Default dell’Italia: come evitare il fallimento dei titoli di Stato?
In questi giorni, i media hanno lanciato l’allarme su un possibile default dei titoli di Stato italiano (i BOT, BTP, CTZ e così via), e quindi che l’Italia possa fare la fine della Grecia.
E’ possibile che avvenga ciò? E come si può evitare questo rischio?
Prima di rispondere a queste domande, credo che sia doveroso partire da alcune spiegazioni, necessarie per quanti non masticano la terminologia finanziaria.
Intanto iniziamo dal termine default: un vocabolo inglese che indica quando un debitore non può più pagare gli interessi o, peggio, non può restituire il capitale avuto in prestito.
Adesso spieghiamo alcuni concetti base, ovvero lo spread tra il BTP e il Bund. Terminologie che credo possano essere oscure a quegli italiani che non hanno dimestichezza con l’inglese e con la finanza.
Quando si parla di spread tra il BTP e il Bund, si parla della differenza di prezzo che esiste tra il BTP (titolo di stato italiano) e il Bund (titolo di stato tedesco). Quando questa differenza è alta, significa che i mercati hanno sfiducia verso i titoli di stato italiani, e quindi li valutano meno dei Bund. La conseguenza è che il BTP, per tornare ad essere appetibile, deve pagare un interesse più alto rispetto all’omologo tedesco.
Siete confusi? Non siatelo abbiamo quasi finito con le spiegazioni, restano gli ultimi termini da spiegare e per essere precisi si tratta di spiegare “la vendita allo scoperto” e i “CDS”.
I CDS sono i Credit Default Swap, e sono una sorta di assicurazione contro il rischio di fallimento. In pratica supponiamo che acquisti dei titoli di stato italiani, e che voglia coprirmi dal rischio di fallimento. Per fare ciò, compro dei CDS, ma, ovviamente, se il rischio di fallimento è alto, chi mi assicura vorrà essere pagato di più. In pratica più alto è il rischio di fallimento, più bisogna pagare per assicurarsi contro il rischio di perdere i soldi in seguito al fallimento, proprio per questo gli specialisti seguono l’andamento dei CDS: se questi aumentano di valore, significa che il paese (nel nostro caso l’Italia) aumenta il rischio di dovere dichiarare bancarotta.
L’ultimo termine è “vendite allo scoperto”: in pratica con questo termine si indica la possibilità di vendere dei beni che non si possiedono. Come è possibile questa alchimia? Nulla di complicato: basta che qualcuno mi presti quello che voglio vendere (ovviamente io pagherò questo servizio). In pratica supponiamo che io venda allo scoperto dei BTP, in questo caso qualcuno (di solito una banca) mi “presta” questi titoli. Supponiamo quindi che io li venda a 100 euro. A questo punto io inizio a pagare il servizio, inoltre entro una certa data io devo restituire i titoli che mi hanno prestato.
Supponiamo che nel frattempo, il BTP sia sceso a 90, lo compro e lo restituisco alla banca. Cosa è successo? E dove ho guadagnato? Semplice: ho venduto a 100 il BTP, poi l’ ho riacquisto a 90. Quindi entrano 100 euro, e successivamente ne escono 90, facendo la sottrazione mi restano 10 euro che è il mio guadagno (se invece il BTP sale, supponiamo fino a 110, io perderò 10). La banca invece ritorna in possesso dei titoli prestati e guadagna l’interesse che io pago per il prestito suddetto.
Ora che abbiamo smontato alcuni dei termini tecnici, torniamo alle domande iniziali: è possibile che l’Italia possa fallire? E come evitare questa ipotesi?
Il rischio concreto c’è, certo l’Italia ha una economia più solida della Grecia, ma nonostante questo, secondo il Financial Times il rischio è concreto e infatti gli hedge funds (fondi altamente speculativi) americani scommettono al ribasso contro i bond italiani. Anzi, il Financial Times scrive: “I fondi speculativi di New York stanno piazzando massicci ordini scommettendo sul calo dei titoli di stato emessi dal governo italiano, shortando direttamente i bond della terza maggiore economia dell’eurozona”.
