Tutti i post della categoria: I 9 punti

Le chiacchiere stanno a zero, per la famiglia non c’è nessun sostegno nel ddl stabilità

postato il 18 Novembre 2010

Sulla famiglia siamo al ‘redde rationem’: c’e’ un emendamento dell’Udc che propone detrazioni e che si puo’ votare o non votare, senza tante scuse.
Qui le chiacchiere stanno a zero: la social card non esiste piu’, il bonus famiglie nemmeno, si fanno grandi convegni nei quali si dicono cose anche condivisibili, ma poi si fa niente in Parlamento.
E’ gia’ importante che almeno oggi, grazie all’Udc, si sia discusso di famiglie in Aula: poi gli atti parlamentari chiariranno chi ha votato a favore o contro la famiglia.

Pier Ferdinando

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Caro Telese, è ora di buonsenso

postato il 13 Novembre 2010

Giovedì, come tanti, ho visto la puntata di Annozero e come tanti mi sono preoccupato e indignato per lo sfruttamento e le condizioni miserabili di quei poveri immigrati che protestano in cima alla gru. Mi sono perfino infervorato quando Luca Telese ha difeso con enfasi e con poesia la protesta degli immigrati rispetto alla presunta “tiepidezza” di don Mario Toffari, responsabile per la diocesi di Brescia della pastorale dei migranti, e del leader dell’Udc Pierferdinando Casini.

Questo entusiasmo per le parole di Telese si è però raffreddato il giorno successivo, quando dalle colonne de “il Fatto quotidiano” il buon Luca Telese ha riproposto, in un articolo dal sapore un po’ auto celebrativo, la sua invettiva contro i tiepidi, che per vigore faceva impallidire anche l’Apocalisse di San Giovanni, dove notoriamente i tiepidi non sono trattati proprio bene. Perché l’entusiasmo si è raffreddato? Perché gli immigrati sono ancora su quella gru e le parti sembrano sempre più irrigidite. Le parole di Telese, che stimo davvero, non hanno aiutato gli immigrati, hanno strappato applausi fragorosi e lodi sperticate e forse rinfrancato il fronte della protesta, ma, diciamocelo sinceramente, di applausi e di lodi quei poveri cristi in cima ad una gru non se ne fanno un bel niente.

Sappiamo che ci troviamo davanti ad una ingiustizia, sappiamo anche che è giusto e doveroso protestare, ma dobbiamo anche ricordare che in una comunità civile e democratica in questi casi tutti gli sforzi devono convergere per trovare una soluzione che rispetti le persone e le leggi. La rabbia e lo sdegno per l’ingiustizia sono buoni nella misura in cui non ci fanno dimenticare il buonsenso, quel buonsenso che hanno tentato di esprimere don Toffari e Casini e che dovrebbe caratterizzare anche le istituzioni, quel buonsenso che ci ha ricordato  il senegalese Diaw Alboury, che ha convinto il figlio Papa ad abbandonare la gru con la sua struggente supplica e che nel suo appello al figlio e ai suoi compagni ha ricordato che «solo attraverso il rispetto delle leggi del paese ospitante ed il reciproco riconoscimento del valore di persona si possa avviare un percorso di vera integrazione».

Caro Telese anche io mi indigno e grido contro le ingiustizie e l’oppressione dei deboli, ma c’è un tempo per protestare e gridare e un tempo per ragionare e per trovare soluzioni. E’ giunto il tempo del buonsenso, per chi protesta e soprattutto per chi governa questo Paese e ha il compito di trovare soluzioni.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Università italiana, codice rosso

postato il 10 Novembre 2010

La classifica stilata dal settimanale inglese “The” (Times higher education, costola del quotidiano “The Times”) non lascia dubbi: tra i primi duecento atenei del mondo nessuno di questi è italiano. Probabilmente per chi lavora in ambito universitario e si trova quotidianamente a combattere una vera e propria lotta per la sopravvivenza questa classifica non dice nulla di nuovo, ma per tutti gli altri, governo in primis, dovrebbe rappresentare un tremendo campanello d’allarme.

