendere l’entità delle somme che confluiscono nel Fondo Unico Giustizia, basti pensare che, su oltre 600.000 libretti di risparmio postali aperti per ragioni di giustizia, sono attualmente depositati presso le Poste SPA più di un miliardo e seicentomila euro. Il fatto che queste risorse vengano reimpiegate nel comparto giustizia, e dunque servano in parte a rendere sempre più efficace la lotta contro la criminalità organizzata, è sicuramente una cosa lodevole, ma considerata l’entità delle somme sequestrate e dei proventi derivati dai beni confiscati sarebbe auspicabile che queste venissero impiegate anche per sostenere lo sviluppo economico delle comunità locali e dei territori danneggiati dalle mafie. I loschi affari della criminalità organizzata, oltre che a finanziare attività illecite di ogni tipo, danneggiano seriamente le economie locali che bloccate dal cancro mafioso non crescono con evidenti nefaste conseguenze per il territorio e i cittadini.
Da una terra come la Sicilia, che quotidianamente conta i danni economici provocati dalla Mafia, arriva una proposta in questo senso di cui si fatta promotrice l’onorevole Giulia Adamo, capogruppo dell’Udc all’Assemblea regionale siciliana, che ha presentato uno schema di progetto di legge da proporre al Parlamento della Repubblica concernente la destinazione delle somme e dei proventi affluiti nel Fondo Unico Giustizia. Il disegno di legge voto nn. 508-527, approvato dal Parlamento siciliano il 14 aprile 2010, prevede che nel rispetto dei principi del federalismo fiscale il denaro e i proventi dei beni confiscati, affluiti nel Fondo unico giustizia, siano destinati allo sviluppo economico delle comunità locali e dei territori danneggiati dalla criminalità organizzata, con una specifica attenzione per il miglioramento delle infrastrutture, per il sostegno alle forze dell’ordine e per tutti gli altri interventi previsti dalla normativa regionale per il contrasto alla criminalità organizzata (Legge regionale n.15 del 20/11/2008). Qualcuno, specie dalle parti della sede leghista di via Bellerio, potrebbe storcere il naso davanti alla proposta dell’onorevole Adamo, pensando all’ennesima occasione di spreco alla siciliana, eppure il progetto di legge della deputata centrista ha dei contorni ben precisi che non solo mettono in pratica, in maniera corretta, i principi del federalismo fiscale ma stabiliscono un prezioso criterio di giustizia per cui le terre penalizzate e depredate dal fenomeno mafioso sono risarcite con infrastrutture, investimenti, caserme e scuole. Non si tratta dunque di togliere fondi al ministero della giustizia o a quello dell’interno, ma la destinazione di queste risorse alle comunità locali afflitte dal fenomeno mafioso risponde ad una logica di lotta alla criminalità che non è fatta esclusivamente dell’azione della magistratura e delle forze dell’ordine ma anche dall’azione di promozione sociale ed economica nella convinzione che la lotta alle mafie si fa anche con una economia libera, con infrastrutture decenti, con case, scuole ed ospedali.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi
Abbiamo detto di come il governo, aumentando l’imposta di bollo sui conti titoli, penalizzi i piccoli risparmiatori. Oggi vorrei approfondire l’argomento, perché mi rendo conto che sono stato un po’ frettoloso, macchiandomi quindi di una colpa grave, visto che parliamo del risparmio degli italiani e che l’argomento è alquanto complesso.
Partiamo da alcune informazioni di base: sui dividendi che danno BOT, CCT, BTP e titoli azionari, al momento vi sono 3 tassazioni che colpiscono tutti (cassettisti e investitori), e poi il capital gain che colpisce solo gli investitori (con questa categoria considero i risparmiatori che acquistano e vendono titoli, guadagnando sulla differenza di prezzo). Con queste tasse, chi sono colpiti? I piccoli risparmiatori, non certo i grandi patrimoni. Perché? Perché per un grande patrimonio, pagare 39 euro o 120 euro cambia poco nei rendimenti, ma per chi investe 20.000 euro con un rendimento all’1% (caso dei BOT), significa andare in perdita.
Spieghiamo come. Intanto partiamo dal rendimento lordo e ipotizziamo un BOT che rende circa 1,2% l’anno. Se consideriamo un investimento di 20.000 euro, otteniamo un rendimento lordo di circa 240 euro. Adesso a questi 240 euro, dobbiamo togliere: 30 euro di tenuta titoli (per i titoli azionari è pari a 60 euro), 120 euro (come è nella finanziaria) di bollo annuale e scendiamo da 240 euro a 90 euro.
