postato il 2 Dicembre 2010 | in "Esteri, In evidenza, Media e tecnologia, Riceviamo e pubblichiamo"

Cosa ci insegna la vicenda WikiLeaks

Le rivelazioni del sito Wikileaks a detta di alcuni sono al momento deludenti (personalmente non ne sono convinto), ma sicuramente hanno raggiunto almeno tre risultati: hanno fatto arrabbiare di brutto la signora Clinton, hanno fatto ridere Berlusconi, ma soprattutto hanno fatto piangere i giornalisti. Ed è questo ultimo punto che mi sembra assolutamente importante in questa intricata vicenda che vede protagonista il sito di Julian Assange: la rete internet e nello specifico Wikileaks ha messo in crisi, dopo l’intelligence americana, l’informazione mondiale che è stata spiazzata da un concorrente sconosciuto e assolutamente libero.

Il sito di Assange si è limitato a diffondere delle informative diplomatiche di cui è venuto in possesso, in fondo in maniera semplice, e ha consentito a livello mondiale la formazione di una coscienza critica rispetto a degli eventi e a dei personaggi che troppo spesso rimangono volutamente oscuri. La rabbia di diplomatici e politici che si vedono letteralmente “messi in mutande” è comprensibile, mentre mi sembra meno comprensibile la sufficienza del mondo dell’informazione e del giornalismo  rispetto a questa vicenda. L’Italia, e l’informazione italiana in particolare, si è chiaramente distinta in questa incomprensione del fenomeno Wikileaks e per giorni abbiamo assistito a servizi televisivi e a prime pagine di giornale a dir poco incredibili: sembravano tutte dettate dall’allarmato ministro Frattini che immagina Wikileaks alla stregua di Al Qaeda. Comprensibilmente molte redazioni sono rimaste disorientate dal fatto che nel mondo qualcuno è stato capace di trovare e dare una notizia senza apprenderla da un programma tv, da una  delle tante veline inviate dai potenti o, peggio, dallo stato Facebook del famoso di turno, e così istintivamente si sono difese da quel “cattivone” di Assange e dalla sua banda parlando di Wikileaks come sito pirata e nel libro paga di qualche organizzazione dedita alla destabilizzazione del mondo.

Non ci si poteva aspettare altra reazione da un sistema di questo tipo che, secondo Luca Sofri, è “una palude che si autoalimenta”, dove  “la mediocrità e l’anacronismo si nutrono di se stessi: si parla di Porta a porta, si va a Porta a porta, la gente guarda Porta a porta e quindi si riparla di Porta a porta”. Qualcuno forse, magari tra i soloni del giornalismo, storcerà il naso davanti a queste critiche eppure penso che un minimo dubbio sull’incapacità della nostra informazione e sulla sua compromissioni con poteri più o meno grandi verrebbe a tutti dopo la semplice osservazione di Massimo Mantellini: come mai nessun grande giornale italiano è stato scelto per ricevere e diffondere i dati di Wikileaks?

Il dubbio viene, eccome, specie se mentre i quotidiani The Guardian, The New York Times, Le Monde ed El Pais e il  settimanale Der Spiegel diffondono i cablogrammi di Wikileaks (con precisi accordi sulla sicurezza)  sui giornali italiani dobbiamo sorbirci patetiche prediche paternalistiche sulla democrazia planetaria in pericolo. Come se la verità fosse un pericolo. Forse la verità è veramente un pericolo, perché la verità, come dice il Vangelo, rende liberi e libertà e verità in coppia hanno sempre fatto paura ai signori di questo mondo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi



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