I 78 atenei italiani (pubblici e privati) risultano surclassati non solo da prestigiose istituzioni accademiche come Harvard, Oxford, Cambridge o il Politecnico francese ma anche da minuscoli atenei come quello della città di Bergen (Norvegia) che conta 250 mila abitanti e dalle università cinesi, egiziane e turche.

La classifica redatta dal settimanale inglese ha tenuto conto della ricerca prodotta nei singoli dipartimenti, della qualità della didattica, degli stimoli creati dall’ambiente accademico ed anche del livello di retribuzione di docenti e ricercatori, e ha il fine dichiarato di orientare i giovani per le future scelte accademiche. Cosa faranno i giovani italiani davanti a questa terribile classifica? Si consoleranno con un’altra ricerca di Qs, gruppo leader dell’Mba Tour, che nella sua top 200 vede l’università di Bologna (176° posto) e La Sapienza di Roma (190° posto), oppure, molto più probabilmente, faranno carte false per lasciare questo Paese? I più, probabilmente, si accontenteranno di riuscire a strappare una misera laurea nella giungla universitaria italiana da appendere al muro per correre a lavorare nel call center.

Tutto ciò a patto che gli studenti trovino ancora i cancelli delle università aperti:  è di questi giorni infatti l’allarme dei rettori degli atenei del meridione riuniti a Palermo che hanno paventato la scomparsa delle università del sud a causa dei tagli e del federalismo. Il rettore dell’Università di Palermo, Roberto Lagalla, ha denunciato non solo la contrattura delle risorse per scuola e università ma anche la differenza tra quanto avviene in Italia e nel resto d’Europa dove, nonostante la crisi, si continua ad investire su scuola, università e ricerca.

Del gap in materia di scuola e università tra Italia e resto d’Europa ci aveva già avvertito a settembre il rapporto OCSE sull’istruzione secondo il quale il nostro Paese spende solo il 4,5% del Pil nelle istituzioni scolastiche contro una media europea del 5,7%. A rimetterci molto sono le università. Sul rapporto infatti si legge che la spesa media per studente inclusa l’attività di ricerca è 8.600 dollari contro i quasi tredici mila Ocse. In generale risulta dunque che l’Italia investe ancora poco e male nell’istruzione con un contraccolpo importante per lo sviluppo economico. Lo stesso Segretario generale dell’organizzazione Angel Gurria, durante la presentazione del rapporto, ha sottolineato come “ l’istruzione, mentre siamo alle prese con una recessione mondiale che continua a pesare sull’occupazione, costituisce un investimento essenziale per rispondere alle evoluzioni tecnologiche e demografiche che ridisegnano il mercato del lavoro”.

Questi dati, in un paese normale, allarmerebbero anche un bidello figurarsi il capo del governo o il ministro dell’istruzione e dell’università, ma qui siamo in Italia e non ci si scompone nemmeno se Pompei va in macerie. Figuriamoci l’Università.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Taglio delle borse di studio universitarie, addio al merito e al diritto allo studio

postato il 4 Novembre 2010

La riforma universitaria non può essere a costo zero, anche i buoni propositi diventano inutili se la riforma serve solo a far tornare i conti del Ministro dell’Economia.
Che senso ha parlare di merito e di diritto allo studio se vengono quasi cancellate le borse di studio?

Pier Ferdinando

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Addio Università, verso la cancellazione delle borse di studio

postato il 3 Novembre 2010

Aula Informatica di peppedilupoNel mondo del XXI secolo, globalizzato, dove le barriere tra i paesi sono ormai quasi inesistenti, dove il mondo è a portata di click e soprattutto dove la veloce circolazione dei mezzi, degli uomini e della conoscenza ha permesso all’umanità di fare passi da gigante, ma al contempo nello stesso mondo che combatte ormai da anni contro una crisi economica devastante, che lotta contro le emergenze umanitarie e che si batte per una ripresa rapida e duratura, sembra strano il torpore, quasi voluto, in cui si trova l’Italia. Torpore non solo economico ma soprattutto culturale.

