postato il 7 Luglio 2012 | in "Economia, In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo"

Expo 2015: il tempo passa, ma a che punto siamo con i lavori?

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In passato ho scritto dell’expo in varie occasioni e ho sempre sollevato dei dubbi in merito alla tempistica e ai costi dei lavori, senza contare i problemi e le vicissitudini dei vertici della società che gestisce tutto l’affare “Expo”.

Oggi i miei dubbi permangono.

Il 30 settembre scorso il consiglio generale di Fondazione Fiera Milano, dopo avere recepito la volontà degli enti locali (Regione Lombardia e Comune di Milano), di comprare i terreni che ospiteranno l’Expo 2015 attraverso la società per azioni Arexpo, aveva deciso di entrare nella suddetta società con una quota del 27,7% del capitale (il Comune di Milano e la Regione Lombardia hanno circa il 69% della società) tramite il conferimento ad Arexpo di una parte, (circa 158 mila metri quadri), delle aree di sua proprietà necessarie alla realizzazione del sito Expo, a un valore pari a 26 milioni di euro. In pratica, la Fondazione Fiera Milano, entra nell’affare fornendo una parte dei terreni (che aveva di proprietà) conferendoli ad una società di cui acquista una parte della proprietà. Sembra uno scioglilingua, ma, questo escamotage assolutamente legale (tengo a precisarlo), di fatto permette alla Fondazione Fiera Milano di entrare nell’affare con un esborso minimo.

Anche il governo sta valutando il suo ruolo, dato che contribuisce alla realizzazione del sito con 823 milioni. Tra le ipotesi c’è anche l’ingresso del ministero delle Finanze dentro Arexpo, oppure la possibilità di uno sconto per lo Stato sulle opere di smantellamento a fine rassegna. A tal proposito riporto la dichiarazione rilasciata qualche giorno fa da Mario Catania, ministro dell’agricoltura, che ha affermato: ”Per l’Expo di Milano faremo tutto il possibile e tu e la tua organizzazione, come l’intero settore agricolo ci darete una mano”. Catania ha ribadito un convinto sostegno all’Expo del 2015 che servirà a ”dare un messaggio e un’immagine del sistema complessivo dell’agroalimentare italiano”.

Ma a che punto siamo con i lavori? Intanto premetto subito che si può rinunciare all’EXPO 2015, infatti, il regolamento del Bie (Bureau International des Expositions, ovvero l’ente supremo che gestisce i vari EXPO) prevede la possibilità di ritirarsi. Il ritiro, a partire da maggio 2012 e fino ad aprile 2013, comporterebbe una penale di 51,6 milioni di euro.

Se invece si continua sull’EXPO 2015, è bene dire che gli interventi previsti costeranno, in base alle ultime stime, fino a 25 miliardi tra opere e costi diretti, cioè creazione degli spazi espositivi di gestione. Questa cifra immane comporta la necessità, per il Comune di Milano, di ottenere una deroga al patto di stabilità interno. Per evitare tale deroga, l’alternativa sono gli investimenti dei privati che coprirebbero tali spese, ma al di là degli impegni verbali, l’intervento dei privati latita. Il Comune meneghino ha preparato un pacchetto di undici progetti obbligatori e di sette qualificanti che, per la maggior parte, dovranno essere finanziati da Palazzo Marino. Il problema, però, è che il Comune non può indebitarsi a causa dei vincoli imposti dal Patto di Stabilità. E il rischio è la paralisi.
Proprio per questo motivo, a Milano è divenuta concreta l’ipotesi che i lavori per la Pedemontana, le nuove linee metro e la bretella di raccordo tra Fiera di Rho e Malpensa, non vengano conclusi per il 2015. A questi problemi aggiungiamo anche il giudizio espresso nel dossier sui sistemi infrastrutturali dell’Osservatorio del Nord Ovest di Assolombarda, stilato lo scorso dicembre che afferma: “dal punto di vista procedurale, si segnala che diverse opere essenziali e connesse non hanno ancora un progetto preliminare approvato, con possibili ripercussioni sulla possibilità di realizzare gli interventi in tempo per l’Expo”.

A fronte di queste spese, quali sono i possibili ricavi (che, sono solo preventivati e ipotizzati, quindi assolutamente non certi)? Questi i numeri previsti: 20 milioni di visitatori di cui un terzo stranieri, settemila eventi in sei mesi, 181 paesi partecipanti, 61 mila posti di lavoro l’anno nel decennio 2011-2020, 3,5 miliardi di euro per la spesa turistica indotta e una produzione nel secondo decennio del secolo di 69 miliardi di euro, il tutto per una crescita del Pil dello 0,18 per cento. Sono numeri credibili? Sui posti di lavoro è lecito sollevare dei dubbi, visti i ritardi nei lavori, ma quel che più preoccupa è che ad oggi, solo 81 nazioni abbiano dato per certa la loro partecipazione firmando i relativi documenti. Vi sono poi una diecina di nazioni tra cui USA, Brasile e Cina che hanno espresso il loro interesse a partecipare, ma solo verbalmente e senza avere sottoscritto alcun impegno vincolante.