Il Financial Times mette in evidenza che Venerdì i rendimenti dei titoli di stato italiani hanno toccato il più alto livello dall’ottobre 2002 e la motivazione pare essere legata all’affiorare di tensioni la scorsa settimana tra Silvio Berlusconi, il primo ministro, e Giulio Tremonti, il ministro delle Finanze dell’Italia, sulla proposta di piano di austerità del paese.
Shortare direttamente titoli governativi, è considerato più rischioso del comprare l’assicurazione sul default (CDS, cioè credit default swaps), visto che il venditore short deve evidenziare il possesso degli specifici titoli per completare la transazione. Il mercato italiano dei bond, comunque, è altamente liquido, e prima della crisi finanziaria shortare i bond dell’Italia era una strategia comune.
Il problema è che il governo italiano deve ancora emettere più della metà del totale di bond da emettere nel 2011, a questo punto dell’anno un ammontare maggiore della norma. E’ vero che l’Italia ha un deficit di bilancio inferiore a zero, ma il paese deve rifinanziare 900 miliardi di euro di debito sovrano che matureranno nei prossimi cinque anni.
Stiamo parlando di una cifra altissima e basterebbe che qualche asta dei titoli di stato italiani andasse deserta per mettere nei guai l’Italia.
Come si può evitare che continui questa tensione sui titoli di stato italiani? La prima mossa è mettere dei vincoli sulle vendite allo scoperto, ma questa mossa è solo momentanea e non risolve certo il problema, serve solo a tamponarlo.
La vera soluzione è riuscire a diminuire il debito pubblico, e questo si può fare solo stimolando la crescita e trovando i soldi necessari per coprire gli investimenti e ridurre il debito, magari tagliando le spese inutili. Come fare ciò? Le armi sono due: lotta seria e dura all’evasione fiscale e all’economia in nero, e avviare un dialogo serio e costruttivo tra opposizioni e governo, come sta facendo per ora Obama per evitare che il default colpisca gli USA (che sono effettivamente a rischio). Ma perché si possa avviare questo dialogo non servono i proclami, servono i fatti e abbandonare la visione individualista che anima l’azione della Lega (che pensa solo al suo orticello) e la visione persecutoria che anima Berlusconi (che vede nemici e complotti ovunque). Gli usa hanno un problema: nel 2012 vi sono le elezioni, ciò sta limitando il dialogo tra governo e opposizioni. L’Italia ha un anno in più, le prossime elezioni sono nel 2013, quindi se si agisce con tempestività si può portare avanti una seria riforma economica, ma perché ciò avvenga bisogna agire tempestivamente.
Sarà possibile?
Mario Pezzati
la rigidità del sistema finanziario è il vero problema, gli speculatori si infiltrano le norme tassative ma hackerabili del sitema finanziario internazionale, alla faccia dei governi sovrani. Non credi che bisognerebbe riformare il sistema dei bond e del debito pubblico degli stati sovrani?
ciao
davide delvecchio
ma riformarli come?
Il sistema finanziario italiano, in fondo, non è molto più rigido di altri: negli USA vi sono molte regole rigidissime e la SEC ha un potere di ispezione che la Consob non ha.
Il debito pubblico, poi, è il risultato delle politiche di spesa dei governo.
In fondo il nostro debito attuale è “nato” nel periodo che va dal 1975 al 1993, periodo in cui lo stato italiano spese moltissimo, ma senza attuare una vera politica economica.
Bella la spiegazione….il problemac’è….ma la soluzione no….bisogna tagliare i costi della politica eper i progetti insulsi come il ponte sullo stretto, combattere la corruzione con la baionetta e ottimizzare i servizi dello stato riducendone i costi e rendendoli più efficienti…Casini per favore vai in pensione, ti prego— e convinci anche i tuoi colleghi a farlo non siete in grado. Avete “guadagnato ” abbastanza ….credo…. non avete più bisogno di niente ….riposatevi, ve lo potete permettere!!!