La notizia dei tagli alle borse di studio operati dal ministro Gelmini nel penultimo consiglio dei ministri evidenza una sostanziale miopia nel focalizzare le priorità di un paese alla deriva. Dal prossimo anno verranno ridotti di oltre l’85% i finanziamenti erogati agli studenti che, rientrando per merito e situazione economica familiare, potrebbero accederne. Potrebbero perché da quando il pensiero forte dell’esecutivo è indirizzato alla carestia economica e al rigoroso controllo dei conti pubblici attraverso minacciosi tagli, coloro che ne fanno le spese sono sempre i meno abbienti.

La riflessione è doverosa quando il tema della discussione non sono opinabili visioni dell’economia ma la formazione culturale e professionale.

Il diritto allo studio del cittadino e il dovere dello stato a provvedere ad un’adeguata istruzione non entrano in conflitto con l’economia ma ne sono essi stessi volano di sviluppo nelle società mature. L’istruzione non è uno spreco sterile di denaro ma un investimento sicuro con la più importante rendita: la cultura.

L’investimento, soprattutto se cospicuo, nelle scuole, nelle università e nella ricerca consente ad un paese come il nostro, povero di materie prime e con una economia sempre più precaria, di poter sopravvivere puntando sull’innovazione, sulla qualità ma soprattutto sulla competenza.

La formazione di personale qualificato, di docenti preparati e di ricercatori floridi di idee porta con sé diversi ritorni, tra questi il ritorno culturale e quello economico, strettamente legati l’uno all’altro. Il ritorno culturale è di gran lunga il più prezioso. Attraverso lo sviluppo delle competenze si sviluppa di pari passo la qualità e con essa l’economia. La paura è che la cecità di chi governa non solo tarpi le ali ai giovani ma uccida la creazione di coscienze mature e soprattutto dia la spinta definitiva al nostro paese a cadere in un baratro senza possibilità di appello.

Qui non si parla di rifiuti, di ricostruzioni o di temi eticamente sensibili, dove ognuno, legittimamente, ha una personale opinione. Qui si parla di istruzione, di cultura, di crescita, e l’opinione dovrebbe essere uguale per tutti. Non dovrebbe esistere chi ritiene superfluo l’insegnamento. Può esistere, e deve esistere, chi lo ritiene inadeguato o superficiale ma a ciò si deve accompagnare un atteggiamento propositivo per il cambiamento in meglio dello stato attuale. Costruire un paese senza puntare fortemente nell’istruzione equivale a costruire nel vuoto o meglio a non costruire affatto.

La riduzione delle borse di studio taglia fuori migliaia di studenti che meritatamente hanno investito il loro tempo nella loro formazione per costruire non solo il loro futuro.

Dispiace che i ministri Tremonti e Gelmini non comprendano che l’istruzione universale, la formazione di figure altamente qualificate, il know-how (come lo chiamano gli inglesi) sono le reali risorse fin qui inesaurite del nostro paese. Attraverso l’apprendimento si concedono gli strumenti ad un paese per eccellere. Attraverso l’apprendimento si concedono gli strumenti ad un paese per vivere.

Certamente il problema richiede ulteriori e più approfondite analisi, da un lato l’assenza di reale meritocrazia paralizza il sistema, dall’altro la qualità dell’insegnamento spesso non è adeguata alle aspettative di un paese, ma non ci si può nascondere dietro fantomatiche scuse, sempre più improbabili e sempre meno credibili.

Come si può pretendere l’eccellenza se non si forniscono gli strumenti adatti nemmeno alla sufficienza?

Di certo le borse di studio da sole non risolvono né risolveranno il problema, ma sicuramente garantiscono a tanti studenti per nulla facoltosi di poter accedere a delle risorse fondamentali per garantirsi un’istruzione il più possibile adeguata, e soprattutto garantiscono ai più meritevoli di continuare gli studi indipendentemente dal censo. E chissà se tra i tanti studenti che dall’anno prossimo non beneficeranno più della borsa di studio, e che saranno costretti a rinunciare o a ritardare gli studi per ovvi motivi economici, non ci sia un futuro premio nobel.

