postato il 16 Dicembre 2010
L’OCSE ha pubblicato uno studio dal quale si evince che la pressione fiscale in Italia è elevatissima, pari al 43,5% del PIL (l’anno precedente era al 43,3%), che ci colloca al terzo posto nel mondo. Questo rapporto contraddice palesemente quanto era stato promesso dal governo, ovvero diminuire la pressione fiscale.
A giugno di questo stesso anno, avevamo denunciato che la pressione fiscale in Italia andava aumentando e non certo diminuendo come vuole fare credere certa propaganda, e lo avevamo fatto citando fatti e non parole vuote. Già all’inizio dell’estate, infatti, avevamo dato grande attenzione agli studi del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, i quali avevano rilevato che eravamo primi per la pressione fiscale come affermava Claudio Siciliotti, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, andando ben oltre i valori rilevati dall’OCSE, infatti, se consideriamo la pressione fiscale sulla sola componente del Pil che le imposte le paga per davvero, ossia sulla componente depurata della quota stimata di economia sommersa, si vede chiaramente come la pressione fiscale ”reale” in Italia sia superiore: 51,6% nel 2009 rispetto al 50,8% nel 2008, e quindi ben al di sopra del risultato rilevato dall’OCSE (pari al 43,5%).
Come mai questa divergenza tra i dati dell’OCSE e i dati del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti?
Questa differenza è legata alla componente di economia sommersa stimata in Italia, che e’ percentualmente piu’ rilevante di quella di tutti gli altri Paesi europei, esclusa la sola Grecia; in concreto significa che a causa dell’evasione e del sommerso i lavoratori onesti pagano molto di più, e l’indice della pressione fiscale ”reale” cresce significativamente di piu’ di quello che accade con riferimento ad altri Paesi.
A conferma di quanto affermato, possiamo anche citare uno studio della CGIA di Mestre che affermava la stessa cosa e che quantificava il sommerso in Italia pari a 250 miliardi di euro nel 2009.
Quando abbiamo dato grande risalto a questi dati, all’inizio dell’estate, ci augurammo che il governo non li sottovalutasse, ma anzi intervenisse al più presto, purtroppo la nostra speranza è stata disattesa. Oggi non solo vediamo confermati i nostri timori dallo studio dell’OCSE, ma questo stesso studio getta una luce sinsitra sul futuro dell’Italia, perchè denuncia la situazione gravissima in cui versano i giovani e il mondo del lavoro: l’Italia è al penultimo posto tra i 33 Paesi membri per quanto riguarda il tasso dell’occupazione giovanile. Se guardiamo le cifre, osserviamo che in Italia solo il 21,7% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è occupato, contro una media Ocse del 40,2%.
E non è tutto, perchè l’Italia ha anche il minor tasso di occupati tra i giovani laureati e la maggior percentuale di giovani «falsi autonomi»: infatti nel 2008 circa il 10% dei giovani occupati italiani risultava autonomo ma senza dipendenti, contro una media del 3% nell’Ue. Che significa “falso autonomo”? Sostanzialmente che è sempre più diffuso il caso in cui aziende assumono giovani ma li costringono ad aprirsi la partita iva, in tal modo l’azienda non ha obblighi verso il giovane, ma anzi può scaricarlo in ogni momento. Tra gli occupati inoltre, riporta ancora lo studio, il 44,4% ha un impiego precario, e il 18,8% lavora part time.
Sono cifre allarmanti, che ci fanno temere per il futuro dell’Italia: sia perchè i giovani sono il futuro, sia perchè se non si da una scossa al mondo del lavoro, sono a rischio anche i conti pubblici dell’Italia stessa. Serve quindi che il governo adesso agisca, proponendo delle riforme concrete e una seria e credibile politica economica e del lavoro.
Flessibilità e svecchiare il mondo del lavoro si, ma senza che questo diventi sfruttamento.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Caterina Catanese