Abbiamo finito? No, perché in realtà il dividendo non è di 240 euro, ma meno, infatti al dividendo lo stato applica una ritenuta alla fonte (una tassa) pari al 12,5% del dividendo, quindi altri 30 euro da pagare. Quindi alla fine abbiamo: 240 euro di introito a cui dobbiamo togliere il 12,5% (quindi 30 euro circa), 30 euro di tenuta titoli, 120 euro di bollo annuale. Quanto resta? 60 euro.
Vi sembra molto? Direi di no, perché per giunta, dobbiamo fare un’altra specificazione: il dividendo lordo (240 euro) va a finire nel calcolo IRPEF e quindi altre tasse.
E se invece di un Bot, consideriamo un BTP decennale? Il BTP con scadenza a 10 anni, rende circa il 5% lordo che su 20.000 euro investiti garantisce un rendimento pari a circa 1000 euro.
Sembra molto? Intanto consideriamo che questi soldi restano “bloccati” per circa 10 anni (a meno di volerli vendere e perdere 1-2% del capitale investito), e ogni anni si percepiscono questi 1000 euro lordi. Ma quanto resta di netto? Riprendiamo i calcoli precedenti e abbiamo 1000 euro lordi a cui sottrarre 125 euro (il 12,55 di ritenuta), 30 euro di tenuta titoli e 120 euro di bollo annuale, e resta un totale di 725 euro, a cui togliere le ulteriori tassazioni dell’IRPEF.
Stesso andamento se consideriamo i titoli azionari (che rendono qualcosina in più, ma hanno maggiori tasse, ad esempio le spese di tenuta titoli raddoppiano e passano a 60 euro). Da questi calcoli diventa evidente che chi subisce il depauperamento maggiore è il piccolo risparmiatore, e andando nello specifico, chi possiamo considerare come piccolo risparmiatore? Se consideriamo gli importi calcolati, ci rendiamo conto che i 20.000 euro investiti sono appannaggio o di un pensionato o di un giovane lavoratore (che in media percepisce poco meno di 1000 euro al mese e non ha molte possibilità di mettere da parte grandi risparmi, visto lo stipendio e il costo della vita). Quindi ad essere penalizzati maggiormente sono le due categorie più “deboli” in Italia: i pensionati e i giovani lavoratori.
E cosa succede se aumentiamo il capital gain? Nel 2009 lo Stato italiano dal capital gain ha preso circa 300 milioni, quindi anche raddoppiandolo e considerando il 2009 lo Stato prenderebbe solo altri 300 milioni aggiuntivi. Ma anche qui, al di là delle ideologie, andiamo a colpire solo i piccoli risparmiatori. Infatti la tassazione del capital gain interessa solo le persone fisiche non imprenditori o, se imprenditori, limitatamente ai beni non appartenenti all’impresa.
Sono esclusi i soggetti che conseguono tali redditi nell’ambito di un’attività commerciale, in quanto per questi ultimi i proventi conseguiti sono attratti per presunzione assoluta nella disciplina del reddito d’impresa, ove non soggetti a ritenuta d’imposta o ad imposta sostitutiva (art. 45 TU). Banche, assicurazioni e investitori professionali (fondi speculativi e fondi di investimento) subiscono la tassazione del regime dichiarativo e quindi sui guadagni derivanti da investimenti di borsa pagano le tasse “aziendali” (Irap e simili) con tassazione al tra il 40 e il 50% degli utili. Da ciò si deduce che, se per una questione ideologica vogliamo aumentare la tassazione del capital gain dal 12,5%, si può fare, ma si sappia che si vanno a colpire i piccoli risparmiatori senza che lo Stato possa incamerare cifre tali da avviare un robusto risanamento dei suoi conti.
Da quanto sopra, non ho voluto considerare le conseguenze per la già debole “industria finanziaria” italiana.
A questo punto, possiamo solo concludere in un modo: se il governo vuole aumentare la tassazione dell’imposta di bollo e portarla a 120 euro, può farlo, ma, se volesse fare una cosa giusta, dovrebbe coinvolgere i grandi patrimoni o quanto meno quelli abbienti, partendo da una cifra di almeno 200.000 euro investiti, proprio per non penalizzare gli italiani non abbienti o addirittura poveri.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati
Pier Ferdinando Casini ospite, ieri a Serravalle Pistoiese (PT), della 15ª edizione di Cgil Incontri- “Energie al Lavoro” – . Partecipa al dibattito con Susanna Camusso e Pier Luigi Bersani: “Quale vento nuovo soffierà sull’Italia?”