Siamo disposti noi oggi ad assumerci questa responsabilità?

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonio Cannatà

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Pisa, il Comune dimentica le domande di bonus dei cittadini meno agiati

postato il 29 Ottobre 2010

lampadina di caramellamentaIl caso esplode in modo pubblico solo in questo mese. Migliaia di cittadini si sono presentati agli sportelli del comune facendo la domanda per il bonus gas e luce. La domanda scadeva il 30 aprile del 2010. L’URP acquisiva le domande ma, si sa solo ora, non le inviava alla Sgate, società nazionale che si occupa della gestione dei bonus. Il comune non aveva né attivato la procedura d’inserimento delle domande né stipulato con CAF alcun accordo in merito.

Cosa fare allora? La giunta comunale in maggio, a tempi scaduti, riesce a passare la patata bollente all’Ufficio UC Alta Marginalità della Società della Salute, che non si sa per quale “generosità” abbia accettato un simile incarico. Il detto ufficio ha un’altra trovata. Il 14 ottobre invia una lettera (circa 6 mesi di ritardo) dal titolo: Pratica incompleta “Bonus tariffe Energetiche”.  Ma di incompleto non c’era niente se non quello che ha combinato il Comune. Si giustifica dicendo che è scaduto l’ISEE: ovvio si risponde, se lo tieni sei mesi nel cassetto!
La lettera della Società della Salute invitava a presentarsi a uno dei nove CAF che hanno stipulato la convenzione con la pratica detta “incompleta”. Telefonando alla maggioranza di questi CAF, si riceve in genere l’indicazione di un altro numero da chiamare, che poi non risponde, o che la persona incaricata è fuori. Uno di questi ha un orario settimanale di solo 15 ore, un’altro di 6: praticamente irraggiungibili con l’orario di lavoro di molti cittadini.

Ad ogni modo i primi cittadini che sono riusciti a recarsi a uno dei nove CAF si sono sentiti rispondere, dopo aver aspettato giorni per avere l’appuntamento, di andare ad un altro CAF perché non sanno come portare avanti la pratica (evitiamo di fare nomi per rispetto umano). Una raccomandazione: non fidatevi di quei CAF che reinseriranno la vostra domanda come nuova. La Sgate respingerebbe e perdereste i bonus.
I Caf dovranno inviate la digitalizzazione che avete ricevuto indietro dall’Ufficio Alta Marginalità. Alcuni CAF sostengono addirittura che l’Ufficio Alta Marginalità abbia negato l’accesso al portale dello Sgate unica via per poter inviare queste vecchie domande. Si prospetta così il serio rischio che le famiglie meno abbiente di Pisa perdano circa 150 euro in un anno. Grazie a chi? Il Comune di Pisa sembra essere stato un caso unico in Italia. Una cosa non la sappiamo. Ma chi è stato il responsabile di tutto ciò? Chi è l’Assessore di competenza? Il Comune non dovrebbe indennizzare tutti quelli che si sono dovuti recare di nuovo o agli sportelli, o tutti quelli che in un CAF convenzionato abbiano ricevuto una procedura che ha fatto bocciare la richiesta di bonus? Una vicenda che ricorda tanto un altro “governo del fare”.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Simone Matteoli

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Condono edilizio e il flop del Piano Casa

postato il 29 Ottobre 2010

Condono Edilizio ovo-sodoPer Berlusconi il Piano Casa è un successo che fa ripartire l’economia, ma dai dati che circolano, si dovrebbe dare ragione a Fitto (ministro PDL per i Rapporti con il Parlamento), il quale ha definito un flop il Piano Casa.

Eppure per Berlusconi questo famigerato provvedimento varato nel 2009 doveva rilanciare l’economia e l’edilizia privata, insomma doveva essere un toccasana, che non sarebbe costato un solo euro alle casse dello Stato.