Da quanto detto è chiaro che siamo di fronte ad un opera faraonica, ma che, proprio per questo motivo, richiede celerità e massima attenzione per evitare che si facciano “cattedrali nel deserto” come fu per “Italia 90”.

4 Commenti
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citoyenne
citoyenne
12 anni fa

Buongiorno, dott. Pezzati

Perchè mai quando si parla di “grandi opere” mi viene una sorta di prurito in tutto il corpo? perchè i capelli mi si rizzano sulla testa?
Forse perchè le “grandi opere” comportano un grande esborso di denaro? Forse perchè le “grandi opere” prevedono, nel corso dell’opera, tante e tante e tante revisioni sui costi? Forse perchè le ditte originariamente coinvolte dopo cominciano a frammentarsi in milioni di rivoli non facilmente controllabili? Forse perchè intorno alle “grandi opere” si alza ogni volta una sorta di cortina fumogena che impedisce di vederne i contorni? Forse perchè le “grandi opere” prevedono tempi lunghissimi, nel corso dei quali tante cose si aggregano e si disgregano, fino ad arrivare alla scadenza senza aver fatto quasi nulla ed allora ci sarebbe la “necessità impellente” di far intervenire elementi esterni (o interni? Mi pare che Bertolaso in questi campi soleva intervenire con molto dispendio di denaro pubblico!). Insomma, in una nazione dove regna sovrana l’evasione fiscale, dove regna sovrana la corruzione, dove regnano sovrane le malevite organizzate, forse sarebbe opportuno non concepirne più di grandi opere… meglio pensare in male (perchè quasi sempre ci si azzecca) ed in piccolo. O no?
una citoyenne

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

@ citoyenne: tralasciando ogni discorso su expo 2015 su cui le critiche e i dubbi sono molti, se guardiamo nell’insieme alle grandi opere, si deve dire che è vero che ci sono i rischi che lei dice, ma è anche vero che alcune sono fondamentali: pensi alle ferrovie o alle autostrade.
Il punto è fare quelle opere che hnano ricaute positive sui cittadini.
Bene ha fatto monti ha rinunciare alle olimpiadi: passate queste avremmo avuto piscine faraoniche e campi stupendi, che però nessuno avrebbe sfruttato adeguatamente.

Detto ciò, proprio per evitare i problemi che lei dice, Monti ha imposto che nei prossimi mesi, tutte le opere (grandi e piccole) siamo controllabili dalla gente, via internet.
si controlleranno i costi, si controlleranno i lavori come procedono e così via…

citoyenne
citoyenne
12 anni fa

Buongiorno, dott. Pezzati

Faacendo seguito al discorso già iniziato, io propongo un’altra cosa: ogni “grande opera” potrebbe essere “sminuzzata” in tante piccole opere, le cui gare di appalto potrebbero essere regolate da poche semplici regole:
1) chi ne ha vinta una, non può partecipare alle altre (sopravviverebbero diverse imprese alla luce del sole, piuttosto che subire l’umiliazione dei sub-appalti, dei sub-sub.appalti, magari di dubbia provenienza, ecc.);
2) le imprese che non rispettano costi e tempi previsti, verranno, per legge, “licenziate” con la penalizzazione che per almeno dieci anni non potrebbero più partecipare a gare di appalto pubbliche.
Queste e altre escamotages potrebbero risultare un deterrente per tanti furbetti operanti nel settore?
Una citoyenne

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

@ citoyenne: il problema di sminuzzare una “grande opera” in tante più piccole pone problemi di logistica e di organizzazione dei lavori, oltre che allungarli, infatti ogni volta che una parte si completa, prima di fare subentare l’altra società bisogna fare le verifiche del caso e solo dopo si può dare il via ai nuovi bandi o ai nuovi lavori.
Il secondo punto esiste già e sono le “multe” che sono previste nei contratti. Si tratta di multe molto salate.
Per essere più precisi: nei contratti di appalto si prevede una serie di check up sui lavori (ovvero il famoso “stato di avanzamento dei lavori”) per verificare che i tempi e i costi siano rispettati.Ovviamente si prevedono anche delle revisioni di costi e tempi, legati a: inflazione, intoppi che sorgono durante i lavori (ad esempio, si pensi alle manifestazioni dei dimostranti no tav) e così via. Ma se l’azienda ritarda immotivatamente a consegnar ei lavori o non motiva gli aumenti di costo, ecco che, come previsto in questo genere di contratti, scattano le sanzioni salatissime.
Ovvio chje poi il furbetto riesce a svicolare tra le maglie della legge… e questo però è più un problema di chi effettua i controlli che dovrebbero essere forse più invasivi, anche se prterebbero ad un rallentamento complessivo.



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