C’è scritto “libri”, io leggo “5 Million Club“, abbreviato in “FMC”, simpatica locuzione coniata da Beppe Severgnini per indicare coloro che entrano regolarmente in libreria. Severgnini, e credo ognuno di noi possa essere d’accordo, è dell’idea che il numero sia un pò piccolo, e vada quindi sostenuto e, se possibile, ampliato. Ha appena ricevuto il via libera alla Camera una proposta di legge bipartisan che pone un tetto massimo del 15% alla possibilità di sconto sui libri. L’iter parlamentare è appena cominciato, però forse meriterebbe maggiore attenzione, da parte di tutti. Gli interessi, anche contrastanti, in gioco sono molti: quelli dei piccoli e grandi editori, sempre più in difficoltà vista la ristrezza del mercato, quello dei lettori, che sono pochi ma ai quali non si può chiedere un eccessivo sacrificio. Ma se, uscendo dalla solita logica “aumento costo-maggior guadagno”, si provasse ad ampliare l’orizzonte, magari includendo nella riflessione le prospettive future della lettura e dei lettori? Cercando non di fermarsi alla fotografia, perciò statica, della situazione attuale, ma di proiettarsi nell’Italia di domani (e se fosse già quella di oggi?), fatta di giovani attivi sulla Rete, sempre e dovunque connessi, diciamo “Giovani2.0″. Ciò richiede competenze e conoscenze forse non possedute nè ritenute essenziali dall’attuale classe politica, ma ciò non può certo essere una giustificazione. Ma non serve essere “amici della Rete” per sapere che il “costo della cultura” grava inevitabilmente sulle famiglie. Libri, scolastici e non sono acquisti che gravano inevitabilmente sulla famiglia. Sappiamo tutti delle “corse in libreria” (con numeri alti relativamente, vero) durante le grandi promozioni o gli “assalti alle Fiere del Libro”, Torino su tutte anche a livello europeo. Ma siamo quindi proprio sicuri che la soluzione sia un blocco delle tariffe, in prima analisi sfavorevole e poco allettante per il lettore?
Perché, invece, lasciando da parte l’attenzione al divieto, optare per un’incentivazione del mercato 2.0? Nel mondo anglosassone l’E-Book ha già conquistato una considerevole fetta del settore: perché non buttarsi su questo fronte? In Italia siamo ancora indietro, ma perché per una volta non provare a precedere tendenze e progresso? E non solo per quel che riguarda l’ambito, per così dire ‘commerciale’, dell’editoria, ma anche -e soprattutto, dico da studente!- l’ambito scolastico-didattico! Trovare e presentare una soluzione ora e subito è cosa non facile. Più facile è dire, senza se e senza ma, che la cultura deve essere incentivata e sostenuta, che il lettore va stimolato e tutelato, che la prospettiva da cui guardare il mondo è a 360° e ormai in… 4D! La politica, se vuole essere “buona” e con la “P” maiuscola, deve saper leggere il presente per indicare e anticipare il futuro. Quante volte in queste poche righe ho scritto “la politica deve saper leggere”? Svariate!…Mi sorge il dubbio: la Politica fa parte del 5 Million Club?
“Riceviamo e pubblichiamo” di Edoardo Marangoni
Sono a casa e la mia ultima campanella di scuola è suonata ormai da qualche giorno. Non immaginavo di provare questa strana sensazione, alla resa dei conti, dopo 5 anni passati in una classe che ho spesso disprezzato e criticato, ma che mi ha comunque lasciato dei grandi insegnamenti. Forse tutte le incomprensioni, tutti i litigi, a qualcosa sono serviti, a farmi capire che in qualsiasi grande gruppo, di studio, di lavoro, i problemi si presenteranno sempre, e la bravura dei componenti sta nel vivere tutto ciò con maturità, portando rispetto anche per la persona che con te è stata scorretta.
Insomma, non mi sono mai trovata troppo bene nella mia classe, a parte quelle poche persone con cui ho legato parecchio e con cui ho vissuto magici momenti, che resteranno nella mia e nella loro memoria.
Oltre il brutto c’è stato anche il bello, momenti particolari che ci hanno fatto capire che stare dietro un banco o una cattedra non è affatto semplice, che a formaci non siamo da soli, ma c’è chi sa darti tanto, oltre un numero o un verbo da declinare. La cosa migliore che ricorderò sempre sono i miei professori. Tutti speciali nel loro essere, senza alcuna distinzione, ognuno di loro mi ha insegnato una cosa diversa, una diversa lezione di vita da cui trarre ispirazione e indicazione.