Ma cosa prevedeva questo Piano Casa? Prevedeva la possibilità per i cittadini di aumentare la cubatura della propria casa. Il permesso di costruire, invece che dagli uffici preposti, era sostituito con una perizia firmata dal progettista, inoltre era possibile aumentare del 25% la volumetria degli edifici esistenti oppure abbattere case con più di vent’anni di vita e ricostruirle con dimensioni più ampie del 35%, in caso di utilizzo di materiali ecologici. Inoltre si prevedeva di costruire 100.000 nuovi alloggi popolari in 5 anni e la vendita di case popolari, per finanziare altre opere di edilizia pubblica.

Un Piano stupendo, ma in realtà il tutto è rimasto lettera morta, come ha ammesso lo stesso Berlusconi alcuni mesi fa. Spenti i riflettori, finite le speranze, tanto che il Governo ha scaricato la responsabilità sulle Regione e sugli enti locali, i quali hanno fatto però rilevare che le norme antisismiche che dovevano essere inserite nell’ambito del piano casa per le nuove abitazioni non sono mai arrivate dal Parlamento, e manca la legge sulla semplificazione normativa che permetterebbe di lanciare l’intera iniziativa.

Intanto registriamo che in un anno e mezzo, in tutta Italia solo 2700 famiglie hanno presentato le richieste per ingrandire le proprie abitazioni, e nessuna di queste riguarda case da abbatere e ricostruire, mentre gli altri provvedimenti riguardanti la vendita e la costruzione di case popolari sono nel limbo e non si hanno più notizie in merito. Se invece si va a valutare Regione per Regione ci si accorge che la vendita deve ancora iniziare, e le domande sono pochissime, a Napoli, come nel Friuli Venezia Giulia, come in Veneto e così via. Quindi oserei dire che il Piano Casa, è un fallimento su tutta la linea.

Di contro possiamo dire che il Governo sta vincendo, anche se lentamente, la sua battaglia per fare un nuovo condono edilizio.

Avevamo già parlato dell’ipotesi di un condono edilizio, e di come fosse stato bocciato. Ma il Governo non si è dato per vinto e sfoderando le sue migliori risorse (che potevano essere utilizzate meglio nel concepire una manovra a vantaggio delle famiglie e della crescita e non solo di tagli indiscriminati) ha concepito un piano in due mosse per portare avanti un condono edilizio totale, che riguardi anche le case costruite in zone poste sotto vincolo paesaggistico e ambientale.

Quali sono queste due mosse?

La prima fare rientrare il condono nell’ambito della lotta all’evasione ed elusione fiscale: tramite fotografie aeree i catasti dei vari comuni si è accertare l’esistenza di varie unità abitative che non erano mai state dichiarate o che sono più ampie di quanto risulta al catasto. In queste settimane, vari cittadini italiani si vedono recapitare lettere da parte dei comuni, che li invitano a mettersi in regola pagando una multa (molto minore rispetto al valore del bene da condonare, parliamo di 1000 o 2000 euro per condonare una villa da 100-150 metri quadrati). L’obiettivo è fare emergere unità abitative nascoste sulle quali poi i comuni potranno imporre il pagamento dei tributi locali nell’ottica dei provvedimenti per il federalismo fiscale varati questa estate. Questo provvedimento, si inquadra non solo nel federalismo fiscale, ma anche in una più ampia politica di lotta all’evasione e non può non ricevere plauso e appoggio, anche se il risultato sarà che molte case saranno regolarizzate con il pagamento di una semplice multa (in deroga alla legge attuale che prevede multa e abbattiimento, in molti casi, del bene abusivo).

Di contro, la seconda mossa per portare avanti il condono edilizio, è la riproposizione del condono anche per le aree sotto tutela paesaggistica. E come si può riproporre un provvedimento che neanche era arrivato al Parlamento a causa delle numerose critiche? Qui, si vede la genialità del governo: è stato cambiato nome al provvedimento ed è stato hanno mandato in Commissione Ambiente da cui si aspetta il giudizio definitivo. E quale è il nuovo nome? A dir poco stupendo, e credo che abbia impegnato i migliori pubblicitari d’Italia, infatti il provvedimento si chiama: “disposizioni per accelerare la definizione delle pratiche di condono edilizio al fine di contribuire alla ripresa economica”.

Bisogna riconoscere che l’inserimento finale delle due parole “ripresa economica”, rende il provvedimento irrifiutabile: quale politico, con l’Italia e il Mondo in piena crisi, rifiuterebbe di aiutare l’economia?

Però, quello che dovrebbe spiegare il senatore Tancredi (PDL), uno dei firmatari di questa proposta, è come aiuta la ripresa economica il sanare un bene che è già stato realizzato. Se vogliamo che l’economia cresca, dovremmo produrre cose nuove, le vecchie case, anche se abusive, non portano nuovo lavoro, sono già state realizzate!

All’interno di questa proposta, vi è poi la beffa suprema, perchè si prevede che “il proprietario di un immobile abusivo ha il diritto di prelazione quando questo viene acquisito e messo all’asta dal Comune”.
Ciò vuol dire che
le case costruite abusivamente vengono trattenute dal Comune, che invece di abbatterle le mette all’asta, dopo averle sanate e accatastate, dando al proprietario abusivo la possibilità di acquistarle. A questo punto basta mandare deserta l’asta e la casa che doveva essere abbattuta viene comprata ad un prezzo irrisorio.

Tra l’altro i termini sono molto stringenti: entro 6 mesi occorre sistemare tutti gli iarretrati delle sanatore del 1985, del 1994 e del 2003-2004, e poco importa se si parla di milioni di istanze da esaminare.

E quindi svelato il nuovo inganno del governo: tutto si giustifica, basta fare cassa e tirare a campare, sancendo, di fatto, che se si hanno soldi in questa Italia seguire la legge diventa un optional. Ma a questo punto, io mi chiedo se, invece di provvedimenti tampone e di giustificazioni pur di fare cassa, non sarebbe meglio fare una manovra organica per la crescita economica dell’Italia, piuttosto che giustificare l’ingiustificabile.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Il governo non parli di quoziente familiare se azzera i contributi alle famiglie

postato il 28 Ottobre 2010


E’ inutile che il governo parli di quoziente familiare se poi azzera i contributi alle famiglie italiane, che scivolano dal cento medio all’area della povertà. Siamo preoccupati. Oggi incontrando la Cisl abbiamo posto sul tavolo queste questioni, e naturalmente c’è stata una grande condivisione della preoccupazione per l’azzeramento del welfare. Questo non è accettabile.
Tassiamo dunque gli speculatori e con questi fondi rispristiniamo il welfare. Incontreremo sindacati, parti sociali e Confindustria, nella speranza che si possa ricostruire un tessuto di solidarietà per i più deboli.

Pier Ferdinando

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Tassare speculazioni finanziarie per aiutare le fasce deboli

postato il 27 Ottobre 2010

Sotto la scure dei tagli del ministro Tremonti sono finiti capitoli di spesa di estrema delicatezza, a partire da quelli per il sostegno ai disabili, la ricerca per la sanità pubblica, le politiche sociali delle Regioni, le politiche familiari e le politiche per la gioventù. Il governo ha tagliato i contributi già previsti per le scuole non statali, violando in questo modo il principio costituzionale di libertà di educazione.
Non possiamo pero’ accettare che lo stato sociale venga azzerato. Per questo, con un emendamento alla legge di stabilità, proponiamo di tassare le speculazioni finanziarie, per ritrovare fondi da investire per le famiglie e le fasce deboli della popolazione.
La nostra non è una proposta demagogica, ci siamo fatti carico di trovare coperture reali. Le rendite finanziarie riguardano anche i risparmiatori, mentre il “mordi e fuggi” in borsa dà sì guadagni legali, ma che possono e devono essere tassati.