Durante questi 5 anni, che adesso, mi sembra di aver vissuto troppo in fretta, la persona che mi ha insegnato di più è la mia prof. di matematica. Una donna semplice, dolce e forte, che non mi ha trasmesso l’amore per la materia che da anni e anni insegna con passione e dedizione, ma mi ha insegnato a vivere, a capire quando non devo alzare la voce, perché il momento non è quello giusto, quando essere pacata e quanto siano importanti le passioni, che sono le cose che ci vengono meglio e che ci rendono davvero felici. I suoi occhi che si illuminano davanti a numeri e grafici non li dimenticherò mai!
La seconda persona a cui devo molto è il mio bidello. Ci siamo conosciuti lo scorso anno, o meglio, lui ha capito in pochissimo tempo chi sono e cosa faccio e vorrei fare della mia vita. Non mi sono mai aperta fino in fondo, ma lui ha avuto la capacità di conoscermi, di capirmi. Quando in classe qualcuno dice cose che avresti preferito non sentire, quando ti rendi conto di non aver fatto abbastanza in quella o quell’altra materia, apri una porta e vai a sederti in quella sedia, messa li appositamente per te, che hai bisogno di silenzio o delle parole di qualcuno che ti capisce semplicemente guardandoti.
Devo tanto anche alle persone a cui probabilmente non avrei mai immaginato, prima di oggi, di dover dire grazie. Le persone false, maleducate, che però mi hanno fatto capire che non possiamo sempre incontrare gente che ci piace, che ci va bene, ma vivere in società significa saper convivere con tutti, all’insegna del rispetto e dell’educazione, cosa che molti non hanno ancora capito.
Forse questi anni li sto sentendo così utili per il mio futuro, perché ho avuto sempre un atteggiamento diverso rispetto agli altri, uno stile di comportamento che spesso ha generato discussioni, un modo di vedere le cose troppo diverso dagli altri. Io non ho mai pensato che un professore entrasse in classe e dicesse: “Oggi vi insegno come vivere nella società, prendete appunti”, “Oggi vi insegno cosa s’intende per rispetto e come questo debba essere usato”. I professori non sono manuali d’uso per la vita. Sono uomini e donne che si mettono in gioco, che ti spingono a leggere tra le righe ciò che potrebbe servirti una volta fuori della tua classe. Nessuno ha avuto mai la presunzione di entrare in classe e spiegarci il mondo, chi li avrebbe mai ascoltati se si fossero posti in tal modo?! Sta all’alunno andare oltre, capire che quando un professore lascia parlare l’interrogato a ruota libera lo fa per capire chi è l’interpellato, come ragione, come parla, come sono i suoi occhi mentre racconta qualcosa. Questi non sono discorsi insensati, valgono molto di più della lezione imparata a memoria.
Probabilmente, i ragazzi disprezzano tanto la scuola perché non hanno capito qual è l’atteggiamento da avere durante le lezioni, che bisogna stare sempre attenti, non per evitare una nota o una passeggiata in presidenza, ma perché ogni singola parola, ogni singolo sguardo possono dirti qualcosa, soprattutto se a parlare o a guardarti sono persone adulte, che rispetto a te hanno un vissuto maggiore.
Non è mia intenzione fare la parte della secchiona seduta da sempre a primo banco, perché anzi sono proprio queste le persone che non ci hanno capito nulla, che non hanno capito il senso.
Infine nella classifica delle persone che “Ricorderò” aggiungerei anche un vecchio compagno di classe, bocciato al secondo anno. Lui, proprio l’ultimo giorno di scuola, dopo una mattinata di allegria, foto, musica, il miglior modo per dire addio alla scuola, ci ha commosso con le sue lacrime, inaspettate e sincere, chi si era trattenuto tutto il tempo, per evitare domande del tipo “Ma non sei contento di farla finita con questa scuola?”, non ha potuto più contenere la sua emozione. Le lacrime di Giovanni hanno dimostrato quando sia importante, per un ragazzo con gravi problemi economici e con una famiglia altrettanto problematica, quando sia importante la scuola, che funge da casa, famiglia, che colma ciò che non c’è! Giovanni senza la scuola come farebbe? Si sentirebbe inutile, perché non saprebbe dove fare l’imitatore, dove far ridere se stesso e gli altri.
La scuola è ancora nostro, di tutti coloro che amano imparare, conoscere, esplorare, se stessi e il mondo esterno, mettersi in discussiono, di coloro che hanno voglia di insegnare agli altri tutto ciò che hanno già appreso, di coloro che vogliono dimostrare a se stessi e agli altri quanto realmente valgano.
Non so se riuscirò a fare tutto questo, ma di una cosa sono certa, che “Questa scuola sarà sempre mia”!
“Riceviamo e pubblichiamo” di Sofia Allegra