Pier Ferdinando

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La felice gestione Zaia del Veneto: più tasse per tutti e meno sanità

postato il 26 Ottobre 2010

Sembra impossibile, eppure sembra confermato: la Regione Veneto aumenterà le tasse, per potere coprire i suoi buchi di bilancio, soprattutto quello nella sanità.

Ora, il PDL e Zaia dicono no a nuove tasse, salvo poi sbugiardarsi da soli e ammettere che probabilmente verrà ritoccata al rialzo l’addizionale IRPEF, sancendo, di fatto, un aumento delle tasse per i cittadini.

E per fortuna che Zaia, durante la sua campagna elettorale, aveva promesso un deciso miglioramento per il Veneto, che anzi avrebbe avuto la fortuna di essere una delle regioni apripista in tema federalista. Ma il Federalismo, non dovrebbe abbassare le tasse?

Parrebbe di no, perchè si sta venendo a configurare da un lato meno prelievo dello Stato, ma anche meno trasferimenti dello Stato verso le Regioni, con il risultato che lo stesso Formigoni, governatore della Lombardia, lamenta che le riduzioni operate dal Governo mette a rischio i servizi per il cittadino.

Il problema quindi diventa: o si aumentano le tasse (quindi l’aumento del 3% dell’addizionale IRPEF) per risanare il deficit della Sanità e i minori trasferimenti da parte dello Stato, o si tagliano i servizi al cittadino (per altro, con la chiusura di alcuni ospedali, si sta già operando in tal senso, ma non basterebbe).

Zaia, e la Lega, pur di non ammettere che forse il Federalismo non è la panacea di tutti i mali e che forse loro non sono degli amministratori così abili, scaricano la colpa di tutto su Galan e il PDL, ma questo, a mio avviso, non risolve il problema e non può nascondere le responsabilità della Lega, visto che il partito di Bossi aveva una fortissima presenza anche nella Giunta Galan.

Per avere uno spaccato della situazione Veneta, chiediamo un giudizio ad una persona che vive questa realtà ogni giorno: il Consigliere Regionale di Verona, Stefano Valdegamberi (UDC), il quale afferma:

“la Lega sta smentendo se stessa. Per anni ci ha raccontato che il suo pseudo federalismo avrebbe portato più risorse alle regioni virtuose come il Veneto, togliendole a Roma “ladrona”. Oggi si verifica l’esatto opposto: il sistema Veneto (regione, province e comuni) perderà oltre 1 miliardo di euro nei prossimi due anni per cui la Lega ci sta convincendo ad aumentare l’imposizione fiscale per garantire la permanenza dei servizi. Nell’ultimo Consiglio Regionale il capogruppo dal fazzoletto verde, Caner, ha ribadito la necessità ad aumetare l’irpef (colpendo prevalentemente i redditi da lavoro dipendente) oltre ad introdurre la tassa sul turismo (una delle principali voci dell’economia veneta) e la tassa sugli immobili urbani per i consorzi di bonifica, la cui abolizione , prima delle elezioni, era stata sbandierata dalla lega come un suo meritato successo. Lega partito delle tasse? Certo, perchè un federalismo che non diminuisca i troppi livelli di governo e di potere, ulteriormente rafforzati e moltiplicati dalle amministrazioni padane risulta del tutto inefficace, se non persino dannoso. L’incapacità di effettuare riforme strutturali tali da svincolare risorse dalla burocrazia e dal pachidermico ed obsoleto sistema pubblico (fatto da una miriade di centri di spesa), per rimettere in moto le infrastrutture e l’economia, ha già affossato sul nascere il progetto del pseudofederalismo. Le uniche novità sono le minori risorse dalla Capitale e l’aumento delle tasse. L’esatto contrario di ciò che si è predicato finora nelle piazze durante i raduni padani. L’Udc lo aveva già detto. Anche se ancora una volta il tempo ci sta dando ragione, ad essere truffati sono i cittadini veneti che, svegliandosi dal tepore dell’illusione, ancora una volta dovranno mettere mano al portafoglio….anche se sempre più vuoto.”

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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